Sentenza n. 32 del 2009

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.32

ANNO 2009

Commento alla decisione di

Antonia Baraggia

Legalita’ sostanziale e (attuale) sostanza della legalita’

Brevi riflessioni a margine della sentenza 32/2009

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni costituzionali)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria   FLICK                           Presidente

- Francesco           AMIRANTE                     Giudice     

- Ugo                    DE SIERVO                          “

- Alfio                            FINOCCHIARO          “

- Alfonso              QUARANTA                         “

- Franco                GALLO                       “

- Luigi                            MAZZELLA                         “

- Gaetano              SILVESTRI                 “

- Sabino                      CASSESE                         “

- Maria Rita          SAULLE                     “

- Giuseppe            TESAURO                   “

- Paolo Maria                  NAPOLITANO            “

- Giuseppe            FRIGO                        “

- Alessandro                   CRISCUOLO                        “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge della Regione Veneto 29 marzo 1999, n. 11 (Istituzione del Comune di Cavallino-Treporti), promosso con ordinanza del 16 aprile 2008 dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto sul ricorso proposto dal Comune di Venezia contro la Provincia di Venezia ed altro iscritta al n. 221 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti gli atti di costituzione del Comune di Venezia e del Comune di Cavallino-Treporti nonché l’atto di intervento della Regione Veneto;

udito nell’udienza pubblica del 13 gennaio 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi gli avvocati Federico Sorrentino per il Comune di Venezia, Mario Bertolissi, Paolo Piva e Luigi Manzi per il Comune di Cavallino-Treporti, Luigi Manzi per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 16 aprile 2008, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Veneto 29 marzo 1999, n. 11 (Istituzione del Comune di Cavallino-Treporti), in riferimento agli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione.

Il dubbio di costituzionalità è prospettato nel corso di un giudizio, promosso dal Comune di Venezia contro la Provincia di Venezia e il Comune di Cavallino-Treporti, per l’annullamento della delibera della Giunta provinciale 13 marzo 2001, prot. n. 15799 con la quale sono stati approvati «i criteri generali per la definizione dei rapporti conseguenti all'istituzione del Comune di Cavallino-Treporti, per scorporo di parte del Comune di Venezia» ad opera della legge regionale n. 11 del 1999, e di ogni altro atto presupposto e conseguente.

La suddetta legge regionale è intervenuta secondo il procedimento delineato dall’art. 6 della legge regionale 24 dicembre 1992, n. 25 (Norme in materia di variazioni provinciali e comunali), e la Provincia è stata delegata ad adottare la suddetta delibera dall’art. 17 della medesima legge e dall’art. 3 della legge n. 11 del 1999.

Il Comune di Venezia, impugnando tale delibera, tra l’altro, ha dedotto l’illegittimità «derivata per l’incostituzionalità dell’art. 3 della legge regionale 11/1999». Infatti, la legge istitutiva del nuovo Comune avrebbe omesso di fissare direttive e criteri per la definizione dei rapporti patrimoniali tra i due enti, limitandosi a prevedere il generico subentro del nuovo Comune nella titolarità di tutte le situazioni giuridiche del Comune di origine. In tale vuoto normativo si sarebbe inserita la delibera provinciale impugnata la quale, rilevata la carenza di direttive e criteri guida, avrebbe discrezionalmente provveduto essa stessa ad individuarli.

Il Comune ricorrente, inoltre, ha censurato la richiamata delibera per illegittimità derivata dalla asserita incostituzionalità, per violazione dell’art. 133 Cost., della legge in base alla quale è stato istituito il nuovo Comune.

Il rimettente, rigettate le eccezioni di inammissibilità del ricorso, e rilevato che la questione di legittimità costituzionale della legge istitutiva del Comune di Cavallino-Treporti è già stata sottoposta all’esame della Corte che l’ha dichiarata manifestamente inammissibile (con ordinanza n. 21 del 2002), ritiene rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità dell’art. 3 della legge regionale n. 11 del 1999.

