Sentenza n. 233 del 2008

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SENTENZA N. 233

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                              BILE                                       Presidente

-      Giovanni Maria                 FLICK                                      Giudice

-      Francesco                         AMIRANTE                                  "

-      Ugo                                  DE SIERVO                                  "

-      Paolo                                MADDALENA                              "

-      Alfio                                 FINOCCHIARO                           "

-      Alfonso                             QUARANTA                                 "

-      Franco                              GALLO                                         "

-      Luigi                                 MAZZELLA                                  "

-      Gaetano                            SILVESTRI                                   "

-      Sabino                              CASSESE                                      "

-      Maria Rita                        SAULLE                                        "

-      Giuseppe                          TESAURO                                     "

-      Paolo Maria                      NAPOLITANO                             "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), promosso dalla Corte d’appello di Torino, sezione lavoro, nel procedimento civile vertente tra G. C. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 6 dicembre 2006, iscritta al n. 528 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2008 il Giudice relatore Francesco Amirante:

uditi l’avvocato Nicola Valente per l’INPS e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.–– La Corte d’appello di Torino, sezione lavoro, con ordinanza del 6 dicembre 2006, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), nella parte in cui stabilisce che, per la determinazione del limite di reddito rilevante ai fini della concessione dell’assegno sociale, si deve tenere conto anche della rendita INAIL del coniuge del beneficiario.

La questione è sorta nell’ambito del giudizio di appello avverso la sentenza del Tribunale di Ivrea che aveva respinto il ricorso di G.C. volto ad ottenere l’accertamento del proprio diritto alla percezione dell’assegno sociale, la condanna dell’INPS al ripristino della corresponsione della provvidenza – sospesa in conseguenza del superamento del prescritto limite di reddito, dovuto al computo della rendita INAIL percepita dal coniuge della ricorrente – e la declaratoria di infondatezza della pretesa dell’Istituto di restituzione di quanto, al suddetto titolo, percepito.

La Corte remittente riferisce che il giudice di primo grado è pervenuto alla suddetta decisione sul rilievo per cui, dalla lettura della disposizione in oggetto, si desume che il legislatore ha accolto una nozione di reddito rilevante molto ampia (comprensiva anche dei redditi esenti da imposte) ed ha specificato, in modo tassativo, le entrate escluse dal computo, sicché la rendita INAIL, non essendo stata esclusa, non può non essere conteggiata ai suddetti fini.

Tale interpretazione, che trova riscontro anche nella successiva sentenza della Corte di cassazione 2 febbraio 2006, n. 2312, è condivisa dal giudice a quo che, sulla base di essa, solleva la questione, precisando, quanto alla rilevanza, che l’accoglimento dell’appello dipende esclusivamente dall’eventuale esclusione della rendita INAIL del coniuge dell’appellante dai redditi rilevanti per la concessione della provvidenza di cui si discute, non essendo in contestazione il fatto che, senza considerare tale entrata, il limite reddituale stabilito dalla legge non sia stato superato.

Quanto al merito della questione, la Corte remittente sostiene che la disposizione censurata si pone in contrasto con l’art. 3 Cost. poiché, a parità di risorse patrimoniali e di grado di inabilità, riserva un trattamento deteriore al titolare di rendita INAIL con moglie a carico rispetto al titolare della suddetta rendita senza moglie a carico, essendo il primo obbligato a destinare al mantenimento del coniuge risorse che il secondo può, invece, riservare alla funzione, prevista dalla legge, di compensare il proprio stato di inabilità al lavoro.

Ciò comporterebbe anche la violazione dell’art. 38 Cost., dato che, conseguentemente, la rendita in argomento non sarebbe più utilizzata, almeno in parte, per fornire al soggetto inabile al lavoro i mezzi necessari per vivere.

Gli invocati parametri sarebbero anche violati sotto altro profilo e, cioè, perché verrebbe riservato al soggetto che si trova nelle condizioni di aspirare ad ottenere l’assegno sociale, il cui coniuge sia titolare di rendita INAIL in quanto inabile al lavoro (quale è l’attuale appellante), un trattamento penalizzante rispetto all’aspirante all’assegno sociale con il medesimo livello di reddito il cui coniuge non percepisca la suddetta rendita, non essendo invalido.

2.— Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito INPS, concludendo per l’inammissibilità e l’infondatezza della questione.

