SENTENZA N. 192
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo dell’art. 22, primo comma, del decreto-legge 3 febbraio 1970, n. 7 (Norme in materia di collocamento e accertamento dei lavoratori agricoli), convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970, n. 83, promosso con ordinanza del 26 luglio 2002 dal Tribunale di Lecce nel procedimento civile vertente tra Mighali Annunziata e l’INPS, iscritta al n. 436 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2005 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
udito l’Avvocato dello Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto1. – Il Tribunale di Lecce, con ordinanza del 26 luglio 2002, pervenuta a questa Corte il 28 maggio 2003 (r.o. n. 436 del 2003), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, primo comma, del decreto-legge 3 febbraio 1970, n. 7 (Norme in materia di collocamento e accertamento dei lavoratori agricoli), convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970, n. 83, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.
La questione è sorta nel corso di un giudizio promosso da Annunziata Mighali, tendente ad ottenere l’accertamento del proprio diritto ad essere iscritta negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli di cui al regio decreto 24 settembre 1940, n. 1949 (Modalità di accertamento dei contributi dovuti dagli agricoltori e dai lavoratori dell’agricoltura per le associazioni professionali, per l’assistenza malattia, per l’invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi, per la nuzialità e natalità per l’assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro in agricoltura e per la corresponsione degli assegni familiari, e modalità per l’accertamento dei lavoratori dell’agricoltura), e successive modificazioni, per aver svolto nel 1993 lavoro subordinato quale bracciante agricola a tempo determinato per un numero complessivo di 51 giornate. Annunziata Mighali, dopo aver inutilmente richiesto al Servizio CAU di essere inclusa negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli di cui al citato r.d. n. 1949 del 1940, ed avere perciò proposto ricorso amministrativo alla Commissione centrale preposta al CAU, aveva impugnato, con ricorso al Tribunale di Lecce in funzione di giudice del lavoro, il provvedimento di diniego della inclusione in detti elenchi – provvedimento divenuto definitivo, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 11 agosto 1993, n. 375 (Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera aa, della legge 23 ottobre 1992, n. 421), per effetto del silenzio protrattosi per novanta giorni dalla proposizione del predetto ricorso amministrativo – rivendicando il proprio diritto di iscrizione negli elenchi, condicio sine qua non per il conseguimento di benefici previdenziali da parte della categoria di lavoratori cui apparteneva la ricorrente.
Con riferimento alla rilevanza nel giudizio a quo della questione sollevata, il Tribunale ha osservato che il pacifico decorso di un lasso di tempo superiore a centoventi giorni tra il perfezionamento del provvedimento amministrativo definitivo di rigetto della domanda di inclusione negli elenchi condurrebbe, in applicazione della norma sospettata di illegittimità costituzionale, ad una pronuncia di inammissibilità della domanda della Mighali per decadenza dall’azione giudiziaria, con conseguente, definitiva compromissione della tutela giurisdizionale del diritto all’iscrizione negli elenchi, presupposto imprescindibile per il conseguimento di benefici previdenziali.
In ordine alla non manifesta infondatezza della questione sollevata, il rimettente ritiene che la previsione di un termine di decadenza di soli centoventi giorni sia in contrasto con il principio di uguaglianza-ragionevolezza di cui all’art. 3, primo comma, della Costituzione, e con l’art. 38, secondo comma, Cost.
Il termine di paragone, nel raffronto con il quale si evidenzierebbe la disparità di trattamento, sarebbe costituito, anzitutto, dalla situazione della generalità degli altri lavoratori subordinati, per i quali l’ordinamento previdenziale non pone analoga preclusione, se si eccettuano i termini – comuni ai lavoratori agricoli – di decadenza, triennale ed annuale, sanciti dall’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, come modificato dall’art. 4 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, primo comma, della legge 14 novembre 1992, n. 438, rispettivamente per le controversie in materia di trattamenti pensionistici e per quelle aventi ad oggetto le prestazioni previdenziali temporanee.
Secondo il rimettente, per i lavoratori agricoli, già penalizzati dalla parziale deroga al principio di automaticità delle prestazioni previdenziali per effetto della necessità di iscrizione negli elenchi ai fini della fruizione delle prestazioni stesse, potrebbe di fatto verificarsi un’abbreviazione di tali ultimi termini nella ipotesi in cui durante la pendenza degli stessi sopravvenga un provvedimento di cancellazione del lavoratore dagli elenchi di pertinenza, ciò che imporrebbe, avuto riguardo alla sanzione di cui all’art. 22 impugnato, una reazione molto più tempestiva per non perdere il diritto alla prestazione.
