ORDINANZA N. 223
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta dai signori:
-
Franco BILE Presidente
-
Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
-
Sabino CASSESE ”
-
Maria Rita SAULLE ”
-
Giuseppe TESAURO ”
-
Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e quinto comma, del codice penale, come
sostituiti dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice
penale e alla legge 26 luglio 1975, n.
Visti gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera
di consiglio del 7 maggio 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Tribunale di Grosseto in composizione monocratica, con due
ordinanze di tenore analogo, deliberate rispettivamente il 20 febbraio 2006 (r.o. n. 491 del 2006) ed il 14 marzo 2006 (r.o. n. 492 del 2006), ha sollevato – in riferimento
all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale
dell’art. 157, primo comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6
della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26
luglio 1975, n.
che il rimettente procede, nel primo dei
giudizi a quibus, per il reato punito dall’art. 636 cod. pen. (introduzione o abbandono di gregge nel fondo altrui e
pascolo abusivo), e nel secondo per i delitti di cui al primo comma dell’art.
612 cod. pen. (minaccia) ed all’art. 594 cod. pen. (ingiuria);
che detti reati – secondo il disposto
dell’art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24
novembre 1999, n. 468) – sono attribuiti alla competenza del giudice di pace,
sebbene si proceda avanti al tribunale per effetto delle disposizioni
transitorie concernenti i fatti antecedenti all’entrata in vigore della
relativa disciplina (art. 64 dello stesso d.lgs. n. 274 del 2000);
che il giudice a quo rileva come
debba quindi applicarsi, ai fatti in questione, il trattamento sanzionatorio
prescritto dall’art. 52 del d.lgs. n. 274 del 2000, secondo il disposto degli
artt. 63 e 64 dello stesso decreto;
che l’attuale disciplina della
prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace, a parere del
rimettente, sarebbe differenziata a seconda che si tratti di delitti puniti con
la sola pena pecuniaria, per i quali il primo comma dell’art. 157 cod. pen. fisserebbe un termine prescrizionale di sei anni,
oppure di reati punibili anche mediante la permanenza domiciliare od il lavoro
di pubblica utilità, per i quali il termine sarebbe pari a soli tre anni,
secondo quanto previsto dal quinto comma dello stesso art. 157 cod. pen.;
che tale ultima norma, riferendosi alle
«pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria», avrebbe infatti
riguardo alle sanzioni «paradetentive» applicate dal giudice di pace;
che non rileverebbe in senso contrario, a
giudizio del rimettente, l’equiparazione istituita dall’art. 58 del d.lgs. n.
274 del 2000, per ogni effetto giuridico, tra le sanzioni «paradetentive» del
giudice di pace e le pene detentive comuni, posto che la norma in questione
avrebbe natura «generale e suppletiva», e dovrebbe quindi soccombere di fronte
alla previsione del nuovo quinto comma dell’art. 157 cod. pen.,
definito alla stregua di «norma speciale prevalente»;
che del resto, osserva il giudice a quo,
la disposizione citata da ultimo resterebbe priva di ogni ambito applicativo,
ove si escludesse la sua pertinenza alle pene irrogabili dal giudice di pace;
che inoltre, secondo il Tribunale, la
legge differenzia in molti e diversi profili gli «effetti giuridici» delle pene
detentive e quelli delle sanzioni «paradetentive», escludendo ad esempio la
sussistenza del delitto di evasione in caso di violazione delle prescrizioni
inerenti alla permanenza domiciliare (art. 56 del d.lgs. n. 274 del 2000), o
precludendo la sospensione condizionale per l’esecuzione delle pene inflitte
dal giudice di pace (art. 60 dello stesso decreto);
che l’applicazione del quinto comma
dell’art. 157 cod. pen. e del correlato termine
prescrizionale breve, nei confronti dei più gravi tra i reati di competenza del
giudice di pace, non potrebbe essere esclusa neppure sul rilievo che le
sanzioni «paradetentive» sono sempre irrogabili in alternativa a quelle
pecuniarie, per le quali è previsto un termine prescrizionale più elevato;
che infatti, osserva il rimettente, nei
casi di contestazione della recidiva reiterata infraquinquennale
sono applicabili le sole pene «paradetentive» (comma 3 dell’art. 52 del d.lgs.
