Sentenza n. 306 del 2008

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 306

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                              Presidente

-    Giovanni Maria           FLICK                             Giudice

-    Francesco                  AMIRANTE                          "

-    Ugo                          DE SIERVO                          "

-    Paolo                        MADDALENA                      "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                   "

-    Alfonso                     QUARANTA                        "

-    Franco                      GALLO                                "

-    Luigi                         MAZZELLA                          "

-    Gaetano                     SILVESTRI                          "

-    Sabino                       CASSESE                             "

-    Maria Rita                 SAULLE                               "

-    Giuseppe                   TESAURO                            "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                     "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9 della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione all’art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, promosso dal Tribunale di Brescia nel procedimento civile vertente tra S. T. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ed altro, con ordinanza del 15 gennaio 2007 iscritta al n. 615 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 giugno 2008 il Giudice relatore Francesco Amirante;

udito l’avvocato Nicola Valente per l’INPS e l’avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di una controversia in materia di assistenza obbligatoria, promossa da una cittadina albanese nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Tribunale di Brescia, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 11, 32, 35, 38 e 117, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9 della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione all’art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18: a) in via principale, nella parte relativa all’inibizione della fruizione delle provvidenze assistenziali, e in particolare dell’indennità di accompagnamento, allo straniero, stabilmente e regolarmente presente nel territorio nazionale, ma privo della carta di soggiorno, in quanto in condizioni di salute che lo rendono totalmente inidoneo al lavoro e gli impediscono, quindi, di produrre un reddito sufficiente per mantenere se stesso e i suoi familiari; b) in via subordinata, nella parte relativa alla subordinazione dell’erogabilità allo straniero – regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno sei anni e titolare di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi – alla condizione  reddituale richiesta per la carta di soggiorno.

Espone il giudice a quo che la ricorrente, coniugata con due figlie minori e presente nel territorio nazionale da più di sei anni, a seguito di un incidente stradale versa in stato di coma vegetativo e, conseguentemente, il 24 marzo 2005 ha presentato domanda per il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento la quale, in sede amministrativa, è stata respinta in quanto, pur essendole stato riconosciuto il possesso dei prescritti requisiti sanitari, si è rilevata la mancanza della titolarità della carta di soggiorno (della quale non può ottenere il richiesto rilascio per mancanza del requisito reddituale), che, a partire dal 1° gennaio 2001, il censurato art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 richiede per l’attribuzione della provvidenza in oggetto.

Conseguentemente, ha rinnovato la domanda in sede giudiziaria, previa proposizione della questione di legittimità costituzionale relativa alla richiamata disposizione, chiedendo, altresì, l’adozione di un provvedimento di urgenza ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ. al fine di ottenere, in via cautelare, la condanna dell’INPS al pagamento della prestazione in oggetto con decorrenza dalla data della domanda presentata in sede amministrativa.

Il Tribunale adito, dopo aver accertato in via istruttoria il possesso da parte della ricorrente dei prescritti requisiti sanitari e l’onerosità del suo attuale ricovero presso una struttura sanitaria (la cui retta è a carico della famiglia dell’infortunata), ha accolto l’istanza cautelare e, con il medesimo provvedimento, ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale di cui si tratta.

Quanto alla rilevanza, il remittente osserva che, nella specie, il diniego della provvidenza costituisce un atto dovuto in applicazione del censurato art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, sicché soltanto la declaratoria di illegittimità costituzionale di tale norma potrebbe consentire l’accoglimento della domanda giudiziale.

In relazione al merito delle questioni, il giudice a quo sostiene, in primo luogo, che la normativa censurata viola gli artt. 2, 3 e 38 Cost. in quanto condiziona la fruizione di provvidenze di carattere universalistico, poste a tutela di diritti fondamentali della persona – quali sono quelle dell’assistenza sociale, tra le quali rientra l’indennità di accompagnamento – al possesso di un requisito – la titolarità della carta di soggiorno – inidoneo a fungere da elemento discriminante. Infatti, la principale diversità tra la carta e il permesso di soggiorno è rappresentata dalla dimostrazione – richiesta solo per la prima, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 9 della legge n. 189 del 2002 – di un reddito sufficiente per il sostentamento dello straniero e dei suoi familiari, sicché la scelta del legislatore appare non solo irrispettosa dei valori di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., ma anche contraddittoria sul piano logico e contrastante con le finalità proprie dell’assistenza, quali emergono dall’art. 38 Cost., dal momento che comporta il riconoscimento delle relative provvidenze ai soggetti economicamente autosufficienti, mentre lo esclude proprio per le ipotesi nelle quali la situazione di bisogno è più intensa.

