ORDINANZA N. 295
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 14 maggio 1998, relativa all’insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Paolo Emilio Taviani nei confronti del sen. Massimo Riva, promosso con ricorso della Corte d’appello di Genova, sezione terza civile, notificato il 27 dicembre 2005, depositato in cancelleria il 6 febbraio 2006 ed iscritto al n. 1 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2006, fase di merito.
Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;
udito nella camera di consiglio del 21 giugno 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che, con ordinanza del 9 aprile 2003, la Corte d’appello di Genova, sezione terza civile, nel corso di un giudizio di impugnazione avverso la sentenza, emessa dal Tribunale di Genova il 5 ottobre 1996, con la quale il senatore Paolo Emilio Taviani era stato condannato al risarcimento dei danni patiti dal dott. Massimo Riva per talune dichiarazioni asseritamente diffamatorie rese in danno di quest’ultimo, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione del 14 maggio 1998 con la quale l’Assemblea ha dichiarato che i fatti per i quali è in corso detto procedimento riguardano opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, come tali insindacabili a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che la Corte ricorrente specifica, quanto ai fatti cui si riferisce il giudizio, che le dichiarazioni asseritamente diffamatorie sarebbero state rese nel febbraio 1992, durante un incontro svoltosi alla presenza della stampa con «i quadri della Democrazia cristiana di Busalla», nel cui ambito il senatore Taviani avrebbe, tra l’altro, affermato che «il caso Gladio è venuto fuori per il complotto di De Benedetti, Scalfari e il miliardario della Sinistra indipendente Riva contro il Presidente Cossiga»;
che la ricorrente osserva come l’art. 68 della Costituzione non costituisca «affrancazione indiscriminata del parlamentare dalle responsabilità connesse alla violazione del diritto di terzi, ma solo tutela di uno dei mezzi attraverso i quali si estrinseca il mandato parlamentare», e ritiene che «le frasi pronunciate dal senatore Taviani sembrano collocarsi fuori dal paradigma costituzionale, non apparendo connesse al mandato parlamentare», con la conseguenza che il Senato avrebbe erroneamente valutato i presupposti per l’adozione della delibera di insindacabilità delle espressioni utilizzate dal parlamentare, e che, pertanto, la delibera adottata in data 14 maggio 1998 «incide nell’esercizio del potere riconosciuto dall’art. 24 Cost. e nella funzione giurisdizionale attribuita a questo giudice dall’art. 102 della Costituzione»;
che, su tali premesse, la Corte d’appello di Genova solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato chiedendo l’annullamento della citata delibera di insindacabilità;
che il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 341 del 2004 − pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45, prima serie speciale, del 17 novembre 2004 −, con la quale è stata disposta la notifica del ricorso introduttivo del giudizio, unitamente alla predetta ordinanza, al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione;
che la Corte d’appello di Genova ha notificato copia dell’ordinanza ammissiva del conflitto, unitamente al ricorso introduttivo del giudizio, al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, in data 27 dicembre 2005, depositando quindi gli atti il successivo 6 febbraio 2006;
che, con atto depositato in data 12 gennaio 2006, il Senato della Repubblica ha formalizzato nuovamente la propria costituzione in giudizio, già effettuata con memoria depositata in data 5 gennaio 2005, ed ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità e l’improcedibilità del conflitto per tardiva notificazione dell’ordinanza di ammissibilità e del ricorso, sul presupposto della natura perentoria del termine per essa stabilito, richiamando in proposito la giurisprudenza consolidata di questa Corte (sentenze n. 88 del 2005 e n. 200 del 2001; ordinanza n. 386 del 1985);
che, in via subordinata, la difesa del Senato deduce l’inammissibilità del ricorso, in quanto riproduttivo del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato già sollevato dalla Corte d’appello di Genova (iscritto al n. 199 del registro ammissibilità conflitti del 2001) e dichiarato inammissibile con ordinanza n. 266 del 2002 (è richiamata la sentenza n. 116 del 2003 della Corte costituzionale);