n. 274), ed a nulla rileverebbe, per il computo dei termini prescrizionali,
l’eventuale concorrenza della stessa recidiva con altre circostanze di segno
attenuante (terzo comma dell’art. 157 cod. pen.);
che dunque, ed in definitiva, il sistema
della prescrizione sarebbe segnato per i reati di competenza del giudice di
pace da una marcata irrazionalità, con un trattamento sensibilmente più
favorevole per i fatti più gravi, ed ingiustificatamente più severo per quelli
di gravità minore (quelli cioè che non consentono l’irrogazione di pene
coercitive della libertà);
che l’aporia andrebbe risolta, secondo il
giudice a quo, mediante un allineamento dei termini
prescrizionali verso la soglia più bassa, sia perché i reati attribuiti alla
cognizione del giudice onorario sono generalmente meno gravi degli altri, sia
perché la prescrizione più veloce troverebbe giustificazione nella durata più
breve delle indagini preliminari e nella snellezza di forme tipica del
procedimento innanzi al giudice di pace;
che l’allineamento auspicato non potrebbe
determinarsi, secondo il Tribunale, per il mezzo di una «interpretazione adeguatrice»,
fondata sull’applicazione analogica del quinto comma dell’art. 157 cod. pen. anche ai reati puniti con sanzione pecuniaria, se
attribuiti alla cognizione del giudice di pace;
che l’analogia, infatti, presuppone la
carenza di una disciplina specifica per la materia da regolare, mentre il primo
comma dell’art. 157 cod. pen. contiene una
disposizione riferibile direttamente e chiaramente ai reati in questione;
che dunque, a parere del rimettente, si
evidenzia un dubbio di legittimità costituzionale del primo comma dell’art. 157
cod. pen., per contrasto con l’art. 3 Cost., nella
parte in cui non prevede che, per i reati di competenza del giudice di pace
puniti con sanzione pecuniaria, il termine prescrizionale sia pari a tre anni
(cioè, in sostanza, sia identico a quello previsto dal quinto comma per gli
ulteriori reati di analoga competenza);
che il giudice a quo riferisce, in
punto di rilevanza, come nei casi affidati alla sua cognizione non sia ancora
scaduto il termine di sette anni e sei mesi (risultante sia dalla disciplina
antecedente alla legge n. 251 del 2005, sia dal nuovo testo degli artt. 157,
primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen.), mentre
è trascorso, anche in forma prorogata, il più breve termine di prescrizione che
sarebbe applicabile in caso di accoglimento della questione sollevata;
che il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto nei giudizi con atti depositati, rispettivamente, il 5 dicembre
2006 (r.o. n. 491 del 2006) ed il 7 dicembre 2006 (r.o. n. 492 del 2006);
che, secondo la difesa erariale, la
questione proposta sarebbe infondata (ed anche inammissibile, stando all’atto
concernente il giudizio r.o. n. 492 del 2006);
che il rimettente, infatti, avrebbe preso
le mosse da una soluzione interpretativa non ineluttabile, e cioè che i reati
di competenza del giudice di pace, quando puniti con la sola pena pecuniaria,
si prescrivono nei termini indicati al primo comma dell’art. 157 cod. pen.;
che invece dovrebbe ritenersi, anche in
chiave di «interpretazione adeguatrice», che la norma in questione non riguardi
le pene pecuniarie applicate dal giudice onorario, e che anche i reati
sanzionati con dette pene ricadano, di conseguenza, nella previsione del quinto
comma dello stesso art. 157 cod. pen.;
che in effetti il legislatore, fin
dall’approvazione della legge 24 novembre 1999, n. 468 (Modifiche alla legge 21
novembre 1991, n. 374, recante istituzione del giudice di pace. Delega al
Governo in materia di competenza penale del giudice di pace e modifica
dell'articolo 593 del codice di procedura penale), avrebbe inteso creare per la
giustizia penale di pace un «microsistema sanzionatorio», con caratteristiche
di forte peculiarità;
che tale scelta ha implicato, secondo l’Avvocatura
generale, un sostanziale superamento della distinzione tra delitti e
contravvenzioni, con la previsione di alcune pene principali (pecuniaria,
permanenza domiciliare, lavoro di pubblica utilità) segnate da un autonomo
regime di applicazione in fase cognitiva e di esecuzione;
che vi sarebbe stata quindi una novazione
delle previsioni sanzionatorie per le fattispecie incriminatrici
trasferite alla cognizione del giudice di pace, di talché le relative pene pecuniarie
non consisterebbero più di una multa o di un’ammenda, quanto piuttosto di un novum, ancora non collocato come tale in norme di
carattere generale, ma non per questo meno originale rispetto alle sanzioni
regolate dal codice penale;
che in tal senso deporrebbero dati
testuali e sistematici, visto che il secondo comma dell’art. 52 del d.lgs. n.
274 del 2000 esplicitamente si riferisce ad una «modificazione» delle pene
originarie, e che le nuove previsioni sanzionatorie restano applicabili anche
nel caso di cognizione del reato ad opera di un giudice superiore o speciale;
che l’originalità della nuova sanzione
penale pecuniaria, e la sua estraneità alla previsione «unificante» dell’art.
17 cod. pen., troverebbero conferma nel fatto che, in
caso di omissione del pagamento, non si determina una sua conversione nelle
pene della libertà controllata o del lavoro sostitutivo – secondo quanto
stabilito per la multa e per l’ammenda dal combinato disposto dell’art. 136
cod. pen. e dell’art. 102 della legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – ed opera piuttosto un autonomo
meccanismo di conversione, che concerne le sanzioni «paradetentive» applicabili
dal giudice di pace (art. 55 del d.lgs. n. 274 del 2000);
che, sempre nella prospettazione dell’Avvocatura
generale, sarebbe significativa anche la conservata competenza del giudice
professionale per il caso della ricorrenza di determinate aggravanti, che
comporta l’applicabilità delle sanzioni «ordinarie» già comminate dalla legge
(comma 3 dell’art. 4 del d.lgs. n. 274 del 2000);
che non sussisterebbe, in definitiva,
l’aporia prospettata dal rimettente, in quanto il primo comma dell’art. 157
cod. pen. farebbe «riferimento ai soli reati che sono
devoluti alla cognizione del giudice ordinario, per i quali rimane ferma la
distinzione fra delitti e contravvenzioni e fra pene detentive e pene
pecuniarie di cui al combinato disposto degli artt. 17 e 39 cod. pen.»; per converso, riferendosi a reati puniti con pene
«diverse» da quella detentiva o pecuniaria, il quinto comma del citato art. 157
comprenderebbe «tutti i reati per i quali il legislatore ha previsto un sistema
sanzionatorio del tutto autonomo rispetto a quello previsto dal codice penale,
dovendosi ritenere del tutto irrilevante il ricorso, talvolta, ad una
terminologia simile, come nel caso della pena pecuniaria»;
che il Tribunale di Perugia in
composizione monocratica, con ordinanza del 20 marzo 2006 (r.o.