Ritiene il giudice a quo che, anche qualora si consideri giustificato il sistema degli elenchi nominativi in considerazione della obiettiva difficoltà di rilevamento della effettività della prestazione in un settore peculiare, quale quello agricolo, caratterizzato dall’essere l’attività lavorativa spesso discontinua e prestata in favore di una pluralità di diversi datori di lavoro nel corso dell’anno, e si consideri legittima la previsione di un termine decadenziale per contestare i provvedimenti amministrativi di non inclusione o di cancellazione in ragione di una oggettiva difficoltà di accertamento dei fatti, resterebbe pur sempre una ingiustificata disparità di trattamento rispetto anche ai lavoratori autonomi del settore commerciale, per i quali, pur essendo condizionato per legge il diritto di conseguire le prestazioni previdenziali all’iscrizione nei relativi elenchi, non sono tuttavia previsti dalla legge termini di decadenza per adire l’autorità giurisdizionale avverso i provvedimenti amministrativi di rigetto della domanda di iscrizione o di cancellazione.
Il rimettente sottolinea, infine, le gravi conseguenze che potrebbero derivare dalla preclusione della possibilità di far valere in via giudiziale l’accertamento della effettività della prestazione di lavoro subordinato agricolo ed il correlato diritto di iscrizione negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli, con conseguente perdita definitiva di accreditamenti contributivi spesso decisivi per l’accesso ai benefici previdenziali, ivi compresi quelli pensionistici.
2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito l’INPS, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza della questione. L’Istituto cita alcune decisioni della Corte di cassazione, che hanno vagliato le eccezioni di illegittimità costituzionale dell’art. 22 del d.l. n. 7 del 1970, formulate in riferimento agli artt. 3, 24, 35, 36, 113 della Costituzione, escludendo la lesione dei citati parametri, e rileva che l’ordinanza del Tribunale di Lecce non aggiunge alcun profilo nuovo rispetto a quelle eccezioni già esaminate dalla Suprema Corte. Sarebbe, inoltre, erroneo utilizzare, quali parametri di raffronto, le disposizioni concernenti le prestazioni previdenziali, che disciplinano fattispecie diverse da quella in esame. Le differenze di disciplina fra lavoratori autonomi, commercianti e lavoratori agricoli subordinati trovano la propria ragion d’essere nella circostanza che si tratta di tipologie differenti. Inconferente sarebbe, infine, il richiamo al secondo comma dell’art. 38 della Costituzione, in quanto il termine decadenziale di cui si tratta non inciderebbe sui mezzi di tutela riservati al lavoratore.
3. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, ai sensi della ordinanza della Corte costituzionale n. 88 del 1988, o per la sua infondatezza. Al riguardo, si esclude il vulnus all’art. 3 della Costituzione, rilevandosi che il legislatore può ben prevedere diversi trattamenti pensionistici e previdenziali in funzione della diversa struttura del rapporto, ed all’art. 38 della Costituzione, potendo la legge prevedere diverse misure per assicurare l’adeguatezza del trattamento pensionistico. Per quanto riguarda, in particolare, la rilevata disparità di trattamento dei lavoratori agricoli rispetto alla generalità dei lavoratori, rileva l’Avvocatura che nel settore agricolo l’attività, oltre ad essere discontinua nel corso dell’anno solare, può essere collegata ad una pluralità di rapporti con datori di lavoro diversi, rendendo, così, necessaria una procedura unificata di accertamento e di riscossione di contributi al fine di rendere possibile la puntuale costituzione della posizione assicurativa di ogni singolo lavoratore: di qui la iscrizione negli elenchi anagrafici. Né sembra alla difesa erariale che si possa rinvenire alcuna disparità di trattamento, con riguardo ai rimedi previsti a tutela della posizione soggettiva degli interessati avverso provvedimenti di diniego da parte degli istituti assicurativi, rimedi sottoposti a termini di decadenza, di cui si esige il rispetto per la certezza dei rapporti giuridici e per necessità di ordine tecnico assicurativo e di equilibrio finanziario delle gestioni previdenziali.
Quanto alla pretesa violazione dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione, rileva l’Avvocatura che le prevalenti esigenze di certezza del diritto e tempestività degli accertamenti escluderebbero ogni compressione della garanzia del diritto di azione, trattandosi di normativa incidente solo sulle modalità di esercizio della tutela giurisdizionale. Del resto, si osserva nella memoria, l’ordinamento previdenziale ha largamente utilizzato l’istituto della decadenza, in caso di necessità di porre un termine ultimativo all’esercizio di una facoltà, allo scopo di dare certezza ai rapporti assicurativi, impedendo di lasciare aperte situazioni che richiedono tempestività di definizione per ragioni amministrative od economiche.
