ORDINANZA N. 531
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 2, primo comma, della legge 8 agosto 1991, n. 265 (Disposizioni in materia di trattamento economico e di quiescenza del personale di magistratura ed equiparato), promosso con ordinanza emessa il 28 febbraio 2002 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, sul ricorso proposto da Larini Donato contro Ministero di Grazia e Giustizia, iscritta al n. 177 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 2 maggio 2002, prima serie speciale, edizione straordinaria.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 2002 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto che nel giudizio avanti alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, il ricorrente dott. Donato Larini, magistrato di Cassazione in pensione, aveva chiesto l’accertamento del diritto alla costante riliquidazione del proprio trattamento pensionistico in applicazione dei miglioramenti economici previsti dall’art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), oltre interessi e rivalutazione, richiamando la sentenza n. 501 del 1988 della Corte costituzionale, nonché talune decisioni della Corte dei conti;
che nel giudizio a quo si era costituito il Ministero della giustizia allegando il decreto (n. 88631 del 2 giugno 1989) con il quale era stato riliquidato, a decorrere dal 1° gennaio 1988, il trattamento pensionistico del ricorrente, in applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 501 del 1988;
che nel corso del giudizio, la Corte dei conti disponeva l’accertamento dell’entità dello scostamento tra il trattamento pensionistico spettante al dott. Larini e il trattamento economico dei magistrati in servizio di pari qualifica ed anzianità e che dai conteggi effettuati dal Ministero della giustizia, relativamente al periodo 1988/2000, era emerso una accentuata divaricazione fra l’aumento del trattamento pensionistico del ricorrente e il trattamento economico del personale in servizio di pari qualifica ed anzianità del dott. Larini;
che, sulla base di tali risultanze, il giudice a quo ha ritenuto di dover sollevare la questione di legittimità dell’art. 2, primo comma, della legge 8 agosto 1991, n. 265 (Disposizioni in materia di trattamento economico e di quiescenza del personale di magistratura ed equiparato) in quanto tale norma, escludendo espressamente l’applicabilità del meccanismo di adeguamento stipendiale – di cui all’art. 2, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 – ai trattamenti pensionistici, non consente il costante allineamento delle pensioni al trattamento dell’attività di servizio;
che il rimettente, pur richiamando le precedenti pronunce della Corte sulla norma impugnata (in particolare, la sentenza n. 42 del 1993, con cui è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità dell’art. 2, della legge n. 27 del 1981) che sottolineano la discrezionalità del legislatore nel limitare gli adeguamenti al personale in servizio nonché la giurisprudenza costituzionale che esclude l’esistenza di un principio che imponga l’automatico adeguamento delle pensioni agli stipendi, ritiene che la scelta del legislatore di "cristallizzare la riliquidazione delle pensioni alle misure stipendiali del 1° luglio 1983, escludendo l’applicabilità del meccanismo di adeguamento automatico, finisce per rendere del tutto inidoneo il meccanismo in concreto prescelto a preservare la costante sufficienza della pensione" alle esigenze di vita del lavoratore per un’esistenza libera e dignitosa;
che, ad avviso del rimettente, i dati forniti dal Ministero inducono a dubitare della idoneità "dello strumento prescelto dal legislatore (riliquidazione) a garantire un sufficiente livello di adeguatezza delle prestazioni pensionistiche", con la conseguenza di rendere necessario un nuovo esame della questione già valutata dalla Corte con le sentenze n. 42 del 1993 e n. 409 del 1995, dal momento che non vi sarebbe una ragionevole corrispondenza tra la dinamica delle pensioni e la dinamica delle retribuzioni, con conseguente violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione;
che in ordine alla rilevanza della questione, la Corte dei conti ritiene che soltanto la dichiarazione di incostituzionalità della norma impugnata consentirebbe il riconoscimento del diritto del ricorrente di ottenere la riliquidazione del proprio trattamento pensionistico;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la dichiarazione di manifesta infondatezza della questione prospettata, dal momento che la norma impugnata, dà attuazione alla sentenza n. 501 del 1988 della Corte, in quanto si sono riliquidati i trattamenti pensionistici del personale collocato a riposo prima del 1° luglio 1983, in applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 6 agosto 1984, n. 425 (Disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati);
che l’Avvocatura ricorda come la Corte, con le sentenze n. 42 del 1993 e n. 409 del 1995, ha affermato che è riservato in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del legislatore ordinario, nel quadro della politica economica generale, la disciplina del meccanismo di perequazione dei trattamenti pensionistici;
Considerato che la Corte, data la natura di retribuzione differita che deve riconoscersi al trattamento pensionistico, ha costantemente affermato il principio della proporzionalità della pensione alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché della sua adeguatezza alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia (sentenze n. 243 del 1992; n. 96 del 1991; n. 501 del 1988; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980 e n. 124 del 1968);
che ha, altresì, riconosciuto che il requisito della proporzionalità deve sussistere non solo al momento del collocamento a riposo del lavoratore, ma anche successivamente, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta (sentenze n. 96 del 1991 e n.26 del 1980);
che, tuttavia, ha altrettanto costantemente specificato che tale principio non impone affatto il necessario adeguamento del trattamento pensionistico agli stipendi, ma che spetta alla discrezionalità del legislatore determinare le modalità di attuazione del principio sancito dall’art. 38 della Costituzione;
che, più precisamente, tale determinazione consegue al bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa (sentenze n. 457 del 1998; n. 226 del 1993 e n. 119 del 1991), con il limite comunque di assicurare "la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona" (sentenza n. 457 del 1998);
che, sotto altro aspetto, l’esigenza di adeguamento delle pensioni alle variazioni del costo della vita è assicurata attraverso il meccanismo della perequazione automatica del trattamento pensionistico (attualmente disciplinato dal d.lgs.30 dicembre 1992, n. 503, recante norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e successive modifiche ed integrazioni);
che, pertanto, l’esclusione della applicazione alle pensioni spettanti ai magistrati collocati a riposo anteriormente al 1° luglio 1983, del meccanismo di adeguamento triennale degli stipendi dei magistrati previsto dall’art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 – esclusione disposta dalla norma censurata – non contrasta con i principi sanciti dagli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione;
che, sulla base delle suesposte motivazioni, la questione sollevata è manifestamente infondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’ art. 2, comma 1, della legge 8 agosto 1991, n. 265 (Disposizioni in materia di trattamento economico e di quiescenza del personale di magistratura ed equiparato) sollevata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2002.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2002.