che, nel merito, il Senato della Repubblica sollecita il rigetto del ricorso, richiamando la relazione della Giunta delle elezioni e immunità parlamentari, dalla quale si evince, in particolare, che le espressioni pronunciate dal senatore Taviani «riguardavano una riunione tenuta nella sede del suo partito, in una cornice politica, quale la campagna elettorale del 1992, nella quale il senatore a vita interveniva forte del suo ruolo istituzionale», e che il medesimo senatore Taviani «aveva svolto, precedentemente alla riunione di Busalla, alcuni interventi parlamentari sul caso Gladio, nel quale era stato coinvolto il senatore Cossiga, interventi svolti nelle sedi delle Commissioni interparlamentari (Commissione cosiddetta “sulle stragi” e quella sui servizi segreti) che si erano occupate del caso. Tali Commissioni lo avevano infatti ascoltato in quanto egli aveva ricoperto la carica di Ministro della Difesa e di Ministro dell’Interno negli anni in cui veniva costituita la struttura denominata Gladio»;
che, pertanto, a parere del Senato, sussisterebbe un evidente collegamento tra le opinioni ascritte al senatore Taviani e l’esercizio delle funzioni parlamentari, tale da giustificare l’applicazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che, in data 6 febbraio 2006, la ricorrente Corte d’appello di Genova ha depositato un atto «da valere, in principalità quale memoria nel procedimento nell’ambito del quale la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto ed in subordine, e per quanto d’uopo, quale nuova riproposizione del conflitto medesimo»;
che, per la parte concernente il presente procedimento, la ricorrente denuncia il contrasto tra le regole processuali contenute nelle «norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale» (approvate il 16 marzo 1956 e successivamente modificate), le quali contengono la disciplina di dettaglio del procedimento per i conflitti di attribuzione, e gli artt. 24 e 137 della Costituzione, e sollecita la Corte a procedere alla disapplicazione delle predette norme, ovvero alla declaratoria di incostituzionalità delle stesse, o, in via gradata, del solo art. 26 delle «norme integrative», o, infine, alla revisione dell’orientamento in ordine al carattere perentorio del termine fissato a carico della parte ricorrente per gli adempimenti successivi alla pronuncia dell’ordinanza di ammissibilità;
che, secondo la ricorrente, a fronte della esigua previsione del procedimento per i conflitti di attribuzione contenuta nell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’art. 26 delle «norme integrative» ha delineato una struttura processuale bifasica, all’interno della quale sono comminate decadenze per il mancato rispetto delle attività (di notifica e deposito degli atti) proprie della seconda fase, con ripercussioni sulla possibilità di esaminare il merito;
che, peraltro, le «norme integrative», ed in particolare l’art. 26 citato, là dove dettano regole in materia processuale, risulterebbero esorbitare dai limiti propri del potere di autoregolamentazione attribuito alla Corte costituzionale dall’art. 22 della legge n. 87 del 1953, posto che, ai sensi dell’art. 137 Cost., tale potere deve ritenersi circoscritto alle materie del funzionamento e dell’organizzazione del Consesso, e ciò sia che si ritenga di assimilarlo a quello che la Costituzione riconosce alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, sia che lo si collochi al livello di normazione secondaria, in quanto non previsto dalla Costituzione bensì da legge ordinaria (art. 22 della legge n. 87 del 1953);
che, di conseguenza, a parere della Corte d’appello di Genova, le «norme integrative», ed in particolare l’art. 26 citato, in quanto contrastanti con il diritto di azione e di difesa sancito dall’art. 24 Cost., oltre che con i limiti posti dall’art. 137 Cost. al potere di autoregolamentazione della Corte costituzionale, dovrebbero essere disapplicati dalla stessa Corte, ove ritenute norme di rango secondario, o dichiarate incostituzionali, ove ritenute espressione di attività paralegislativa al pari dei regolamenti degli organi supremi, in modo da poter procedere all’esame nel merito del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che, a tale proposito, la ricorrente motiva in punto di rilevanza evidenziando le conseguenze che l’invocata declaratoria di incostituzionalità avrebbe sia nel giudizio costituzionale, riguardante il conflitto per attribuzione, sia nel giudizio a quo; giudizi destinati a concludersi, in caso contrario, il primo con pronuncia di improcedibilità e il secondo con pronuncia di accoglimento del gravame;
che, secondo la Corte genovese, l’interpretazione consolidata della giurisprudenza costituzionale in ordine al carattere perentorio del termine previsto per gli adempimenti conseguenti all’ordinanza di ammissibilità del conflitto sarebbe in contrasto sia con il principio generale secondo cui, in mancanza di espressa previsione, i termini debbono essere considerati ordinatori, sia con la natura del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ritenuto dalla stessa Corte costituzionale «giudizio senza limiti temporali», sia, infine, con l’esigenza di tutela del cittadino a fronte dell’uso delle prerogative parlamentari.