Né tale scelta può fondarsi sul principio di reciprocità dei rapporti internazionali, visto che il legislatore italiano ha fatto propria le regola dell’universalità dei diritti umani, come si desume dall’art. 10, primo comma, Cost. (ove si afferma che l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute), dall’art. 11 Cost. (ove è stabilito che la Repubblica promuove e favorisce le organizzazioni rivolte allo scopo della costituzione di un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni) e dall’art. 35 Cost. (secondo il quale la Repubblica promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro). Da questi tre parametri – e, in particolare, dagli ultimi due – si dovrebbe desumere che al nostro legislatore è inibito di introdurre norme che neghino l’esercizio di diritti riconosciuti dalle convenzioni internazionali in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale. Ciò, invece, si verifica nella specie, visto che l’art. 6 della Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n. 97 del 1949 (ratificata e resa esecutiva dalla legge 2 agosto 1952, n. 1305) vincola gli Stati aderenti ad assicurare agli immigrati trattamenti in materia di sicurezza sociale non meno favorevoli di quelli riconosciuti ai propri cittadini e l’art. 10 della Convenzione OIL n. 143 del 1975 (ratificata e resa esecutiva dalla legge 10 aprile 1981, n. 158) garantisce ai lavoratori migranti parità di opportunità e di trattamento anche in materia di sicurezza sociale.

Va, inoltre, considerato che, sulla base di quanto stabilito dai primi tre commi dell’art. 2 e dall’art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998, l’indennità di accompagnamento di cui all’art. 1 della legge n. 18 del 1980 – al pari del trattamento di inabilità civile di cui all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 – rientra tra le provvidenze che, in presenza dei relativi presupposti di carattere sanitario, devono essere riconosciute a chiunque, purché legittimamente presente in modo stabile sul territorio nazionale.

2.— Si è costituito dinanzi a questa Corte l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile ovvero infondata.

Ricorda l’Istituto che l’art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998 aveva previsto per gli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno per durata non inferiore all’anno l’equiparazione ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e prestazioni di assistenza sociale, incluse quelle previste in favore di ciechi, sordomuti ed invalidi civili. Successivamente, l’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 ha stabilito che le provvidenze economiche in favore dei minorati civili spettano soltanto agli stranieri titolari di carta di soggiorno, mentre nei confronti degli stranieri titolari di permesso di soggiorno è fatto salvo esclusivamente il godimento delle altre prestazioni sociali, ivi compreso l’assegno di maternità. In tal modo il legislatore è intervenuto, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge n. 388 del 2000, nel senso di restringere le condizioni di accesso a determinate prestazioni assistenziali e di far venir meno, sulla base di un chiaro parametro di riferimento, l’equiparazione degli stranieri titolari di permesso di soggiorno ai cittadini italiani.

Tale scelta, secondo l’INPS, non sarebbe di per sé incostituzionale, in quanto, come chiarito da questa Corte, al legislatore è consentito dettare norme che modificano in senso meno favorevole la disciplina dei rapporti di durata (sentenza n. 324 del 2006) e, quindi, mutare i requisiti per la percezione delle prestazioni previdenziali o assistenziali, tanto più che lo stesso fluire del tempo costituisce un elemento idoneo a giustificare l’applicazione di trattamenti diversi, in differenti momenti temporali, a soggetti appartenenti alla medesima categoria.

D’altra parte, non vi sarebbe alcuna illegittimità nel differenziare le suddette prestazioni assumendo come criterio quello di favorire i soggetti che hanno una maggiore stabilità di residenza nel nostro Paese, tanto più che l’art. 80, comma 19, oggetto di contestazione, è stato dettato per evidenti finalità di contenimento della spesa pubblica.

3.— È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e la non fondatezza della questione.

Alla prima conclusione potrebbe pervenirsi, in primo luogo, per il fatto che l’ordinanza di rimessione è carente di motivazione sulla rilevanza, non essendovi descritta in modo esauriente la fattispecie sub iudice. Infatti, il giudice a quo omette di riferire: a) se la ricorrente sia dotata di un titolo – diverso dalla carta di soggiorno – che ne legittimi la permanenza in Italia; b) se il coniuge della ricorrente sia o meno titolare di permesso o di carta di soggiorno; c) se, quindi, la ricorrente sia in condizione di ottenere la richiesta indennità in conseguenza del suo status di coniuge di soggetto regolarmente soggiornante in Italia, in applicazione di una norma diversa da quella oggetto della sollevata questione (cioè l’art. 30 del d.lgs. n. 286 del 1998).