Considerato in diritto1. – Il Tribunale di Lecce dubita della legittimità costituzionale dell’art. 22, primo comma, del d.l. 3 febbraio 1970, n. 7 (Norme in materia di collocamento e accertamento dei lavoratori agricoli), convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970, n. 83, nella parte in cui prevede un termine di decadenza di soli centoventi giorni – decorrenti dalla notifica o dal momento della conoscenza del provvedimento – dall’azione giudiziaria nei confronti dei provvedimenti definitivi relativi alla mancata inclusione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli subordinati a tempo determinato di cui al r.d. 24 settembre 1940, n. 1949 (Modalità di accertamento dei contributi dovuti dagli agricoltori e dai lavoratori dell’agricoltura per le associazioni professionali, per l’assistenza malattia, per l’invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi, per la nuzialità e natalità per l’assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro in agricoltura e per la corresponsione degli assegni familiari, e modalità per l’accertamento dei lavoratori dell’agricoltura), e successive modificazioni, ovvero alla cancellazione dagli stessi, per violazione degli art. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.
La violazione della prima norma sarebbe ravvisabile nella irragionevolezza della previsione del termine e nella disparità di trattamento rispetto alla generalità degli altri lavoratori subordinati, per i quali l’ordinamento previdenziale non pone analoga preclusione, fatti salvi i termini, comuni anche ai lavoratori agricoli, di decadenza triennale ed annuale sanciti dall’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe conferite al Governo con gli articoli 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153, concernente la revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), come modificato dall’art. 4 del decreto legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali) convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, rispettivamente per le controversie in materia di trattamenti pensionistici e per quelle aventi ad oggetto le prestazioni previdenziali temporanee; nonché rispetto ai lavoratori autonomi del settore commerciale, per i quali, pur essendo condizionato per legge il diritto di conseguire le prestazioni previdenziali all’iscrizione nei relativi elenchi, non sono comunque previsti termini di decadenza per la relativa azione giudiziaria.
La violazione dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione, sussisterebbe in quanto il termine decadenziale di cui si tratta, avuto riguardo alla circostanza che il conseguimento del diritto alle prestazioni previste dalla invocata disposizione costituzionale in favore dei lavoratori agricoli è subordinato alla condicio sine qua non della iscrizione negli elenchi nominativi, vulnererebbe il diritto alle prestazioni stesse.
2. – La questione è infondata.
2.1. – Il sistema di accertamento e di riscossione dei contributi per i lavoratori agricoli, differenziato da quello generale, fu istituito con regio decreto-legge 28 novembre 1938, n. 2138 (Unificazione e semplificazione dell’accertamento e della riscossione dei contributi dovuti dagli agricoltori e dai lavoratori dell’agricoltura per le associazioni professionali, per l’assistenza malattia, per l’invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi, per l’assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro in agricoltura e per la corresponsione degli assegni familiari), che previde che detti contributi fossero stabiliti sulla base dell’impiego di mano d’opera per ogni azienda agricola, delegando il Governo a determinare le modalità per l’accertamento e la riscossione dei contributi. Fu così prevista, con il citato r.d. n. 1949 del 1940 (art. 12), la compilazione per ogni comune di elenchi nominativi dei lavoratori subordinati dell’agricoltura, distinti per qualifiche. Il compito dell’accertamento dei nominativi da inserire negli elenchi, affidato dapprima a commissioni comunali, fu successivamente attribuito agli Uffici provinciali SCAU (Servizio per i contributi agricoli unificati). La disciplina è stata successivamente modificata con il d.l. n. 7 del 1970, convertito, con modificazioni, nella legge n. 83 del 1970, che, tra l’altro, ha affidato la compilazione di detti elenchi a commissioni locali della mano d’opera agricola, appositamente costituite presso gli uffici locali di collocamento, poi sostituite da altri organi per effetto delle successive disposizioni che hanno apportato ulteriori modifiche al sistema di accertamento e riscossione dei contributi in agricoltura. Immutata è rimasta peraltro la norma di cui all’art. 22, primo comma, del citato d.l. n. 7 del 1970, convertito, con modificazioni, nella legge n. 83 del 1970, la quale dispone che «contro i provvedimenti definitivi adottati in applicazione del presente decreto da cui derivi una lesione di diritti soggettivi, l’interessato può proporre azione davanti al pretore nel termine di centoventi giorni dalla notifica o dal momento in cui ne abbia avuto conoscenza». Da tale norma deriva dunque la imposizione del censurato termine di decadenza dall’azione giudiziaria nei confronti dei provvedimenti definitivi relativi alla mancata inclusione negli (o alla cancellazione dagli) elenchi nominativi dei lavoratori agricoli subordinati a tempo determinato.
