ORDINANZA N. 371
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto
CAPOTOSTI
Presidente
- Fernanda
CONTRI
Giudice
- Guido
NEPPI MODONA
"
- Annibale
MARINI
"
- Franco
BILE
"
- Giovanni Maria
FLICK
"
- Francesco
AMIRANTE
"
- Ugo
DE SIERVO
"
- Romano
VACCARELLA
"
- Paolo
MADDALENA
"
- Alfio
FINOCCHIARO
"
- Alfonso
QUARANTA
"
- Franco
GALLO
"
- Luigi
MAZZELLA
"
- Gaetano
SILVESTRI
"
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 3-bis, e 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso con ordinanza emessa dal Tribunale di Bari in data 8 marzo 2003, nel procedimento penale a carico di O. J., iscritta al n. 517 del registro ordinanze 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale:
a) dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nella parte in cui non prevede che il giudice possa negare il nulla osta all’esecuzione dell’espulsione amministrativa dello straniero sottoposto a procedimento penale anche per esigenze difensive;
b) dell’art. 14, comma 5-ter, del medesimo decreto legislativo, nella parte in cui «non consente la previa individuazione dei profili illeciti della fattispecie incriminatrice» ivi delineata;
che il giudice a quo - investito del procedimento penale nei confronti di uno straniero arrestato per il reato di ingiustificato trattenimento nel territorio dello Stato, di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 - censura anzitutto l’indeterminatezza di tale norma incriminatrice, stante la mancata specificazione dei «giustificati motivi» che, alla stregua del suo dettato, rendono legittima la permanenza nel territorio dello Stato dello straniero, pur colpito da ordine di allontanamento del questore;
che detta omissione impedirebbe alla pubblica accusa di formulare una chiara contestazione del fatto ascritto ed allo straniero di individuare preventivamente e con certezza i comportamenti penalmente repressi, nonché di svolgere un’adeguata attività difensiva, in caso di contestazione dell’illecito, con conseguente violazione degli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost.;
che il rimettente dubita, altresì, della legittimità costituzionale delle disposizioni che regolano il rilascio del nulla osta all’esecuzione dell’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale, prevedendo, da un lato, che il nulla osta venga rilasciato dall’autorità giudiziaria in sede di convalida dell’arresto; e, dall’altro, che esso possa essere negato, ove all’esito della convalida lo straniero sia rimesso in libertà (soluzione peraltro «obbligata» nel caso di arresto per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, dato che la natura contravvenzionale della fattispecie non consente l’applicazione di misure cautelari personali), solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all’accertamento delle responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all’interesse della persona offesa (art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998);
che le indicate disposizioni – non consentendo all’autorità giudiziaria di negare il nulla osta anche per esigenze difensive dell’imputato, e rendendone, dunque, praticamente automatico il rilascio – finirebbero per creare un «privilegio tecnico-processuale per la pubblica amministrazione», non giustificato da esigenze di rango costituzionale e tale da compromettere l’effettivo esercizio del diritto di difesa;
che a garantire il rispetto di tale diritto non basterebbe la facoltà di rientro in Italia dello straniero espulso ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, prevista dall’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998, essendo il rientro subordinato ad autorizzazioni amministrative non «coordinabili con le scadenze processuali» e che comunque comportano oneri economici non sostenibili dall’imputato;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 223 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., l’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui stabiliva che per il reato di ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, previsto dal comma 5-ter del medesimo articolo, è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto: e ciò in quanto tale misura «precautelare» si risolveva in una limitazione provvisoria della libertà personale del tutto priva di giustificazione processuale, non potendo essere finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, data la natura contravvenzionale della fattispecie, né costituendo un presupposto del procedimento amministrativo di espulsione;
che, di seguito a tale pronuncia, il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, ha modificato la fattispecie criminosa considerata, trasformandola da contravvenzione in delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni – configurazione che consente, ai sensi dell’art. 280 cod. proc. pen., l’applicazione di misure coercitive – nel caso di espulsione disposta per ingresso illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 13, comma 2, lettere a) e c), del d.lgs. n. 286 del 1998, ovvero per non avere lo straniero tempestivamente richiesto il permesso di soggiorno «in assenza di cause di forza maggiore», o per essere stato il permesso revocato o annullato; conservandone, invece, l’originaria natura contravvenzionale nell’ipotesi residuale di espulsione disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo (comma 5-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 241 del 2004, aggiunto dalla legge di conversione n. 271 del 2004);
che, correlativamente, è stata ripristinata, per le ipotesi di ingiustificato trattenimento che hanno assunto natura di delitto, la misura dell’arresto obbligatorio (comma 5-quinquies, terzo periodo, dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 241 del 2004);
che, come questa Corte ha già avuto modo di rilevare in relazione a questioni analoghe alla presente (cfr. ordinanza n. 206 del 2005), la citata sentenza n. 223 del 2004 e le modifiche legislative dianzi indicate – pur non incidendo sulla previsione in forza della quale per il reato considerato si procede con giudizio direttissimo (art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998), né sulla disciplina dell’espulsione amministrativa dello straniero sottoposto a procedimento penale – hanno comportato mutamenti della cornice sistematica e delle concrete modalità operative dei meccanismi normativi sottoposti a controllo di costituzionalità;
che, in particolare, la sentenza n. 223 del 2004 è valsa a modificare – riguardo ai fatti di ingiustificato trattenimento commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 271 del 2004 (quale quello oggetto del giudizio a quo) – le modalità di instaurazione del giudizio direttissimo: a seguito di tale sentenza, infatti, non potendosi procedere all’arresto dell’imputato e alla sua presentazione in udienza, a norma dell’art. 558 cod. proc. pen., il giudizio direttissimo viene instaurato attraverso la citazione a comparire, con un termine non inferiore a tre giorni (art. 450, comma 2, cod. proc. pen.), che assicura comunque uno spazio temporale preventivo alla difesa; con possibili riflessi anche sull’operatività della previsione di cui all’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, in tema di declaratoria di non luogo a procedere nel caso di «avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»;
che, d’altra parte, una volta che per i fatti indicati non venga effettuato l’arresto, resta inoperante l’obbligo di rilascio immediato del nulla osta all’espulsione da parte del giudice in sede di convalida della misura, previsto dall’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;
che, a loro volta, le successive modifiche legislative introdotte dal decreto-legge n. 241 del 2004, come integrato dalla relativa legge di conversione – ferma restando l’impossibilità di applicare la nuova disciplina sostanziale ai fatti anteriormente commessi, trattandosi di modificazione in malam partem – alterano la sequenza procedimentale avverso la quale il giudice rimettente indirizza le proprie censure;
che, in particolare, l’applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere per il reato in questione, relativamente alle fattispecie trasformate in delitti – misura che impedisce il rilascio del nulla osta all’espulsione, ai sensi dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 – viene ad incidere sul censurato “automatismo” del meccanismo di espulsione degli stranieri imputati del reato stesso; e sposta, nel contempo, gli equilibri normativi fra le esigenze di immediato allontanamento dello straniero illegalmente presente sul territorio dello Stato e quelle connesse alla celebrazione del processo a suo carico;
che, pertanto, gli atti vanno restituiti al giudice a quo, per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, alla luce dei sopravvenuti mutamenti della disciplina della materia.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Bari.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2005.