ORDINANZA N. 417
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), e dell’art. 14, comma 5-ter, dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 13, comma 1, della legge n. 189 del 2002 e poi sostituito dall’art. 1, comma 5-bis, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271, promossi dal Tribunale di Bari con ordinanza dell’8 febbraio 2006 e dal Tribunale di Castrovillari con ordinanze dell’11 aprile e del 6 ottobre 2006, rispettivamente iscritte al n. 412 del registro ordinanze 2006 ed ai nn. 251 e 256 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2006 e nella edizione straordinaria del 26 aprile 2007.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 19 novembre 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Tribunale di Bari, in composizione monocratica, con ordinanza dell’8 febbraio 2006, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nella parte in cui non consente al giudice della convalida dell’arresto di negare il rilascio del nulla osta all’espulsione del cittadino straniero sottoposto a procedimento penale «per esigenze difensive»;
che, con la medesima ordinanza, il Tribunale di Bari ha sollevato inoltre – in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 13, comma 1, della legge n. 189 del 2002 e poi sostituito dall’art. 1, comma 5-bis, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui punisce lo straniero che «senza giustificato motivo» si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanamento impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis del medesimo articolo;
che il rimettente riferisce di aver convalidato, in data 8 marzo 2003, l’arresto di una straniera imputata del reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, contestualmente disponendone la liberazione, e di aver sollevato, senza provvedere sulla richiesta di rilascio del nulla osta all’espulsione, una questione di legittimità costituzionale – identica a quella oggi riproposta – riguardo all’art. 13, commi 3 e 3-bis, dello stesso testo unico in materia di immigrazione;
che detta questione è stata definita con pronuncia di restituzione degli atti (ordinanza n. 371 del 2005), in ragione dei sopravvenuti mutamenti del quadro normativo prodotti dalla sentenza n. 223 del 2004 della Corte costituzionale e dal successivo decreto-legge n. 241 del 2004;
che il rimettente, dopo aver posto a raffronto la disciplina previgente e quella risultante a seguito delle indicate modifiche, ritiene che queste ultime non abbiano incidenza sulla rilevanza della questione;
che, in particolare, il Tribunale evidenzia come la descrizione della condotta incriminata, contenuta nel censurato art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, non risulti modificata, essendo rimasta indeterminata nella parte in cui non specifica i «giustificati motivi» che rendono legittimo il trattenimento dello straniero colpito da ordine di allontanamento del questore;
che inoltre, avuto riguardo alle modifiche intervenute sulle disposizioni di carattere processuale, immediatamente applicabili nel giudizio a quo, sarebbe rimasto inalterato l’automatismo che impone il rilascio del nulla osta all’esito del giudizio di convalida dell’arresto, nei casi di liberazione dell’arrestato, quando non ricorrano le inderogabili esigenze processuali indicate dal medesimo art. 13, comma 3-bis, tra le quali non figurano le esigenze di difesa dell’imputato;
che, pertanto, a parere del rimettente, anche la questione sollevata con riferimento all’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, sarebbe tuttora rilevante, «non essendosi provveduto al rilascio del nulla osta dopo la liberazione dell’arrestata in presenza della sollevata eccezione»;
che il giudice a quo richiama le ragioni del già prospettato contrasto tra le norme sottoposte a scrutinio e i parametri evocati, a partire dalla carenza di effettività del diritto di difesa, che conseguirebbe al rilascio «obbligato» del nulla osta, giacchè − una volta eseguita l’espulsione dello straniero − lo scambio di informazioni tra imputato e difensore sarebbe ostacolato, quando non annullato, «dalle difficoltà di comunicazione a distanza e dalle reciproche difficoltà di comprensione della lingua»;
che, in particolare, non varrebbe quale garanzia effettiva del diritto di difesa, secondo il rimettente, la previsione contenuta nell’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998, che consente all’imputato di rientrare in Italia per prendere parte al procedimento che lo riguarda, e ciò in quanto il rientro è subordinato ad autorizzazioni amministrative «non coordinabili con le scadenze processuali e che comunque comportano oneri economici spesso non sostenibili dall’imputato»;