2.2. – Questa Corte ha già scrutinato, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, la norma impugnata con l’ordinanza n. 88 del 1988, dichiarando la manifesta infondatezza della relativa questione sulla base del diritto vivente, ricordato anche dal giudice a quo, secondo cui «l’art. 8 della legge 11 agosto 1973, n. 533 e l’art. 148 disp. att. cod. proc. civ. hanno rimosso sia i termini di decadenza contenuti nelle procedure amministrative, sia quelli che, pur se estranei allo stretto ambito delle medesime – come i termini posti per l’inizio dell’azione giudiziaria – sono ad esse strettamente collegati, in quanto diretti a conferire al provvedimento amministrativo conclusivo di dette procedure natura definitiva…»; con la conseguenza che si doveva ritenere che l’inutile decorso del termine previsto nel citato art. 22 non esplicasse più «effetto preclusivo della proponibilità della domanda giudiziale».
Peraltro, come osservato anche dal rimettente nel motivare la rilevanza della questione sollevata, tale soluzione non è più proponibile – malgrado la contraria tesi sostenuta dalla difesa erariale – dopo che il diritto vivente tenuto presente dalla citata ordinanza della Corte costituzionale è stato superato da altre pronunce della Corte di cassazione che hanno elaborato un diverso costante indirizzo secondo il quale «il termine di centoventi giorni previsto dall'art. 22 d.l. 3 febbraio 1970 n. 7, convertito con modifiche nella legge 11 marzo 1970 n. 83, per la proposizione dell'azione giudiziaria a seguito della notifica o della presa di conoscenza del provvedimento definitivo di iscrizione o mancata iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli, ovvero di cancellazione dai suddetti elenchi, si configura come un termine di natura sostanziale, senza possibilità di sanatoria ex art. 8 della legge n. 533 del 1973, e senza che la disposizione in esame possa ritenersi implicitamente abrogata dall'art. 148 disp. att. cod. proc. civ.» (v. Cass. n. 9595 del 1997; Cass. n. 5942 del 2001).
2.3. – Partendo dalla premessa circa l’attuale vigenza del termine di decadenza di cui alla norma impugnata, questa Corte ritiene di dover affermare la infondatezza della censura relativa alla violazione dell’art. 3, primo comma, della Costituzione, per la presunta irragionevolezza e disparità di trattamento rispetto alla generalità degli altri lavoratori subordinati, sulla base del principio già altre volte enunciato, e che in questa sede deve essere confermato, relativo alla impossibilità di istituire confronti tra sistemi previdenziali diversi (v. sentenze n. 297 del 1999 e n. 166 del 1996), in quanto i diversi sistemi hanno una loro specificità, e la circostanza che le relative discipline non siano uniformi non lede di per sé il principio di uguaglianza, salvo il caso, nella specie non sussistente, di una evidente irragionevolezza della differenza di disciplina (cfr. sentenze n. 26 del 1980 e n. 454 del 1993).
Per ritenere che la previsione di un termine di decadenza dall’azione giudiziaria per conseguire il diritto all’iscrizione negli elenchi nominativi dia luogo ad una illegittima disparità di trattamento, non basta osservare che in altri casi tale onere è escluso, ma occorrerebbe dimostrare la manifesta arbitrarietà di tale differenza; a meno che si tratti di un onere tale da incidere sostanzialmente sulla garanzia costituzionale di effettività della tutela previdenziale (v. le già citate sentenze n. 166 del 1996 e n. 454 del 1993).
Né, al fine di affermare l’irragionevolezza della previsione di termini decadenziali per insorgere in sede giurisdizionale avverso i provvedimenti amministrativi di non iscrizione dei lavoratori agricoli negli elenchi nominativi, o di cancellazione dagli stessi, è sufficiente il richiamo alla disciplina prevista per i lavoratori autonomi del settore commerciale, per i quali, pur essendo condizionato per legge (legge 27 novembre 1960, n. 1397) il diritto di conseguire le prestazioni previdenziali alla iscrizione nei relativi elenchi, non sono tuttavia fissati termini decadenziali.
Il sistema degli elenchi nominativi dei lavoratori dipendenti dell’agricoltura – come del resto rilevato dallo stesso remittente – è giustificato dalla obiettiva difficoltà di rilevamento della effettività della prestazione in un settore peculiare come quello agricolo, caratterizzato dall’essere l’attività lavorativa spesso discontinua e prestata in favore di una pluralità di diversi datori di lavoro nel corso dell’anno, così come è parimenti giustificata e ragionevole la previsione di un termine di decadenza per la contestazione dei provvedimenti di cancellazione o di non inclusione, in ragione di una oggettiva difficoltà di accertamento dei fatti.
