Sentenza n. 124 del 1994

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SENTENZA N. 124

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo, terzo, quarto e quinto comma, 2, primo, secondo e quinto comma, 3, 4, 5, 6, primo comma, lettera a), e 10 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270, recante: "Riordinamento degli istituti zooprofilattici sperimentali, a norma dell'art. 1, primo comma, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n.421", promossi con ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia e della Provincia autonoma di Trento, notificati rispettivamente il 2 e il 1° settembre 1993, depositati in cancelleria il 9 e l'11 successivi ed iscritti ai nn. 45, 53 e 54 del registro ricorsi 1993.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 gennaio 1994 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi l'avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Emilia- Romagna, l'avvocato Valerio Onida per la Regione Lombardia e la Provincia autonoma di Trento e l'avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con tre ricorsi regolarmente notificati e depositati le Regioni Emilia-Romagna e Lombardia nonchè la Provincia automa di Trento hanno sollevato questione di legittimità costituzionale di varie norme del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270 (Riordinamento degli istituti zooprofilattici sperimentali, a norma dell'art. 1, primo comma, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421).

2.- La Regione Emilia-Romagna ha impugnato gli artt. 1, primo, quarto e quinto comma; 2, primo e secondo comma; 3, secondo, terzo, quarto e sesto comma; 5, primo comma; 6, primo comma, lettera a) e 10, primo comma, del menzionato decreto, per violazione degli artt. 117, 118, 119 e 76 della Costituzione.

3.- Il ricorso rileva che il provvedimento è stato emanato in attuazione dell'art. 1, primo comma, lettera h), della legge n. 421 del 1992, secondo il quale il Governo avrebbe dovuto adottare, "per rendere piene ed effettive le funzioni che vengono trasferite alle regioni", norme per la riforma del Ministero della sanità, comprendendovi il "riordino" degli istituti zooprofilattici. Alla luce di tale unico criterio direttivo, sarebbe da escludere che il Governo, attraverso il conseguente decreto delegato, avesse il potere di diminuire "il grado di regionalizzazione delle istituzioni sanitarie", già realizzato dalla legge 23 dicembre 1975, n.745, che ha dato attuazione all'assetto costituzionale e ha determinato le funzioni rispettive dello Stato e delle regioni.

Il decreto impugnato mirerebbe invece a "reinserire" gli istituti zooprofilattici in un quadro di riferimento statale, comprimendo irrazionalmente ed illegittimamente competenze regionali già stabilite.

Sarebbe, perciò, in contrasto con la legge di delega l'art. 1, primo comma, che definisce gli istituti stessi quali "strumenti tecnico-scientifici dello Stato, delle regioni e delle province autonome, per le materie di rispettiva competenza", travolgendo così l'assetto e la collocazione istituzionale dei medesimi, con mutamenti che vanno ben al di là del "riordino".

4.- Ugualmente non prevista nella delega sarebbe l'attribuzione al Ministro della sanità di nuove funzioni, sicchè sarebbero illegittimi: l'art. 2, secondo comma - lettere da a) ad l)- nella parte in cui riconosce al Ministro stesso nuove funzioni amministrative non meramente riproduttive di funzioni già spettanti; l'art. 3, che gli demanda il potere di nomina di un componente del consiglio di amministrazione (secondo comma) e di un revisore dei conti (quarto comma); l'art. 5, primo comma, che gli conferisce il potere di stabilire le prestazioni a pagamento e i criteri per la determinazione, da parte delle regioni, delle relative tariffe; l'art. 2, primo comma, che prevede il potere ministeriale di indirizzo e coordinamento, in violazione, oltretutto, dei principi concernenti tale funzione, sia sotto il profilo della titolarità collegiale che della necessità di una disciplina sostanziale per il suo esercizio.

5.- Non meno illegittima sarebbe la sostanziale sottrazione alle regioni della potestà legislativa in materia di organizzazione degli istituti, operata sia attraverso l'art. 10, primo comma in quanto abroga l'art. 1, secondo comma, della legge n. 745 del 1975 che tale potestà riconosceva- sia attraverso l'art. 3, secondo comma, che disciplina minutamente l'organizzazione dell'ente, ivi compresa l'individuazione degli organi, il numero dei componenti dell'organo di amministrazione, la titolarità dei poteri di nomina e le relative procedure. Rilevato che, per il collegio dei revisori, addirittura la nomina è a maggioranza statale ed evidenziata, altresì, l'incongruità della disposizione che prevede la nomina del direttore generale d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, ci si duole del fatto che la potestà legislativa regionale in tema di organizzazione venga ridotta a potestà meramente integrativa, in violazione, oltre che dei principi contenuti nella delega, dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, trattandosi di materie "pacificamente regionali", ai sensi dell'art.27, primo comma, lettera l) e dell'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977.

6.- Non dissimili motivi di illegittimità, per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, oltre che dei principi della legge di delega, colpirebbero, secondo il ricorso, l'art. 1, quinto comma, nella parte in cui prevede un regolamento ministeriale per il coordinamento dei compiti degli istituti con quelli previsti dalla legge 23 giugno 1970, n. 503, modificata dalla legge 11 marzo 1974, n. 101, e dalla legge 23 dicembre 1975, n. 745. Corrispondentemente sarebbero illegittime anche le disposizioni dell'art. 1, quarto comma, in quanto non prevede la potestà regionale di precisare e integrare i compiti degli istituti e l'art. 10 che ha abrogato l'art. 4 della legge 23 dicembre 1975, n. 745, che tale potestà legislativa regionale contemplava.

7.- Infine, la Regione Emilia-Romagna impugna la previsione dell'art. 6, primo comma, lettera a), relativa al finanziamento degli istituti, per violazione, da un lato, del principio della delega, secondo il quale le norme di riordino "non devono comportare oneri a carico dello Stato" e, dall'altro, dell'autonomia finanziaria regionale, garantita dall'art. 119 della Costituzione, atteso che si dispone di quella parte del Fondo sanitario che, ai sensi del decreto legislativo n. 502 del 1992, deve essere ripartita tra le regioni.

