SENTENZA N.18
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Dott. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli articoli:
- 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382 (Norme sull'ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione);
- 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), limitatamente alle parole: "la funzione di indirizzo e coordinamento nei limiti, nelle forme e nelle modalità previste dall'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382";
- 2, comma 3, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), limitatamente alle parole: "gli atti di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle regioni e, nel rispetto delle disposizioni statutarie, delle regioni a statuto speciale e delle provincie autonome di Trento e Bolzano;";
- 13, comma 1, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400, limitatamente alle parole: "anche per quanto concerne le funzioni statali di indirizzo e coordinamento";
- 1, comma 1, lettera hh), della legge 12 gennaio 1991, n. 13 (Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica), limitatamente alle parole: "atti di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle regioni e, nel rispetto delle disposizioni statutarie, delle regioni a statuto speciale e delle provincie autonome di Trento e Bolzano, previsti dall'articolo 2, comma 3, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400;", iscritto al n. 86 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 26-27 novembre 1996 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997 il Giudice relatore Valerio Onida;
udito l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per i delegati dei Consigli regionali della Lombardia, del Piemonte, della Valle d'Aosta, della Calabria, del Veneto e della Puglia.
Ritenuto in fatto
1.-- Con ordinanza del 26-27 novembre 1996 l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai Consigli regionali delle Regioni Calabria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Valle d'Aosta, Veneto, sul seguente quesito: «Volete voi che siano abrogati:
l'articolo 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382 "Norme sull'ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione";
l'articolo 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 "Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382", limitatamente alle parole "la funzione di indirizzo e coordinamento nei limiti, nelle forme e nelle modalità previste dall'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382";
l'articolo 2, comma 3, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400 "Disciplina dell'attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri", limitatamente alle parole "gli atti di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle Regioni e, nel rispetto delle disposizioni statutarie, delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano";
l'art. 13, comma 1, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400, "Disciplina dell'attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri", limitatamente alle parole: "anche per quanto concerne le funzioni statali di indirizzo e coordinamento";
l'articolo 1, comma 1, lettera hh), della legge 12 gennaio 1991, n. 13 "Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica", limitatamente alle parole "atti di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle Regioni e, nel rispetto delle disposizioni statutarie, delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano, previsti dall'art. 2, comma 3, lettera d) della legge 23 agosto 1988, n. 400"?».
2.-- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente deliberazione la camera di consiglio dell'8 gennaio 1997, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori della richiesta e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.
Si sono avvalsi della facoltà di presentare memorie, prevista dall'art. 33, terzo comma, della legge citata, i presentatori della richiesta.
Essi sottolineano anzitutto che il quesito include tutte le disposizioni generali -- sia di principio che procedimentali -- attributive allo Stato-persona e ai suoi organi decentrati (Commissario di governo) dei poteri di indirizzo e coordinamento, mentre non sono stati inclusi l'art. 17, lettera a, della legge n. 281 del 1970 e le norme conseguenti dei decreti delegati emanati su quella base, in quanto superati ed esplicitamente abrogati dall'art. 3, terzo comma, della legge n. 382 del 1975, né le disposizioni delle leggi di settore ricognitive dell'esistenza dei poteri di indirizzo e coordinamento, che non costituiscono presupposto legislativo autonomo e autosufficiente rispetto alle norme generali, di principio e procedimentali.
L'abrogazione richiesta farebbe venir meno la funzione di indirizzo e coordinamento "nella sua sostanziale unitarietà", onde le singole norme di settore cadrebbero in via conseguenziale, né potrebbero essere considerate comunque come normative speciali in grado di resistere all'abrogazione della normativa generale.
I presentatori sostengono che proprio l'esigenza di massima chiarezza possibile del quesito avrebbe richiesto di includervi solo le disposizioni generali, di principio e procedimentali.
La difesa dei presentatori contesta poi che si tratti di disposizioni legislative a contenuto costituzionalmente vincolato o costituzionalmente obbligatorie. In proposito nega che la giurisprudenza di questa Corte, pur avendo riconosciuto nell'art. 5 della Costituzione la norma di copertura costituzionale della previsione, da parte della legislazione ordinaria, dei suddetti poteri statali, abbia mai inteso affermare che essa costituisse non solo il fondamento essenziale della funzione di indirizzo e coordinamento, bensì anche la fonte in grado di precostituire gli aspetti formali e sostanziali della funzione medesima "siccome costituzionalmente obbligatori, nel suo esserci, nelle sue procedure, nei suoi contenuti". La concreta previsione di tale potere statale costituirebbe, allo stato attuale, una scelta legislativa a contenuto discrezionale non incompatibile con le norme costituzionali, dunque soggetta a possibilità di abrogazione referendaria.