Alla medesima conclusione potrebbe giungersi anche sul rilievo che il remittente ha omesso di sperimentare la possibilità di concedere il beneficio sulla base di una diversa interpretazione della normativa censurata, come è stato fatto, per la stessa e consimili provvidenze, da altri giudici di merito.

Inoltre, anche la motivazione sulla non manifesta infondatezza sarebbe carente, essendo generico il richiamo degli invocati parametri costituzionali, sicché, pure per questa ragione, si potrebbe arrivare ad un declaratoria di inammissibilità.

Nel merito, la questione non sarebbe comunque fondata.

In linea generale, la determinazione dei presupposti cui ricollegare la spettanza del  beneficio in argomento è di competenza del legislatore, le cui scelte discrezionali, nella specie, non sono sindacabili in questa sede non essendo palesemente irragionevoli.

Del resto, al legislatore è consentito limitare l’accesso dei cittadini extracomunitari a determinati benefici riconosciuti ai cittadini italiani – anche se, in ipotesi, ciò possa comportare una parziale compressione di diritti coperti da garanzia costituzionale – tutte le volte in cui sia necessario – principalmente per la scarsezza delle risorse disponibili – operare una scelta di prevalenza tra posizioni giuridiche concorrenti, tutte parimenti costituzionalmente tutelate. In questa ottica appare del tutto comprensibile che la platea dei beneficiari sia stata, nella specie, ridotta ai cittadini italiani e agli stranieri che abbiano un rapporto serio e duraturo con la Stato italiano, rapporto oggi rappresentato dalla situazione che consente il rilascio del permesso di soggiorno per i soggiornanti di lungo periodo.

Comunque, il riferimento all’art. 2 Cost. sarebbe – per l’interveniente – del tutto inconferente, visto che il riconoscimento dell’indennità in oggetto sicuramente non rientra tra i diritti inviolabili della persona ovvero tra i doveri inderogabili di solidarietà sociale, né pone in discussione un preteso diritto di reciprocità, in quanto si tratta di una provvidenza peculiare della legislazione italiana e che non trova riscontro nelle legislazioni di tanti altri Paesi.

Altrettanto ultroneo sarebbe il richiamo all’art. 3 Cost., perché una differenza di trattamento tra diverse categorie di cittadini extracomunitari ben può essere giustificata dal possesso di differenti titoli di soggiorno, «espressione di una diversa affectio societatis».

Impropria sarebbe anche l’invocazione degli artt. 32 e 35 Cost., che si occupano di diritti diversi da quello in contestazione, mentre il richiamo all’art. 38 Cost. (peraltro, non presente nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione) sarebbe generico e, comunque, privo di fondamento, dal momento che la suddetta norma, di carattere programmatico, non comprende la pretesa ad ogni trattamento assistenziale, ma si limita a garantire una tutela minima, anche se adeguata alle esigenze di vita, nella quale non sembra rientrare l’indennità di accompagnamento.

Neppure persuasivo sarebbe il riferimento alle disposizioni costituzionali disciplinanti l’adeguamento del nostro ordinamento agli accordi internazionali e, in particolare, alle convenzioni OIL, in quanto da tali atti non nascono posizioni soggettive direttamente tutelabili dinanzi al giudice nazionale.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale di Brescia, in riferimento agli articoli 2, 3, 10, 11, 32, 35, 38 e 117, primo comma, della Costituzione, sospetta di illegittimità costituzionale l’articolo 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e l’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9 della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione all’art. l della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili).

Il remittente espone di essere stato adito da una cittadina albanese, regolarmente soggiornante in Italia da oltre sei anni, coniugata con due figlie e totalmente inabile al lavoro, in stato di coma vegetativo a seguito di incidente stradale, per ottenere la condanna dell’INPS, convenuto in giudizio insieme con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, a corrisponderle l’indennità di accompagnamento.

Il remittente premette in fatto che, ad esclusione del possesso della carta di soggiorno, ricorrono tutte le condizioni perché la ricorrente possa fruire della indennità e che ella non può ottenere la suddetta carta soltanto per la carenza dei requisiti di reddito per il sostentamento proprio e dei suoi familiari.

2.— Motivata in tal modo la rilevanza della questione, il remittente afferma anzitutto l’illogicità delle norme e l’ingiustificata disparità di trattamento, relativamente ad una provvidenza assistenziale, degli stranieri extracomunitari rispetto ai comunitari e, quindi, il contrasto con gli artt. 2 e 3, con riguardo anche agli artt. 32 e 38 della Costituzione.