8.- Con il ricorso proposto dalla Regione Lombardia, viene contestata la legittimità costituzionale degli artt. 1, primo, terzo, quarto e quinto comma; 2, primo, secondo e quinto comma; 3 del decreto legislativo n. 270 del 1993. La Regione ricorrente, con argomentazioni in gran parte analoghe a quelle della Regione Emilia-Romagna, lamenta che varie disposizioni del predetto decreto -ponendosi, tra l'altro, in contraddizione con la direttiva contenuta nella delega, volta a rendere "piene ed effettive" le funzioni che vengono trasferite alle regioni- contrastino con gli artt. 117 e 118, nonchè con l'art. 76 della Costituzione.

Ricordato che, con la legge n. 745 del 23 dicembre 1975, si era provveduto all'integrale regionalizzazione degli istituti e rammentato, altresì, il trasferimento di funzioni alle regioni, operato con gli artt.27, primo comma, lettera l), e 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, ci si duole, in particola re, del fatto che l'art. 10 preveda espressamente l'abrogazione delle disposizioni della menzionata legge n. 745 del 1975, che avevano consentito detta regionalizzazione, censurando l'art. 1, primo comma, del decreto impugnato che definisce gli istituti strumenti tecnico-scientifici sia dello Stato che delle regioni e delle province autonome, e, così pure, il terzo comma che prevede che essi operino nell'ambito del Servizio sanitario nazionale.

Costituisce oggetto di doglianza anche il quinto comma dello stesso articolo, il quale dispone che il Ministro della sanità coordini gli attuali compiti degli istituti con quelli previsti dalle disposizioni, non abrograte, delle leggi precedenti, e ciò faccia con un regolamento ministeriale, solo d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti Stato-regioni, non essendo affatto chiaro, ad avviso della ricorrente, come dovrebbe esplicarsi tale coordinamento, posto che l'art. 4 della legge n. 745 del 1975, relativo ai compiti degli istituti zooprofilattici, risulta interamente abrogato dall'art. 10 del decreto legislativo impugnato.

Anche per altra via, il decreto legislativo in questione consentirebbe una indiretta e costituzionalmente illegittima riappropriazione di competenze da parte dello Stato, là dove, all'art. 1, quarto comma, prevede un elenco accorpato delle competenze degli istituti zooprofilattici, senza precisare se tali attribuzioni siano di pertinenza regionale o interregionale, ovvero statale.

Per contro, la legge 23 dicembre 1975, n. 745, dopo aver indicato le competenze statali residue (art. 2), aveva cura di precisare, all'art. 4, i compiti che le regioni avrebbero dovuto affidare agli istituti, nel presupposto che si fosse in presenza di competenze regionali.

9.- Censure analoghe a quelle avanzate nel ricorso della Regione Emilia-Romagna sono poi rivolte alle previsioni dell'art. 2, sia per la funzione di indirizzo e coordinamento attribuita, dal primo comma, al Ministro della sanità, quanto ai requisiti minimi strutturali e tecnologici degli istituti e ai criteri organizzativi uniformi; sia per quanto disposto dal secondo comma che, dopo aver stabilito che compete allo Stato il coordinamento tecnico-funzionale degli istituti e l'attribuzione agli stessi di compiti di "interesse nazionale e internazionale", affida al Ministro della sanità una serie di competenze assai genericamente individuate, che incidono sulle funzioni di spettanza regionale, senza che ne sia precisato con criteri oggettivi il carattere di interesse nazionale.

Onde il Ministro si trova a poter discrezionalmente disporre dello svolgimento di attribuzioni nelle materie di competenza regionale, senza alcuna seria delimitazione di oggetto e di contenuto.

10.- L'art. 3 è censurato per la disciplina di estremo dettaglio della organizzazione interna degli istituti, con conseguente lesione delle competenze regionali. Del tutto simbolica -ad avviso delle ricorrenti- appare, perciò, la disposizione dell'art. 2, quinto comma, secondo la quale le regioni disciplinano le modalità gestionali, organizzative e di funzionamento degli istituti. Si lamenta, poi, il fatto che il secondo comma dell'art. 3 ripristini la diretta presenza dello Stato, ancorchè in proporzioni minoritarie, nel consiglio di amministrazione; che il terzo comma stabilisca che la nomina del direttore generale è fatta non dalla sola Regione in cui l'istituto ha sede legale, ma da questa d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni; e, infine, che il quarto comma preveda che due membri su tre del collegio dei revisori siano rappresentanti dei ministeri, segnando, anche per questa via, una preminenza degli organi statali nel controllo e nella vigilanza sugli istituti.

11.- La Provincia autonoma di Trento impugna l'art. 1, primo, terzo, quarto e quinto comma; l'art. 2, primo, secondo e quinto comma e gli artt.3, 4, 5 e 10 del decreto n. 270 del 1993, per violazione dell'art. 8, numero 21; dell'art. 9, numero 10 e dell'art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e delle relative norme di attuazione, nonchè dell'art. 76 della Costituzione; deducendo, in particolare, quanto a quest'ultimo articolo, la violazione dei limiti della delega, quali si evincono non solo dalla lettera h) dell'art. 1, primo comma, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, ma anche dalla lettera z), la quale prevede che "restano salve le competenze e le attribuzioni delle regioni a Statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano".

12.- Le motivazioni prospettate in quest'ultimo ricorso coincidono sostanzialmente con quelle addotte dalla Regione Lombardia quanto alle censure rivolte, sotto il profilo della violazione della delega e della compressione delle competenze provinciali, all'art. 1, primo, terzo, quarto e quinto comma;all'art. 2, primo, secondo e quinto comma e all'art. 3.

Precisato che, ai sensi del d.P.R. n. 670 del 1972, la Provincia autonoma ha non solo competenza ripartita in materia di igiene e sanità (art. 9, numero 10), ma anche competenza primaria in materia di "patrimonio zootecnico ed ittico" (art.8, numero 21) e rammentati gli artt. 27, primo comma, lettera l) e 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, il ricorso investe, con le sue censure, anche l'art. 4 del decreto denunciato, che disciplina in maniera dettagliata e vincolante la revisione ed approvazione degli statuti degli istituti.