Infatti, nonostante l’art. 8 della legge n. 25 del 1992 rimandi espressamente alla legge regionale istitutiva del nuovo Comune la fissazione delle direttive di massima per la soluzione degli aspetti finanziari e patrimoniali conseguenti, la disposizione censurata non avrebbe dettato tali direttive. Essa, infatti, si sarebbe limitata a disporre che i rapporti finanziari e patrimoniali fra i due comuni devono essere definiti «sulla base in particolare del criterio secondo cui il comune di nuova istituzione subentra nella titolarità di tutti i beni mobili ed immobili e di tutte le situazioni giuridiche attive e passive del comune di origine ivi compresi i rapporti concernenti il personale dipendente».

Si tratterebbe di un criterio assolutamente generico, inidoneo ad individuare con certezza quali società e aziende preposte al soddisfacimento di esigenze collettive, avrebbero dovuto essere incluse pro quota nel patrimonio del neo istituito Comune e quelle che invece sarebbero dovute restare nella titolarità esclusiva del Comune di Venezia. Ciò, in particolare, sarebbe stato necessario con riguardo a quelle strutture preposte a soddisfare esigenze localizzate in aree del tutto estranee alla realtà urbanistica e abitativa del Comune di Cavallino-Treporti, ovvero con riguardo a quelle strutture che «si connotano come simboli storici della città stessa, come, ad esempio, il Casinò di Venezia».

In definitiva, la disposizione censurata non avrebbe fissato criteri idonei a ripartire in modo razionale il patrimonio del Comune di Venezia, rimettendo tale compito alla Provincia e affidando l’esercizio del potere discrezionale – spettante al livello legislativo – ad un provvedimento amministrativo.

Conseguentemente, l’art. 3 della legge regionale n. 11 del 1999 si porrebbe in contrasto «con il principio di ragionevolezza enucleabile dall'art. 3, con il principio di legalità enucleabile dall’art. 97 e infine con l’art. 117 della Costituzione, che fissa le competenze legislative regionali».

Nessun dubbio vi sarebbe, per il TAR, in ordine alla rilevanza della questione, poiché l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità della disposizione censurata determinerebbe l’invalidità derivata della delibera provinciale impugnata nel giudizio a quo.

2. – È intervenuto in giudizio il Comune di Venezia il quale ha chiesto alla Corte di dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata.

Secondo il Comune, la mancata specificazione dei criteri per individuare i beni e i rapporti nella cui titolarità sarebbe dovuto subentrare il Comune di Cavallino-Treporti (secondo quanto previsto dalla legge regionale n. 25 del 1992) determinerebbe la violazione del principio di legalità sostanziale, in base al quale l’azione della pubblica amministrazione deve trovare nella legge non solo il proprio fondamento, ma anche i limiti sostanziali volti a garantire il soddisfacimento, da parte della pubblica amministrazione, del pubblico interesse secondo i canoni dell’imparzialità e del buon andamento. Tale principio, desumibile dall’art. 97 Cost., nonché dagli artt. 101, 113 e 23 Cost., costituirebbe garanzia ineludibile in uno Stato di diritto, dovendo essere inteso non solo nella sua accezione formale, ma anche in quella sostanziale, in base alla quale la legge deve determinare forma e contenuto dell’azione della pubblica amministrazione. In tal senso si sarebbe pronunciata più volte anche la Corte costituzionale.

Nella fattispecie in questione, sostiene il Comune di Venezia, la violazione di detto principio sarebbe particolarmente grave, in quanto esso sarebbe rafforzato dalla riserva relativa di legge posta dall’art. 42 Cost. in relazione ai modi di acquisto della proprietà. Pertanto, il legislatore non potrebbe attribuire all’amministrazione il potere di adottare un provvedimento che costituisca titolo per il trasferimento della proprietà di alcuni beni senza previamente fissare i criteri generali in base ai quali esso deve essere esercitato.

Inoltre, la predeterminazione legislativa di criteri volti ad orientare la discrezionalità amministrativa sarebbe stata ancor più necessaria in relazione alla complessità della realtà veneziana. Il patrimonio di tale Comune, infatti, sarebbe costituito, non solo da proprietà immobiliari, ma anche da consistenti partecipazioni in società e imprese che svolgono servizi pubblici locali e altre attività di primaria importanza, quali le società che gestiscono gli aeroporti, quelle che gestiscono le alcune autostrade, una s.p.a. che si occupa della promozione delle attività industriali di Venezia e di Marghera, nonché quella che gestisce il Casinò. Ad avviso della difesa comunale, sarebbe irragionevole che il Comune di Cavallino-Treporti, che ha «mera vocazione turistico-baneare», debba partecipare a società che gestiscono servizi della città di Venezia o che realizzano opere di manutenzione di monumenti presenti sul territorio veneziano, o che debba acquistare pro quota la proprietà del patrimonio azionario del Comune di Venezia «alla costituzione del quale non ha peraltro in alcun modo concorso, attesa la sua modestissima capacità contributiva».

