Sentenza n. 244

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N.244

 

ANNO 1997

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO               

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente                  

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 61, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ricorso della Regione Lazio notificato il 25 gennaio 1997, depositato in Cancelleria il 30 successivo ed iscritto al n. 16 del registro ricorsi 1997.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1997 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi l'avvocato Giuseppe La Cute per la Regione Lazio e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. Con ricorso notificato il 25 gennaio 1997 e depositato il 30 gennaio 1997 (r. ric. n. 16 del 1997), la Regione Lazio ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 61, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), il quale dispone che "restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti" sulla base di 14 decreti-legge specificamente indicati, tra i quali il d.l. 27 settembre 1994, n. 551 (Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata), decaduto per mancata conversione in legge, e tutti quelli che sono ad esso succeduti, reiterandone il contenuto precettivo, nessuno dei quali convertito in legge, fino al d.l. 24 settembre 1996, n. 495, anch'esso decaduto e non più riprodotto.

Ognuno di tali decreti conteneva, tra l'altro, a seconda dei casi, all'art. 5, comma 3, o all'art. 4, comma 3, una norma che prevedeva che l'approvazione degli strumenti urbanistici da parte della Regione avvenisse entro centottanta giorni dalla data della trasmissione, da parte dell'ente che lo aveva adottato, dello stesso strumento corredato della necessaria documentazione, e che, decorso infruttuosamente il termine, che poteva essere interrotto una sola volta per motivate ragioni, i piani si intendevano approvati.

La Regione Lazio ritiene che il silenzio-assenso non si sia potuto formare in alcun caso, non essendo mai decorsi i centottanta giorni previsti da ciascuno dei decreti sopra indicati, in quanto ognuno di essi, trascorsi sessanta giorni dalla sua pubblicazione, aveva perso efficacia per mancata conversione in legge, nè il decreto successivo, che riproduceva la norma di cui si tratta, faceva alcun riferimento alla sequenza di provvedimenti che lo avevano preceduto. Pertanto, in via preliminare, la ricorrente chiede alla Corte di dichiarare che l'applicabilità dell'art. 2, comma 61, non può comportare in nessun caso il perfezionamento del silenzio-assenso di cui si tratta. Per l'eventualità, invece, che la Corte ritenga che questo si sia perfezionato qualora nell'arco dei due anni in cui i decreti-legge sono stati reiterati siano comunque decorsi i centottanta giorni, anche se ciascuno dei predetti provvedimenti ha perso efficacia ex tunc, dopo sessanta giorni dalla pubblicazione, a causa della mancata conversione, la ricorrente richiede la declaratoria della illegittimità costituzionale della clausola di salvezza di cui al citato art. 2, comma 61, per contrasto con gli artt. 77, 115, 117 e 118 della Costituzione.

Ad avviso della Regione Lazio, una norma che non si limiti a convalidare gli atti e provvedimenti adottati (il cui perfezionamento é istantaneo), ma faccia salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti a seguito della complessiva vigenza di una pluralità di decreti-legge di identico contenuto considerati come un tutto unitario, per un periodo di tempo di gran lunga superiore a sessanta giorni, non sarebbe compatibile con il sistema di cui all'art. 77 della Costituzione, che prevede uno stretto limite temporale entro il quale i decreti-legge possono spiegare i loro effetti senza essere convertiti.

Inoltre, la clausola di salvezza comporterebbe un contrasto con le norme costituzionali che attribuiscono alle Regioni la competenza in materia urbanistica, tanto più ove si consideri che, se uno dei decreti di cui si tratta fosse stato convertito nei sessanta giorni dalla sua emanazione, le Regioni avrebbero avuto almeno altri centoventi giorni per assumere le proprie determinazioni, mentre tale lasso di tempo sarebbe escluso dalla convalida retroattiva, ed "in blocco", dei decreti stessi, con violazione, altresì, del principio di leale cooperazione.

2. Nel giudizio si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso, osservando che, con esso, si richiede alla Corte una statuizione recante una dichiarazione interpretativa dell'art. 2, comma 61, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

Nell'imminenza della data fissata per l'udienza pubblica, la difesa della Regione Lazio ha depositato una memoria, con la quale insiste per l'accoglimento delle conclusioni già precisate, contestando il rilievo di inammissibilità della questione eccepito dall'Avvocatura generale dello Stato. La Regione Lazio osserva nella memoria che il giudizio di costituzionalità di una norma comunque soggetta al vaglio della Corte non può prescindere da una valutazione preliminare del contenuto e degli effetti della norma stessa.

Considerato in diritto

 

1. La questione di legittimità costituzionale proposta in via principale dalla Regione Lazio riguarda l'art. 2, comma 61, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che prevede che "restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti" sulla base di una serie reiterata di decreti-legge non convertiti, recanti "Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata". Ciascuno di tali decreti conteneva una norma che disponeva la formazione del silenzio-assenso in caso di mancata approvazione da parte della Regione, nei centottanta giorni dalla trasmissione da parte dell'ente che lo aveva adottato, dello strumento urbanistico.

Secondo la Regione ricorrente, la norma denunciata, se interpretata nel senso di produrre l'effetto di convalidare "in blocco" tutti i decreti-legge di cui si tratta dal 27 settembre 1994 (data di pubblicazione del primo di essi) al 23 novembre 1996 (data in cui ha perso efficacia, per mancata conversione, l'ultimo di essi), in modo da rendere ipotizzabile il perfezionamento del silenzio-assenso, ove nell'arco di questi due anni siano comunque decorsi i centottanta giorni previsti, violerebbe il sistema di cui all'art. 77 della Costituzione, che stabilisce uno stretto limite temporale (sessanta giorni) entro il quale i decreti-legge possono spiegare i propri effetti senza essere convertiti; nonchè gli artt. 115, 117, 118 della Costituzione per la violazione delle competenze delle Regioni in materia urbanistica e del principio di leale cooperazione.