Analogamente alla Regione Emilia-Romagna, viene impugnato il primo comma dell'art. 5, che rimette ad un decreto del Ministro della sanità, sia pure d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, di stabilire le prestazioni erogate a pagamento dagli istituti e i criteri per la determinazione, da parte delle regioni e delle province autonome, delle relative tariffe, violando la procedura prevista per l'emanazione degli atti di indirizzo e coordinamento. Infine, riguardo all'art. 10, la Provincia autonoma di Trento osserva che il primo comma, prevedendo la abrogazione delle disposizioni che avevano attribuito alle regioni e alle province autonome le funzioni relative agli istituti zooprofilattici, procede ad una "ristatalizzazione" della disciplina in materia.

13.- La Presidenza del Consiglio dei ministri, costituitasi in tutti e tre i giudizi, ha presentato identiche deduzioni, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Sostiene l'Avvocatura che il decreto in esame ha voluto procedere ad un riassetto delle attribuzioni regionali, tenuto conto essenzialmente del fatto che la ricerca scientifica sperimentale è preminente sulle altre finalità ed è costitutiva della natura stessa degli istituti, sicchè, essendo la ricerca scientifica nella materia di cui trattasi riservata allo Stato, si è altresì ritenuta competenza ministeriale quella concernente la costituzione e formazione degli istituti. D'altra parte, la nuova disciplina non verrebbe neppure a snaturare completamente il quadro risultante dalla normativa previgente, se si considera che anche la legge n. 745 del 1975 (artt.2 e 5) manteneva comunque allo Stato alcune competenze in materia.

Rammentato, inoltre, che l'importanza delle attività di ricerca sperimentale degli istituti si è venuta ad accrescere, con la sempre maggiore rilevanza dei problemi di sanità veterinaria nel quadro comunitario, si osserva come un esame particolareggiato dell'art. 2, secondo comma, del decreto ponga ancor più in evidenza l'aspetto nazionale ed internazionale delle attività ivi elencate.

Circa la presunta violazione dei principi e criteri dettati dalla legge delegante, l'Avvocatura sostiene che la consapevolezza della primaria importanza nazionale, internazionale e comunitaria delle funzioni statali svolte dagli istituti zooprofilattici, che può individuarsi nel decreto legislativo, non è in contrasto con i principi della delega, considerando che l'art. 1 della legge n. 421 del 1992, ha previsto il riordino degli istituti medesimi, nell'ambito della lettera h), con un accostamento non casuale ad altri istituti di rilevanza nazionale.

Inoltre, l'Avvocatura fa rilevare che le innovazioni apportate non avrebbero trasformato gli istituti in organismi periferici dello Stato, come testimoniano, ai sensi degli artt. 3 e 4 del decreto impugnato, i limitati interventi statali nel loro ordinamento e nella loro gestione.

Quanto, infine, alla censura contro l'art. 6, primo comma, lettera a), proposta dalla ricorrente Regione Emilia-Romagna, si osserva che il finanziamento degli istituti già in precedenza avveniva mediante assegnazione alle regioni e province autonome della quota annuale accantonata nella disponibilità del Fondo sanitario nazionale, mentre nessun onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato è stato introdotto.

14.- Nell'imminenza dell'udienza, hanno presentato memorie tutte e tre le regioni ricorrenti.

La Regione Emilia-Romagna, nel ribadire le argomentazioni svolte in sede di ricorso, sostiene in particolare che:

a) non ha alcun rilievo il fatto che anche nel precedente sistema talune funzioni relative agli istituti zooprofilattici fossero di spettanza statale; ciò testimonierebbe, al contrario, che lo Stato possedeva già sufficienti strumenti per svolgere i propri compiti nel settore, senza aver bisogno di procedere alla "deregionalizzazione" degli istituti;

b) riguardo alla censura rivolta all'art. 6, primo comma, lettera a) del decreto legislativo, la Regione conferma le argomentazioni svolte, rilevando come la ripartizione del Fondo sanitario tra le regioni, già prevista dall'art. 12 del decreto legislativo n. 502 del 1992, sia confermata dal decreto legislativo "correttivo" n. 517 del 1993, sicchè, in definitiva, il finanziamento risulta a carico delle regioni, in presenza di una legge che mira a costituire illegittimamente enti misti, nè davvero regionali, nè del tutto statali.

La Regione Lombardia e la Provincia autonoma di Trento, con identiche memorie, ribadiscono le censure già avanzate in sede di ricorso, sostenendo, in particolare, che:

a) gli istituti non svolgono attività di "ricerca scientifica astratta", ma di ricerca applicata, strumentale rispetto alle competenze amministrative trasferite alle regioni ai sensi degli artt. 27 e 66 del d.P.R. n. 616 del 1977;

b) ancor più legata strumentalmente all'attività produttiva e ai servizi veterinari è poi l'attività di assistenza, supporto, vigilanza e formazione affidata agli istituti, onde il profilo essenziale di questi ultimi non è quello di enti di ricerca, bensì quello di enti operativi al servizio dell'apparato amministrativo competente in materia di sanità e degli allevatori;

c) se si ritiene che l'art. 1, primo comma, lettera h) della legge delega consente al Governo il potere di "ristatalizzazione" degli istituti, la delega conferita deve essere considerata priva di criteri direttivi in ordine a tale ipotetica nuova disciplina, e per ciò stesso in contrasto con l'art. 76 della Costituzione;

d) il rilievo comunitario degli istituti e la crescente incidenza delle direttive comunitarie nel loro campo di attività non può giustificare un trasferimento di competenze a favore dello Stato, in quanto, visto anche l'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, il legislatore statale non è vincolato ad affidare le funzioni connesse all'attuazione delle norme comunitarie ad enti facenti parte del sistema amministrativo dello Stato (valendo se mai, in tali settori, a garanzia degli adempimenti comunitari, le procedure sostitutive previste dalla legge).

 

Considerato in diritto

 

1.- Va, preliminarmente, disposta la riunione dei giudizi in epigrafe, i quali impugnano il medesimo testo legislativo con doglianze, in buona misura, identiche o quanto meno connesse sotto diversi profili.