n. 572 del 2006), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del
2005, nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione
previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella
pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del
giudice di pace;
che si procede, nel giudizio a quo,
per fatti di lesione personale (art. 582 cod. pen.)
ed ingiuria (art. 594 cod. pen.), commessi in epoca
antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 274 del 2000, e dunque affidati
alla cognizione del tribunale, sebbene riferibili alla competenza del giudice
di pace e sanzionabili, di conseguenza, con le pene previste dall’art. 52 del
citato decreto;
che il rimettente ulteriormente precisa
come, nel caso di specie, trovino applicazione – ai sensi dell’art. 10, comma
3, della legge n. 251 del 2005 – le nuove norme per la determinazione dei
termini prescrizionali, in quanto più favorevoli delle precedenti;
che risulta dunque applicabile, per
delitti punibili con le sanzioni della permanenza domiciliare o del lavoro di
pubblica utilità, il nuovo e ristretto termine prescrizionale previsto dal
quinto comma dell’art. 157 cod. pen., il quale
stabilisce che la prescrizione matura in tre anni «quando per il reato la legge
stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria»;
che infatti tale ultima espressione,
secondo il giudice a quo, deve essere riferita agli illeciti di
competenza del giudice di pace per i quali siano comminate le cosiddette
sanzioni «paradetentive», anche perchè, ove «diversamente intesa, la norma
risulterebbe inapplicabile, in quanto priva di qualsivoglia concreto
riferimento»;
che la possibilità dell’irrogazione di una
pena pecuniaria in alternativa alla sanzione «diversa» non escluderebbe
l’applicazione della norma censurata ai reati di competenza del giudice di
pace, poiché detta norma si riferisce, in astratto, alle previsioni
sanzionatorie edittali;
che dunque, nell’ambito degli illeciti
rimessi alla competenza del giudice onorario, il termine di prescrizione per i
reati puniti con la sanzione pecuniaria sarebbe pari a quattro o addirittura a
sei anni (a seconda che si tratti di contravvenzioni o delitti), mentre gli
illeciti più gravi, per i quali è applicabile anche (o solo) una sanzione
coercitiva della libertà personale (ancorché non detentiva), sarebbero
suscettibili di estinzione già nell’arco di un triennio;
che un tale assetto, secondo il Tribunale,
sarebbe «platealmente irragionevole», perché contrastante con l’aspettativa di
un «oblio sociale dell’illecito» più o meno tempestivo a seconda della portata
dell’offesa, e comunque con il criterio di un più marcato interesse punitivo
per i fatti di maggior gravità;
che la denunciata irrazionalità
risulterebbe particolarmente evidente considerando sequenze criminose di
progressione nell’offesa ad un medesimo bene: la prescrizione del reato di
percosse (fatto punibile, a norma dell’art. 581 cod. pen.,
con la sola pena pecuniaria) matura in sei anni, e tuttavia, quando l’agente
arriva a provocare lesioni personali lievi (punibili, a norma dell’art. 582
cod. pen., anche con la permanenza domiciliare o il
lavoro sostitutivo), il termine per l’estinzione del reato scende a tre anni;
che l’aporia dovrebbe essere eliminata,
secondo il giudice a quo, estendendo a tutti i reati di competenza del giudice di pace la
regola dettata dal quinto comma dell’art. 157 cod. pen.,
posto che la soluzione d’un allineamento del termine sui valori più lunghi
sarebbe preclusa dal divieto di manipolazione in malam
partem della disciplina, e considerata, per altro
verso, la congruenza d’una prescrizione particolarmente sollecita con quel
sistema di «diritto mite» che segnerebbe la giurisdizione penale di pace;
che il rimettente illustra la rilevanza
nel giudizio a quo della questione sollevata osservando che la
prescrizione sarebbe già maturata per il più grave tra i delitti in
contestazione (lesione personale), ed invece non potrebbe essere applicata per
il fatto meno grave, cioè quello di ingiuria, che risulterebbe a sua volta
prescritto, invece, nel caso di accoglimento delle censure prospettate;
che il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto nel giudizio con atto depositato il 4 gennaio 2007, chiedendo che
la questione sia dichiarata «inammissibile e infondata», sulla base degli
argomenti già illustrati in occasione degli atti di intervento concernenti i
giudizi r.o. numeri 491 e 492 del 2006;
che il Tribunale di Perugia, sezione
distaccata di Assisi, con ordinanza dell’11 aprile 2006 (r.o.
