ORDINANZA N. 135
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi con ordinanze del 14 aprile e del 23 maggio 2006 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa, del 25 gennaio 2008 dal Tribunale di Livorno e del 10 aprile 2007 dal Tribunale di Nocera Inferiore, rispettivamente iscritte ai nn. 250, 380, 289 e 361 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 36, 49, 40 e 47, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 1° aprile 2009 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa, con ordinanza del 14 aprile 2006, pervenuta alla Corte costituzionale il 14 luglio 2008 (r.o. n. 250 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace;
che il rimettente è chiamato a valutare una richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero, in ragione dell’asserita estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, nell’ambito di un procedimento per fatti di lesione personale (art. 582 cod. pen.) e ingiuria (art. 594 cod. pen.), commessi nel giugno del 2001;
che, secondo lo stesso rimettente, la disciplina del riformato quinto comma dell’art. 157 cod. pen., nella parte in cui si riferisce ai reati puniti con pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, avrebbe riguardo ai reati di competenza del giudice di pace per i quali sono applicabili le sanzioni della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, secondo il disposto dell’art. 52 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468);
che infatti la norma censurata, ove diversamente intesa, resterebbe priva di un qualunque oggetto, e d’altra parte, essendo la norma stessa riferibile a tutte le previsioni edittali che comprendono le sanzioni cosiddette «paradetentive», non avrebbe alcuna rilevanza la possibilità che, nella maggior parte dei casi, siano applicabili, in alternativa, anche pene di natura pecuniaria;
che la pertinenza del quinto comma dell’art. 157 cod. pen. ai reati di competenza del giudice di pace non potrebbe neppure essere esclusa per l’equiparazione ad «ogni effetto giuridico» istituita, a norma dell’art. 58 del d.lgs. n. 274 del 2000, tra le originarie sanzioni detentive e le pene della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità;
che infatti, sempre a parere del giudice a quo, il legislatore avrebbe inteso creare, mediante le nuove previsioni sanzionatorie, un sottosistema caratterizzato dall’autonomia dei relativi istituti rispetto allo strumentario tradizionale delle pene;
che il rimettente osserva come, alla luce delle premesse indicate, il più grave tra i reati contestati nel giudizio a quo, cioè quello di lesioni personali, dovrebbe considerarsi estinto, essendo per esso prevista l’applicazione delle pene «paradetentive», con termine prescrizionale pari dunque a tre anni, mentre la prescrizione non sarebbe ancora maturata per il meno grave reato di ingiuria, punito con la sola pena della multa e soggetto per l’estinzione, a norma del primo comma dell’art. 157 cod. pen., ad un termine di sei anni;
che l’evidente sperequazione non potrebbe essere evitata, secondo il giudice a quo, estendendo l’applicazione della norma censurata, in via interpretativa, a tutti i reati di competenza del giudice di pace, così da prospettare una prescrizione triennale anche per gli illeciti puniti con la sola pena pecuniaria, posto che per tali illeciti è prevista espressamente una sanzione «della specie corrispondente» a quella originaria, cioè la multa o l’ammenda (art. 52 del d.lgs. n. 274 del 2000);
che, secondo il rimettente, una disciplina non ispirata al criterio di proporzionalità tra durata del termine prescrizionale e gravità del reato, e che anzi inverte la proporzione tra le due grandezze, sarebbe manifestamente irragionevole, e dunque in contrasto con l’art. 3 Cost.;
che il giudice a quo osserva infine, in punto di rilevanza, come la richiesta di archiviazione sottoposta al suo vaglio potrebbe essere accolta, quanto al reato di ingiuria, solo in caso di riconosciuto fondamento della questione sollevata;
che il Tribunale di Livorno in composizione monocratica, con ordinanza del 25 gennaio 2008 (r.o. n. 289 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede, per i reati di competenza del giudice di pace, che il termine prescrizionale sia pari a tre anni nel caso di reati puniti con pene diverse da quelle detentive o pecuniarie, e sia pari invece a quattro o a sei anni (a seconda che si tratti di contravvenzioni o delitti) nel caso di reati puniti con la pena pecuniaria;
che il rimettente è chiamato a celebrare il giudizio di appello in un procedimento concernente i delitti di percosse (art. 581 cod. pen.) e lesioni personali (art. 582 cod. pen.), il primo dei quali è punito con la sola pena della multa, mentre il secondo può essere sanzionato anche mediante l’applicazione della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità;