2.- Quanto al merito, occorre rilevare come i ricorsi, nella molteplicità delle prospettazioni ed argomentazioni che ne sono alla base, finiscono per investire gran parte delle disposizioni del decreto legislativo n. 270 del 1993, con censure sostanzialmente riconducibili a quattro specifiche tipologie, nell'ambito di ciascuna delle quali sono individuabili vari motivi di doglianza.

3.- Con il primo gruppo di censure, si denunciano varie disposizioni del decreto, ponendo un problema di carattere generale, e cioè quello della riconduzione, ad opera del decreto legislativo n. 270 del 1993, degli istituti zooprofilattici dall'ambito di incidenza delle funzioni regionali a quello proprio dello Stato, con una "ristatalizzazione" degli stessi, contrastante con l'art. 76 della Costituzione, a causa della violazione dei criteri e principi della legge delega e in particolare:

- del principio secondo il quale le norme delegate avrebbero dovuto rendere piene ed effettive le funzioni trasferite alle regioni;

- di quello secondo il quale le norme di riordino non avrebbero dovuto comportare oneri a carico del lo Stato: censura questa prospettata in particolare dalla Regione Emilia-Romagna, con riferimento all'art. 6, primo comma, lettera a) del decreto impugnato;

- di quello della salvaguardia delle competenze e attribuzioni delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, stabilito dalla lettera z) dell'art. 1, primo comma, della legge n. 421 del 1992: censura questa prospettata in particolare dalla Provincia di Trento.

4.- Un secondo gruppo di censure è quello che, fermo il denunciato eccesso di delega, lamenta altresì l'illegittima compressione delle funzioni legislative ed amministrative delle Regioni e della Provincia ricorrenti, con violazione, per le prime due, degli artt. 117 e 118 della Costituzione e, per la terza, degli artt. 8, numero 21; 9, numero 10, e 16 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e relative norme di attuazione. Censura questa che investe varie disposizioni del decreto impugnato, vale a dire: l'art. 1, in quanto, al primo comma, definisce gli istituti "strumenti tecnico-scientifici dello Stato" prevedendo nel contempo, al quarto comma, l'elenco delle competenze di essi senza precisare come osservano la Regione Lombardia e la Provincia autonoma di Trento- se tali attribuzioni siano di pertinenza regionale, interregionale ovvero statale e senza prevedere, a differenza del passato, la potestà legislativa delle regioni di precisare ed integrare i compiti degli istituti medesimi; lo stesso art. 1, in quanto prevede, al terzo comma, che gli istituti operino nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, consentendo una riappropriazione di funzioni da parte dello Stato, ed in quanto stabilisce, al quinto comma, che il Ministro, con proprio regolamento, coordini i compiti degli istituti con quelli previsti dalle leggi precedenti, venendo a sostituire alla potestà legislativa regionale un regolamento ministeriale; l'art.2, secondo comma, in quanto assegna al Ministro della sanità funzioni in precedenza regionalizzate e il cui carattere di interesse nazionale non è in alcun modo precisato dalla legge; l'art. 3, e segnatamente il secondo comma, che disciplina minutamente l'organizzazione dell'ente, a detrimento della potestà legislativa della Regione, come traspare dall'art. 3, sesto comma, onde del tutto simbolica sarebbe la disposizione dell'art. 2, quinto comma, la quale prevede che le regioni disciplinino le modalità gestionali, organizzative e di funzionamento degli istituti;l'art. 4, in quanto, secondo la Provincia autonoma di Trento, regola in maniera dettagliata e vincolante le modalità di revisione e attuazione degli statuti; l'art. 10, primo comma, che abroga le disposizioni della precedente legislazione che avevano attribuito alle regioni e alle province autonome le funzioni relative agli istituti zooprofilattici.

5.- Un terzo gruppo di censure riguarda altre norme che, ferma la lamentata lesione delle competenze regionali, evidenzierebbero ulteriori specifici profili di illegittimità. Trattasi in particolare:

- dell'art. 2, primo comma, che affida al Ministro della sanità una funzione di indirizzo e coordinamento, in tema di determinazione dei requisiti strutturali, tecnologici e di criteri organizzativi uniformi, senza rispettare il principio della titolarità collegiale della funzione stessa nonchè l'esigenza di una disciplina sostanziale che delimiti l'esercizio del potere;

- dell'art. 3, secondo comma, nella parte in cui attribuisce al Ministro medesimo poteri di nomina di un componente del consiglio di amministrazione, ripristinando in questo la presenza, benchè minoritaria, dello Stato;

- dell'art. 3, terzo comma, che prevede la nomina del direttore generale, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, anzichè a cura della sola regione interessata;

- dell'art. 3, quarto comma, che attribuisce ai Ministri della sanità e del tesoro il potere di nomina di due su tre componenti del collegio dei revisori;

- dell'art. 5, primo comma, che contempla una disciplina per decreto ministeriale di materie -attinenti alle prestazioni a pagamento e ai criteri di determinazione delle relative tariffe- che richiederebbero invece atti di indirizzo e coordinamento: censura questa prospettata dalla Regione Emilia- Romagna e dalla Provincia di Trento.

6.- Infine, sotto un ulteriore particolare profilo, la sola Regione Emilia-Romagna deduce il contrasto del decreto impugnato con i principi sull' autonomia finanziaria delle regioni ex art. 119 della Costituzione, segnatamente per quanto riguarda la disposizione dell'art. 6, primo comma, lettera a), in ordine alla destinazione di quote del Fondo sanitario nazionale.

