ORDINANZA N.266
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera del Senato della Repubblica del 14 maggio 1998 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Paolo Emilio Taviani nei confronti del senatore Massimo Riva, promosso dalla Corte d’appello di Genova, sezione terza civile, con ricorso depositato il 13 settembre 2001 ed iscritto al n. 199 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2002 il Giudice relatore Annibale Marini.
Ritenuto che, con atto del 5 luglio 2001, emesso nell’ambito di un giudizio civile promosso dal senatore Massimo Riva contro il senatore Paolo Emilio Taviani, la Corte d’appello di Genova, sezione terza civile, ha fatto ricorso "alla Corte Costituzionale perchè decida se esiste conflitto fra la delibera adottata dal Senato il 14 maggio 1998 circa la insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Taviani all’indirizzo del senatore Riva, e l’oggetto del giudizio civile pendente innanzi alla Corte di appello di Genova (R.G. 884/1997)";
che, secondo quanto esposto dalla Corte ricorrente, il senatore Taviani, intervenendo in data 24 febbraio 1992 ad una riunione dei quadri della Democrazia Cristiana di Busalla sul tema "Dalla Gladio alla pace garantita", faceva, in presenza anche della stampa, la seguente affermazione: "Il caso Gladio é venuto fuori per il complotto di De Benedetti, Scalfari e il miliardario della Sinistra indipendente Riva contro il Presidente Cossiga. Si é andato a cercare in tutti i vecchi documenti ed é saltato fuori quello firmato da Cossiga nel ’64 perchè allora era sottosegretario alla Difesa";
che il senatore Riva, ritenendo tale affermazione ingiustamente e gravemente diffamatoria, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Genova il senatore Taviani chiedendone la condanna al risarcimento dei relativi danni;
che, con sentenza n. 2757 del 1996, il Tribunale adito, in accoglimento della domanda attrice, dichiarava il senatore Taviani responsabile di diffamazione aggravata nei confronti del senatore Riva e lo condannava al risarcimento dei danni nella misura di Lit. 100.000.000 da versare, come richiesto dall’attore, all’Associazione tra i familiari delle vittime del disastro di Ustica;
che la sentenza veniva impugnata dal senatore Taviani dinanzi alla Corte d’appello di Genova e nel corso del relativo giudizio il Senato della Repubblica, nella seduta del 24 aprile 1998, adottava, su conforme parere della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, una delibera nella quale riteneva che il fatto addebitato al senatore Taviani e per il quale era in corso il procedimento giudiziario concerneva opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e ricadeva, pertanto, nell’ipotesi di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che il giudizio dinanzi alla Corte d’appello, pur dopo l’acquisizione agli atti di causa della citata delibera di insindacabilità, proseguiva per oltre un triennio;
che, all’udienza del 21 giugno 2001, la Corte, trattenuta la causa in decisione, dopo un attento esame del merito del giudizio, riteneva che la domanda formulata dall’attore nei confronti dell’on. Taviani non fosse "manifestamente infondata" e, muovendo da tale premessa, ricorreva a questa Corte sollecitandone la decisione sull’esistenza di un conflitto fra la delibera di insindacabilità adottata dal Senato e l’oggetto del giudizio innanzi ad essa Corte pendente.
Considerato che in questa fase preliminare la Corte é chiamata a delibare esclusivamente, senza contraddittorio, l’ammissibilità del ricorso;
che l’atto della Corte d’appello di Genova non é, neppure, qualificabile in termini di ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, contenendo, frammisti, elementi di due diversi schemi tipici relativi, rispettivamente, al conflitto di attribuzione ed alla questione incidentale di legittimità costituzionale;
che la Corte ricorrente, in particolare, non lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, per effetto della delibera di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica, limitandosi ad esaminare il merito del giudizio in corso e pervenendo ad una valutazione, del tutto estranea al ricorso per conflitto di attribuzione, di "non manifesta infondatezza della domanda attrice";
che l’atipicità propria del ricorso é, poi, puntualmente riflessa dal petitum dell’atto nel quale si chiede a questa Corte di "decidere sull’esistenza di un conflitto" fra la delibera adottata dal Senato e l’oggetto del giudizio civile pendente dinanzi alla Corte d’appello di Genova e non già di risolvere un conflitto in atto, mediante l’annullamento della delibera di insindacabilità;
che deve, pertanto, concludersi che l’atto della Corte d’appello di Genova non può essere propriamente qualificato in termini di ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e va, per tale prioritaria ragione, dichiarato inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla Corte d’appello di Genova, sezione terza civile, nei confronti del Senato della Repubblica, con l’atto indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2002.