che, inoltre, il Tribunale osserva come, a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 271 del 2004, alla previsione incriminatrice contenuta nell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, trasformata da contravvenzione in delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni, con conseguente applicabilità della custodia cautelare in carcere all’autore del fatto, la lesione del diritto di difesa si realizzerebbe «nei casi di minore gravità – peraltro statisticamente più diffusi – [quando] alla convalida dell’arresto seguirà la liberazione dello straniero e il rilascio necessitato del nulla osta all’espulsione»;
che, ancora, la previsione del rilascio sostanzialmente obbligato del nulla osta all’espulsione risulterebbe in contrasto con il principio di uguaglianza, per l’ingiustificato differente trattamento riservato al cittadino straniero rispetto al cittadino italiano, al quale è sempre garantita la partecipazione al processo (a tale proposito il rimettente richiama la recente modifica dell’art. 175 del codice di procedura penale);
che, secondo il rimettente, un’ulteriore disparità di trattamento si sarebbe venuta a creare tra gli stessi cittadini stranieri, con riferimento alla nuova fattispecie incriminatrice di cui all’art. 14, comma 5-ter, posto che la partecipazione al processo e quindi l’effettività del diritto di difesa sarebbero garantiti soltanto ai soggetti sottoposti a misura cautelare;
che, infine, secondo il giudice a quo, la previsione censurata risulterebbe irragionevole anche avuto riguardo alla ratio della nuova normativa, come evidenziata dalla Corte costituzionale nell’ordinanza di restituzione degli atti (n. 371 del 2005), e ciò in quanto «l’urgente allontanamento dal territorio dello Stato finisce per riguardare soggetti la cui pericolosità sociale è inesistente, tanto da non essere stata loro applicata una misura cautelare a tutela della collettività»;
che, con riferimento alla fattispecie incriminatrice di cui al citato art. 14, comma 5-ter, il Tribunale evidenzia come la mancata specificazione dei giustificati motivi che rendono legittimo il trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, a fronte di un ordine di allontanamento del questore, impedirebbe «alla pubblica accusa di formulare una chiara contestazione del fatto ascritto ed allo straniero di individuare preventivamente e con certezza i comportamenti penalmente repressi, nonché di svolgere una adeguata attività difensiva in caso di contestazione dell’illecito», con conseguente violazione dei principi sanciti dagli artt. 24 e 25 Cost.;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio con atto depositato il 7 novembre 2007, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile, con riserva di illustrarne le ragioni;
che in data 6 novembre 2008 la difesa erariale ha depositato memoria illustrativa nella quale evidenzia, con riferimento alla questione riguardante le norme processuali, la mancanza di motivazione in ordine alla rilevanza;
che, in particolare, il rimettente non avrebbe precisato se l’imputata abbia proposto istanza per impedire il rilascio del nulla osta all’espulsione, «non potendosi a ciò sostituire quello che parrebbe una mera presunzione del giudice di un interesse della stessa a restare sul territorio nazionale»;
che, quanto alla questione avente ad oggetto la norma sostanziale, la difesa dello Stato richiama l’evoluzione della disciplina del reato di ingiustificato trattenimento, osservando come le valutazioni compiute dal legislatore del 2004 «sotto il profilo della dosimetria della pena debbano ritenersi pienamente rispettose del limite della ragionevolezza»;
che, inoltre, non sarebbero condivisibili le argomentazioni svolte dal rimettente a proposito della inesigibilità del comportamento prescritto allo straniero raggiunto da ordine di allontanamento dal territorio dello Stato;
che, infine, dopo aver escluso la sussistenza di qualsiasi violazione del diritto di difesa, l’Avvocatura generale conclude nel senso della manifesta inammissibilità ed infondatezza della questione;
che il Tribunale di Castrovillari in composizione monocratica – con ordinanze di analogo tenore deliberate in due distinti giudizi, rispettivamente l’11 aprile 2006 (r.o. n. 251 del 2007) e il 6 ottobre 2006 (r.o. n. 256 del 2007) – ha sollevato, con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera b), della legge n. 189 del 2002;
che avanti al rimettente, in entrambi i procedimenti a quibus, sono stati presentati cittadini stranieri imputati del reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, a fini di convalida dell’arresto e di celebrazione del giudizio direttissimo, e nel corso delle relative udienze il pubblico ministero ha sollecitato la convalida dei provvedimenti restrittivi ed il rilascio del nulla osta all’espulsione amministrativa;
