Sentenza n. 324 del 2006

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SENTENZA N. 324

ANNO 2006

 

Commento alla decisione di

Federico Girelli

 

L’inammissibilità utiliter data

(nella Rubrica Studi di Consulta OnLine)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                      Presidente

-      Giovanni Maria               FLICK                                      Giudice

-      Francesco                        AMIRANTE                                 "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (recte: dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189), in relazione all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), promossi dal Tribunale di Milano, nel procedimento civile vertente tra M. S. E. e il Comune di Milano ed altro, e dal Tribunale di Monza, nel procedimento civile vertente tra A. O. M. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ed altra, rispettivamente con ordinanze del 15 marzo 2004 e del 2 marzo 2005, iscritte ai nn. 514 del registro ordinanze 2004 e 424 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2004 e n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visti gli atti di costituzione di M. S. E., del Comune di Milano, dell’INPS, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 2006 e nella camera di consiglio del 5 luglio 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi gli avvocati Giuseppe S. Assennato e Vittorio Angiolini per M. S. E., Nicola Valente per l’INPS e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di una controversia in materia di assistenza obbligatoria, promossa da un cittadino egiziano nei confronti del Comune di Milano e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 32, 35, terzo comma, 38, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (recte: dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, come modificato dall’art. 9 della legge n. 189 del 2002), in relazione all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, nella parte in cui tale complesso normativo prevede la necessità del possesso della carta di soggiorno e della relativa condizione reddituale, affinché gli stranieri inabili civili possano fruire (o, quanto meno, continuare a fruire) della pensione di inabilità.

Espone il giudice a quo che il ricorrente, munito di permesso di soggiorno per lavoro dal 1991, aveva prestato in Italia lavoro subordinato per quasi tre anni ed era stato riconosciuto invalido civile al 100 per cento ai fini del trattamento economico di inabilità di cui all’art. 12 della legge n. 118 del 1971, e che, dopo aver percepito la pensione di inabilità dal settembre 1998 all’aprile 2001, si era visto sospendere l’erogazione del beneficio, nonostante la persistenza della inabilità, a causa della mancata presentazione della carta di soggiorno, considerata dall’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 requisito indispensabile per la concessione delle provvidenze economiche sopra indicate.

Osserva il remittente che il cittadino straniero, pur avendo richiesto la carta di soggiorno, non può ottenerla, giacché essa – in base al disposto dell’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dalla legge n. 189 del 2002 – viene attribuita allo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno sei anni, titolare di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, il quale dimostri di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari; reddito che il ricorrente, proprio a causa della sua inabilità, non è in grado di produrre.

Il giudice a quo – premesso, in punto di rilevanza, che un’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale delle censurate disposizioni comporterebbe il ripristino della pensione – ritiene l’impugnata normativa lesiva degli evocati parametri. I benefici economici di cui alla legge n. 118 del 1971, infatti, si inquadrano nell’ambito dell’assistenza sociale, prevista dall’art. 38 Cost. come uno strumento per assicurare tutela ai soggetti sprovvisti di reddito e menomati nella propria integrità psicofisica; simili provvidenze, costituendo diritti soggettivi attinenti a diritti fondamentali della persona, non sono suscettibili di subire diminuzioni nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato.

Il Tribunale di Milano, inoltre, ravvisa un contrasto tra la normativa censurata e l’art. 2 Cost., inteso come principio di solidarietà sociale, e l’art. 38, primo e secondo comma, Cost., specificamente riferito ai lavoratori in generale, a prescindere dal requisito della nazionalità o della cittadinanza.

Quanto all’art. 3 Cost., il remittente ravvisa una sua violazione sia in riferimento al principio di uguaglianza che a quello di razionalità. Il primo sarebbe leso per il fatto che agli stranieri verrebbe chiesto l’ulteriore requisito della titolarità della carta di soggiorno, con conseguente disponibilità di un certo livello di reddito; il secondo, invece, risulterebbe vulnerato perché la normativa in esame, anziché limitarsi a regolare per il futuro in modo difforme e più restrittivo per gli stranieri la materia dell’assistenza sociale, introduce senza alcuna graduazione dell’intervento normativo, disposizioni che determinano l’eliminazione di benefici assistenziali già concessi in base a diversi criteri normativi anteriormente vigenti.

Anche il precetto di tutela della salute, sancito all’art. 32 Cost. come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, appare al remittente leso dall’eliminazione di provvidenze nei confronti di stranieri divenuti inabili, senza apparenti ragioni di protezione di beni di pari o superiore livello.