7.- Così precisati i termini delle questioni, osserva, anzitutto, la Corte come, per valutare la fondatezza degli accennati motivi di impugnativa, occorra, anzitutto, determinare, in via generale, l'esatta portata della delega conferita al Governo dall'art. 1 della legge n. 421 del 1992, alla stregua di una compiuta, e non solo parziale, considerazione delle enunciazioni desumibili dalla disposizione su cui essa riposa. Dall'esame di quest'ultima si evince che l'obiettivo del consolidamento, in termini di effettività, delle funzioni regionali, giusta quanto previsto dalla lettera h), del primo comma dello stesso art. 1, come pure quello della salvaguardia delle funzioni delle province autonome, alla quale si riferisce la lettera z), non erano, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, i soli criteri direttivi della delega al Governo, giacchè questa si prefiggeva generali obiettivi, enunciati in apertura, concernenti, tra l'altro, "l'ottimale e razionale utilizzazione delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale", il "perseguimento della migliore efficienza del medesimo" nonchè il "contenimento della spesa". Trattasi, invero, di indicazioni dalle quali non è dato prescindere, nella ricerca dei principi e criteri che dovevano guidare l'Esecutivo nell'esercizio della delega conferita dallo stesso art. 1, che erano certamente quelli di garantire l'effettività delle funzioni trasferite alle regioni e alle province autonome, ma tutto ciò nell'ambito di un progetto di riordinamento della materia della sanità, che aveva di mira l'efficienza del sistema generale e l'ottimizzazione nell'impiego delle risorse. In questo quadro si colloca, come emerge dalla lettura dell'art. 1, anche la riforma del Ministero della sanità -cui rimangono funzioni di indirizzo e di coordinamento nonchè tutte le funzioni attribuite dalle leggi dello Stato per la sanità pubblica- e s'inserisce pure il riordino, accanto agli istituti zooprofilattici, dell'Istituto superiore di sanità, dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, nonchè degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. E ciò secondo regole -precisa ancora la norma di delega- che non comportino oneri a carico dello Stato.

8.- Valutati gli obiettivi di efficienza del sistema ed ottimizzazione dell'impiego delle risorse, come pure le contestuali finalità di contenimento della spesa, che il legislatore delegato era tenuto a perseguire, secondo quanto voluto dalla legge n. 421 del 1992, la Corte ritiene che il Governo non abbia esorbitato dai limiti dei poteri ad esso conferiti quando ha ridisegnato la fisionomia degli istituti zooprofilattici, considerando che gli stessi operano in ambiti nei quali convergono non solo gli interessi di regioni e province autonome in materia di igiene e sanità veterinaria, ma anche interessi di carattere nazionale, conseguenti, oltretutto, all'adempimento di obblighi internazionali e comunitari.

9.- Le ricorrenti regioni, nel lamentare l'illegittima riappropriazione di competenze da parte dello Stato, invocano il quadro di ripartizione delle stesse quale risulta dal d.P.R. n. 616 del 1977, e in particolare dall'art. 27, primo comma, lettera l), secondo il quale, tra le funzioni amministrative relative alla materia assistenza sanitaria, trasferite alle regioni stesse, rientrano quelle relative "all'igiene e assistenza veterinaria, ivi compresa la profilassi, l'ispezione, la polizia e la vigilanza sugli animali e sulla loro alimentazione, nonchè sugli alimenti di origine animale". Richiamano, altresì, l'art. 66 dello stesso d.P.R., il quale riconduce tra le funzioni trasferite anche quelle attinenti alle attività zootecniche e, in particolare, al miglioramento e all'incremento zootecnico, al servizio diagnostico delle malattie trasmissibili degli animali e delle zoonosi, alla gestione dei centri di fecondazione artificiale.

Dal canto suo, la Provincia autonoma di Trento adduce di avere non solo competenza ripartita in materia di igiene e sanità (art. 9, numero 10, dello Statuto speciale), ma anche competenza primaria in materia di patrimonio zootecnico ed ittico (art. 8, numero 21 dello stesso Statuto), non senza evidenziare che ad essa, con d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, sono state estese, in quanto necessario, le norme di trasferimento di funzioni di cui al già citato art. 27, primo comma, lettera l), del d.P.R. n. 616 del 1977.

Al riguardo occorre rilevare, anzitutto, l'improprietà del richiamo alla materia della zootecnia che attiene -come la Corte ha avuto occasione, anche recentemente di chiarire (sentenza n. 123 del 1992)- a tutt'altro ambito che non a quello della zooprofilassi e delle patologie animali in genere.

Va osservato, poi, che, pur a tener conto del trasferimento di funzioni operato dalle norme invocate dalle ricorrenti a sostegno della loro impugnativa, non per questo è dato affermare, così come fa taluno dei ricorsi, che gli istituti operassero in ambiti nei quali era venuta ormai meno ogni competenza dello Stato.

Un completo quadro dei rapporti fra competenze statali e regionali non può, infatti, ignorare, nonostante il trasferimento di funzioni alle regioni, la permanenza allo Stato -disposta dall'art. 6 della legge 23 dicembre 1978, n.833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale- delle funzioni amministrative in tema di rapporti internazionali e profilassi internazionale anche in materia veterinaria e, più in generale, di altre funzioni in materia di zooprofilassi, individuazione di malattie infettive e diffusive del bestiame, produzioni farmacologiche, secondo quanto specificato dalla norma stessa.

Una più esauriente rassegna delle competenze dello Stato impone, inoltre, di non trascurare gli obblighi gravanti su di esso per effetto della normativa comunitaria. A tanto provvede proprio la previsione dell'art.2, secondo comma, lettera l), del decreto impugnato, che contempla la possibilità di istituire, presso gli istituti zooprofilattici, centri specialistici di referenza nazionale, comunitaria e internazionale.

Alla luce di quanto detto, è dato concludere che il legislatore delegato, nel por mano al riordino degli istituti zooprofilattici, ha operato tenendo presente l'ampia articolazione della materia considerata dalla legge delega e cioé quella della sanità, ambito nel quale gli istituti in esame risultano, non da ora, inseriti con la loro attività, valutando, nel contempo, proprio in vista degli indicati obiettivi di razionalizzazione e ottimizzazione, il fondamentale ruolo e le peculiari competenze spettanti allo Stato, come è dato constatare dai riferimenti normativi sopra illustrati.

10.- La Corte ritiene che non sussista neanche, almeno negli aspetti più generali e salvo alcuni specifici profili dei quali si dirà, la violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione nonchè degli artt. 8, numero 21; 9, numero 10 e 16 del d.P.R. n. 670 del 1972, in un settore in cui si rinvengono materie proprie anche della competenza statale.

Non appare condivisibile, anzitutto, l'affermazione, contenuta nei ricorsi della Regione Lombardia e della Provincia autonoma di Trento, secondo la quale gli istituti erano stati pienamente assoggettati alla competenza legislativa e amministrativa delle regioni, con contestuale perdita di ogni competenza da parte dello Stato in ordine ai medesimi.

