Sentenza n. 421 del 1996

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SENTENZA N. 421

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Dott. Renato GRANATA, Presidente

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

-     Avv. Fernanda CONTRI

-     Prof. Guido NEPPI MODONA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 669-terdecies del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 20 novembre 1995 dalla Corte d'appello di Lecce sul ricorso proposto da Politano Antonio contro Venturi Ferdinando ed altro, iscritta al n. 301 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre 1996 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

1. -- La Corte di appello di Lecce, investita del reclamo avverso un provvedimento di sequestro emesso dal Tribunale di quella città, sezione specializzata agraria, con ordinanza del 20 novembre 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 669-terdecies del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede il reclamo dinanzi alla corte d'appello dei provvedimenti cautelari emessi dal tribunale, sezione specializzata agraria.

Osserva il rimettente come la norma impugnata evidenzi una lacuna circa l'individuazione del giudice competente a conoscere dei reclami avverso i provvedimenti cautelari emessi dal tribunale in composizione collegiale quale giudice di primo grado, come nelle controversie agrarie, o quale giudice d'appello o di rinvio. Inizialmente la Corte rimettente, tra la soluzione di attribuire tale competenza al tribunale in diversa composizione, al più vicino tribunale o alla stessa corte d'appello e l'irreclamabilità tout court dei provvedimenti, aveva optato per tale ultimo indirizzo. Successivamente, peraltro, re melius perpensa, la Corte stessa opina di non dover seguire il proprio indirizzo, avuto riguardo all'intervenuta abolizione dell'istituto della convalida, alla generalità della competenza della sezione specializzata agraria ed infine alla stessa compatibilità tra i provvedimenti cautelari che questa può emanare e la nuova disciplina.

Premessa la rilevanza della questione, focalizzata proprio sulla conoscibilità del reclamo da parte del giudice a quo, questi si sofferma sul carattere generale dell'istituto, quale risulta dalla denunciata norma (come "integrata" dalla sentenza n. 253 del 1994 di questa Corte), con il quale contrasterebbe l'asserita irreclamabilità dei provvedimenti de quibus, soluzione altresì contraddetta dalla reclamabilità degli altri provvedimenti cautelari emessi - anche in materia agraria - dalla corte di appello devoluti appunto ad altra sezione o, in mancanza, alla corte d'appello più vicina.

Esclusa infine la possibilità di collegare l'irreclamabilità alla composizione collegiale dell'organo decidente, il rimettente prospetta l'irrazionalità della disciplina dettata in materia, ritenuta comunque lesiva del principio d'eguaglianza per la disparità riservata ai soggetti che controvertono in processi diversi (risultando appunto penalizzate le parti delle controversie agrarie), nonché per la compressione del diritto di difesa a causa dell'assenza di controllo da parte di altro e sovraordinato giudice sulla cautela accordata o negata.

2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione in quanto l'esclusione del reclamo si giustificherebbe sulla base della particolarità dell'organo decidente ed in ragione della sua speciale competenza.

Considerato in diritto

1. -- Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 669-terdecies cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede la reclamabilità dinanzi alla corte d'appello dei provvedimenti cautelari emessi dal tribunale - sezione specializzata agraria.

La Corte rimettente individua il vizio d'illegittimità costituzionale nella mancata previsione espressa di tale ipotesi di reclamabilità ed argomenta quindi nel senso della disparità di trattamento tra le parti nei diversi giudizi nonché della compressione del diritto di difendersi ed agire in giudizio che da tale asserita lacuna della norma impugnata deriverebbe, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

2. -- La questione non è fondata.

2.1. -- La Corte d'appello di Lecce muove dal presupposto secondo cui l'unica conclusione interpretativa possibile, a fronte dell'omessa indicazione del giudice competente a conoscere del reclamo de quo, sarebbe quella di un vuoto di tutela, da colmarsi attraverso la richiesta pronuncia additiva che radichi altresì nella corte d'appello tale competenza.

Viceversa il dato normativo, alla luce delle affermazioni contenute nelle precedenti decisioni di questa Corte in tema di reclamo, si presta ad una lettura costituzionalmente adeguata, ed anzi la impone come logicamente conseguente.

2.2. -- L'art. 669-terdecies, comma 2, prima proposizione, prevede che il reclamo avverso i provvedimenti del pretore e del giudice singolo del tribunale si propone al collegio (del quale quest'ultimo non può far parte). Subito dopo vi si aggiunge che del reclamo avverso il provvedimento cautelare emesso dalla corte di appello è competente a conoscere altra sezione della stessa corte (o in mancanza la corte di appello più vicina).

Nella sentenza n. 253 del 1994, questa Corte ha sottolineato come la ratio del nuovo procedimento cautelare sia ravvisabile nell'intento di assicurare un modulo unitario ad una forma di tutela ormai pressoché generalizzata, che è da considerare espressione di un autonomo principio e che rappresenta una componente della stessa tutela giurisdizionale, rispetto alla cui piena attuazione essa svolge anche una funzione strumentale.

In questa prospettiva, sintetizzata nell'endiadi "autonomia e strumentalità", vanno appunto verificate le garanzie costituzionali, costituite dalla regola della "parità delle armi", riguardo a quel mezzo di controllo dell'operato del giudice della cautela, che è il reclamo.