n. 573 del 2006), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del
2005, «in relazione» all’art. 10, comma 3, della stessa legge, nella parte in
cui dispone che i nuovi termini prescrizionali in esso previsti, sebbene più
favorevoli, non siano applicabili nei procedimenti già pervenuti alla
dichiarazione di apertura del dibattimento al momento di entrata in vigore
della citata legge n. 251 del 2005;
che lo stesso rimettente ha sollevato nel
contempo, sempre con riguardo all’art. 3 Cost., questione di legittimità
costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen.,
come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non
dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti
con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi,
inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace;
che nel giudizio a quo si procede
per i reati di ingiuria (art. 594 cod. pen.) e di
lesione personale (art. 582 cod. pen.), e il
dibattimento è stato dichiarato aperto prima dell’entrata in vigore della legge
n. 251 del 2005, con la conseguenza, secondo il rimettente, che non potrebbero
essere applicati, quand’anche più favorevoli, i nuovi termini prescrizionali
fissati all’art. 157 cod. pen.;
che, con riferimento all’effetto preclusivo
del terzo comma dell’art. 10 della legge n. 251 del 2005, il Tribunale
definisce «irragionevole» l’individuazione delle formalità di apertura del
dibattimento quale «disposizione spartiacque» per l’efficacia retroattiva della
nuova e più favorevole disciplina;
che il rimettente prospetta, riguardo al
quinto comma dell’art. 157 cod. pen., una «seconda
eccezione», sul presupposto che la norma darebbe luogo ad una prescrizione in
termini particolarmente brevi per i più gravi tra i reati rimessi alla competenza
del giudice di pace, a fronte della previsione di termini più elevati, nel
primo comma dello stesso art. 157 cod. pen., per i
reati puniti con la sola pena pecuniaria;
che il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto nel giudizio con atto depositato il 9 gennaio 2007, chiedendo che
la questione proposta sia dichiarata «inammissibile e infondata»;
che infatti tale questione – individuata
nella sola censura concernente la durata diversificata del termine
prescrizionale per i reati di competenza del giudice di pace – sarebbe
irrilevante nel caso di specie, «posto che il giudizio potrebbe sfociare in una
decisione di merito favorevole agli imputati»;
che, in ogni caso, si tratterebbe di
questione infondata, per le ragioni già illustrate dalla stessa Avvocatura
dello Stato mediante gli atti di intervento prodotti nei giudizi fin qui
richiamati;
che il Tribunale di Cremona in
composizione monocratica, con ordinanza del 7 novembre 2006 (r.o. n. 281 del 2007), ha sollevato – in riferimento
all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157,
quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6
della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale
di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella
detentiva e da quella pecuniaria;
che il rimettente procede in ordine a
fatti di minaccia (art. 612 cod. pen.) e di ingiuria
(art. 594 cod. pen.), per i quali, trattandosi di
reati puniti con sanzione «paradetentiva», dovrebbe applicarsi il termine
triennale di prescrizione fissato al quinto comma dell’art. 157 cod. pen., nella specie già scaduto;
che secondo il Tribunale tale effetto
estintivo, tipico dei più gravi tra i reati attribuiti alla competenza del
giudice di pace, sarebbe frutto di una grave incongruenza del sistema, posto
che per i reati meno gravi, puniti con la sola pena pecuniaria, sarebbe
applicabile il più lungo termine prescrizionale indicato al primo comma dell’art.
157 cod. pen.;
che, dunque, la disciplina censurata
contrasterebbe con l’art. 3 Cost., come già ritenuto dalla Corte di cassazione
con l’ordinanza 31 agosto 2006, n. 29786;
che il rimettente osserva, in punto di rilevanza,
che i delitti per i quali procede sarebbero estinti ove fosse applicata la
disciplina vigente, e che tale evento non avrebbe luogo se, invece, trovassero
applicazione i termini previsti per i reati sanzionati con pena pecuniaria e
pure rimessi alla cognizione del giudice di pace;
che il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto nel giudizio con atto depositato il 15 maggio
2007, chiedendo che la questione proposta sia dichiarata «inammissibile e
infondata», per le ragioni già illustrate mediante gli atti di intervento
prodotti nei giudizi fin qui richiamati;
che il Tribunale di Treviso, sezione
distaccata di Montebelluna, con ordinanza del 5 giugno 2006 (r.o. n. 359 del 2007), ha sollevato – in riferimento
all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157,
quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6
della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non dispone che il termine
triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da
quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli
ulteriori reati di competenza del giudice di pace;
che si procede, nel giudizio a quo,
per fatti di minaccia (art. 612 cod. pen.), invasione
di terreni o edifici (art. 633 cod. pen.), lesione
personale (art. 582 cod. pen.) e ingiuria (art. 594
cod. pen.), attribuiti alla competenza del giudice di
pace e sanzionabili, di conseguenza, con le pene previste dall’art. 52 del
d.lgs. n. 274 del 2000;
che il rimettente osserva come, per i
delitti punibili con le sanzioni della permanenza domiciliare o del lavoro di
pubblica utilità, debba applicarsi il nuovo e ristretto termine prescrizionale
previsto dal quinto comma dell’art. 157 cod. pen., il
quale stabilisce che la prescrizione matura in tre anni «quando per il reato la
legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria»;