3. – È intervenuto in giudizio anche il Comune di Cavallino-Treporti, il quale sostiene che difetterebbe la rilevanza della questione nel giudizio a quo. Il Comune di Venezia, infatti, avrebbe ottemperato a quanto previsto dalla legge regionale e dalla delibera delle Giunta provinciale con atti di riparto dei beni. Da ciò la conseguente inammissibilità anche della questione di legittimità costituzionale.

La questione prospettata sarebbe inammissibile anche perché, contrariamente a quanto sostiene il rimettente, la legge censurata avrebbe fissato criteri di ripartizione dei rapporti patrimoniali tra i due enti locali.

Infatti, in attuazione di quanto previsto dall’art. 8 della legge n. 25 del 1992, il censurato art. 3 della legge n. 11 del 1999, ha stabilito che la successione avviene in tutti i beni mobili e immobili ed  in tutte le situazioni attive e passive, ivi compresi i rapporti concernenti il personale dipendente.

Il TAR, in realtà, chiederebbe alla Corte di operare una sostituzione dei criteri indicati dal legislatore regionale, con altri criteri da esso rimettente suggeriti, così predeterminando il contenuto della legge. Il rimettente, inoltre, trascurerebbe la circostanza che se davvero i criteri posti dal legislatore regionale fossero stati generici, il riparto del patrimonio non sarebbe stato possibile, mentre tale ripartizione è stata in concreto operata dalla Giunta provinciale. Pertanto, il giudice a quo contesterebbe non già un vuoto normativo, bensì un determinato contenuto normativo che egli vorrebbe diverso.

Nel merito, la questione sarebbe pertanto infondata. Da parte sua, la Provincia, previa apposita istruttoria, avrebbe integrato tale dettato normativo individuando un criterio di riparto calcolato in relazione alla popolazione e al territorio dei Comuni.

4. – Anche la Regione Veneto è intervenuta nel giudizio avanti alla Corte chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

La questione sarebbe irrilevante anzitutto perché il giudice avrebbe censurato una disposizione diversa da quella che fonda il potere esercitato dalla Provincia nella delibera impugnata. Tale disposizione dovrebbe individuarsi nell’art. 17 della legge n. 25 del 1992 il quale stabilisce che «i rapporti conseguenti alla istituzione di nuovi comuni e ai mutamenti delle circoscrizioni comunali sono definiti dalla provincia competente per territorio, per delega della Regione, tenuto conto dei principi riguardanti la successione delle persone giuridiche e in armonia con la legge regionale di cui all’art. 8».

Inoltre, la questione sarebbe inammissibile per difetto di adeguata motivazione sulla rilevanza della medesima.

Nel merito la questione sarebbe infondata.

L’asserita violazione del principio di legalità di cui all’art. 97 Cost. discenderebbe da un vuoto normativo inesistente, dal momento che il legislatore regionale, proprio con la disposizione censurata, avrebbe determinato quelle «direttive di massima» richieste dall’art. 17 della legge n. 25 del 1992. Contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, infatti, nessuna disposizione regionale richiederebbe l’individuazione di puntuali ed inequivoci criteri. Anzi, al contrario, l’adozione di questi avrebbe comportato un’illegittima sostituzione della Regione alla Provincia nell’esercizio della competenza amministrativa delegata.

Infondata sarebbe, inoltre, la censura di irragionevolezza, dal momento che il criterio indicato dall’art. 3 della legge n. 11 del 1999 sarebbe rispettoso dei principi che regolano la successione delle persone giuridiche.

Inconferente sarebbe il richiamo operato dal TAR all’art. 117 Cost., in quanto la disposizione censurata si fonderebbe sull’art. 133 Cost. che, appunto, riconosce alla Regione il potere di istituire con legge nuovi Comuni.