Censura, inoltre, le disposizioni suindicate per violazione degli artt. 10, 11 e 117, primo comma, Cost., in particolare in riferimento alle Convenzioni OIL n. 97 del 1949 (ratificata e resa esecutiva dalla legge 2 agosto 1952, n. 1305) e n. 143 del 1975 (ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 158), le quali garantiscono ai lavoratori migranti parità di condizioni in materia di sicurezza sociale e, quindi, di godimento di prestazioni previdenziali e assistenziali; sostiene, altresì, la violazione dell’art. 10, primo comma, Cost., disposizione che sancisce l’adeguamento automatico dell’ordinamento interno alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute.

In subordine, richiamando gli stessi parametri, il remittente censura le medesime norme nella parte in cui subordinano la concessione dell’indennità di accompagnamento allo straniero extracomunitario, «regolarmente soggiornante in Italia da oltre sei anni, che sia in possesso di permesso di soggiorno che consente un numero indeterminato di rinnovi, alla condizione del possesso del reddito richiesto per la carta di soggiorno».

3.— L’INPS, costituitosi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità della questione o la sua infondatezza in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il legislatore può intervenire sulla disciplina dei rapporti di durata, dettando norme peggiorative riguardo alle posizioni soggettive ad essi inerenti e, a tal proposito, ha invocato la sentenza n. 324 del 2006.

4.— L’Avvocatura dello Stato ha, a sua volta, eccepito l’inammissibilità della questione perché il remittente non avrebbe espressamente motivato sul possesso da parte della ricorrente di un titolo giustificativo della sua presenza in Italia, né sulla impossibilità di ottenere la carta di soggiorno in quanto coniuge di persona che potrebbe essere titolare di carta di soggiorno.

5.— Le eccezioni di inammissibilità non possono essere accolte.

Quella dell’INPS non è sorretta da alcuna argomentazione, mentre quelle dell’Avvocatura dello Stato non tengono conto, da un lato, che nell’ordinanza di remissione si afferma espressamente che la disabile è regolarmente soggiornante in Italia da oltre sei anni e che la carta di soggiorno non può esserle rilasciata soltanto per carenza del requisito reddituale – circostanze che non risultano contestate specificamente nel giudizio a quo – dall’altro, che la disposizione prevedente il diritto alla carta di soggiorno per il coniuge di chi ne è titolare è stata soppressa con il sopravvenuto art. 2, comma l, del decreto-legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), anche a voler trascurare il rilievo che non è affermata, ma soltanto genericamente ipotizzata, la titolarità della carta di soggiorno in capo al marito della ricorrente.

6.— E’ necessaria, in via preliminare, la precisazione che il remittente formalmente propone due questioni, la seconda in subordine al mancato accoglimento della prima, ma, in effetti, per l’identità delle disposizioni censurate e dei parametri evocati, ne solleva una sola, limitandosi esclusivamente a prospettare due possibili dispositivi, diversi soltanto nella loro ipotizzata formulazione letterale, ma non nella sostanza, essendo, in realtà, diretti entrambi ad escludere – per ricondurre la normativa a legittimità costituzionale, in base alle medesime ragioni – la necessità, per l’attribuzione del diritto all’indennità di accompagnamento, della ricorrenza della condizione di percettore di un reddito idoneo a soddisfare le esigenze di sostentamento proprie e dei familiari.

7.— Ancora in via preliminare, va affermata la non implausibilità della motivazione sulla rilevanza.

Non viene in questione il diritto comunitario e la sua diretta applicabilità, perché la vicenda non vede coinvolta una pluralità di Stati membri, come specificamente richiesto dall’art. 1 del Regolamento (CE) n. 859/2003 del Consiglio, in data 14 maggio 2003.

A prescindere, quindi, dalla sua fondatezza, non è pertinente la tesi, pur seguita da alcuni giudici di merito, secondo la quale le disposizioni della CEDU che vietano discriminazioni tra cittadini e stranieri riguardo all’applicazione di norme inerenti alla sicurezza sociale, tra le quali rientrano quelle che prevedono prestazioni assistenziali, sarebbero entrate a far parte del diritto comunitario e sarebbero perciò direttamente applicabili.

D’altra parte, la diretta applicazione delle disposizioni della CEDU, in quanto tali, è da escludere, secondo quanto ritenuto da questa Corte nelle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, nonché n. 39 del 2008.