Al Tribunale, infine, appaiono violati gli artt. 10, 35, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., poiché la Repubblica, favorendo accordi internazionali nella regolazione del lavoro e vincolandosi agli obblighi internazionali e alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, si adegua e conforma ai principi espressi da organizzazioni che perseguono fini di giustizia sociale e il riconoscimento dei diritti dell’uomo, quale l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) in relazione alla sicurezza sociale. Il giudice a quo richiama in proposito l’art. 6 della convenzione OIL n. 97 del 1949 (ratificata con legge 2 agosto 1952, n. 1305) che, in materia di sicurezza sociale, prescrive che all’immigrato sia assicurato un trattamento non meno favorevole di quello applicato dagli Stati ai propri cittadini, nonché l’art. 10 della convenzione OIL n. 143 del 1975 (ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158) che, per i lavoratori migranti, garantisce parità di opportunità e di trattamento anche in materia di sicurezza sociale.

2.— Si è costituito davanti a questa Corte lo straniero ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo, anche in una memoria depositata in prossimità dell’udienza, l’accoglimento della questione.

3.— Si è altresì costituito il Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, chiedendo che la prospettata questione venga dichiarata non fondata, sul principale rilevo secondo cui, essendo «innegabile che la posizione del cittadino è diversa da quella dello straniero», non appare irragionevole che il legislatore abbia posto come condizione per la fruizione della pensione di inabilità la presenza dello straniero nel territorio italiano, requisito di fatto cui il legislatore fa ricorso anche in altre situazioni. L’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 ha limitato l’accesso ai benefici assistenziali ai soli stranieri titolari di carta di soggiorno e, poiché la pensione di inabilità si protrae nel tempo, è naturale che essa sia soggetta alla disciplina vigente in quel dato momento, tanto più che questa Corte ha già riconosciuto che non è interdetto al legislatore, nei rapporti di durata, la modifica in senso meno favorevole, salvo il limite della materia penale in caso di retroattività.

4.— Si è pure costituito l’INPS che ha concluso nel senso dell’inammissibilità ovvero dell’infondatezza della questione, sottolineando, in particolare, che la scelta del legislatore di restringere le condizioni di accesso a determinate prestazioni assistenziali non appare di per sé incostituzionale, ben potendo questi, nell’ambito della propria discrezionalità, dettare norme che modificano in senso meno favorevole la disciplina dei rapporti di durata, salvo il limite della materia penale in caso di retroattività. D’altra parte, non vi sarebbe alcuna illegittimità nel differenziare le suddette prestazioni assumendo come criterio quello di favorire i soggetti che hanno una maggiore stabilità di residenza nel nostro Paese, tanto più che l’art. 80, comma 19, oggetto di contestazione è stato dettato per evidenti finalità di contenimento della spesa pubblica.

5.— Nel corso di un’analoga controversia, promossa da un cittadino somalo nei confronti dell’INPS, il Tribunale di Monza, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, in combinato disposto con l’art. 9, comma 1, della legge n. 189 del 2002 (recte: art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 9 della legge n. 189 del 2002), in relazione all’art. 12 della legge n. 118 del 1971, negli stessi termini e con riferimento ai medesimi parametri costituzionali di cui alla precedente ordinanza.

Il giudice a quo riferisce che il ricorrente, dopo aver prestato attività di lavoro subordinato in Italia per dieci anni ed aver ottenuto il riconoscimento della riduzione della sua capacità lavorativa al 67 per cento, era stato poi riconosciuto invalido civile al 100 per cento in data 10 luglio 2000, con conseguente diritto al trattamento economico di inabilità di cui all’art. 12 della legge n. 118 del 1971. Egli, tuttavia, non aveva potuto ottenere detto trattamento a causa della mancata presentazione della carta di soggiorno, pur essendo in possesso degli altri requisiti di legge, ivi compreso il permesso di soggiorno.

Ciò posto, il Tribunale di Monza svolge argomenti del tutto analoghi a quelli esposti dal Tribunale di Milano.

6.— In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e la non fondatezza della questione, con due atti difensivi di identico contenuto nei quali ha posto l’accento sul fatto che l’introdotta differenziazione tra titolari di permesso di soggiorno e titolari di carta di soggiorno non è dovuta a una qualche forma di discriminazione, quanto piuttosto al fatto che, con lo spirare del termine ultimo del permesso di soggiorno, si esaurisce il titolo per rimanere legittimamente nel territorio dello Stato italiano. D’altra parte, le misure di assistenza degli invalidi civili sono peculiari della legislazione italiana e non trovano riscontro nelle legislazioni di tanti altri Paesi, sicché eventuali estensioni dei predetti benefici economici in favore degli stranieri non potrebbero prescindere dal principio di reciprocità. L’interpretazione cui tende il remittente, invece, si risolverebbe nella sostanziale equiparazione del permesso di soggiorno alla carta di soggiorno, superando le motivazioni che hanno indotto il legislatore a prevedere discipline differenziate in ragione della diversità dei due titoli di permanenza nel territorio italiano.