Infine, la difesa regionale sostiene che il rimettente avrebbe omesso di operare il doveroso tentativo di interpretare la disposizione censurata in modo conforme a Costituzione.

5. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica tutte le parti hanno depositato memorie.

5.1. – Il Comune di Cavallino-Treporti insiste per una declaratoria di inammissibilità della questione ovvero di infondatezza.

Sul piano della inammissibilità, vi sarebbe anzitutto «una carenza di interesse alla censura» dedotta nel giudizio a quo, poiché in tale sede l’assetto dei rapporti patrimoniali e finanziari determinato dalla Provincia tra i Comuni interessati non potrebbe essere nuovamente posto in discussione: il Comune di Venezia non avrebbe infatti tempestivamente impugnato, e persino avrebbe dato esecuzione, alla delibera provinciale n. 797 del 1997, con cui è stato disposto il “subentro” del nuovo ente comunale nei beni immobili di Venezia indicati nell’elenco allegato. Inoltre, con la delibera del Consiglio n. 79 del 2000 il Comune di Venezia avrebbe recepito l’assetto successorio definito dalla legge impugnata e dalla conseguente delibera della Provincia.

Nel merito, si osserva che la norma censurata ha reso evidente che si è verificata una vicenda successoria “a titolo universale”, assolvendo in tal modo alla funzione di determinare i tratti propri dello “scorporo” tra enti: per tale via sarebbe stato rispettato il principio di legalità.

Inoltre, la questione proposta pretenderebbe in modo inammissibile di riferirsi «a pretese diversità di censo», in quanto vorrebbe sostenere l’ irragionevolezza della norma censurata, a causa della «modestissima capacità contributiva» dei residenti di Cavallino-Treporti.

5.2. – Il Comune di Venezia ha, a propria volta, insistito sulle conclusioni già formulate.

In primo luogo, si osserva che l’esigenza di completezza dei criteri che devono essere indicati dalla legge istitutiva del nuovo Comune corrisponde alla responsabilità legislativa propria della Regione. In quest’ambito, l’art. 17 della legge n. 25 del 1992, stabilendo che la “successione” tra i Comuni avvenga sulla base delle “direttive” impartite dalla successiva legge istitutiva, evidenzierebbe che quest’ultima non può limitarsi a ribadire il principio successorio già affermato.

Quanto alle eccezioni preliminari sollevate dalle altre parti del giudizio, il Comune le ritiene infondate: la pretesa acquiescenza all’atto impugnato nel processo a quo sarebbe già stata esclusa dal rimettente, cui solo compete tale apprezzamento; né il TAR avrebbe dovuto impugnare l’art. 17 della n. 25 del 1992, dal momento che la lesione del principio di legalità sarebbe imputabile alla sola legge provvedimentale successiva, per la parte in cui essa ha mancato di specificare le direttive richieste dal predetto art. 17. Infine, non si potrebbe rimproverare al giudice a quo di non avere sperimentato la via di un’interpretazione adeguatrice della norma, atteso che la violazione del principio di legalità si sostanzierebbe in una censura rivolta al legislatore, che per definizione il giudice non sarebbe legittimato a superare in via esegetica.

Il Comune di Venezia ribadisce, pertanto, che la norma impugnata avrebbe «ampliato a dismisura la discrezionalità della Giunta provinciale», non essendo sufficiente il riferimento alla successione in tutti i beni ed i rapporti, troppo generico per «riferirsi alla molteplicità delle situazioni e degli interessi» concretamente in gioco.

5.3. – Anche la Regione Veneto ha depositato una memoria nella quale deduce, innanzitutto, l’inammissibilità della censura prospettata in relazione all’art. 117 Cost. per l’inconferenza del parametro evocato. La disciplina delle circoscrizioni comunali rientrerebbe, infatti, nella competenza legislativa esclusiva delle Regioni sia in forza del nuovo art. 117 Cost., sia in forza dell’art 133 Cost., il quale pone, appunto, una riserva di legge regionale.