che infatti, se tale espressione non fosse
riferita alle sanzioni «paradetentive» irrogabili dal giudice di pace, la norma
che la contiene «risulterebbe inapplicabile, in quanto priva di qualsivoglia
concreto riferimento»;
che l’applicabilità della disciplina in
questione non sarebbe esclusa dalla possibilità che, nel caso concreto, venga
irrogata una pena pecuniaria in alternativa alla sanzione «diversa», poiché
tale ultima sanzione è comunque compresa nella previsione edittale, ed a questa
si riferisce la norma censurata;
che, secondo il Tribunale, la disciplina
della prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace sarebbe
«platealmente irragionevole»;
che infatti, per i reati puniti unicamente
con la sanzione pecuniaria, il termine è pari a quattro anni o addirittura a
sei (a seconda che si tratti di contravvenzioni o delitti), mentre gli illeciti
più gravi, per i quali è applicabile anche (o solo) una sanzione coercitiva
della libertà personale (ancorché non detentiva), sono suscettibili di
estinzione nell’arco di un triennio;
che un tale assetto contrasterebbe con
l’aspettativa di un «oblio sociale dell’illecito» più o meno tempestivo a
seconda della portata dell’offesa, e comunque con il criterio di un più marcato
interesse punitivo per i fatti di maggior gravità;
che la denunciata irrazionalità
risulterebbe particolarmente evidente considerando sequenze criminose di
progressione nell’offesa ad un medesimo bene: la prescrizione dei reati di
minaccia o di percosse (fatti punibili, a norma degli artt. 612 e 581 cod. pen., con la sola pena pecuniaria) matura in sei anni, e
tuttavia, se l’azione si sviluppa fino a provocare lesioni personali lievi
(punibili, a norma dell’art. 582 cod. pen., anche con
la permanenza domiciliare o il lavoro sostitutivo), il termine per l’estinzione
del reato scende a tre anni:
che l’aporia dovrebbe essere eliminata,
secondo il giudice a quo, estendendo a tutti i reati di competenza del giudice di pace la
regola dettata dal quinto comma dell’art. 157 cod. pen.,
posto che la soluzione d’un allineamento del termine sui valori più lunghi
sarebbe preclusa dal divieto di manipolazione in malam
partem della disciplina, e considerata, per altro
verso, la congruenza d’una prescrizione particolarmente sollecita con quel
sistema di «diritto mite» che segnerebbe la giurisdizione penale di pace;
che il rimettente, illustrando la rilevanza
nel giudizio a quo della questione sollevata, assume che la prescrizione
sarebbe già maturata per tutti i reati contestati tranne quello meno grave
(minaccia), il quale per altro risulterebbe prescritto, a sua volta, nel caso
di accoglimento delle censure prospettate;
che il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto nel giudizio con atto depositato il 12 giugno 2007, chiedendo che
la questione sia dichiarata infondata per le ragioni già illustrate mediante
gli atti di intervento prodotti nei giudizi fin qui richiamati;
che il Tribunale di Perugia, sezione
distaccata di Gubbio, con ordinanza del 22 novembre 2006 (r.o.
n. 409 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del
2005, nella parte in cui prevede un termine di prescrizione, per i reati puniti
con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria, più breve di
quello applicabile per reati di minor gravità, punibili con la sola pena
pecuniaria;
che nel giudizio a quo si procede
per i reati di lesioni personali colpose (art. 590, primo comma, cod. pen.) e di omessa assistenza (art. 180, comma 7, del
decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante «Nuovo codice della
strada»);
che il rimettente, prendendo in
considerazione la richiesta difensiva d’una declaratoria di prescrizione con
riguardo al reato di lesioni personali, rileva che per detto reato dovrebbe
applicarsi il termine prescrizionale previsto dal primo comma dell’art. 157
cod. pen., e dunque un termine più lungo di quello
fissato nel successivo quinto comma;
che lo stesso rimettente, posta tale
premessa, e rilevato come il quinto comma dell’art. 157 cod. pen. comporti una prescrizione più rapida per il reato di
lesioni personali colpose quando ricorra un’aggravante, ravvisa l’esistenza di
«profili di legittimità costituzionale con palese violazione dei principi
costituzionali, in particolare dell’art. 3 Costituzione»;
che il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto nel giudizio con atto depositato il 26 giugno 2007, chiedendo che
la questione sia dichiarata infondata per le ragioni già illustrate mediante
gli atti di intervento prodotti nei giudizi finora indicati;
che il Tribunale di Grosseto, sezione
distaccata di Orbetello, con due ordinanze di analogo tenore, deliberate
rispettivamente il 18 gennaio 2007 (r.o. n. 419 del
2007) e l’8 marzo 2007 (r.o. n. 643 del 2007), ha
sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 157, primo comma, cod. pen.,
come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui
assoggetta ai più lunghi termini di prescrizione in esso previsti, anziché ad
un termine triennale, i reati di competenza del giudice di pace puniti con la
sola pena pecuniaria;
che si procede, nel primo dei giudizi a
quibus, per fatti di minaccia (art. 612 cod. pen.)
e danneggiamento (art. 635, comma primo, cod. pen.),
e nel secondo per il reato di ingiuria (art. 594 cod. pen.),
fatti tutti commessi in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n.
274 del 2000, e dunque affidati alla cognizione del tribunale, sebbene
riferibili alla competenza del giudice di pace e sanzionabili, di conseguenza,
con le pene previste dall’art. 52 del citato decreto;
che le ordinanze di rimessione ricalcano,
per quanto concerne la non manifesta infondatezza della questione sollevata, la
motivazione dei provvedimenti recanti i numeri r.o.