2. Preliminarmente deve essere esaminata la eccezione di inammissibilità, sollevata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il profilo che si richiederebbe alla Corte una dichiarazione interpretativa della norma denunciata.

La eccezione é infondata. La Regione propone, invero, due profili di prospettazioni, il primo dei quali si risolve in una interpretazione della norma, l'altro in una denuncia di vizi di legittimità costituzionale della norma stessa. Va, qui, sottolineato che, trattandosi di ricorso in via principale (o di azione) soggetto a termini di decadenza nella specie, di ricorso della Regione configurato in un ambito di processo indiscutibilmente "di parti" a garanzia di posizioni soggettive dell'ente ricorrente é sufficiente, ai fini dell'ammissibilità dello stesso, sotto il profilo del contenuto della impugnazione, che vi sia una richiesta di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge, con indicazione del vizio denunciato, anche se questo é prospettato in via alternativa rispetto alla diversa tesi interpretativa.

Con ciò non si disconosce il principio che il giudizio di legittimità costituzionale proposto in via principale non può avere per oggetto la definizione di un mero contrasto sulla interpretazione della norma (sentenza n. 19 del 1956). Si intende, piuttosto, sottolineare la differenza del ricorso in via principale rispetto al giudizio incidentale, nel quale la risoluzione dell'eventuale dubbio interpretativo in ordine alla norma impugnata é lasciata alla preliminare valutazione del rimettente, vuoi ai fini della richiesta motivazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale nel giudizio a quo, vuoi in ossequio all'obbligo, pure posto a carico dello stesso giudice, della interpretazione adeguatrice, ove possibile, alla Costituzione.

In altri termini, la inammissibilità, nel caso di giudizio incidentale, di questione prospettata in via alternativa, deriva essenzialmente, per un verso, dal principio che "spetta al giudice a quo lo scioglimento dei dubbi esegetici della norma" denunciata, venendo altrimenti meno "la possibilità di verificare la rilevanza della questione, la quale é constatabile soltanto attraverso la precisa indicazione della norma impugnata nella accezione che si ritiene applicabile nel giudizio a quo" (sentenze n. 472 del 1989; n. 30 del 1984; n. 109 del 1982); per l'altro, dal mancato rispetto della regola che impone al giudice a quo, in caso di possibili letture alternative delle norme, di accogliere quella conforme a Costituzione (v., da ultimo, sentenze n. 99 del 1997 e n. 421 del 1996).

3. Passando all'esame delle denunciate censure, deve essere dichiarato inammissibile il profilo che invoca come parametro costituzionale l'art. 77 della Costituzione, in quanto secondo costante giurisprudenza di questa Corte "le Regioni, allorchè agiscono nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, non possono legittimamente far valere asserite violazioni delle norme costituzionali regolanti l'esercizio del potere governativo di adozione dei decreti-legge", poichè tali violazioni "non comportano di per sè alcuna lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita alle stesse" (sentenze n. 25 del 1996; n. 29 del 1995).

4. Gli altri profili, con cui si denuncia la violazione degli artt. 115, 117 e 118 della Costituzione sono invece infondati, in quanto basati sull'erroneo presupposto che la semplice norma di sanatoria degli anzidetti decreti-legge, tutti non convertiti sanatoria per di più intervenuta solo dopo un certo lasso di tempo dalla decadenza per mancata conversione dell'ultimo dei decreti-legge della serie possa comportare un effetto che non si era prodotto nè si sarebbe potuto produrre durante il periodo di vigenza dei singoli decreti-legge, ciascuno dei quali decaduto, e, quindi, privato di efficacia ex tunc, prima che si compisse il termine di centottanta giorni per l'approvazione degli strumenti urbanistici.

Giova sottolineare che l'interpretazione di norma di sanatoria degli effetti del decreto-legge non convertito deve essere condotta tenendo presente che tale potere attribuito al legislatore (ex art. 77, terzo comma, della Costituzione) é ontologicamente diverso, anche per le conseguenze giuridiche, da quello di conversione in legge del decreto-legge, in quanto riguarda i rapporti giuridici sorti nel periodo di vigenza del decreto, la cui provvisoria efficacia é venuta meno ex tunc. Di conseguenza possono essere salvati solo gli effetti già prodottisi durante il periodo di vigenza del singolo provvedimento di urgenza decaduto, impregiudicato ovviamente l'ulteriore potere del legislatore di regolare autonomamente situazioni pregresse, nei limiti in cui é ammissibile una legge retroattiva.

Per di più, l'interpretazione della legge di sanatoria degli effetti di provvedimenti di urgenza non convertiti deve essere condotta con rigore, quando si é in presenza di una serie di decreti-legge tutti non convertiti (reiterati non conformemente a Costituzione: sentenza n. 360 del 1996), nè comunque seguiti da intervento del legislatore in esercizio sostantivo di potestà legislativa, che abbia riprodotto con valore di legge una norma contenuta in una disposizione definitivamente decaduta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 61, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento all'art. 77 della Costituzione, dalla Regione Lazio con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 2, comma 61, della legge n. 662 del 1996, sollevata, in riferimento agli artt. 115, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Lazio con il medesimo ricorso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Riccardo CHIEPPA

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1997.