Osserva ancora la Regione come la disposizione censurata, a differenza di quanto sostenuto dal rimettente, avrebbe determinato le modalità di successione del nuovo Comune, sposando il criterio della successione universale senza introdurre «eccezioni o regimi patrimoniali a contenuto derogatorio o singolare». La censura del rimettente, pertanto, si risolverebbe nella richiesta della introduzione di un disposto normativo diverso, di contenuto derogatorio, volto a determinare criteri diversi e pertanto sarebbe inammissibile.

Analoga conclusione varrebbe anche con riguardo alla prospettata incostituzionalità della disposizione censurata in ragione dell’asserito «carattere peculiare della realtà veneziana» che avrebbe dovuto indurre il legislatore a dettare criteri diversi.

La questione prospettata dal TAR sarebbe inammissibile anche con riguardo alla denunciata violazione dell’asserito obbligo di fissare un criterio discretivo dettagliato. In realtà, il legislatore regionale, con la legge n. 25 del 1992, ha rinviato alla legge provvedimento solo la fissazione degli «indirizzi generali», di «direttive di massima» per regolamentazione dei rapporti tra i comuni, al fine di garantire l’esercizio discrezionale del potere provinciale, in relazione alla varietà delle situazioni concrete. E l’art. 3 della legge n. 11 del 1999 conterrebbe appunto una direttiva generale per la soluzione dei rapporti patrimoniali e finanziari tra il Comune di Venezia e quello di Cavallino-Treporti.

D’altra parte, lo svolgimento in concreto del potere amministrativo da parte della Provincia, il quale è stato in larga parte accettato dal Comune di Venezia, dimostrerebbe l’inesistenza di un qualsiasi vuoto normativo.

Quanto alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost., la Regione sostiene che sia l’attività legislativa regionale, sia quella amministrativa della Provincia sarebbero state correttamente esercitate «in conformità ad una riserva di legge soltanto relativa».

Con riguardo, infine, alla censurata lesione del principio di legalità sostanziale, la difesa regionale osserva come la verifica del rispetto di tale principio richiede la valutazione della conformità delle disposizioni legislative (nel giudizio di costituzionalità) o di quelle amministrative (nel processo ordinario) ai contenuti delle norme sopraordinate. A tal fine, tra i criteri ermeneutici che il giudice dovrebbe utilizzare vi sarebbe anche quello dell’interpretazione costituzionalmente orientata.

Utilizzando tale canone, il rimettente avrebbe dovuto verificare che non è posto alcun obbligo al legislatore regionale di regolare con criteri di dettaglio l’azione amministrativa della Provincia. Anzi, la previsione di semplici direttive di massima al suo svolgimento sarebbe coerente con l’art. 117, sesto comma, Cost. che riconosce alla Provincia poteri regolamentari e di normazione secondaria, pure nei limiti della disciplina dello svolgimento delle proprie funzioni.

Pur se formalmente la legge regionale non ha attribuito alla Provincia alcun compito di regolamentazione della materia, tuttavia tale attività sarebbe legittima e altresì conforme al principio di sussidiarietà.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Veneto 29 marzo 1999, n. 11 (Istituzione del Comune di Cavallino-Treporti), in riferimento agli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione.

Il dubbio di costituzionalità è stato prospettato nel corso di un giudizio relativo ad una deliberazione della Provincia di Venezia che ha determinato «i criteri generali per la definizione dei rapporti conseguenti all'istituzione del Comune di Cavallino-Treporti, per scorporo di parte del Comune di Venezia», nell’esercizio del potere demandato alla Provincia stessa dall’art. 17 della legge della Regione Veneto 24 dicembre 1992, n. 25 (Norme in materia di variazioni provinciali e comunali), e, in conformità a quest’ultima, dall’art. 3 della legge reg. Veneto n. 11 del 1999.

Nella Regione Veneto, infatti, l’istituzione di nuovi Comuni nell’ambito del procedimento delineato dall’art. 133, secondo comma, della Costituzione è disciplinata in via generale dalla legge regionale n. 25 del 1992, il cui art. 8 esige poi l’adozione, volta per volta, di una ulteriore legge regionale, recante, tra l’altro, «le direttive di massima per la soluzione degli aspetti finanziari e patrimoniali connessi con la revisione circoscrizionale»; l’art. 17 della stessa legge, inoltre, prevede che la Provincia competente per territorio provveda a definire i rapporti conseguenti alla istituzione di nuovi Comuni tenendo conto «dei principi riguardanti la successione delle persone giuridiche ed in armonia con la legge regionale» indicata dal summenzionato art. 8. 