Infatti, l'art. 2 della legge 23 dicembre 1975, n. 745, dal quale derivava la precedente disciplina ordinamentale, non eliminava del tutto le funzioni dello Stato sugli istituti, in relazione alla competenza del Governo a promuovere e sviluppare le iniziative zoosanitarie necessarie per l'intero territorio nazionale e a fissare le direttive tecniche di attuazione di piani nazionali di profilassi per la difesa e la lotta contro le malattie infettive e diffusive degli animali e per il controllo degli alimenti di origine animale. Restavano già allora riservate, del pari, allo Stato, in virtù dell'art. 2, la vigilanza zoosanitaria ai confini e i rapporti con l'estero, oltre alle competenze di cui all'art. 5 della stessa legge n. 745, quanto alle autorizzazioni per la produzione di sieri, vaccini, virus, anatossine, tossine diagnostiche, nonchè di ogni altro prodotto occorrente nella lotta contro le malattie trasmissibili degli animali, con particolare riguardo a quelle localmente più diffuse.

11.- Alla stregua del quadro normativo sopra esposto, il riassetto operato dal provvedimento denunciato, visto sotto il profilo dei rapporti fra competenze statali e competenze regionali e provinciali, appare giustificato dal preminente rilievo degli interessi nazionali in ordine alle varie attività -relative precipuamente al campo della ricerca, studio, sperimentazione, controllo e sorveglianza epidemiologica- affidate agli istituti considerati, dovendosi, tra l'altro, apprezzare il riassetto stesso alla luce dell'accostamento che, nella norma della legge di delega, viene fatto fra gli enti qui considerati ed altri di rilevanza nazionale che operano con finalità, in buona misura, analoghe, quali l'Istituto superiore di sanità e l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro. Nè al nuovo ordinamento degli istituti può di certo ostare, così come sembrano sostenere le ricorrenti, la precedente regionalizzazione, quale che fosse il grado di avvenuta realizzazione della stessa. Va considerato al riguardo che, nella meno recente disciplina, gli istituti - definiti (art. 1 della legge 23 giugno 1970, n. 503) enti sanitari di diritto pubblico, sottoposti alla vigilanza del Ministero della sanità- si configuravano come enti strumentali dello Stato. L'attrazione degli stessi nella sfera delle funzioni legislative e amministrative delle regioni, realizzata dalla successiva legge 23 dicembre 1975, n. 745, non impedì ovviamente che, nell'ambito di attività ad essi assegnato, continuassero a sussistere interessi propri anche dello Stato, connessi, tra l'altro, alla ricerca sperimentale e all'accertamento delle malattie degli animali. Se si considera che in tale ambito gli stessi continuano a svolgere tuttora la loro attività -che, alla stregua dell'art. 1, secondo comma, del decreto legislativo impugnato, attiene, infatti, alla ricerca scientifica sperimentale veterinaria, oltrechè all'accertamento dello stato sanitario degli animali e di salubrità dei prodotti di origine animale- ne discende che ben poteva il legislatore nazionale procedere, per fini di razionalizzazione degli apparati e di migliore impiego delle risorse, e quale che sia stato il precedente assetto giuridico degli istituti medesimi, al loro riordino, attraverso una nuova articolazione delle competenze statali, regionali e provinciali. In linea generale, va rammentato l'insegnamento della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale, anche in presenza di un trasferimento o di una delega di funzioni, al legislatore statale è dato intervenire successivamente, incidendo non irragionevolmente sulla consistenza ed estensione delle funzioni trasferite o delegate, con lo scopo di correggere o rivedere la ripartizione delle competenze in funzione di esigenze di carattere unitario.

Naturalmente occorre verificare -e di ciò v'è positivo riscontro nel caso esaminato- che non solo sussista un interesse nazionale il quale appaia ragionevolmente collegato ad esigenze unitarie, ma altresì che la disciplina posta in essere dallo Stato, considerata nei suoi concreti svolgimenti e nelle sue particolari modalità, sia non solo contenuta nei precisi limiti delle reali esigenze sottostanti all'interesse invocato, ma appaia anche essenziale e necessaria per l'attuazione del medesimo. E questo tanto più quando si tratti, come nella specie, di organizzare, attraverso la strumentalità dell'ente, un servizio che sia di interesse tanto per lo Stato che per le regioni, in quanto i principi sul riparto delle competenze non possono impedire alla legislazione statale di porre in essere strumenti normativi ed organizzativi volti al perseguimento dei fini generali del servizio stesso, in riferimento, tra l'altro, alle esigenze di coordinamento e di uniformità di regole.

12.- Alle medesime conclusioni porta anche la problematica relativa agli obblighi incombenti sullo Stato per l'attuazione della normativa comunitaria, giacchè, secondo la giurisprudenza, spetta allo Stato il potere di attuazione della normativa stessa quando risulti la rilevanza nazionale dell'interesse. Nè, in senso contrario, può valere il richiamo fatto da talune delle ricorrenti all'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, che trasferisce alle regioni, nelle materie definite dal decreto stesso, anche le funzioni amministrative relative all'applicazione dei regolamenti della Comunità europea nonchè all'attuazione delle direttive.

Tale potere di attuazione, la cui configurazione va rinvenuta, oltre che nella norma citata, nella disciplina contenuta nelle leggi n. 183 del 1987 e n. 86 del 1989, si qualifica e si definisce alla luce dei criteri che presiedono alla ripartizione delle competenze fra Stato e regioni nelle singole materie che, di volta in volta, costituiscono oggetto della disciplina comunitaria.

13.- Le considerazioni sopra svolte inducono, dunque, a ritenere insussistente la denunciata lesione delle competenze regionali e provinciali da parte dell'art. 1 del decreto impugnato, nella parte (primo comma) in cui determina la collocazione propria degli istituti, definendoli "strumenti tecnico-scientifici dello Stato, delle regioni e delle province autonome per le materie di rispettiva competenza".

