ORDINANZA N. 300
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento); dell’art. 36, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 9, comma 2, della citata legge n. 46 del 2006; e dell’art. 10 della medesima legge, promosso con ordinanza del 10 maggio 2006 dal Tribunale di Trieste nel procedimento penale a carico di F. S., iscritta al n. 459 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Udito nella camera di consiglio del 25 giugno 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Trieste ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento); dell’art. 36, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 9, comma 2, della citata legge n. 46 del 2006; e dell’art. 10 della medesima legge;
che il rimettente premette, in punto di rilevanza della questione, che – in forza della sopravvenuta disciplina di cui all’art. 10 della legge n. 46 del 2006, in riferimento all’art. 593 cod. proc. pen. e all’art. 36, comma 1, del d. lgs. n. 274 del 2000 – «dovrebbe definire il grado di giudizio mediante pronuncia di ordinanza non impugnabile di inammissibilità, di talché verrebbe ad essere precluso l’esame delle questioni di merito proposte con l’interposto gravame»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo dichiara di recepire «integralmente le motivazioni di analoga ordinanza della Corte d’appello di Trieste, che condivide in toto»;
che il Tribunale rimettente rileva, in particolare, come, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la previsione di limiti al potere di impugnazione del pubblico ministero – di per sé non incompatibile con il principio di parità delle parti nel processo – debba comunque trovare una ragionevole giustificazione nella peculiare posizione istituzionale della parte pubblica, nella funzione alla stessa affidata e in esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia;
che nei lavori preparatori della legge n. 46 del 2006, e segnatamente nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge, le ragioni dell’intervento normativo sarebbero ricondotte esclusivamente alla necessità di dare attuazione all’art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, con riferimento al diritto, ivi sancito, «al doppio grado di giurisdizione in materia penale per chiunque venga dichiarato colpevole di una infrazione penale da un tribunale»;
che tali ragioni si paleserebbero, peraltro, non solo diverse da quelle che, secondo la giurisprudenza costituzionale richiamata, potrebbero legittimare una limitazione dei poteri di impugnazione del pubblico ministero, ma anche prive di fondamento; infatti – come questa Corte ha ripetutamente affermato – il doppio grado di giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia costituzionale, e l’art. 2 del Protocollo addizionale dianzi menzionato «non legittima una interpretazione per cui il riesame ad opera di un tribunale superiore debba coincidere con un giudizio di merito»;
che la limitazione del potere di impugnazione del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento non sarebbe giustificata neppure dalla circostanza che l’appello sia formalmente precluso anche all’imputato, «ben diverso essendo il rispettivo interesse sostanziale a proporre impugnazione avverso una sentenza di proscioglimento»;
che, pertanto, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost., poiché introduce una limitazione dei poteri di appello del pubblico ministero priva di idonee ragioni giustificative;
che sarebbe violato, inoltre, il principio della durata ragionevole del processo sancito dall’art. 111, secondo comma, Cost., giacché la legge n. 46 del 2006 – eliminando l’appello avverso le sentenze di proscioglimento e ampliando i motivi di ricorso per cassazione – avrebbe determinato un aumento dei gradi di giudizio; con conseguente allungamento dei tempi processuali e rischio di prescrizione dei reati;
che ciò risulterebbe tanto più evidente in relazione alla disciplina transitoria dettata dall’art. 10 della legge n. 46 del 2006, poiché la previsione di una indiscriminata declaratoria di inammissibilità degli appelli proposti prima dell’entrata in vigore della legge – derogando al principio tempus regit actum che governa la materia processuale – non solo sacrificherebbe «un atto di gravame tempestivamente proposto, costringendo la parte interessata a presentarne un altro»; ma comporterebbe, altresì, l’inevitabile differimento della presentazione della nuova impugnazione «all’eseguita notifica del provvedimento di inammissibilità e, pertanto, ad un termine futuro ed incerto».
Considerato che il Tribunale di Trieste ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento); dell’art. 36, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 9, comma 2, della citata legge n. 46 del 2006; e dell’art. 10 della medesima legge;
che il giudice a quo – nel sottoporre a scrutinio di costituzionalità le disposizioni censurate, nella parte in cui limitano l’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento – omette ogni descrizione della fattispecie concreta sottoposta al suo esame, limitandosi ad affermare apoditticamente la rilevanza della questione;
che nell’ordinanza di rimessione non risulta esplicitata, in particolare, la circostanza se il giudizio a quo origini effettivamente dall’appello proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento (e, segnatamente, da un appello proposto prima dell’entrata in vigore della legge n. 46 del 2006 avverso una sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace, avuto riguardo al coinvolgimento nell’impugnativa anche dell’art. 36, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000 e dell’art. 10 della legge n. 46 del 2006): non consentendo, con ciò, a questa Corte la verifica in ordine alla rilevanza della questione;
che a siffatta omissione consegue, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la manifesta inammissibilità della questione (con riferimento a questioni analoghe, ordinanze n. 216 e n. 207 del 2007).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento); dell’art. 36, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 9, comma 2, della citata legge n. 46 del 2006; e dell’art. 10 della medesima legge, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2008.