ORDINANZA N. 204
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto: dell'art. 6, primo comma, lettera b), del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638; dell'art. 4, comma 1, lettera b) (esattamente: dell'art. 4, comma 1) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall'art. 11, comma 38, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), e dall'art. 2, comma 14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare); dell'art. 3, comma 1, lettera s), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale); promosso con ordinanza emessa il 6 maggio 1997 dal Pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Lucia Dal Bianco e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), iscritta al n. 453 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di costituzione dell’INPS nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 aprile 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 6 maggio 1997 nel corso di un giudizio promosso dalla titolare di pensione diretta che chiedeva la condanna dell’Istituto nazionale della previdenza sociale a corrisponderle l’integrazione al trattamento minimo, il Pretore di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle norme che attribuiscono rilievo, ai fini del riconoscimento di tale integrazione, al reddito del coniuge dell’assicurato, escludendo il diritto all’integrazione stessa nel caso di persona coniugata, non legalmente ed effettivamente separata, che sia titolare di redditi propri per un importo inferiore a due volte l’ammontare annuo del trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, ma che sia tuttavia titolare di redditi, cumulati con quelli del coniuge, per un importo superiore a quattro volte il trattamento minimo (con elevazione del limite a cinque volte il trattamento minimo per i lavoratori andati in pensione successivamente al 31 dicembre 1993 e fino al 31 dicembre 1994);
che il Pretore di Genova dubita che possa essere in contrasto con gli artt. 3, 31, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione avere attribuito rilievo, ai fini dell'integrazione della pensione al trattamento minimo, ai redditi del coniuge e non solo ai redditi propri del titolare della pensione, e denuncia specificamente il combinato disposto: dell'art. 6, primo comma, lettera b), del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638; dell'art. 4, comma 1, lettera b) (esattamente: dell'art. 4, comma 1) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall'art. 11, comma 38, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), e dall'art. 2, comma 14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare); dell'art. 3, comma 1, lettera s), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale);
che il giudice rimettente ritiene che il trattamento pensionistico, costituendo un prolungamento, a fini previdenziali, della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, debba essere proporzionato alla qualità e quantità di lavoro prestato e debba assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori consentendo loro di mantenere il tenore di vita conseguito nel corso dell'attività lavorativa (artt. 38, secondo comma, e 36 Cost.). L'istituto dell'integrazione della pensione al trattamento minimo sarebbe diretto a garantire ai lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita quando il calcolo della pensione in base ai contributi accreditati risulti, in mancanza di altri redditi, inferiore al necessario; tale istituto non avrebbe natura assistenziale, bensì previdenziale, sicchè la valutazione dello stato di bisogno o di non abbienza dovrebbe essere effettuata con riferimento al singolo lavoratore e non al suo nucleo familiare;
che, ad avviso del Pretore di Genova, le disposizioni denunciate determinerebbero, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, una palese irrazionalità ed una ingiustificata disparità di trattamento tra titolari di pensione diretta con identica posizione contributiva, i quali percepirebbero o meno l'integrazione della pensione al trattamento minimo a seconda del reddito del coniuge, senza che si tenga in alcun modo conto dei redditi dell'intero nucleo familiare in relazione al numero di persone che lo compongono. Inoltre sarebbero favorite le famiglie di fatto e le separazioni tra coniugi, in violazione dell'obbligo di agevolare con misure economiche la formazione della famiglia (art. 31, primo comma, Cost.);
che si é costituito in giudizio l’Istituto nazionale della previdenza sociale, chiedendo che la questione, analoga a quella decisa con la sentenza n. 127 del 1997, sia dichiarata non fondata;
che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ricordando la sentenza n. 127 del 1997 e chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile.
Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, analoga questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento ai medesimi parametri dallo stesso Pretore di Genova, é stata dichiarata non fondata (sentenza n. 127 del 1997);
che l’integrazione della pensione al minimo non costituisce una maggiorazione stabile e permanente del trattamento pensionistico calcolato in base ai contributi versati ed agli anni di servizio prestato, bensì una prestazione eventuale e variabile nel tempo che integra un intervento solidaristico diretto a far fronte alle esigenze di vita del titolare della pensione e della sua famiglia; in relazione a tale caratteristica esso é determinato dal legislatore, che può, tenendo conto delle risorse finanziarie disponibili, condizionare l’attribuzione e l’ammontare dell’integrazione della pensione contributiva agli altri redditi del pensionato e della sua famiglia, senza che ne risultino violati gli artt. 38 e 36 della Costituzione;
che, nel prevedere un intervento solidaristico integrativo, il legislatore ha, non irragionevolmente, considerato il reddito dei coniugi, sui quali solitamente gravano gli oneri relativi alle esigenze di vita della famiglia, ed ha determinato l’importo dei redditi cumulati che escludono l’integrazione in misura adeguatamente superiore a quella dei redditi propri del pensionato che determinano analoga esclusione;
che l’ordinanza di rimessione non prospetta profili o argomenti nuovi rispetto a quelli già esaminati da questa Corte, sicchè la questione nuovamente sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto: dell'art. 6, primo comma, lettera b), del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638; dell'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall'art. 11, comma 38, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), e dall'art. 2, comma 14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare); dell'art. 3, comma 1, lettera s), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale); sollevata, in riferimento agli artt. 3, 31, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Genova con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Cesare MIRABELLI
Depositata in cancelleria il 3 giugno 1998.