Quanto alla norma, contenuta nel terzo comma -secondo la quale essi "operano nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, garantendo ai servizi veterinari delle regioni e delle province autonome e delle unità sanitarie locali le prestazioni e la collaborazione tecnico scientifica necessaria all'espletamento delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica veterinaria"- si tratta di disposizione che, lungi dal supportare la doglianza della Regione Lombardia e della Provincia di Trento, circa la compressione delle competenze regionali e provinciali, esplicita e garantisce il rapporto di strumentalità che lega gli istituti non solo allo Stato ma anche agli altri enti regionali e provinciali.

Il quarto comma è denunciato, come già detto, dalle ricorrenti, sia perchè non precisa se le attribuzioni affidate agli istituti siano di pertinenza regionale, interregionale o statale, sia per il fatto di non prevedere la potestà legislativa delle regioni di precisare e integrare i compiti dei medesimi. Una volta stabilito che, in attuazione della Costituzione, spetta alla legge dello Stato di operare la ripartizione delle competenze in ambiti nei quali confluiscono interessi nazionali e interessi regionali, appare giustificato che sia la norma statale a indicare direttamente le competenze degli istituti, senza che la norma stessa sia, per questo, tenuta a specificare se le competenze attribuite agli istituti medesimi attengano all'ambito regionale o statale;problema che spetterà piuttosto all'interprete di risolvere.

L'infondatezza delle censure rivolte verso l'art. 1, primo, terzo e quarto comma, finisce per coinvolgere, in analoga pronunzia, anche la censura avverso il quinto comma, prospettata per il fatto che la norma prevede che, con regolamento adottato ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Ministro della sanità -d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome- coordini i compiti degli istituti con quelli previsti dalla legge 23 giugno 1970, n. 503, modificata dalla legge 11 marzo 1974, n.101, e dalla legge 23 dicembre 1975, n. 745. Se compete alla legge statale di definire i compiti degli istituti, non è illegittima la previsione di un regolamento ministeriale avente la funzione di raccordare fra di loro le leggi statali che prevedano sia i compiti nuovi che quelli residuali.

14.- Del pari infondate sono le censure rivolte nei confronti dell'art. 2, secondo comma, il quale stabilisce le competenze che, sul piano amministrativo, spettano al Ministro della sanità per la promozione delle attività di ricerca, di verifica, di studio, di raccordo a livello comunitario e internazionale che possono ritenersi affidate agli istituti.

L'attribuzione di siffatte competenze al Ministro della sanità appare sufficientemente definita nell'oggetto e nel contenuto, contrariamente a quanto assunto da taluno dei ricorsi, anche perchè si correla non solo alla funzione di coordinamento tecnico-funzionale, contestualmente affidata dalla norma allo Stato, ma anche a quelle aree di attività che -come è dato evincere dallo stesso secondo comma dell'art. 2- assumono rilievo sul piano dell'interesse nazionale e internazionale ed altresì comunitario, secondo quanto contemplato anche dalla lettera l) della stessa disposizione, va le a dire in settori di stretta pertinenza statale. Ma questo non lede, alla stregua del rapporto strumentale che lega gli istituti non solo allo Stato, ma altresì alle regioni e alle province autonome, gli spazi di competenza di queste ultime, viste le prestazioni e la collaborazione tecnico-scientifica che, ai sensi del già richiamato terzo comma dell'art. 1, gli istituti sono tenuti a garantire ai servizi veterinari delle regioni e delle province autonome e delle unità sanitarie locali.

L'equilibrata distribuzione di competenze fra Stato e regioni è resa manifesta, d'altro canto, anche dall'attribuzione alle seconde del compito di definire, attraverso il piano sanitario regionale, gli obiettivi e l'indirizzo per l'attività degli istituti (art. 2, quarto comma), nonchè di disciplinare le modalità gestionali, organizzative e di funzionamento dei medesimi, nel rispetto dei principi previsti dal decreto, come pure di esercitare funzioni di vigilanza amministrativa, di indirizzo e verifica, unitamente all'adozione di criteri di valutazione dei costi, dei rendimenti e di verifica dell'utilizzazione delle risorse (art. 2, quinto comma).

15.- Ragioni identiche a quelle già esposte portano a ritenere infondate, salvo quanto detto più avanti, anche le doglianze che tutti e tre i ricorsi rivolgono all'art. 3, sull'organizzazione degli istituti, norma denunciata in via generale per la sottrazione alle regioni della relativa potestà legislativa, ridotta a mera potestà integrativa, e per la disciplina di estremo dettaglio posta in essere con il decreto in questione; e, sotto più specifico aspetto, per il ripristino della diretta presenza di un rappresentante ministeriale nel consiglio di amministrazione (secondo comma).

Fermo, per il profilo più generale, quanto già osservato in ordine alla portata della delega ed alle esigenze di riordino degli istituti, secondo criteri di uniformità di disciplina, è sufficiente qui osservare che è la stessa molteplicità degli interessi coinvolti a giustificare, nel consiglio di amministrazione, la presenza di componenti di estrazione ministeriale, peraltro limitata, nella specie, ad un componente su cinque.

Dalla infondatezza delle questioni di cui sopra, discende, conseguentemente, l'infondatezza anche della censura avanzata nei confronti dell'art. 3, sesto comma, là dove si prevede che "le regioni adottano le restanti norme organizzative", e così pure l'infondatezza della doglianza che la Provincia autonoma di Trento propone avverso il successivo art. 4, denunciato per il fatto di disciplinare in maniera dettagliata e vincolante le modalità di revisione e approvazione degli statuti degli istituti.

Invero, la disposizione di cui trattasi null'altro fa che rimettere agli istituti, nel rispetto della loro autonomia, l'esercizio, sia pure entro un termine stabilito, della potestà di adeguare gli statuti alle nuove disposizioni;

riservando, nel contempo, alle regioni, ove l'istituto ha sede, il potere di approvazione degli statuti stessi, secondo un procedimento che, in caso di istituti interregionali, assicura, come è giusto, l'intervento consultivo anche delle altre regioni e province autonome interessate.

16.- L'infondatezza delle doglianze circa la pretesa compressione delle funzioni regionali, nella ricostruzione del sistema normativo sopra operata, comporta, per conseguenziale implicazione, anche l'infondatezza della censura relativa all'art. 10 del decreto legislativo, denunciato dalle ricorrenti per avere abrogato le norme che avevano attribuito alle regioni e alle province autonome le precedenti funzioni relative agli istituti zooprofilattici.

