ORDINANZA N. 350
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 184-bis e 644 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 19 maggio 2003 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra la FONDERIT s.r.l. e la ALBAURO s.r.l., iscritta al n. 44 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2004. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 7 luglio 2004 il Giudice relatore Franco Bile.Ritenuto che, con ordinanza del 19 maggio 2003 (pervenuta alla Corte il 26 gennaio 2004), il Tribunale di Milano – nel corso del giudizio di opposizione ad un decreto ingiuntivo notificato dal creditore richiedente oltre il termine di cui all’art. 644 del codice di procedura civile (in forza di un contestato provvedimento di rimessione in termini adottato dal Presidente del Tribunale per la dimostrata irreperibilità del fascicolo della procedura monitoria dopo la registrazione del decreto) – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 184-bis e 644 del codice di procedura civile, «nella parte in cui il primo prevede, anche per interpretazione di diritto vivente, che non siano oggetto di rimessione in termini decadenze in cui è incorsa la parte per causa ad essa non imputabile che si siano verificate prima della instaurazione del processo; e il secondo nella parte in cui non prevede che il creditore che ottiene un decreto ingiuntivo e non riesca a notificarlo tempestivamente per cause ad esso non imputabili non possa ottenere un provvedimento che lo rimetta in termini ai fini della ulteriore notificazione»;
che il rimettente rileva come l’art. 184-bis cod. proc. civ., nella sua attuale formulazione, consenta alla parte, che sia incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile, di essere rimessa in termini nelle sole ipotesi in cui le parti costituite siano decadute dal potere di compiere attività difensive nel corso della trattazione della causa, onde la rimessione in termini non è invocabile per le «situazioni esterne» allo svolgimento del giudizio, rispetto alle quali vige tuttora la regola dell’improrogabilità dei termini perentori (quale quello dell’art. 644 cod. proc. civ.) disposta dall’art. 153 cod. proc. civ.;
che il rimettente – pur consapevole che, con ordinanza n. 276 del 1989, questa Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 644 cod. proc. civ., nella parte in cui non escludeva l’inefficacia del decreto ingiuntivo ove la notifica oltre il termine fosse stata determinata da caso fortuito o forza maggiore – sostiene che la questione potrebbe essere rimeditata a seguito della modifica del panorama normativo provocata dall’introduzione dell’art. 184-bis cod. proc. civ., e dalla conseguente apertura verso una clausola generale di salvaguardia del diritto di difesa ove accertate situazioni di fatto abbiano impedito alla parte di esercitare un potere processuale secondo l’ordinaria diligenza;
che, secondo il rimettente, tale situazione di incertezza, lesiva dell’art. 24 Cost., può essere rimossa solo attraverso un intervento del giudice delle leggi che riconosca la prevalenza del diritto della parte a non vedere l’esercizio di attività processuali ostacolato da eventi esterni alla condotta sua o del suo difensore;
che inoltre – essendo l’art. 184-bis cod. proc. civ. applicabile anche alla fattispecie di cui all’art. 186-ter cod. proc. civ. (che richiama espressamente il regime dell’inefficacia di cui all’art. 644 dello stesso codice) – ne consegue, per il rimettente, anche la violazione dell’art. 3 Cost., giacché sarebbero trattate in modo diseguale situazioni fra loro omogenee, in quanto – a differenza del creditore in caso di decreto ingiuntivo emesso ante causam – il creditore che ottiene un’ordinanza-ingiunzione e, per causa a lui non imputabile, non la notifica alla parte contumace nel termine di cui al citato art. 644, può invece aspirare alla rimessione in termini;
che il rimettente ritiene la questione rilevante, poiché il suo accoglimento legittimerebbe la condanna del debitore opponente anche alle spese del procedimento monitorio puro, qualora alla fine del processo la pretesa creditoria venisse accertata, mentre il suo rigetto comporterebbe invece, pur in presenza di quell’accertamento, il diritto del debitore a non essere condannato alle spese del procedimento di ingiunzione;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo – in rito – per la declaratoria di inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza e per mancanza di ragioni ostative all’applicabilità della rimessione in termini di cui all’art. 184-bis cod. proc. civ., e – nel merito – per l’infondatezza della questione medesima.