Considerato che è stato sollevato dalla Corte d’appello di Genova, sezione terza civile, conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alla deliberazione da questo adottata in data 14 maggio 1998, con la quale si è ritenuto che i fatti per cui è pendente procedimento civile dinanzi alla stessa Corte costituiscono opinioni espresse dal senatore Paolo Emilio Taviani nell’esercizio delle funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che il conflitto è improcedibile a causa del mancato rispetto del termine perentorio fissato per la notifica del ricorso e dell’ordinanza di ammissibilità (ex multis, sentenze n. 116 e 111 del 2003; ordinanze numeri 358, 254, 188 e 153 del 2003);
che, infatti, il giudizio per conflitto di attribuzione si articola in due distinte ed autonome fasi, entrambe rimesse all’iniziativa della parte interessata, destinate a concludersi, la prima, con la sommaria delibazione sulla ammissibilità del conflitto, e, la seconda, con la decisione definitiva sul merito oltre che sull’ammissibilità;
che, all’esito della prima fase, il ricorrente ha l’onere di provvedere alla notificazione del ricorso e dell’ordinanza di ammissibilità entro il termine in quest’ultima fissato;
che il predetto termine, come questa Corte ha avuto modo di precisare, «è da osservarsi a pena di decadenza secondo quanto si rileva dal regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (in connessione con l’art. 36 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054), applicabile nei procedimenti davanti alla Corte costituzionale in virtù del richiamo di cui all’art. 22, legge n. 87 del 1953» (sentenza n. 200 del 2001; ordinanza n. 386 del 1985);
che, nella specie, il ricorso e l’ordinanza di ammissibilità risultano notificati al Senato della repubblica in data 27 dicembre 2005, e quindi ben oltre la scadenza del termine di 60 giorni fissato nell’ordinanza stessa;
che, pertanto, non essendo stato rispettato il termine perentorio suddetto, non può procedersi allo svolgimento dell’ulteriore fase del giudizio;
che sono inammissibili le richieste avanzate dalla ricorrente Corte d’appello di Genova con la memoria depositata il 6 febbraio 2006, atteso che le «norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale», approvate il 16 marzo 1956, sono «estranee» al sindacato di legittimità affidato a questa Corte (ordinanza n. 572 del 1990), qualunque sia la collocazione che ad esse si intenda attribuire nel sistema delle fonti;
che non è ipotizzabile nei giudizi davanti alla Corte la disapplicazione incidenter tantum delle «norme integrative», atteso che dette norme, in quanto espressione del potere di autoregolamentazione della Corte costituzionale previsto dall’art. 22 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), possono essere modificate dalla Corte stessa, se e quando ne ravvisi la necessità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara improcedibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dalla Corte d’appello di Genova nei confronti del Senato della Repubblica con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2006.