I presentatori non negano l'esistenza di esigenze di carattere unitario che giustificano la necessità di una qualche attività di indirizzo e coordinamento, ma affermano che ciò che viene posto in contestazione è che tali esigenze e tale attività debbano costituire l'oggetto di un'autonoma funzione che possa tenersi distinta, di volta in volta, dalla funzione legislativa o da quella amministrativa. Ciò che non si vorrebbe più consentire è che tale attività possa essere esercitata anche mediante atti di natura amministrativa, fuori dei casi in cui si provveda con atto legislativo. D'altra parte -- argomentano i presentatori -- se si dovesse considerare l'attuale disciplina legislativa dell'attività statale di indirizzo e coordinamento come direttamente ed immediatamente riconducibile, nei suoi attuali e concreti contenuti, alla norma di principio di cui all'art. 5 della Costituzione, ne discenderebbe che la modifica di tale disciplina comporterebbe un'incidenza sugli stessi principi fondamentali della Costituzione, onde potrebbe non essere sufficiente allo scopo nemmeno il procedimento di revisione costituzionale.
Negato poi che sussistano nella specie ulteriori limiti all'ammissibilità del referendum, e rilevato che l'abrogazione delle stesse disposizioni oggetto del quesito è prevista da un disegno di legge del Governo, che peraltro introduce una nuova disciplina procedimentale in base alla quale l'esercizio dell'attività di indirizzo e coordinamento in via amministrativa diverrebbe addirittura la regola, i presentatori concludono ribadendo l'ammissibilità della richiesta di referendum.
3.-- Ad integrazione del contraddittorio sono stati uditi in camera di consiglio i legali dei Consigli regionali presentatori della richiesta, che hanno insistito per la dichiarazione di ammissibilità della stessa.
Considerato in diritto
1. -- La richiesta investe la disposizione, contenuta nell'art. 3 della legge n. 382 del 1975, che definisce la "funzione di indirizzo e coordinamento delle attività delle Regioni", ne afferma la spettanza allo Stato, e ne stabilisce le modalità procedimentali di esercizio quando "non si provveda con legge o con atto con forza di legge"; la disposizione, contenuta nell'art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, ai cui sensi, nelle materie definite dal decreto medesimo, lo Stato esercita la funzione di indirizzo e coordinamento in conformità al citato art. 3 della legge n. 382 del 1975; le disposizioni della legge n. 400 del 1988 (art. 2, comma 3, lettera d, e art. 13, comma 1, lettera e), che stabiliscono la competenza del Consiglio dei ministri per la deliberazione degli atti di indirizzo e coordinamento, e attribuiscono al Commissario del governo il compito di proporre iniziative al Presidente del Consiglio dei ministri per quanto concerne le funzioni statali di indirizzo e coordinamento; infine la disposizione dell'art. 1, comma 1, lettera hh, della legge n. 13 del 1991, che prescrive la forma del decreto del Presidente della Repubblica per l'emanazione degli atti di indirizzo e coordinamento.
2. -- La richiesta è inammissibile, poiché coinvolge nel loro insieme norme espresse bensì in atti di legislazione ordinaria, ma a contenuto -- sia pure parzialmente -- vincolato dalla Costituzione.
Il quesito non si limita ad investire (ciò che non troverebbe ostacoli di ordine costituzionale) norme disciplinanti modalità o ipotesi concrete di esercizio o di abilitazione all'esercizio del potere statale di indirizzo e coordinamento, stabilite dal legislatore ordinario e dal medesimo disponibili, ma coinvolge il potere medesimo in sé, nella sua esistenza e quindi, necessariamente, nel suo fondamento, che risiede nella stessa Costituzione.
La natura costituzionale dell'autonomia regionale comporta invero che solo alla Costituzione e alla legge costituzionale spetta "il compito di fissare, in termini conclusi, le stesse dimensioni dell'autonomia, cioè i suoi contenuti e i suoi confini", con la conseguenza che "ad ogni potere di intervento dello Stato, suscettibile di incidere su tale sfera costituzionalmente garantita, in modo da condizionarne in concreto (...) la misura e la portata, non potrà non corrispondere un fondamento specifico nella stessa disciplina costituzionale" (sentenza n. 229 del 1989).
Nella giurisprudenza di questa Corte, infatti, il potere statale di indirizzo e coordinamento è stato configurato non già come un limite ulteriore all'autonomia delle Regioni, che si aggiunga (ciò che non potrebbe avvenire ad opera della legge ordinaria) a quelli espressamente sanciti dalla Costituzione, ma come espressione o manifestazione dei limiti costituzionalmente fissati (cfr., fra le molte, sentenze n. 39 del 1971, n. 340 del 1983, n. 177 del 1988, n. 242 del 1989).