Ciò posto, la finalità della decadenza in questione è da rinvenire nella esigenza di accertare nel più breve tempo possibile la sussistenza del diritto all’iscrizione ed alle conseguenti prestazioni, avuto riguardo alla circostanza che l’atto di iscrizione negli elenchi costituisce presupposto per l’accesso alle prestazioni previdenziali collegate al solo requisito assicurativo, quali la indennità di malattia o di maternità, e titolo per l’accredito, per ciascun anno, dei contributi corrispondenti al numero di giornate di iscrizione negli elenchi stessi.
Le suesposte considerazioni danno conto della irrilevanza, sul piano costituzionale, della lamentata disparità di trattamento anche rispetto ai lavoratori autonomi.
2.4. – Parimenti infondata è la censura relativa alla violazione dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione, che viene ravvisata nella circostanza che, essendo, nel caso dei dipendenti del settore agricolo, tutte le indennità e prestazioni considerate dalla invocata disposizione costituzionale subordinate alla iscrizione negli elenchi nominativi, la prevista decadenza dall’azione giudiziaria per la contestazione dei provvedimenti di cancellazione o di mancata inclusione in detti elenchi impedirebbe il godimento della tutela costituzionalmente garantita.
Nella interpretazione della citata disposizione dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione, questa Corte ha precisato che essa attiene all’adeguamento dei mezzi di carattere previdenziale alle esigenze di vita dell’interessato, piuttosto che alle modalità necessarie a conseguirli, a meno che esse non siano tali da comprometterne il conseguimento, ed ha ritenuto pienamente legittime le regole con cui, nel rispetto degli altri precetti costituzionali, viene condizionata l’insorgenza di tali diritti o di questi disciplinato l’esercizio (v., sul punto, tra le altre le sentenze n. 345 del 1999, n. 71 del 1993, n. 203 del 1985, n. 33 del 1977, n. 33 del 1974 e n. 10 del 1970).
In particolare, sul tema della decadenza, in materia di computo a domanda di servizi e periodi ai fini pensionistici, è stato chiarito che «non è in contraddizione con il carattere di imprescrittibilità della pensione il fatto che le vicende volte a determinare i presupposti di consistenza quantitativa o addirittura di esistenza del diritto a pensione si svolgano entro limiti temporali, né che l’azionamento di tali vicende sia rimesso dalla legge alla iniziativa dell’interessato: e ciò vale in particolare nei casi in
cui, come nell’ipotesi di computo dei servizi pregressi, tali vicende comportino l’assunzione di oneri per il destinatario delle prestazioni (versamento di contributi) ovvero di rischio per l’ente erogatore (utilizzazione di contributi pregressi)….» (sentenza n. 197 del 1987). La stessa sentenza ha ribadito altresì il principio, costante nella giurisprudenza della Corte, secondo il quale «l’esercizio di ogni diritto, anche costituzionalmente garantito, può essere dalla legge regolato e sottoposto a limitazioni, sempre che tali limitazioni siano compatibili con la funzione del diritto di cui si tratta e non si traducano nell’esclusione della effettiva possibilità dell’esercizio di esso».
Con successiva decisione (sentenza n. 345 del 1999, cit.) si è ritenuto che il fatto che all’onere della domanda per conseguire il trattamento di quiescenza si colleghi un termine di decadenza «è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, coerente con il sistema prescelto, e giustificabile se non altro per ragioni di certezza della situazione finanziaria dell’ente erogatore del trattamento».
Quanto, poi, al profilo della irragionevolezza del termine di cui si tratta per la sua brevità, va ribadito che, in tema di valutazione di congruità dei termini di decadenza, la incongruità può ammettersi solo quando il termine sia determinato in modo da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce, e, di conseguenza, inoperante la tutela che si sia inteso accordare al cittadino leso (v. sentenza n. 10 del 1970, cit.).
E’ stato poi chiarito che «la congruità di un termine di decadenza – sia pure con riguardo alla garanzia costituzionale del diritto alla difesa – deve essere valutata non solo in rapporto all’interesse di chi ha l’onere di osservarlo, ma anche con riguardo alla funzione ad esso assegnata nell’ordinamento giuridico» (sentenza n. 284 del 1985).
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, la questione non merita accoglimento.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, primo comma, del decreto-legge 3 febbraio 1970, n. 7 (Norme in materia di collocamento e accertamento dei lavoratori agricoli), convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970, n. 83, sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Lecce con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 5 maggio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2005.