che il Tribunale osserva che, per effetto del combinato disposto delle disposizioni in materia, «il nulla osta all’espulsione è provvedimento pressoché automatico nel caso di giudizio instaurato per effetto di arresto per i reati di cui all’art. 14» del d.lgs. n. 286 del 1998;
che l’immediata esecuzione dell’ordine di espulsione, conseguente al rilascio del nulla osta, implicherebbe una lesione dei diritti difensivi dell’interessato quando questi, come necessariamente avviene per i reati in oggetto, debba essere processato con rito direttissimo, posto che tale forma di giudizio non consentirebbe di conseguire in tempo utile la speciale autorizzazione al rientro, prevista dall’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in entrambi i giudizi con atti depositati il 16 maggio 2007, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o, comunque, infondata;
che nei due atti citati, di identico tenore, la difesa erariale sostiene in particolare che il rimettente non avrebbe in alcun modo illustrato le ragioni della rilevanza nei giudizi a quibus della questione sollevata, la quale sarebbe perciò inammissibile;
che, nel merito, quanto alle modalità di esercizio del diritto di difesa dello straniero, come disciplinate dal testo unico in materia di immigrazione, l’Avvocatura richiama la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, ribadita anche nell’ordinanza n. 358 del 2001, per la quale «il legislatore può regolare i diversi procedimenti secondo scelte discrezionali e modulare sulle caratteristiche del tipo di procedimento prescelto l’esercizio del diritto di difesa, purché non ne venga intaccato il nucleo irriducibile»;
che, in attuazione del principio costituzionale, il citato testo unico garantirebbe il diritto di difesa al cittadino straniero, in particolare assicurandogli l’assistenza tecnica, anche mediante il patrocinio a spese dello Stato, il rientro nel territorio nazionale per assistere al giudizio, la possibilità di ricorrere personalmente contro il provvedimento espulsivo, in modo da ottenere in tempi rapidi un controllo sulla legalità della sua espulsione;
che, in definitiva, sarebbe possibile fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione oggetto di censura, anche sulla base della giurisprudenza costituzionale, «che presuppone ineludibile il compito dello Stato di presidiare le proprie frontiere», e «dunque non sarebbero censurabili le previsioni che si caratterizzano in un “automatismo espulsivo” e che, nel rispetto del principio di legalità, assicurano il controllo dei flussi migratori» (è richiamata la sentenza n. 353 del 1997 della Corte costituzionale).
Considerato che il Tribunale di Bari ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, e 111 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nella parte in cui non consente al giudice della convalida dell’arresto di negare il rilascio del nulla osta all’espulsione del cittadino straniero sottoposto a procedimento penale «per esigenze difensive»;
che, con la medesima ordinanza, il Tribunale di Bari ha sollevato inoltre – in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 13, comma 1, della legge n. 189 del 2002 e poi sostituito dall’art. 1, comma 5-bis, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte, tutt’ora vigente, in cui punisce lo straniero che «senza giustificato motivo» si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanamento impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis del medesimo articolo;
che il Tribunale di Castrovillari, con due distinte ordinanze del medesimo tenore, ha sollevato – in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera b), della legge n. 189 del 2002;
che le questioni sollevate riguardano, in parte, la stessa norma, prospettando censure analoghe con riferimento ai medesimi parametri costituzionali, cosicché può procedersi alla trattazione congiunta dei relativi giudizi;
che la questione riproposta dal Tribunale di Bari, avente ad oggetto il rilascio del nulla osta all’espulsione all’esito del giudizio di convalida dell’arresto, è manifestamente inammissibile in ragione delle gravi carenze che segnano la descrizione della fattispecie sottoposta a giudizio;
che il rimettente, il quale aveva già sollevato la questione, nel medesimo processo, all’udienza dell’8 marzo 2003, dopo aver disposto la convalida dell’arresto e la liberazione della straniera inottemperante all’ordine di allontanamento, ripropone il dubbio di costituzionalità, ma non spiega per quali ragioni la disciplina censurata inciderebbe sulla concreta possibilità di celebrare il giudizio nel rispetto del diritto di difesa e del principio del giusto processo;
che, in particolare, dal testo dell’ordinanza di rimessione non è dato desumere se, una volta ripristinato il contraddittorio a seguito della restituzione degli atti, l’imputata fosse presente all’udienza in cui è stata sollevata l’odierna questione, nel qual caso sarebbe manifesta l’irrilevanza della questione riguardante il rilascio del nulla osta, perché il processo avrebbe potuto essere immediatamente celebrato;