Considerato, preliminarmente, che le due eccezioni di inammissibilità della questione, proposte dall’Avvocatura generale dello Stato, sono infondate;
che, infatti, non implausibilmente il rimettente ricollega la rilevanza nel giudizio a quo alla considerazione che egli – all’esito del processo di opposizione ex art. 645 del codice di procedura civile, relativo alla fondatezza della pretesa creditoria – deve applicare le norme censurate al fine di ripartire tra le parti le spese della fase monitoria;
che, d’altro canto, la questione – lungi dal risentire del mancato assolvimento da parte del rimettente dell’onere di tentare un’interpretazione costituzionalmente conforme delle norme impugnate – si basa proprio sulla motivata impossibilità di leggere in senso estensivo l’art. 184-bis cod. proc. civ. (ritenuto non invocabile per sanare «situazioni esterne» alla fase di trattazione della causa in cui la decadenza si è verificata), e, quindi, di applicare l’istituto della rimessione in termini disciplinato dalla norma alla notificazione del decreto ingiuntivo effettuata oltre il termine perentorio di cui all’art. 644 cod. proc. civ.;
che, nel merito, quanto alla dedotta violazione dell’art. 24 della Costituzione, il rimettente è consapevole che altra questione di legittimità costituzionale dell’art. 644 cod. proc. civ., nella parte in cui non esclude l’inefficacia del decreto ingiuntivo notificato tardivamente per caso fortuito o forza maggiore, è già stata ritenuta manifestamente infondata dall’ordinanza di questa Corte n. 276 del 1989, la quale ha escluso la lesione del diritto di difesa, ribadendo, peraltro, la ragionevolezza del bilanciamento compiuto dal legislatore tra l’interesse alla perentorietà dei termini e quello alla salvaguardia del diritto di difesa (ordinanze n. 97 del 1989 e n. 855 del 1988; in tal senso, successivamente, sentenza n. 18 del 2002 e ordinanza n. 559 del 2000);
che la sopravvenuta nuova ipotesi di rimessione in termini di cui all’art. 184-bis cod. proc. civ. non giustifica di per sé la “rimeditazione” richiesta dal rimettente, in quanto si risolve in un’evidente deroga alla regola generale dell’improrogabilità dei termini perentori sancita dall’art. 153 cod. proc. civ., e pertanto un eventuale ampliamento della deroga sarebbe soluzione costituzionalmente imposta solo se l’inutile decorso del termine perentorio (derivante da causa non imputabile alla parte onerata) determinasse la perdita del diritto vantato e comportasse l’impossibilità per la parte di altrimenti agire e difendersi in giudizio per la sua tutela (sentenza n. 120 del 1976);
che questa impossibilità, nella specie, non ricorre in quanto il creditore – nell’ipotesi di tardiva notifica del decreto ingiuntivo – ben può far valere nuovamente il proprio diritto nelle forme ordinarie, ovvero ricorrendo ancora al procedimento monitorio (sia nell’inerzia del debitore, sia dopo che costui abbia eventualmente ottenuto, ai sensi dell’art. 188 delle disposizione di attuazione del codice di procedura civile, la dichiarazione di inefficacia del decreto tardivamente notificato), ma anche, in alternativa, notificare tardivamente il decreto ed attendere l’eventuale opposizione del debitore e, nel giudizio di cognizione ordinaria sulla pretesa creditoria che ne consegue, proporre l’istanza di ordinanza-ingiunzione ex art. 186-ter cod. proc. civ.;
che, peraltro, l’eventualità della condanna della parte vittoriosa nel merito del giudizio di opposizione al rimborso delle spese del procedimento monitorio (che il rimettente evoca al solo scopo di affermare la rilevanza della questione) non incide sul diritto di azione e di difesa del creditore, in quanto questa Corte ha ripetutamente affermato che nel processo civile – unica regola intangibile essendo l’impossibilità di porre le spese a carico della parte vittoriosa (ordinanza n. 303 del 2002), e potendo il giudice derogarvi in presenza di giusti motivi – l’effettiva predisposizione delle difese prescinde dalla possibilità di conseguire l’eventuale ripetizione delle spese di lite (sentenza n. 53 del 1998);
che, d’altronde, è del tutto ragionevole (in termini di bilanciamento degli interessi coinvolti) che all’attribuzione ad un soggetto del vantaggio di ottenere un titolo (eventualmente esecutivo) al di fuori di un giudizio, si contrapponga l’onere per il soggetto medesimo di porre tempestivamente (e comunque in un congruo lasso di tempo) il (presunto) debitore a conoscenza della pretesa vantata, per consentirgli di far valere con efficacia le proprie difese;
che, quanto alla violazione del principio di uguaglianza – denunciata sotto il profilo del diverso trattamento riservato a chi, ottenuta l’ordinanza-ingiunzione in corso di lite ex art. 186-ter cod. proc. civ. e non avendola notificata al convenuto contumace nei termini dell’art. 644 dello stesso codice, può aspirare alla rimessione in termini ai sensi dell’art. 184-bis cod. proc. civ. – è determinante la non comparabilità di tali discipline, più volte sottolineata da questa Corte, in ragione della non omogeneità, in termini di natura e di funzione, del provvedimento monitorio rispetto all’ordinanza-ingiunzione disciplinata dall’art. 186-ter cod. proc. civ., onde essa non può fungere da tertium comparationis nella prospettazione di un’asserita illegittimità costituzionale della non simmetrica disciplina applicativa, restando comunque affidata alla discrezionalità del legislatore la differenziazione delle condizioni di accesso alla tutela giurisdizionale (sentenze n. 180 del 2004, n. 65 del 1996 e n. 295 del 1995; ordinanza n. 80 del 1998);
che, pertanto, la questione è manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 184-bis e 644 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Milano, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 19 novembre 2004.