In questo contesto normativo, l’art. 3 della legge n. 11 del 1999, che ha provveduto all’istituzione del Comune di Cavallino-Treporti per scorporo dal Comune di Venezia, non avrebbe fissato effettivamente criteri idonei a ripartire in modo razionale il patrimonio del Comune di Venezia, rimettendo quindi tale compito all’esclusivo esercizio del potere discrezionale della Provincia.

Conseguentemente, secondo il rimettente, «l’art. 3 della citata legge n. 11 del 1999 per il suo carattere estremamente generico e comunque per essere privo delle necessarie direttive volute ed imposte dalla legge regionale n. 25 del 1992, si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza enucleabile dall'art. 3 (della Costituzione), con il principio di legalità enucleabile dall'art. 97 (della Costituzione) e infine con l’art. 117 della Costituzione, che fissa le competenze legislative regionali».

2. – Sono intervenuti nel giudizio innanzi a questa Corte la Regione Veneto e i Comuni di Venezia e Cavallino-Treporti, questi ultimi già parti del processo principale.

La Regione Veneto e il Comune di Cavallino-Treporti hanno eccepito l’inammissibilità della questione e ne hanno chiesto comunque il rigetto.

Le eccezioni preliminari non sono fondate.

Quanto alla pretesa acquiescenza del Comune di Venezia alla deliberazione provinciale impugnata nel giudizio a quo, dedotta dal Comune di Cavallino-Treporti per arguirne l’inammissibilità del ricorso proposto avanti al TAR rimettente, va osservato che si tratta di profilo demandato all’apprezzamento non implausibile del giudice a quo, che lo ha già ritenuto, con idonea motivazione, privo di pregio (da ultimo, sentenze n. 241 e n. 219 del 2008).

Né sussiste difetto di motivazione sulla rilevanza, come preteso dalla Regione Veneto, dal momento che il giudice remittente ha provveduto a porre in luce che l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità della disposizione censurata determinerebbe l’invalidità della delibera provinciale impugnata nel giudizio a quo (da ultimo, sentenze n. 306 e n. 233 del 2008).

Quanto poi all’eccezione di inammissibilità formulata dalla Regione, per la quale il giudice a quo avrebbe dovuto censurare l’art. 17 della legge regionale n. 25 del 1992, che conferisce alla Provincia la potestà esercitata con la delibera oggetto di ricorso, è agevole replicare che il remittente non aveva motivo per impugnare la norma che determina i soli criteri generali per la successione fra Comuni, dal momento che la censura di incostituzionalità si accentra proprio sull’insufficiente integrazione di quei criteri generali ad opera della legge istitutiva del Comune di Cavallino-Treporti, così come prescritto dall’art. 8, comma 3, della legge n. 25 del 1992.

Infine l’eccezione, sollevata dal Comune di Cavallino-Treporti, secondo cui. il rimettente avrebbe formulato un petitum “legislativo”, mirando a sovrapporre alla volontà legislativa della Regione un nuovo criterio successorio tra enti non costituzionalmente imposto, trascura di considerare che a questa Corte viene invece domandata una pronuncia meramente ablatoria della norma oggetto, a seguito della quale toccherebbe al legislatore indicare in forma analitica le modalità di successione patrimoniale tra i due Comuni coinvolti.

3. – E’ invece inammissibile la censura basata sull’art. 117 della Costituzione, in quanto del tutto priva di motivazione (da ultimo, ordinanze n. 4 del 2009 e n. 448 del 2008).

4. – Nel merito la questione non è fondata.

In via preliminare è necessario mettere in evidenza il contesto normativo entro il quale si colloca la vicenda che è oggetto del presente giudizio.