Che il fondamento normativo sulla cui base si riconosce allo Stato la possibilità di disciplinare -- con adeguate previsioni legislative -- l'esercizio di poteri di indirizzo nei confronti delle Regioni si rinvenga nella Costituzione è confermato dal fatto che la Corte ha ammesso che siffatte previsioni, e gli atti di concreto esercizio dell'indirizzo e coordinamento, possano legittimamente rivolgersi anche alle Regioni a statuto speciale, pur quando i loro statuti, e le relative norme di attuazione, non menzionano in alcun modo i poteri medesimi (sentenza n. 340 del 1983). Si è ritenuto, infatti, che in realtà sono le "esigenze unitarie insuscettibili di frazionamento o di localizzazione territoriale", sottese ai limiti costituzionalmente fissati alle competenze regionali, che "autorizzano lo Stato a esercitare nei confronti delle autonomie regionali (o provinciali) una funzione di indirizzo e di coordinamento" (sentenza n. 242 del 1989).
In effetti, ciò che si ricava dalla Costituzione, e che forma l'essenza della così detta "funzione" di indirizzo e coordinamento, non è tanto una autonoma potestà statale esercitabile nei confronti delle Regioni, quanto il principio secondo cui allo Stato centrale non possono essere negati i poteri necessari per la soddisfazione di esigenze unitarie non suscettibili di frazionamento territoriale. Tali poteri, nella fase storica di avvio dell'esperienza delle Regioni ordinarie, hanno trovato espressione nella definizione di detta "funzione", in correlazione con l'intento dichiarato di non porre a priori limiti di materia al trasferimento di funzioni amministrative nei settori costituzionalmente attribuiti alla competenza delle Regioni. Le stesse esigenze possono ben trovare espressione, ad opera del legislatore ordinario, anche con modalità e contenuti diversi, non necessariamente improntati ad una logica di sovraordinazione e di vincolo, invece che ad una di cooperazione, promossa e guidata dal centro (come per esempio è implicito nella previsione dell'art. 3 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, ove si configurano gli atti di indirizzo emanati dal Governo centrale come efficaci nei confronti della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e Bolzano solo "se e per quanto lo statuto speciale e le relative norme di attuazione non prescrivono specifici procedimenti per il coordinamento tra funzioni e interessi dello Stato e rispettivamente della Regione o delle Province autonome").
In ogni caso, oggetto di determinazioni discrezionali del legislatore ordinario, dallo stesso disponibili, non è l'esistenza di tali poteri in sé, ma sono solo le concrete condizioni e modalità del loro esercizio.
3.-- Il quesito abrogativo proposto non investe alcuna delle numerose disposizioni legislative vigenti, che prevedono in concreto l'esercizio di poteri di indirizzo e coordinamento, delimitando i contenuti dei relativi atti, ma solo un gruppo di disposizioni a carattere del tutto generale, di natura esclusivamente o prevalentemente ricognitiva.
La Corte ha chiarito come sia l'art. 3 della legge n. 382 del 1975 (cfr. sentenza n. 150 del 1982), sia l'art. 2, comma 3, lettera d, della legge n. 400 del 1988 (cfr. sentenze n. 242 del 1989, n. 30 del 1992) -- entrambe cioè le disposizioni a carattere più generale investite dal quesito -- non valgono in alcun modo a giustificare in concreto l'esercizio del potere e l'emanazione dei relativi atti, non riguardando e non delimitando il possibile contenuto sostanziale degli atti di indirizzo; e che lo stesso carattere è da attribuirsi anche ad altre disposizioni -- non incluse nel quesito -- che ribadiscono in via generale l'astratta possibilità di esercizio del potere in singoli settori o materie (così, per es., l'art. 4, comma 1, lettera f, della legge 18 maggio 1989, n. 183, in materia di difesa del suolo, su cui cfr. la sentenza n. 85 del 1990; l'art. 5, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, in tema di sistema statistico nazionale, su cui cfr. la sentenza n. 139 del 1990).
E la stessa Corte ha chiarito altresì come, affinché i poteri medesimi possano essere legittimamente esercitati, occorra in ogni caso una disposizione legislativa "la quale, in apposita considerazione della materia, che volta a volta esige l'intervento degli organi centrali, vincoli e diriga la scelta del Governo, prima che questo possa, dal canto suo, indirizzare e coordinare lo svolgimento di poteri di autonomia" (sentenza n. 150 del 1982; e cfr. anche, ad es., sentenze n. 338 del 1989, n. 30 del 1992).