17.- Fondata è, invece, la censura rivolta all'art.2, primo comma, nella parte in cui conferisce al Ministro della sanità la funzione di indirizzo e di coordinamento in tema di determinazione dei requisiti minimi strutturali e tecnologici, nonchè di criteri organizzativi uniformi ai quali gli istituti devono conformarsi.

La funzione di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa è, infatti, soggetta, quanto a fondamento e ad esercizio, a puntuali requisiti di forma e di sostanza: di forma perchè la funzione stessa deve, in corrispondenza ad un principio desumibile dalla stessa Costituzione, trovare svolgimento in forma collegiale e cioé con una de- libera del Consiglio dei ministri; di sostanza, perchè occorre idonea base legislativa per salvaguardare il principio di legalità sostanziale, attraverso la previa determinazione, con legge, dei principi ai quali il Governo deve attenersi. Poichè il primo comma dell'art. 2 non soddisfa i requisiti accennati, ne va dichiarata l'illegittimità costituzionale.

18.- Merita, altresì, accoglimento la censura rivolta avverso il terzo comma del medesimo art. 3, là dove prevede che il direttore dell'istituto sia nominato dalla regione dove esso ha sede legale, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome.

La incongruità di una siffatta disposizione sta nel fatto di contemplare il coinvolgimento della Conferenza -sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica fra lo Stato e le regioni (e province autonome) su argomenti che investono in via generale la materia regionale- per una scelta che riguarda la singola regione interessata.

19.- Fondata è da ritenere, inoltre, la censura avverso l'art. 3, quarto comma, nella parte in cui attribuisce al Ministro della sanità e al Ministro del tesoro il potere di designare due dei tre componenti del collegio dei revisori. La strumentalità che lega gli istituti sia allo Stato che alle regioni e alle province autonome esige, infatti, che la presenza dei vari componenti dell'organo di revisione si ispiri a criteri che escludano, quanto alle designazioni, la prevalenza di una delle componenti.

20.- Non fondata è, per contro, la doglianza che la Regione Emilia-Romagna e la Provincia auto noma di Trento propongono avverso il primo comma dell'art. 5, nella parte in cui dispone che, "con decreto del Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sono stabilite le prestazioni erogate dagli istituti per le quali è prevista la corresponsione di un corrispettivo, e sono individuati i criteri per la determinazione, da parte delle regioni, delle relative tariffe". La presenza di interessi nazionali infrazionabili giustifica, infatti, la riserva di una siffatta competenza allo Stato, secondo le modalità previste dalla norma impugnata, anche in ragione di esigenze di uniformità nelle prestazioni rese a pagamento.

21.- Non fondata è, infine, la doglianza avanzata contro l'art. 6, primo comma, lettera a) là dove prevede che il finanziamento degli istituti sia, in parte, assicurato dallo Stato, attraverso mezzi tratti dal Fondo sanitario nazionale.

In ordine al primo profilo, relativo alla violazione dell'art. 76 della Costituzione, in quanto le norme di riordino emanate con il decreto in parola non avrebbero dovuto comportare oneri a carico dello Stato, è sufficiente osservare che la disposizione impugnata, lungi dal configurarsi come norma autorizzativa di spesa, si limita a prevedere meccanismi di erogazione finanziaria finalizzati alle attività degli istituti. Quanto poi all'altro profilo di censura, con il quale, con riferimento all'art. 119 della Costituzione, si lamenta la lesione dell'autonomia finanziaria regionale, a causa della destinazione agli istituti di una quota del Fondo sanitario nazionale che la legge assegnerebbe alle regioni, è sufficiente rammentare che l'autonomia finanziaria è riconosciuta alle regioni dalla Costituzione, "nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica".

Invero, non è dato scorgere in quale modo essa risulti lesa dal decreto qui impugnato, per il fatto che si assegni agli istituti zooprofilattici -ricondotti come fa il terzo comma dell'art. 1, nell'ambito del Servizio sanitario nazionale- una quota del Fondo sanitario nazionale, costituito come è noto da mezzi finanziari facenti parte del bilancio dello Stato; oltretutto seguendo in ciò un criterio non nuovo, come dimostrano, anche per gli anni precedenti, i provvedimenti che hanno destinato agli istituti stessi mezzi tratti, per l'appunto, dal predetto Fondo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi:

a)dichiara l'illegittimità costituzionale:

- dell'art. 2, primo comma, del decreto legislativo 30 giugno 1993, n.270 (Riordinamento degli istituti zooprofilattici sperimentali, a norma dell'art. 1, primo comma, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n.421), nella parte in cui dispone che, con atto di indirizzo e coordinamento, il Ministro della sanità determina i requisiti minimi strutturali, tecnologici e stabilisce i criteri organizzativi uniformi ai quali gli istituti devono conformarsi;

- dell'art. 3, terzo comma, del predetto decreto, n. 270 del 1983, nella parte in cui richiede per la nomina del direttore generale dell'istituto zooprofilattico l'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome;

- dell'art. 3, quarto comma, nella parte in cui dispone che, dei tre membri del collegio dei revisori degli istituti zooprofilattici, uno è designato dal Ministro della sanità e uno dal Ministro del tesoro;

b) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale:

- degli artt. 1, primo, quarto e quinto comma; 2, secondo comma;3, secondo e sesto comma; 5, primo comma, 6, primo comma, lettera a) e 10, primo comma, del decreto stesso, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 e 76 della Costituzione;

- degli artt. 1, primo, terzo, quarto e quinto comma; 2, secondo e quinto comma; 3, primo, secondo, quinto e sesto comma, del decreto predetto sollevate dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 117, 118 e 76 della Costituzione;

- degli artt. 1, primo, terzo, quarto e quinto comma; 2, secondo e quinto comma; 3, primo, secondo, quinto e sesto comma; 4; 5 e 10 del decreto stesso, sollevate dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli artt. 8, numero 21; 9, numero 10 e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e delle relative norme di attuazione, nonchè dell'art. 76 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 07/04/94.