Né può pervenirsi ad un diverso risultato ipotizzando una diretta applicabilità delle convenzioni OIL, perché questa presuppone la condizione di lavoratore (o, quanto meno, di aspirante lavoratore, come si argomenta dalla richiamata sentenza n. 454 del 1998, oppure di familiare del lavoratore) dello straniero e, invece, nell’ordinanza di rimessione del Tribunale di Brescia non si fa menzione di tali condizioni.

8.— Per concludere l’esame dei profili preliminari, è necessario osservare che la sopravvenienza rispetto all’ordinanza di rimessione, depositata in cancelleria il 15 gennaio 2007, del d.lgs. n. 3 del 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 gennaio 2007, n. 24, non ha mutato, nella sostanza, i termini della questione, né inciso sulla sua rilevanza nel giudizio di provenienza.

Il provvedimento legislativo suddetto, infatti, per quanto qui interessa, nel novellare l’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, ha sostituito – con valenza generale ed immediata, ai sensi dell’art. 2, comma 3, dello stesso d.lgs. n. 3 del 2007 – il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo alla carta di soggiorno, riducendo da sei a cinque anni il periodo di permanenza in Italia e determinando, come requisiti reddituali, la titolarità di un reddito almeno non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e la disponibilità di un alloggio idoneo «che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio» (art. 9, comma 1, citato).

Poiché dalla descrizione della fattispecie contenuta nell’ordinanza di rimessione la titolarità del reddito suddetto in capo all’aspirante alla prestazione assistenziale è da escludere, non è necessario disporre la restituzione degli atti al giudice del giudizio di merito per un nuovo esame della rilevanza e dei termini della questione.

9.— Quest’ultima, da scrutinare quindi nel merito, è fondata.

E’ opportuno premettere che l’indennità di accompagnamento – spettante ai disabili non autonomamente deambulanti, o che non siano in grado di compiere da soli gli atti quotidiani della vita, per il solo fatto delle minorazioni e, quindi, indipendentemente da qualsiasi requisito reddituale – rientra nelle prestazioni assistenziali e, più in generale, anche nella terminologia adottata dalla Corte di Strasburgo, attiene alla “sicurezza o assistenza sociale”.

In tale ambito, questa Corte ha affermato che «le scelte connesse alla individuazione delle categorie dei beneficiari – necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie – debbano essere operate, sempre e comunque, in ossequio al principio di ragionevolezza», ma anche che al legislatore è consentito «introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una “causa” normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria» (sentenza n. 432 del 2005).

10.— Tutto ciò premesso, la Corte ritiene che sia manifestamente irragionevole subordinare l’attribuzione di una prestazione assistenziale quale l’indennità di accompagnamento – i cui presupposti sono, come si è detto, la totale disabilità al lavoro, nonché l’incapacità alla deambulazione autonoma o al compimento da soli degli atti quotidiani della vita – al possesso di un titolo di legittimazione alla permanenza del soggiorno in Italia che richiede per il suo rilascio, tra l’altro, la titolarità di un reddito.

Tale irragionevolezza incide sul diritto alla salute, inteso anche come diritto ai rimedi possibili e, come nel caso, parziali, alle menomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza. Ne consegue il contrasto delle disposizioni censurate non soltanto con l’art. 3 Cost., ma anche con gli artt. 32 e 38 Cost., nonché – tenuto conto che quello alla salute è diritto fondamentale della persona (vedi, per tutte, le sentenze n. 252 del 2001 e n. 432 del 2005) – con l’art. 2 della Costituzione.

Sotto tale profilo e per i medesimi motivi, la normativa censurata viola l’art. 10, primo comma, della Costituzione, dal momento che tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall’appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato.

Al legislatore italiano è certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l’ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia (da ultimo, sentenza n. 148 del 2008). E’ possibile, inoltre, subordinare, non irragionevolmente, l’erogazione di determinate prestazioni – non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza – alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata; una volta, però, che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini.

Le disposizioni censurate sono, pertanto, illegittime nella parte in cui – oltre ai requisiti sanitari e di durata del soggiorno in Italia e comunque attinenti alla persona, già stabiliti per il rilascio della carta di soggiorno ed ora (per effetto del d.lgs. n. 3 del 2007) del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, non sospettati di illegittimità dal remittente – esigono, ai fini dell’attribuzione dell’indennità di accompagnamento, anche requisiti reddituali, ivi compresa la disponibilità di un alloggio, avente le caratteristiche indicate dal nuovo testo dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 e poi sostituito dall’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 – nella parte in cui escludono che l’indennità di accompagnamento, di cui all’art. l della legge 11 febbraio 1980, n. 18, possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2008.