4.-- La tesi dei promotori del referendum, secondo cui l'eventuale abrogazione delle norme incluse nel quesito comporterebbe l'inoperatività di tutte le altre norme legislative (molte delle quali non richiamano affatto dette norme generali, e spesso contengono un'autonoma disciplina anche sotto il profilo procedimentale), che concretamente prevedono e autorizzano l'esercizio di poteri di indirizzo e coordinamento, non è esatta. Essa presuppone infatti che detti poteri siano fondati sulle disposizioni di legge ordinaria di cui si chiede l'abrogazione, mentre essi sono, come si è detto, fondati sulla Costituzione. La stessa tesi, configurando le norme che si vorrebbero abrogare come condizione necessaria di applicabilità di altre norme di pari livello legislativo, presuppone ancora che si attribuisca ad esse un valore superlegislativo, che le stesse non hanno né possono avere.
Sicché, se veramente la richiesta abrogativa fosse diretta esclusivamente a smentire scelte del legislatore ordinario, senza intaccare il quadro costituzionale, ne deriverebbe paradossalmente che si tratterebbe di un referendum inutile, poiché, come si è detto, l'eventuale abrogazione non avrebbe alcun effetto sulla vigenza e sull'applicabilità delle norme di legge che prevedono e disciplinano in concreto l'esercizio di poteri di indirizzo e coordinamento, senza richiamarsi alle disposizioni generali di cui si discute.
5.-- Né si potrebbe fondatamente sostenere che la richiesta di abrogazione investa solo la facoltà di esercitare il potere di indirizzo con atti non legislativi, restando salva la possibilità -- richiamata dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975 -- che "si provveda con legge o con atto avente forza di legge"; ovvero che investa gli aspetti procedurali dell'esercizio del potere in via non legislativa, vale a dire la previsione -- contenuta nell'art. 3 della legge n. 382 del 1975 e ribadita dall'art. 2, comma 3, lettera d, della legge n. 400 del 1988 -- dell'esercizio attraverso delibere del Consiglio dei ministri ovvero, per delega, da parte del CIPE o del Presidente del consiglio, nonché la previsione -- contenuta nell'art. 1, comma 1, lettera hh, della legge n. 13 del 1991 -- dell'emanazione degli atti di indirizzo e coordinamento mediante decreti del Presidente della Repubblica.
Invero il quesito investe nella sua interezza l'art. 3 della legge n. 382 del 1975, là dove esso afferma anzitutto, in via ricognitiva, che la funzione di indirizzo e coordinamento "spetta allo Stato", e non sembra dunque possibile intenderlo in alcun senso riduttivo.
Peraltro si configura un vero potere di indirizzo e coordinamento, così come è stato inteso nella giurisprudenza di questa Corte, solo quando se ne preveda -- da parte del legislatore -- l'esercizio in via non legislativa, e cioè con atti del Governo, poiché l'ipotesi dell'esercizio attraverso atti legislativi si confonde con il diverso problema della possibilità e dei limiti dell'intervento legislativo statale nelle materie di competenza regionale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione e delle corrispondenti norme degli statuti speciali. In ogni caso, ciò che trova fondamento nella Costituzione è proprio il riconoscimento in via di principio della possibilità che la legge attribuisca al Governo il potere di indirizzare e coordinare l'attività amministrativa delle Regioni in forza di esigenze unitarie, non frazionabili e non localizzabili territorialmente.
Così che sottoporre a referendum abrogativo l'esistenza di questa possibilità, senza invece sottoporvi le norme che in concreto abilitano il Governo ad adottare atti di indirizzo e coordinamento, equivarrebbe a sottoporre a referendum una norma costituzionale.
6.-- Quanto poi all'ipotesi che siano oggetto della richiesta di abrogazione solo le prescrizioni procedimentali, vale osservare che in realtà le modalità previste nelle norme generali incluse nel quesito -- e sostanzialmente identificantisi con la competenza del Governo nella sua sede collegiale -- coincidono con quelle che la Corte ha indicato come garanzie minime costituzionalmente necessarie affinché l'esercizio del potere governativo non si traduca nell'indebita sovrapposizione di un'amministrazione statale a quelle regionali, nelle materie di competenza delle Regioni (cfr. sentenze n. 338 del 1989, n. 453 del 1991, n. 124 del 1994). Onde ancora una volta si tratterebbe di incidere su norme o su principi della Costituzione.
In realtà, come si è detto, come è confermato dalla denominazione attribuita al quesito, e come del resto è affermato dagli stessi promotori, la domanda abrogativa non è volta a contrastare questa o quella modalità procedimentale di esercizio del potere, ma l'esistenza stessa del potere medesimo, e dunque inevitabilmente incide sulla Costituzione: ciò che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non è ammesso (cfr. già la sentenza n. 16 del 1978, nonché, fra le altre, la sentenza n. 26 del 1981).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, della legge 22 luglio 1975, n. 382 (Norme sull'ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione); del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382); della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri); della legge 12 gennaio 1991, n. 13 (Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 26-27 novembre 1996, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997.
Renato GRANATA, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.