491 e 492 del 2006, sottoscritti dal medesimo giudice e già sopra considerati;
che il rimettente comunque ribadisce, in
relazione ad orientamenti sopravvenuti di segno contrario, che l’aporia del
sistema non potrebbe essere superata mediante l’eliminazione della norma che
prevede un termine minore per i reati puniti con pene diverse da quelle
detentive o pecuniarie (quinto comma dell’art. 157 cod. pen.),
anzitutto perché si tratterebbe di una manipolazione con effetti peggiorativi,
come tale preclusa dalla riserva di legge in materia penale, ed in secondo
luogo perché una prescrizione di durata specialmente breve per i reati di
competenza del giudice di pace troverebbe corrispondenza nella ridotta gravità
dei reati medesimi, e nella speciale brevità e snellezza di forme del relativo
procedimento;
che il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto in entrambi i giudizi indicati, con atti depositati rispettivamente
il 27 giugno 2007 ed il 9 ottobre 2007, chiedendo che le questioni siano
dichiarate infondate per le ragioni già illustrate in occasione dell’intervento
negli ulteriori giudizi fin qui richiamati;
che il Tribunale di Bergamo, sezione
distaccata di Treviglio, con due ordinanze di tenore analogo, deliberate
rispettivamente il 31 gennaio 2007 (r.o. n. 421 del
2007) ed il 4 maggio 2007 (r.o. n. 746 del 2007), ha
sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen.,
come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non
dispone che il termine triennale di prescrizione si applichi a tutti i reati di
competenza del giudice di pace, e non soltanto a quelli puniti con pena diversa
da quella detentiva e da quella pecuniaria;
che il rimettente procede, in ciascuno dei
giudizi a quibus, con riguardo ai reati di minaccia (art. 612
cod. pen.) e di ingiuria (art. 594 cod. pen.), per i quali ritiene applicabile il termine di
prescrizione indicato nel primo comma dell’art. 157 cod. pen.,
non ancora scaduto;
che tuttavia il quinto comma del citato
art. 157 prevede, per reati più gravi (in quanto puniti con la permanenza
domiciliare od il lavoro di pubblica utilità), un termine prescrizionale di
soli tre anni (già maturato in entrambi i giudizi a quibus), dando
luogo, a parere del Tribunale, ad un regime «del tutto irrazionale e quindi
generatore di un’ingiustificata disparità di trattamento»;
che il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto in entrambi i giudizi indicati, con atti depositati rispettivamente
il 27 giugno ed il 4 dicembre 2007, chiedendo che le questioni siano dichiarate
infondate per le ragioni già illustrate negli ulteriori atti di intervento dei
quali fin qui si è detto;
che il Tribunale di Napoli in composizione
monocratica, con ordinanza del 31 gennaio 2007 (r.o.
n. 451 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del
2005, nella parte in cui prevede termini di prescrizione diversi «a seconda che
per il reato siano o meno irrogabili, in alternativa alla pena pecuniaria, la
permanenza domiciliare o il lavoro sostitutivo»;
che il rimettente procede per i reati di
lesione personale (art. 582 cod. pen.), di ingiuria
(art. 594 cod. pen.) e di danneggiamento (art. 635
cod. pen.), tutti riferibili alla competenza penale
del giudice di pace, e tutti sanzionabili secondo il disposto dell’art. 52 del
d.lgs. n. 274 del 2000;
che lo stesso rimettente, alla luce della
disciplina posta dal primo e dal quinto comma dell’art. 157 cod. pen., rileva che il sistema dei termini prescrizionali per
i reati di competenza del giudice di pace sarebbe irrazionale, perché
incentrato su tempi più lunghi per i meno gravi tra i reati in questione;
che il giudice a quo, in punto di
rilevanza, osserva come, nella specie, il reato di lesione personale debba
considerarsi già prescritto alla luce del termine triennale fissato dalla
disciplina vigente, e come i reati ulteriori, «per i quali è teoricamente
applicabile il termine di prescrizione ordinaria di sei anni», potrebbero
«parimenti considerarsi prescritti in caso di ritenuta fondatezza della
questione di legittimità costituzionale»;
che il Giudice di pace di Bergamo – con
cinque ordinanze di tenore analogo, deliberate rispettivamente il 22 febbraio
2007 (r.o. n. 530 del 2007), il 3 maggio 2007 (r.o. n. 741 del 2007), il 7 giugno 2007 (r.o. n. 769 del 2007), il 15 giugno 2007 (r.o. n. 770 del 2007) ed il 6 luglio 2007 (r.o. n. 771 del 2007 – ha sollevato, in riferimento
all’art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto
comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della
legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di
tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella
detentiva e da quella pecuniaria;
che il rimettente procede, nei cinque
giudizi a quibus, per i delitti di lesioni personali colpose (art. 590
cod. pen.: r.o. numeri 530
e 771 del 2007), di lesione personale (art. 582 cod. pen.:
r.o. numeri 741 e 769 del 2007), e di minaccia (art.