La disciplina legislativa delle conseguenze patrimoniali della divisione in più enti di un preesistente ente territoriale è sempre stata sommaria, malgrado i diversi evidenti interessi in gioco e la stessa incidenza di procedure del genere sul regime proprietario di diverse categorie di beni mobili ed immobili: se nella fase precedente alla adozione della Costituzione l’art. 36 del R.d. 3 marzo 1934, n. 383 (Approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale), affidava genericamente ad un decreto prefettizio la «separazione patrimoniale» ed il «riparto delle attività e passività» nell’ipotesi di «variazioni alle circoscrizioni dei Comuni» dopo l’entrata in vigore dell’art. 133 della Costituzione la legislazione ordinaria non è mutata se non con l’art. 1, lettera a), del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 1 (Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di circoscrizioni comunali e di polizia locale urbana e rurale e del relativo personale), che si li è limitato al trasferimento del surrichiamato potere amministrativo alle Regioni.

Solo con gli artt. 11 e 16 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), si è data attuazione all’art. 133 Cost. in relazione alla istituzione di nuovi Comuni e Province: in questa legislazione, peraltro, si persegue in via prioritaria la disincentivazione della suddivisione degli enti territoriali esistenti e la disciplina delle procedure di partecipazione a questi procedimenti da parte degli enti e delle popolazioni interessate, secondo quanto previsto nel primo e nel secondo comma dell’art. 133 della Costituzione. Rispetto, invece, alla disciplina degli effetti patrimoniali della successione dei nuovi enti, l’art. 20, comma 4, della legge n. 142 del 1990, con riguardo ai nuovi Comuni nelle aree metropolitane, e la lettera g) del secondo comma dell’art. 16 della medesima legge, con riguardo alle nuove Province, si limitano ad affermare che occorre garantire a tali enti, in proporzione al territorio ed alla popolazione, persone, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguate, con ciò, quindi, recependosi alcuni dei principali criteri utilizzati nella precedente prassi amministrativa.

Successivamente, il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), ha riprodotto in termini analoghi tale disciplina con riguardo alle Province, mentre l’art. 15, relativo ai Comuni, si è limitato a riferirsi genericamente all’art. 133 Cost.

A sua volta, la legislazione regionale in tema di circoscrizioni comunali e di riordino dei territori comunali appare scarsamente analitica nella determinazione dei criteri di successione patrimoniale tra Comuni, recando talvolta un rinvio ai principi utilizzati per la successione fra le persone giuridiche, e solo in alcuni casi l’ulteriore indicazione di parametri più specifici in base ai quali procedere al conferimento del patrimonio al nuovo ente, quali il territorio e la popolazione coinvolti nel procedimento.

Né mancano leggi regionali che rinviano alle specifiche leggi istitutive dei nuovi Comuni, ovvero alle sole determinazioni della Provincia delegata a definire i rapporti conseguenti alla loro istituzione.

Solo alcune delle leggi regionali, fra quelle che delegano la Provincia competente per territorio (e fra esse la legge n. 25 del 1992 della Regione Veneto), contengono, oltre al riferimento al rispetto dei «principi riguardanti la successione delle persone giuridiche», un rinvio alla legge istitutiva del nuovo Comune per la determinazione di ulteriori criteri in materia.

Appare perciò evidente sia il legislatore statale che quello regionale hanno considerato relativamente agevole il riparto patrimoniale fra i diversi Comuni interessati derivanti da un processo di scorporo, assumendo come naturale principio, talvolta implicito, il riparto dei beni mobili ed immobili in proporzione alla consistenza demografica e territoriale degli enti coinvolti, nonché in base alla collocazione fisica dei beni immobili, e lasciando all’Amministrazione incaricata o delegata al riparto, definire gli aspetti più dettagliati della vicenda o comunque i profili peculiari che ciascun caso potesse presentare rispetto alla generalità degli altri (seppure sotto il controllo giurisdizionale).        

E’ in questa sede applicativa che pertanto emergono criteri di riparto relativamente più elaborati, in riferimento alle diverse e più complesse caratteristiche di alcuni enti territoriali (si pensi come lo stesso criterio di considerare le popolazioni ed i territori interessati al fine di individuare una percentuale di riparto possa essere diversamente modulato, a seconda del maggiore o minore rilievo che si dia all’uno o all’altro fattore).