L’Istituto osserva che il legislatore, nel fissare per l’assegno sociale un presupposto reddituale di carattere generale e tendenzialmente comprensivo di ogni entrata, ha inteso attribuire alla suddetta provvidenza una specifica funzione di contrasto della situazione di indigenza dei cittadini ultrasessantacinquenni, accentuando l’analoga connotazione della pensione sociale. Anche per l’attribuzione di tale pensione era prevista, ai fini del requisito reddituale, la computabilità delle «rendite o prestazioni economiche previdenziali ed assistenziali […] erogate con carattere di continuità dallo Stato o da altri enti pubblici o da Stati esteri». Tra queste prestazioni erano comprese anche le pensioni di guerra e questa Corte ha dichiarato l’infondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale. È stata, inoltre, dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della disposizione che vietava il cumulo della pensione sociale con la rendita INAIL. In tutte queste occasioni è stato posto l’accento soprattutto sulla natura assistenziale della pensione sociale, evidenziata dal fatto di essere posta a carico dello Stato, e si è, inoltre, sottolineato che compete al legislatore, nell’ambito della propria discrezionalità, l’individuazione del relativo requisito reddituale e che, comunque, la percezione di rendite o prestazioni economiche previdenziali ed assistenziali rappresenta un elemento valido a differenziare, non irragionevolmente, chi ne beneficia rispetto a chi non può giovarsene e, quindi, a parità di altre condizioni, risulta maggiormente meritevole dell’intervento assistenziale. Questi stessi argomenti, validi anche per l’assegno sociale, inducono a ritenere la presente questione – secondo l’INPS – inammissibile o infondata, in considerazione del fatto che le censure della Corte di appello remittente, sia pure formulate in modo originale e suggestivo, non prospettano argomenti nuovi rispetto a quelli già esaminati.

3.— E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, ugualmente, ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità e/o di non fondatezza della questione.

L’interveniente sostiene, anzitutto, che la questione è stata formulata in termini generici, in quanto il remittente non ha specificato se ha inteso invocare il primo o il secondo comma dell’art. 38 Cost. e le due suddette norme costituzionali sono «totalmente diverse e autonome tra loro».

Comunque, anche qualora il riferimento si intendesse effettuato al secondo comma dell’art. 38 Cost., la questione dovrebbe essere dichiarata infondata sulla base della giurisprudenza di questa Corte che ha esaminato la normativa secondo la quale la pensione di guerra é da computare ai fini della pensione sociale.

Anche i profili di censura riferiti al principio di uguaglianza sarebbero da considerare privi di fondamento, data la diversità delle situazioni poste a confronto.

Né, infine, si dovrebbe omettere di considerare che la disposizione di cui si discute è contenuta nella legge n. 335 del 1995 di riforma del sistema pensionistico la quale, come sottolineato anche dalla giurisprudenza costituzionale, si caratterizza, innanzitutto, per i dichiarati obiettivi di contenimento della spesa previdenziale.

Considerato in diritto

1.— La Corte è a chiamata scrutinare, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare).

Secondo la Cortedi appello di Torino – davanti alla quale pende un giudizio per l’accertamento del diritto all’assegno sociale di una ultrasessantacinquenne la cui domanda in primo grado è stata rigettata per difetto del requisito reddituale in quanto, computando la rendita INAIL percepita dal marito della ricorrente, veniva superato il limite di legge – la disposizione impugnata contrasta con i parametri costituzionali evocati per diverse ragioni.

Il giudice a quo premette che la disposizione impugnata è suscettibile soltanto dell’interpretazione fornita dal giudice di primo grado, di recente condivisa dalla Corte di cassazione, secondo la quale la rendita INAIL, non essendo compresa nel tassativo elenco dei redditi esclusi dal computo, deve essere considerata nella determinazione del reddito.

La rilevanza della questione è motivata dalla circostanza che soltanto quello reddituale è il requisito mancante e ciò è dovuto all’inclusione  della rendita INAIL del coniuge della ricorrente.

Secondo la Corte remittente la suddetta inclusione comporta che la rendita INAIL, almeno in parte, sia distolta dalla funzione – conforme ai precetti dell’art. 38 Cost. – di compensare lo stato di inabilità al lavoro del soggetto che abbia subito un infortunio sul lavoro o abbia contratto una malattia professionale e, pertanto, contrasta con i suddetti precetti. Inoltre, la disposizione in oggetto viene censurata anche per violazione dell’art. 3 Cost., in ragione della discriminazione che determina ai danni dei fruitori della rendita INAIL con coniuge a carico rispetto ai titolari della suddetta prestazione che non si trovano in tale situazione e, di converso, tra gli aspiranti all’assegno sociale, a seconda che il coniuge sia o meno titolare della prestazione medesima.

2.— La motivazione sulla interpretazione della norma censurata e sulla rilevanza non è implausibile.

Si deve, inoltre, osservare, sempre ai fini dell’ammissibilità della questione, che, valutando l’ordinanza nel suo complesso di motivazione e dispositivo, il prospettato dubbio, sia pure formalmente e letteralmente diretto all’intero comma 6 dell’art. 3 della legge n. 335 del 1995, in realtà va circoscritto ad una delle norme da esso desumibili, e, cioè, a quella concernente i requisiti reddituali e, specificamente, la ricomprensione, tra le entrate da computare, anche della rendita INAIL del coniuge dell’interessato.