612 cod. pen.: r.o. n. 770
del 2007);
che in tutte le ordinanze di rimessione,
riproducendo in parte la motivazione di un provvedimento deliberato nello
stesso senso dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 29786 del 2006), il
giudice a quo censura la disciplina della prescrizione risultante dal
primo e dal quinto comma dell’art. 157 cod. pen.;
che tale disciplina infatti, attribuendo
un termine prescrizionale più breve ai reati puniti con «pene diverse» da
quella detentiva e da quella pecuniaria, e quindi ai più gravi tra i reati
attribuiti alla competenza del giudice di pace, sarebbe priva di razionalità
intrinseca e tale da vulnerare, nel contempo, il principio di ragionevolezza ed
il canone della uguaglianza, presidiati dall’art. 3 Cost.;
che la denunciata aporia, secondo il
rimettente, dovrebbe essere eliminata attraverso l’ablazione della norma
contenuta nel quinto comma dell’art. 157 cod. pen.,
con la conseguente applicazione dei più lunghi termini indicati nel precedente
primo comma a tutti i reati di competenza del giudice di pace;
che il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto in ciascuno dei cinque giudizi indicati, con atti depositati l’11
settembre 2007 (r.o. n. 530 del 2007), il 4 dicembre
2007 (r.o. n. 741 del 2007) ed il 17 dicembre 2007 (r.o. numeri 769, 770 e 771 del 2007);
che, secondo la difesa erariale, le
questioni proposte sono infondate, per le stesse ragioni indicate negli atti di
intervento prodotti nei giudizi fin qui richiamati;
che il Giudice di pace di Casalmaggiore,
con ordinanza del 18 dicembre 2006 (r.o. n. 541 del
2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e quinto comma, cod. pen., come sostituiti dall’art. 6 della legge n. 251 del
2005, nella parte in cui prevedono «che la prescrizione estingue il reato
decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla
legge e, comunque, un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e
di quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola
pena pecuniaria, mentre, qualora per il reato stabilisca pene diverse da quella
detentiva e pecuniaria, dispone il termine prescrizionale di tre anni»;
che, secondo quanto riferito dal
rimettente, nel giudizio a quo si procede per un reato (non indicato)
punibile con la sola pena pecuniaria, e per tale ragione assoggettato ad un
termine prescrizionale (sei anni, per il disposto del primo comma della norma
censurata) più lungo di quello che la legge stabilisce per i più gravi tra i
reati di competenza del giudice di pace (tre anni, a norma del quinto comma del
citato art. 157 cod. pen.);
che tale disciplina, a parere del giudice a
quo, comporterebbe una violazione dei principi di ragionevolezza e
uguaglianza, come sanciti dall’art. 3 Cost.;
che il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto nel giudizio con atto depositato l’11 settembre 2007, chiedendo che
la questione sia dichiarata infondata per le ragioni già illustrate negli atti
di intervento prodotti nei giudizi finora indicati;
Considerato che, mediante le ordinanze di
rimessione indicate in epigrafe, sono state sollevate varie questioni
concernenti la disciplina della prescrizione per i reati attributi alla
competenza del giudice di pace;
che uno dei giudici a quibus censura in particolare – con riferimento all’art. 3 della
Costituzione – il primo comma
dell’art. 157 del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge
5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio
1975, n.
che altri rimettenti censurano, sempre in
riferimento all’art. 3 Cost., il quinto comma dell’art. 157 cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del
2005, nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione
previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella
pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice
di pace (r.o. numeri 572 e 573 del 2006, numeri 359,
421, 451 e 746 del 2007);
che in un caso ulteriore l’art. 157,
quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6
della legge n. 251 del 2005, è genericamente censurato per il ritenuto contrasto
con l’art. 3 Cost. (r.o. n. 409 del 2007);
che viene sollevata inoltre, sempre con
riguardo all’art. 3 Cost., una questione di legittimità riferita tanto al primo
che al quinto comma dell’art. 157 cod. pen, come
sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, denunciando
l’irragionevolezza della previsione di termini prescrizionali di durata
inversamente proporzionale alla gravità dei reati attribuiti alla competenza
del giudice di pace (r.o. n. 541 del 2007);
che una parte ulteriore delle ordinanze di
rimessione – sul contrario assunto che l’allineamento dei tempi di prescrizione
(asseritamente necessario alla luce dell’art. 3
Cost.) dovrebbe realizzarsi mediante l’applicazione generalizzata dei termini
più lunghi – prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 157, quinto
comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della
legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di
tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella
detentiva e da quella pecuniaria (r.o. numeri 281,
530, 741, 769, 770 e 771 del 2007);
che infine il Tribunale di
Perugia, sezione distaccata di Assisi, solleva anche una questione concernente
la disciplina transitoria della legge di riforma della prescrizione, censurando
il «nuovo» quinto comma dell’art. 157 cod. pen., «in
relazione» al terzo comma dell’art. 10 della legge n. 251 del
che tutte le questioni sollevate
riguardano l’attuale disciplina della prescrizione per i reati di competenza
del giudice di pace, cosicché appare opportuna la riunione dei relativi
giudizi;
che la questione sollevata dal
Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Assisi (r.o.