5. – Sulla base di queste premesse può essere decisa la questione posta dal rimettente al vaglio della Corte: il TAR rileva che la norma impugnata, omettendo l’indicazione di stringenti criteri in base ai quali determinare la quota di patrimonio del Comune di Venezia da devolvere al Comune di Cavallino-Treporti, avrebbe integralmente affidato alla Provincia il compito di disciplinare la fattispecie in questione, in violazione del principio di legalità sostanziale (che il rimettente desume dall’art. 97 della Costituzione), cui deve invece conformarsi il conferimento legislativo dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione.

Questa Corte ha riconosciuto che la «assoluta indeterminatezza» del potere demandato ad una pubblica amministrazione «senza l’indicazione di alcun criterio da parte della legge» viola il principio di legalità sostanziale (sentenza n. 307 del 2003; in precedenza, si veda in particolare la sentenza n. 150 del 1982): tuttavia, con riguardo al caso di specie, non è dato ravvisare una carenza di simile gravità nella disposizione censurata, specie se letta alla luce dei principi appena esposti, desumibili dalla disciplina della materia in oggetto.

L’articolo 3 della legge n. 11 del 1999, per quanto sinteticamente, infatti, enuncia espressamente il «criterio secondo cui il Comune di nuova istituzione subentra nella titolarità di tutti i beni mobili ed immobili e di tutte le situazioni giuridiche attive e passive» del Comune di Venezia, chiarendo in tal modo che la successione abbraccia ogni componente del suo patrimonio; per tale via, le previsioni generali tracciate dalla legge regionale n. 25 del 1992 si sono senz’altro arricchite, giacché l’art. 17 di tale legge si limita a vincolare la Provincia delegata a tener «conto dei principi riguardanti la successione delle persone giuridiche» e cioè di principi difficilmente enucleabili in termini univoci dalla variegata legislazione che li contiene e comunque di non agevole adattamento agli enti pubblici territoriali. La norma impugnata ha espresso, invece, la scelta, in precedenza non scontata, di non escludere a priori alcuna tipologia di beni del Comune di Venezia dal procedimento di riparto.

Tale criterio si cumula, quanto alla determinazione delle quote di spettanza del nuovo ente, con l’adozione dei parametri costituiti dalla popolazione e dal territorio interessati al procedimento, di cui la legislazione vigente reca, larga traccia.

Spetta pertanto alla Provincia delegata, sulla base di questi criteri legislativi, procedere alla definizione in dettaglio delle modalità con cui essi vanno applicati ed infine concretamente attribuire al nuovo Comune il patrimonio che gli spetta, sempre sotto il possibile controllo dei competenti organi giurisdizionali: per tali ragioni, la censura relativa alla violazione del principio di legalità sostanziale va rigettata.

6. – Del pari non è fondato il dubbio del rimettente che la disciplina impugnata sia irragionevole, e perciò lesiva dell’art. 3 della Costituzione, in quanto profondamente inadeguata rispetto alla funzione di ripartire «in modo logico e razionale il variegato patrimonio mobiliare ed immobiliare del Comune di Venezia».

Infatti, una volta appurato che la legislazione contiene sufficienti criteri per orientare e vincolare l’azione della pubblica amministrazione in sede di riparto delle poste patrimoniali tra i Comuni, non vi è alcuna necessità costituzionale che imponga alla legge di farsi direttamente carico della regolamentazione di ogni peculiare profilo che ciascuna vicenda successoria possa implicare, né tale omissione si può considerare irragionevole: anzi, questa Corte ha già negato che «una legge che disegni un nuovo assetto organizzativo debba necessariamente contenere, a pena di incostituzionalità, anche ogni disposizione di dettaglio operativo o attuativo» (sentenza n. 286 del 1997).

D’altra parte, non appare in generale discutibile, sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, la pretesa dei nuovi Comuni di succedere in una percentuale della complessiva sfera patrimoniale del preesistente Comune di cui erano in precedenza una frazione alla pari di tutte le altre, salve le sole tipicità derivanti dall’insediamento territoriale dei beni immobili e dalla opportunità di non arrecare irrazionali o inutili disfunzionalità nel precedente assetto organizzativo e patrimoniale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Veneto 29 marzo 1999, n. 11 (Istituzione del Comune di Cavallino-Treporti), sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto in relazione all’art. 117 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della medesima legge regionale n. 11 del 1999, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione e al principio di legalità sostanziale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2009.