che dall’atto di promovimento neppure risulta se l’imputata avesse richiesto, direttamente o per il tramite del nominato difensore di fiducia, un termine a difesa, concretizzandosi in tal caso una situazione per cui il rilascio del nulla osta all’espulsione sarebbe potuto risultare lesivo del diritto dell’interessata a difendersi partecipando alle fasi ulteriori del processo;
che d’altronde, per il caso di assenza dell’imputata all’udienza nel corso della quale è stata sollevata l’odierna questione, il rimettente non ha preso in considerazione l’eventualità che l’espulsione fosse stata già eseguita, per effetto di silenzio-assenso sulla richiesta di rilascio del nulla osta (art. 13, comma 3, ultima parte, del d.lgs. n. 286 del 1998), il cui termine di formazione ha ripreso a decorrere dopo la fine della sospensione del procedimento;
che inoltre – sempre per l’eventualità che il processo, a circa tre anni dall’arresto e dalla liberazione dell’interessata, sia ripreso nell’assenza di questa – nessuna informazione è stata fornita dal rimettente circa la fase di verifica della costituzione delle parti, neppure con riguardo alle eventuali indicazioni del difensore dell’imputata, pur investito della funzione di domiciliatario e dunque necessariamente coinvolto negli adempimenti necessari alla regolare integrazione del contraddittorio;
che le indicate carenze di descrizione impediscono, ciascuna per il proprio verso, di verificare l’effettiva incidenza del rilascio del nulla osta sulla possibilità di immediata celebrazione del giudizio e dunque determinano la manifesta inammissibilità della questione sollevata (ex multis, ordinanze n. 300 del 2008 e n. 279 del 2007);
che anche le questioni proposte dal Tribunale di Castrovillari riguardo alla disciplina del nulla osta sono manifestamente inammissibili, posto che il rimettente si è limitato a denunciare una presunta situazione di contrasto tra detta disciplina e gli evocati parametri costituzionali, senza formulare un petitum specifico e comunque senza precisare quale intervento di questa Corte, tra i molti astrattamente concepibili, potrebbe assicurare la compatibilità di tale disciplina con le norme costituzionali asseritamente violate (ex multis, ordinanze n. 279 e n. 35 del 2007);
che l’ulteriore questione posta dal Tribunale di Bari, avente ad oggetto la norma incriminatrice contenuta nell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, limitatamente alla clausola negativa «senza giustificato motivo» che figura nella descrizione dell’ipotesi criminosa, è già stata esaminata da questa Corte, con riferimento agli stessi parametri costituzionali oggi evocati, e dichiarata non fondata dalla sentenza n. 5 del 2004, precedente all’ordinanza di rimessione;
che nella pronuncia indicata la Corte ha rilevato che formule siffatte, di frequente utilizzo nel corpo di norme incriminatici, «sono destinate […] a fungere da “valvola di sicurezza” del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione penale scatti allorché – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente “inesigibile” in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo, di obblighi di segno contrario, ovvero della necessità di tutelare interessi confliggenti, di rango pari o superiore rispetto a quello protetto dalla norma incriminatrice, in un ragionevole bilanciamento di valori»;
che nella medesima pronuncia la Corte ha tra l’altro evidenziato come il carattere “elastico” della clausola si connetta, nella valutazione legislativa, «alla impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a “giustificare” l’inosservanza del precetto», risultando altresì evidente che eventuali lacune descrittive «tornerebbero non a vantaggio, ma a danno del reo, posto che la clausola in parola assolve al ruolo, negativo, di escludere la punibilità di condotte per il resto corrispondenti al tipo legale»;
che, pertanto, non essendo stati addotti nuovi profili di censura, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEriuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Bari con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 13, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 286 del 1998, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., dal Tribunale di Castrovillari con le ordinanze in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 13, comma 1, della legge n. 189 del 2002, e poi sostituito dall’art. 1, comma 5-bis, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost., dal Tribunale di Bari con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2008.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2008.