Infondati risulterebbero altresì, secondo l’Avvocatura dello Stato, i presunti profili di lesione degli artt. 2 e 32 Cost., in quanto è appunto in virtù delle disposizioni richiamate dal remittente che anche chi sia irregolarmente presente nel territorio nazionale ha diritto di usufruire di tutte le prestazioni sanitarie che risultino indifferibili e urgenti. Parimenti, non sussisterebbe la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto lo status del possessore di carta di soggiorno è profondamente diverso da quello del titolare del permesso di soggiorno, così come sarebbero infondate le censure di cui all’art. 35 Cost., trattandosi di provvidenze che nulla hanno a che vedere col rapporto di lavoro. Ugualmente non fondato, infine, sarebbe il riferimento alle disposizioni di cui all’art. 38 Cost., peraltro solo genericamente richiamato, in quanto lo straniero, nel caso di specie, verrebbe ammesso a fruire di trattamenti che presuppongono uno status diverso da quello posseduto dal titolare del solo permesso di soggiorno.

Considerato in diritto

1.–– Il Tribunale di Milano dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 32, 35, terzo comma, 38, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), in combinazione con l’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (recte: dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 recante “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189), perché subordina al possesso della carta di soggiorno il riconoscimento del diritto degli stranieri alla pensione di inabilità.

Il remittente premette che la normativa in questione, in aderenza a quanto ritiene il Comune di Milano con indirizzo sorretto da un parere del Consiglio di Stato, si applica a coloro che avevano i requisiti per ottenere la pensione prima dell’entrata in vigore della legge e anche a coloro cui i ratei di pensione erano stati erogati, perché il legislatore può legittimamente disciplinare i rapporti di durata già esistenti anche con misure peggiorative nei confronti degli aventi diritto.

La normativa sarebbe, però, illegittima perché incide su diritti della personalità (art. 2 Cost.) e crea una disparità di trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, irragionevole perché richiede l’esistenza della titolarità di reddito in capo a chi, per la sua inabilità, non è in grado di procurarselo (art. 3 Cost.), oltre che contraria al diritto internazionale (artt. 10 e 117, primo comma, Cost.) e, in particolare, alle convenzioni OIL n. 97 del 1949 (ratificata con legge n. 1305 del 1952) e n. 143 del 1975 (ratificata con legge n. 158 del 1981), nonché alle norme sulla tutela dei lavoratori inabili (artt. 35 e 38 Cost.).

2.–– Con ordinanza analoga alla precedente, la questione è stata sollevata anche dal Tribunale di Monza, con la differenza di fatto che a favore dello straniero attore nel giudizio a quo non era stato eseguito alcun pagamento di ratei pensionistici, ancorché fosse intervenuto l’accertamento dello stato invalidante.

3.–– I giudizi, aventi ad oggetto la medesima questione, devono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

La questione non è ammissibile.

Occorre premettere che il diritto alla pensione d’inabilità, costituente prestazione assistenziale, è disciplinato direttamente dalla legge e dà luogo a un rapporto di durata, nell’ambito del quale sorgono i diritti alla riscossione dei ratei della prestazione, assoggettati, questi ultimi, appunto al regime delle prestazioni periodiche.

In linea di principio, al legislatore è consentito modificare il regime di un rapporto di durata, quale quello in oggetto, con misure che incidano negativamente – sia riguardo all’an, sia riguardo al quantum – sulla posizione del destinatario delle prestazioni, purché esse non siano in contrasto con principi costituzionali e, quindi, non ledano posizioni aventi fondamento costituzionale.

Tuttavia, il rilievo del suindicato potere del legislatore non implica che, ogniqualvolta sia introdotta una nuova disciplina legale di un rapporto di durata avente tali caratteristiche, essa necessariamente debba essere applicata ai rapporti già costituiti sulla base della previgente normativa.

Se è vero che il principio di irretroattività  ha fondamento costituzionale soltanto per quanto concerne le norme penali, è altrettanto vero che esso costituisce un criterio generale cui uniformarsi in carenza di deroghe (art. 11 disposizioni sulla legge in generale).

Nel caso in esame, nessuno dei giudici a quibus svolge una propria, congrua motivazione sulle ragioni per le quali una normativa come quella censurata – che non si autoqualifica interpretativa e non contiene alcuna espressa disposizione derogatoria rispetto al principio generale menzionato che regola l’efficacia della legge nel tempo – debba essere applicata a rapporti di durata già venuti ad esistenza.

I remittenti si limitano a riportarsi a prassi amministrative di un ente locale e ad un atto meramente consultivo, ma trascurano di esaminare la possibilità di adottare una diversa interpretazione delle disposizioni in scrutinio – peraltro seguita dalla giurisprudenza comune – tale da sottrarle ai sollevati dubbi di legittimità costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 32, 35, terzo comma, 38, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dai Tribunali di Milano e di Monza con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 ottobre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2006.