Siffatto controllo -- ha sottolineato la Corte in quella occasione ed ha altresì ribadito nella successiva sentenza n. 197 del 1995 -- si attua come revisio prioris instantiae demandata ad un giudice diverso. Ma è proprio in tale alterità del giudice e nella sua composizione collegiale, che si realizza la garanzia voluta dal legislatore col ridurre il regime di stabilità del provvedimento cautelare in confronto al previgente, frammentario, sistema.

2.3. -- Tanto premesso, va rilevato che veramente la denunciata disposizione non prevede l'ipotesi di provvedimenti cautelari emessi dal tribunale in sede collegiale; così creando serie incertezze nell'interprete. Ma ciò, se rende auspicabile un ulteriore intervento legislativo nella materia, non comporta affatto la declaratoria d'incostituzionalità della disposizione stessa, vigendo il fondamentale principio -- enunciato più volte da questa Corte e che vincola anche il giudice nell'applicazione del diritto -- secondo cui l'illegittimità costituzionale di una norma può configurarsi soltanto ove non sia possibile, nonostante l'uso di tutti gli strumenti offerti dall'ermeneutica giuridica, un'interpretazione adeguatrice della norma stessa alla Costituzione. E la disposizione denunciata, così come inserita nel sistema, può ben interpretarsi nel senso di escludere che con essa si sia inteso sancire l'irreclamabilità dei provvedimenti cautelari emessi da giudici diversi da quelli ivi menzionati.

2.3.1. -- Stante la sopralumeggiata unitarietà di disciplina del giudizio cautelare, non si vede infatti perché il legislatore avrebbe ammesso il reclamo, non solo contro i provvedimenti di tutti i giudici monocratici, ma anche contro quelli della corte d'appello, e lo avrebbe invece escluso contro i provvedimenti del tribunale in sede collegiale. Trattasi, all'evidenza, di una semplice lacuna tecnica, che il giudice adìto deve e può colmare secondo i compiti a lui affidati e con gli strumenti ermeneutici apprestati dall'ordinamento giuridico.

2.3.2. -- Lo stesso art. 669-terdecies, attraverso le opzioni operate, offre all'interprete la possibilità di scegliere almeno fra due soluzioni, ciascuna delle quali ha già trovato conforto sia in dottrina che in giurisprudenza. La prima è quella che vede attribuita la competenza al giudice superiore, in analogia a quanto previsto nella prima parte dell'art. 669-terdecies, secondo comma; l'altra consiste nell'attribuzione della competenza a un giudice diverso ma equiordinato, e cioè ad altra sezione dello stesso tribunale o, in mancanza, al tribunale più vicino, giusta come indicato dalla seconda parte della medesima disposizione con riguardo ai provvedimenti cautelari della corte d'appello.

2.3.3. -- Entrambe le soluzioni, alla luce di quanto sopra precisato, appaiono conformi ai princìpi costituzionali e compatibili col sistema. A questo riguardo va osservato che la prima soluzione trarrebbe fondamento dal principio seguìto dal codice di rito relativamente alle impugnazioni in generale, ed anche ai reclami in camera di consiglio (v. art. 739); con l'esito di offrire una maggiore certezza nell'individuazione del giudice in concreto. Mentre la seconda -- cui di contro andrebbe riconosciuto il vantaggio di far superare l'ostacolo che si presenta nel caso in cui non vi sia piena corrispondenza fra sezioni del tribunale e della corte d'appello (come ad esempio nella materia del lavoro) --, anche se derogatoria di quel principio, sarebbe comunque in sintonia con la logica del riesame che sta alla base della denunciata norma. Una logica che si muove tutta all'interno della peculiarità procedimentale del nuovo modello cautelare uniforme, rimanendo estranea alla prospettiva propria dell'impugnazione in senso stretto, la quale si articola su gradi di giurisdizione e dunque implica necessariamente la devoluzione del gravame al giudice superiore: il che, fra l'altro, può spiegare il richiamo selettivo fatto dal terzo comma dell'art. 669-terdecies alla disciplina comune dei procedimenti in camera di consiglio, con esclusione in particolare del succitato art. 739, dove è previsto il reclamo davanti alla corte d'appello contro i decreti pronunciati dal tribunale. Al di là di ogni possibile supposizione che la competenza cosiddetta rotatoria sia stata disposta con riguardo alla corte d'appello solo perché il giudice sovraordinato ad essa è la Corte di cassazione (e non si è voluto attribuire a questa giudizi prevalentemente di fatto), resta pur sempre il dato -- reso esplicito dalla norma -- che l'effettività del riesame può essere realizzata in virtù dei soli, anzidetti, criteri dell'alterità e della collegialità del giudice, e non necessariamente anche attraverso il rapporto di sovraordinazione tra giudici.

2.4. -- Quanto dinanzi osservato basta per ritenere comunque priva di consistenza la prospettazione del rimettente, che in sostanza si basa su un paventato "vuoto" normativo, e quindi per escludere la non conformità della norma alla Costituzione. Resta fermo, tuttavia, l'auspicio che il legislatore intervenga per fare chiarezza e assicurare uniformità di giudizi in una materia come questa, dove non è neppure ammissibile il ricorso per regolamento di competenza, secondo l'ormai consolidato orientamento della Corte di cassazione (già richiamato da questa Corte nella sentenza n. 197 del 1995).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 669-terdecies del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Lecce con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1996.