In particolare, nessuna doglianza viene mossa alla regola generale, la quale, ai fini della determinazione del requisito reddituale per l’attribuzione della prestazione assistenziale in argomento, stabilisce che, in caso di soggetto coniugato, è al reddito coniugale che occorre far riferimento.

3.— Individuati, in tal modo, i termini della questione, essa va dichiarata non fondata.

E’ opportuno premettere che la disposizione attualmente censurata è stata già oggetto di scrutinio alla stregua degli stessi parametri, anche se in riferimento al limite di reddito individuale dei soggetti divenuti invalidi dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età.

La questione fu ritenuta non fondata con la sentenza n. 400 del 1999.

In quell’occasione la Corte rilevò, anzitutto, che non era pertinente il richiamo alla sentenza n. 88 del 1992 – con la quale era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale «dell’art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, […] come modificato dall’art. 3 del decreto-legge 2 marzo 1974, n. 30, convertito nella legge 16 aprile 1974, n. 114 e dall’art. 3 della legge 3 giugno 1975, n. 160, nella parte in cui, nell’indicare il limite di reddito cumulato con quello del coniuge, ostativo al conseguimento della pensione sociale, non prevede un meccanismo differenziato di determinazione per gli ultrasessantacinquenni divenuti invalidi» – in quanto nella fattispecie all’origine del giudizio e della questione di costituzionalità venivano in rilievo considerazioni non attinenti al reddito cumulato, ma altre pertinenti ed ancor valide nel caso in esame.

In particolare, si sottolineò che, ad impedire di estendere all’assegno sociale le valutazioni della sentenza n. 88 del 1992, era – più ancora che l’attinenza delle stesse al limite di reddito cumulato – il quadro complessivo della riforma in cui s’inseriva la nuova prestazione assistenziale, prevista dall’ordinamento per coloro che versano in situazione di indigenza. Riforma, operata con la legge n. 335 del 1995 in attuazione dell’art. 38 Cost., caratterizzata, innanzitutto, dai dichiarati obiettivi di contenimento della spesa previdenziale, oggetto di un bilanciamento in parte discrezionalmente effettuato dal legislatore del 1995 e in parte demandato a provvedimenti delegati (si veda il punto 5 del Considerato in diritto).

A siffatte considerazioni si può aggiungere che le argomentazioni dell’attuale remittente si fondano sull’implicito presupposto per cui la rendita INAIL non può che essere integralmente destinata ai bisogni personali dell’inabile e, più in particolare, a quelli che l’inabilità provoca, e che tale specifica destinazione è oggetto di garanzia costituzionale.

Ma tale assunto non può essere condiviso.

La rendita INAIL trova il proprio fondamento in particolari fattispecie e nei bisogni da queste sorti per l’inabilità al lavoro derivatane (si veda, per tutte, la sentenza n. 297 del 1999

); in seguito, però, come le altre prestazioni previdenziali, può avere la destinazione che il titolare vuole o deve darle, anche in adempimento di doveri familiari, a seconda della concreta situazione che, in presenza di una condizione di non inabilità, sarebbero soddisfatti con i corrispettivi dell’attività lavorativa.

Del resto, in più occasioni questa Corte ha affermato che il legislatore – sul presupposto che «a determinati e comuni bisogni di vita possa essere data soddisfazione con le risorse del coniuge, nel contesto della solidarietà familiare» – può, nel prevedere interventi di tipo previdenziale o assistenziale, far riferimento ai redditi del coniuge dell’interessato, purché l’importo dei redditi cumulati preso in considerazione ai fini dell’esclusione sia adeguatamente superiore a quello dei redditi propri del soggetto (sentenze n. 127 del 1997 e n. 395 del 1999, nonché ordinanza n. 204 del 1998). E ciò accade nel caso di specie, visto che l’art. 3, comma 6, di cui si discute, stabilisce che «se il soggetto possiede redditi propri l’assegno è attribuito in misura ridotta fino alla concorrenza» dell’importo stabilito, se il soggetto non è coniugato, «ovvero fino al doppio del predetto importo», nel caso di soggetto coniugato.

Va, inoltre, ribadito che compete al legislatore, nell’ambito della propria discrezionalità, determinare i requisiti reddituali che condizionano l’erogazione della prestazioni economiche assistenziali e previdenziali e che, soprattutto sul versante delle misure assistenziali, è auspicabile «il miglioramento e la razionalizzazione del sistema, al fine di rendere più efficace la tutela dei diritti di cui all’art. 38 Cost.» (ordinanza n. 98 del 2002).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2008.