che per i reati punibili con le sole pene pecuniarie, secondo il giudice a quo, deve applicarsi il termine prescrizionale indicato al primo comma dell’art. 157 cod. pen., mentre sarebbe applicabile, con riguardo ai reati puniti con le cosiddette sanzioni «paradetentive», il più breve termine fissato dal quinto comma della stessa norma, che si riferisce, appunto, ai reati puniti con pene diverse da quelle pecuniarie o detentive;
che la previsione del termine triennale, se non riferita ai più gravi reati di competenza del giudice di pace, resterebbe infatti priva di ogni contenuto precettivo;
che neppure potrebbe farsi riferimento, a sostegno della soluzione opposta, all’art. 58 del d.lgs. n. 274 del 2000, che equipara «ad ogni effetto giuridico» le sanzioni «paradetentive» a quelle detentive originariamente previste per le fattispecie trasferite alla competenza del giudice di pace, in quanto l’art. 157, quinto comma, cod. pen. si atteggerebbe a norma successiva di carattere speciale rispetto alla disposizione menzionata;
che il rimettente osserva come, facendo applicazione delle norme censurate, dovrebbe dichiarare l’intervenuta estinzione del reato più grave tra quelli contestati nel giudizio a quo, cioè quello di lesioni, mentre il più lungo termine prescrizionale di sei anni non sarebbe ancora decorso quanto al reato di percosse;
che una disciplina siffatta, a parere del Tribunale, sarebbe priva di razionalità intrinseca, e come tale idonea a recare un vulnus ai principi di ragionevolezza e uguaglianza, «sostanzialmente finendo per omologare tra loro situazioni diverse ovvero, al contrario, differenziare il trattamento di situazioni similari»;
che il Tribunale di Nocera Inferiore in composizione monocratica, con ordinanza del 10 aprile 2007, pervenuta alla Corte costituzionale il 16 ottobre 2008 (r.o. n. 361 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace;
che il rimettente – il quale procede per i reati di ingiuria aggravata (art. 594, primo e quarto comma, cod. pen.) e di minaccia (art. 612 cod. pen.), commessi il 20 settembre 1999 – ritiene nella specie applicabile il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’originario terzo comma dell’art. 157 cod. pen., trattandosi di disciplina più favorevole di quella introdotta, in epoca successiva alla consumazione dei reati, dal testo novellato del primo comma dello stesso art. 157 cod. pen.;
che il giudice a quo rileva, per altro, come la legge n. 251 del 2005 abbia previsto, mediante la norma censurata, un termine di prescrizione triennale per una parte dei reati assegnati alla competenza del giudice penale, cioè quelli punibili con le sanzioni della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità;
che infatti il riferimento alle pene diverse da quelle detentive e da quelle pecuniarie non potrebbe essere letto altrimenti, poiché il quinto comma dell’art. 157 cod. pen. risulterebbe di fatto inapplicabile;
che il rimettente osserva come la norma censurata comporti una prescrizione più rapida per reati che sono più gravi di quelli contestati nel giudizio a quo, così dando luogo ad una irragionevole disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost.;
che, secondo il Tribunale, la questione è rilevante, in quanto, nell’evenienza di un suo accoglimento, il termine triennale di prescrizione diverrebbe operante anche riguardo ai delitti di ingiuria e minaccia, così comportando la declaratoria di estinzione dei reati contestati;
che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa, con ordinanza del 23 maggio 2006, pervenuta alla Corte costituzionale il 5 novembre 2008 (r.o. n. 380 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace;
che il rimettente è chiamato a valutare una richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero, in ragione dell’asserita estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, nell’ambito di un procedimento per fatti di minaccia (art. 612 cod. pen.) e ingiuria (art. 594 cod. pen.), commessi dall’agosto all’ottobre del 2001;
che, secondo il giudice a quo, la richiesta andrebbe respinta, dovendosi applicare il termine di prescrizione quinquennale previsto dal testo originario del terzo comma dell’art. 157 cod. pen., quale disciplina più favorevole di quella introdotta col novellato primo comma dello stesso art. 157 cod. pen.;
che la soluzione sarebbe peraltro «sommamente iniqua», considerando che reati più gravi, tra quelli pure assegnati alla competenza del giudice di pace, si prescrivono ormai nel termine di tre anni, secondo quanto disposto dal quinto comma dell’art. 157 cod. pen.;
che l’ordinanza di rimessione è nel resto analoga ad altra deliberata dal medesimo giudice, e già sopra illustrata (r.o. n. 250 del 2008);
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto, con atti di identico tenore, in tutti giudizi fin qui indicati;
che, secondo la difesa erariale, le questioni sollevate sarebbero infondate;
che, infatti, il quinto comma dell’art. 157 cod. pen. si riferirebbe a tutti i reati di competenza del giudice di pace, compresi quelli puniti con la sola sanzione pecuniaria, e dunque non sussisterebbe, nel relativo ambito, alcuna irrazionale difformità di trattamento.
