Ordinanza n. 98 del 2002

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ORDINANZA N. 98

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), promosso con ordinanza emessa il 10 marzo 1999 dal Tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra l’ Istituto nazionale della previdenza sociale e Cellini Ada, iscritta al n. 25 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2002 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi l’avvocato Alessandro Riccio per l’INPS e l’Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che nel corso di una controversia previdenziale in grado di appello il Tribunale di Pisa, con ordinanza emessa il 10 marzo 1999 e pervenuta alla Corte il 3 gennaio 2001, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), nella parte in cui, "nell’indicare il limite di reddito proprio del soggetto non coniugato, ostativo al conseguimento della pensione sociale, non prevede un meccanismo differenziato di determinazione per gli ultrasessantacinquenni divenuti invalidi";

che il remittente ha osservato che l’appellata nel giudizio a quo, riconosciuta invalida dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età, disponendo di un reddito superiore a quello richiesto per ottenere la pensione sociale (ma ampiamente inferiore a quello stabilito per la pensione di invalidità civile), si era vista respingere dall’Istituto nazionale della previdenza sociale la domanda diretta a conseguire tale provvidenza;

che, promosso successivamente il giudizio di primo grado nei confronti dell’ente previdenziale, il Pretore aveva accolto la domanda, richiamando la ratio della sentenza di questa Corte n. 88 del 1992, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma oggi impugnata nella parte in cui, nell’indicare il limite di reddito cumulato con quello del coniuge, ostativo al conseguimento della pensione sociale, non prevedeva un meccanismo differenziato per gli ultrasessantacinquenni divenuti invalidi;

che il primo giudice aveva ritenuto che l’ipotesi di titolarità di un unico reddito accentuasse lo stato di bisogno rispetto al caso esaminato dalla Corte ed aveva ravvisato una lacuna normativa colmabile fissando un limite di reddito pari al doppio di quello richiesto per la pensione sociale ordinaria;

che, proposto appello dall’INPS avverso la sentenza di primo grado, il Tribunale remittente esclude di poter condividere il ragionamento svolto dal Pretore, poichè la citata sentenza costituzionale si limita a prendere in esame il caso di cumulo dei redditi fra coniugi, rimanendo invece escluso il diverso caso (in questione) nel quale si controverte di redditi individuali di un soggetto ultrasessantacinquenne divenuto anche invalido;

che la norma impugnata non pare al giudice a quo suscettibile di interpretazione estensiva, dovendosi ritenere che la soglia di reddito ostativa al conseguimento della pensione sociale nei confronti del soggetto sano sia la medesima valevole nei confronti del soggetto invalido; donde la rilevanza della questione, derivante dal fatto che l’appello dell’INPS dovrebbe essere accolto, in assenza di una nuova sentenza di illegittimità costituzionale da parte di questa Corte;

che, sulla base di tali premesse, il Tribunale di Pisa ritiene non manifestamente infondata la prospettata questione, in quanto le ragioni addotte dalla Corte a sostegno della sentenza n. 88 del 1992 dovrebbero a fortiori valere nel caso in esame, anche qui realizzandosi un’equiparazione arbitraria del soggetto invalido a quello sano, laddove la previsione di differenziati livelli reddituali si imporrebbe per la diversità delle situazioni, a seconda che all’età avanzata si accompagni il solo bisogno economico, ovvero anche la necessità di cura ed assistenza conseguente al sopravvenuto stato di invalidità;

che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità della questione;

che si é costituito davanti a questa Corte l’INPS, appellante nel giudizio a quo, chiedendo alla Corte di dichiarare non fondata la prospettata questione.

Considerato che il giudice remittente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge 30 aprile 1969 n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), in relazione agli artt. 3 e 38 Cost., nella parte in cui, nell’indicare il limite di reddito proprio del soggetto non coniugato ostativo al conseguimento della pensione sociale, non prevede un meccanismo differenziato di determinazione per gli ultrasessantacinquenni divenuti invalidi;

che, per motivare la non manifesta infondatezza della questione, il remittente invoca la sentenza n. 88 del 1992, con la quale questa Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale della medesima disposizione ora denunciata nella parte in cui, nell’indicare il limite di reddito cumulato con quello del coniuge, ostativo al conseguimento della pensione sociale, non prevedeva un meccanismo differenziato di determinazione per gli ultrasessantacinquenni divenuti invalidi;

che l’interpretazione della suindicata sentenza fornita dal giudice a quo non tiene conto della sua complessità e perviene quindi a un’inesatta individuazione della sua ratio;

che in tale pronuncia la Corte, pur osservando che la condizione di chi dopo il compimento del sessantacinquesimo anno era divenuto invalido era naturalisticamente diversa da quella dei soggetti di pari età non invalidi, ha precisato che l’illegittimità della norma derivava dall’attribuzione degli oneri di assistenza, che l’invalidità comporta, al coniuge dell’invalido ultrasessantacinquenne, "senza una valutazione differenziata del ragionevole punto di equilibrio circa il concorso tra la solidarietà coniugale e quella collettiva";

che il punto centrale di quella sentenza, quindi, non é tanto la condizione dell’ultrasessantacinquenne divenuto invalido, quanto piuttosto quella del coniuge, gravato di maggiori oneri di assistenza in conseguenza della sopravvenuta invalidità;

che nella stessa sentenza, infatti, la Corte ha considerato non irragionevole, ai fini della determinazione del requisito reddituale per l’attribuzione della pensione sociale, il diverso regime normativo a seconda che l’invalidità si fosse manifestata prima o dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età, pur nell’indistinguibilità della situazione finale (cfr. anche le sentenze n. 196 del 1995 e n. 769 del 1988);

che successivamente questa Corte, scrutinando la legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 – riguardante le condizioni reddituali individuali di accesso alla nuova misura dell’assegno sociale, sostitutiva della pensione sociale – ha avuto modo di precisare (sentenza n. 400 del 1999) che le argomentazioni che sorreggono la sentenza n. 88 del 1992 non sono automaticamente estensibili alle disposizioni sul limite reddituale individuale, poichè la citata pronuncia di accoglimento si basa essenzialmente su di un bilanciamento tra la solidarietà esistente all’interno del nucleo familiare e quella collettiva;

che, come già rilevato dalla sentenza n. 400 del 1999, mentre l’assegno sociale (e, in precedenza, la pensione sociale) sopperisce ai bisogni propri di chi a causa dell’età non é più in grado di provvedere al loro soddisfacimento, é con altre prestazioni e benefici che il legislatore deve soccorrere le persone invalide;

che é sul versante delle misure assistenziali per gli invalidi anziani che va auspicato il miglioramento e la razionalizzazione del sistema, al fine di rendere più efficace la tutela dei diritti di cui all’art. 38 Cost.;

che il regime legislativo del requisito reddituale "cumulato", quale risultante della citata sentenza additiva di principio n. 88 del 1992, non può essere considerato valido tertium comparationis per la risoluzione della questione in esame, la quale, pertanto, deve ritenersi manifestamente infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Pisa con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2002.