n. 573 del 2006), relativamente al novellato quinto comma dell’art. 156 cod. pen., è manifestamente inammissibile;
che infatti l’ordinanza di
rimessione, anche per l’effetto di un probabile errore materiale, risulta priva
di un’adeguata descrizione della fattispecie concreta, così da precludere a
questa Corte il controllo sulla rilevanza (tanto più necessario considerando
che le imputazioni sembrerebbero riguardare reati sanzionabili con pena
«paradetentiva», e dunque già suscettibili di prescrizione nel nuovo e più
favorevole termine di tre anni);
che il giudice a quo, in ogni caso, non espone le ragioni del ritenuto contrasto tra la
norma censurata e l’art. 3 Cost. (ex multis, ordinanze
numeri 426 e
114 del 2007);
che anche l’ulteriore questione
sollevata dal medesimo rimettente, relativamente alle condizioni per
l’applicazione retroattiva delle nuove disposizioni in materia di prescrizione,
deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, alla luce di carenze
motivazionali che investono, tra l’altro, le ragioni della censura concernente
il quinto comma dell’art. 157 cod. pen. (norma che regola la disciplina a regime dei termini
prescrizionali) ed i motivi per i quali sarebbe stato irragionevole,
nell’ulteriore norma censurata, il riferimento in senso preclusivo alla
dichiarazione di apertura del dibattimento (riferimento venuto comunque meno,
dopo l’ordinanza di rimessione, per effetto della dichiarazione di parziale
illegittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 10 della legge n. 251 del
2005, pronunciata da questa Corte con la sentenza n. 393 del
2006);
che la questione sollevata dal Tribunale
di Perugia, sezione distaccata di Gubbio (r.o. n. 409
del 2007), è manifestamente inammissibile, poiché la relativa ordinanza difetta
d’una adeguata descrizione della fattispecie sottoposta al giudizio e si
limita, per altro verso, a denunciare una «palese violazione» dell’art. 3
Cost., senza alcuna specificazione dell’intervento richiesto sul quinto comma
dell’art. 157 cod. pen. (norma la cui ablazione
implicherebbe, comunque, conseguenze opposte a quelle plausibilmente auspicate
dal rimettente);
che risulta manifestamente
inammissibile anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dal
Tribunale di Napoli (r.o. n. 451 del 2007), posto che
la relativa ordinanza, ove pure l’obiettivo del rimettente è identificabile
nella «estensione» del termine triennale a tutti i reati di competenza del
giudice di pace, esprime unicamente una censura, generica e contraddittoria,
riguardo al quinto comma dell’art. 157 cod. pen. (la
cui caducazione, come già si è notato, provocherebbe
semmai l’applicazione generalizzata dei termini previsti nel primo comma dello
stesso art. 157);
che va dichiarata la manifesta
inammissibilità delle questioni sollevate dal Giudice di pace di Bergamo con le
cinque diverse ordinanze meglio indicate in epigrafe (r.o.
numeri 530, 741, 769, 770 e 771 del 2007), posto che i relativi provvedimenti,
di tenore praticamente identico, difettano d’una qualunque descrizione delle
fattispecie concrete (a partire dalla data di commissione dei fatti di volta in
volta perseguiti), così da restare precluso il necessario controllo di questa
Corte sulla rilevanza delle questioni medesime;
che risulta manifestamente
inammissibile, allo stesso modo, la questione sollevata dal Giudice di pace di
Casalmaggiore (r.o. n. 541 del 2007), la cui ordinanza
di rimessione non indica neppure la qualificazione giuridica del fatto
contestato e, comunque, non esprime un petitum riconoscibile, posto che il
dispositivo si sostanzia nella mera descrizione del regime prescrizionale, asseritamente irragionevole, che il legislatore avrebbe
introdotto novellando il primo ed il quinto comma dell’art. 157 cod. pen.;
che le ulteriori questioni di
legittimità costituzionale cui si riferisce il presente giudizio – sollevate
dal Tribunale di Grosseto (r.o. numeri 491 e 492 del
2006, 419 e 643 del 2007), dal Tribunale di Perugia (r.o.
n. 572 del 2006), dal Tribunale di Cremona (r.o. n.
281 del 2007), dal Tribunale di Treviso (r.o. n. 359
del 2007) e dal Tribunale di Bergamo (r.o. numeri 421
e 746 del 2007) – sono manifestamente infondate, in quanto prospettate in base
ad un erroneo presupposto interpretativo;
che infatti – come questa Corte ha
rilevato dichiarando non fondate «nei sensi di cui in motivazione» questioni
analoghe a quelle odierne, poste sia con riguardo al primo che con riferimento
al quinto comma dell’art. 157 cod. pen. (sent.
n. 2 del 2008) – deve essere esclusa l’attuale
vigenza di un termine triennale di prescrizione per i reati di competenza del
giudice di pace punibili mediante le cosiddette sanzioni «paradetentive»;
che nell’occasione è stata
esclusa, in particolare, la riferibilità della norma contenuta nel quinto comma
dell’art. 157 cod. pen. a fattispecie incriminatrici che non prevedano in via diretta ed
esclusiva pene diverse da quelle pecuniarie o detentive, ed è stata rilevata,
per altro verso, la perdurante equiparazione, «per ogni effetto giuridico», tra
le pene dell’obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile,
irrogabili dal giudice di pace in alternativa alle pene pecuniarie, e le
sanzioni detentive originariamente previste per i reati che le contemplano
(art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000);
che non si rinvengono, nella
motivazione dei provvedimenti dai quali origina il presente giudizio, argomenti
che inducano a modificare la valutazione appena richiamata;
che la ritenuta applicabilità
delle disposizioni previste nel primo comma dell’art. 157 cod. pen. a tutti i reati di competenza del giudice di pace
esclude l’incongrua diversità di trattamento denunciata da ciascuno dei
rimettenti.
Visti
gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2,
delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo comma, del codice
penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.
dichiara la manifesta infondatezza delle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del
2005, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale di Perugia (r.o. n. 572 del 2006), dal Tribunale di Cremona (r.o. n. 281 del 2007), dal Tribunale di Treviso (r.o. n. 350 del 2007) e dal Tribunale di Bergamo (r.o. numeri 421 e 746 del 2007), con le ordinanze indicate
in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale dell’art.
157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge
n. 251 del 2005, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale di Perugia
(r.o. numeri 573 del 2006 e 409 del 2007), dal
Tribunale di Napoli (r.o. n. 451 del 2007) e dal
Giudice di pace di Bergamo (r.o. numeri 530, 741,
769, 770 e 771 del 2007), con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del
2005, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Giudice di pace di
Casalmaggiore (r.o. n. 541 del 2007), con l’ordinanza
indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
l'11 giugno 2008.
F.to:
Depositata
in