Considerato che, mediante le ordinanze di rimessione indicate in epigrafe, sono state sollevate varie questioni concernenti la disciplina della prescrizione per i reati attributi alla competenza del giudice di pace;
che, in particolare, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa ed il Tribunale di Nocera Inferiore censurano, in riferimento all’art. 3 Cost., il quinto comma dell’art. 157 cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace (r.o. n. 250, n. 361 e n. 380 del 2008);
che il Tribunale di Livorno propone, invece, questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede, per i reati di competenza del giudice di pace, che il termine prescrizionale sia pari a tre anni nel caso di reati puniti con pene diverse da quelle detentive o pecuniarie, e sia pari invece a quattro o a sei anni (a seconda che si tratti di contravvenzioni o delitti) nel caso di reati puniti con la pena pecuniaria (r.o. n. 289 del 2008);
che risulta opportuno disporre, in forza della sostanziale identità di oggetto delle questioni proposte, la riunione dei relativi giudizi;
che la questione sollevata dal Tribunale di Livorno è manifestamente inammissibile, posto che il rimettente si limita a denunciare, riguardo ai reati di competenza del giudice di pace, la previsione di termini prescrizionali in rapporto di proporzione inversa rispetto alla gravità dei reati medesimi, senza l’indicazione dell’intervento mediante il quale questa Corte dovrebbe rimuovere l’asserita situazione di irrazionalità, così dando luogo ad un petitum sostanzialmente indeterminato;
che anche la questione sollevata dal Tribunale di Nocera Inferiore va dichiarata manifestamente inammissibile, posto che il rimettente non ha descritto compiutamente la fattispecie sottoposta al suo giudizio, così impedendo a questa Corte il necessario controllo di rilevanza;
che infatti, essendo stata l’ordinanza di rimessione deliberata ad oltre sette anni e sei mesi dalla data di commissione dei reati contestati, questi ultimi sembrerebbero comunque estinti per prescrizione, tanto alla luce della disciplina vigente all’epoca dei fatti, tanto in base alla disciplina introdotta con la riforma dell’art. 157 cod. pen., così che l’eventuale previsione di un termine inferiore sarebbe comunque irrilevante per la decisione nel giudizio a quo;
che l’indicata estinzione, non rilevata dal rimettente, potrebbe essere esclusa solo per l’eventuale computo di periodi di sospensione del termine prescrizionale, dei quali però lo stesso rimettente non ha fatto alcuna menzione nella propria ordinanza;
che le ulteriori questioni di legittimità costituzionale cui si riferisce il presente giudizio – sollevate dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa con due ordinanze di analogo tenore – sono manifestamente infondate, in quanto prospettate in base ad un erroneo presupposto interpretativo;
che questa Corte ha già chiarito, dichiarando non fondate «nei sensi di cui in motivazione» questioni analoghe a quelle odierne, poste sia con riguardo al primo che con riferimento al quinto comma dell’art. 156 cod. pen. (sentenza n. 2 del 2008), come debba essere esclusa l’attuale vigenza di un termine triennale di prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace punibili mediante le cosiddette sanzioni paradetentive;
che con la citata pronuncia è stata negata, in particolare, la riferibilità della norma contenuta nel quinto comma dell’art. 157 cod. pen. a fattispecie incriminatrici che non prevedano in via diretta ed esclusiva pene diverse da quelle pecuniarie o detentive, ed è stata altresì rilevata la perdurante equiparazione, «per ogni effetto giuridico», tra le pene dell’obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile, irrogabili dal giudice di pace in alternativa alle pene pecuniarie, e le sanzioni detentive originariamente previste per i reati che le contemplano (art. 58, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 – Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468);
che l’opzione appena descritta è stata confermata, da questa Corte, in occasione del vaglio di ulteriori questioni sollevate con riguardo alla disciplina della prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace (ordinanze numeri 223, 381 e 433 del 2008);
che non si rinvengono, nella motivazione dei provvedimenti dai quali origina il presente giudizio, argomenti che inducano a modificare le valutazioni appena richiamate;
che la ritenuta applicabilità delle disposizioni previste nel primo comma dell’art. 157 cod. pen. a tutti i reati di competenza del giudice di pace esclude l’incongrua diversità di trattamento denunciata dal rimettente.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEriuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Livorno con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 289 del 2008);
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale di Nocera Inferiore, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 361 del 2008);
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa, con le ordinanze indicate in epigrafe (r.o. n. 250 e n. 380 del 2008).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2009.