Sentenza n. 134 del 1994

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SENTENZA N. 134

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, ultimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e pubblico impiego e disposizioni fiscali) convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438 e dell'art. 11, secondo comma, della legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie) promosso con ordinanza emessa il 15 luglio 1993 dal Pretore di Parma nel procedimento civile vertente tra Marenghi Giovanni ed il Ministero dell'Interno, iscritta al n. 672 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di costituzione di Marenghi Giovanni nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1994 il Giudice relatore Renato Granata;

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

Uditi l'avv. Franco Agostini per Marenghi Giovanni e l'Avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri 1. In un giudizio promosso da un lavoratore invalido nei confronti del Ministro dell'Interno per ottenere l'erogazione di una indennità di accompagnamento, l'adito Pretore di Parma - sul presupposto (implicito) della probabile soccombenza del ricorrente - ha sollevato, con ordinanza del 15 luglio 1993, < < questione incidentale di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24 e 38 della Costituzione, dell'art.4, ultimo [rectius: secondo] comma del d.l. 19 settembre 1992 n. 384, convertito in L. 14 novembre 1992 n. 438, nella parte in cui, nell'abrogare gli artt. 57 l. 30 aprile 1969 n. 153 e 152 disp. att. cod. proc. civ.[in tema di esonero del lavoratore dagli oneri di soccombenza], non ha fatto salva la situazione dei lavoratori non abbienti, nonchè dell'art.11, comma 2, L. 11 agosto 1973 n. 533, nella parte in cui non prevede [ai fini appunto della definizione della condizione di non abbiente] che venga adeguato al mutato potere di acquisto del denaro il limite di reddito [di due milioni annui] ivi contenuto>>.

 

1a. Nessun dubbio vi sarebbe innanzitutto, secondo il Pretore, sulla applicabilità ratione temporis del denunciato art. 4 al giudizio a quo, alla luce della disposizione transitoria di cui al terzo comma dello stesso art. 4 l.384/92 (all'uopo partitamente esaminata ed interpretata), anche in considerazione del fatto che, comunque, il procedimento giudiziario è stato nella specie instaurato dopo l'entrata in vigore del citato decreto.

 

1b. La non manifesta infondatezza della questione di legittimità della norma abrogatrice sarebbe poi, a sua volta, logicamente implicata dalla sequenza dei precedenti giurisprudenziali (sent.ze nn. 23/1973; 60, 85/1979; 135/1987) relativi ad entrambe le disposizioni da quella abrogata: tutti convergenti nel sottolineare l'indispensabilità del meccanismo di esonero dalle spese di soccombenza ai fini della eliminazione del rischio processuale, suscettibile di vanificare la tutela del diritto fondamentale all'assistenza.

 

In particolare, neppure la più recente pronunzia n.135/1987 si sarebbe discostata da tale indi rizzo: e lo avrebbe anzi ancora una volta confermato, sia pur con la precisazione che da detto esonero avrebbero potuto escludersi i lavoratori "abbienti".

 

Per modo che - ne inferisce conclusivamente il Pretore - se effettivamente con il beneficio in parola era stato rimosso uno degli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto creavano situazioni di diversità fra i cittadini, dando in tal modo attuazione agli artt. 24 e 38 alla luce dell'art. 3, commi 1 e 2, della Costituzione, la sua eliminazione avrebbe potuto operarsi nei soli limiti di una eventuale esclusione dall'esonero dei lavoratori "abbienti", individuati secondo criteri all'uopo fissati dal legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità, mentre, nella sua attuale ed indiscriminata estensione, l'abrogazione de qua creerebbe appunto una irragionevole disparità di trattamento, con contestuale vulnerazione dei precetti di cui agli artt. 3, 24 e 38 Costituzione.

 

1c. Peraltro - ove la censura di incostituzionalità, nei confronti della norma così denunciata, dovesse reputarsi fondata per la sola parte in cui questa non fa salva la condizione dei "non abbienti" - lo stesso Pretore estende allora l'impugnativa anche all'art. 11 della l. 1973 n.533 (nel quale si rinviene la definizione della condizione di "non abbiente" agli effetti del gratuito patrocinio, con specifico riguardo alle cause di lavoro e previdenziali), "nella parte in cui detta disposizione, nel fissare il limite di reddito di due milioni di lire" (all'epoca adeguato, ma oggi irrisorio anche perchè, ai sensi del successivo art. 12 i redditi dei coniugi vanno cumulati) "non ha previsto un sistema di adeguamento automatico al mutato valore del denaro".

 

2. Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la parte privata ed è intervenuta l'Avvocatura dello Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri, formulando - entrambe - varie eccezioni di inammissibilità (di cui in prosieguo più specificamente si dirà) e concludendo, in subordine, rispettivamente, la prima, per la fondatezza e, la seconda, per la non fondatezza delle questioni sollevate.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. Il Pretore di Parma solleva testualmente < < questione di legittimità, in relazione agli artt. 3, 24 e 38 della Costituzione, dell'art. 4, ultimo [rectius: secondo] comma, del d.l. 19 settembre 1992 n. 384, convertito in l. 14 novembre 1992 n. 438 - nella parte in cui, nell'abrogare gli artt. 57 L. 30 aprile 1969 n. 153 e 152 disp. att. cod.proc.civ., non ha fatto salva la situazione dei lavoratori non abbienti - nonchè dell'art. 11, comma secondo, della l. 11 agosto 1973 n. 533, nella parte in cui non prevede che venga adeguato al mutato potere di acquisto del denaro il limite di reddito ivi contenuto>>.

 

Ma, come è fatto chiaro dalla parte motiva dell'ordinanza di rinvio, l'impugnativa così proposta ha in realtà un contenuto complesso ed a scansione logicamente gradata, denunciandosi in sostanza dal giudice a quo:

 

- in linea principale, il citato art. 4, co. 2, l. 438/92, nella sua interezza, in quanto prevede una abrogazione "generalizzata ed indiscriminata" delle precedenti disposizioni esonerative, pretermettendo irrazionalmente qualunque distinzione fra abbienti e non abbienti;

 

- ed, in via (implicitamente) subordinata, il medesimo art. 4 "nella [sola parte] in cui non fa salva [dall'abrogazione] la posizione dei lavoratori non abbienti": con estensione, in questo secondo caso, della impugnativa anche all'art. 11, co.2, della l. 11 agosto 1973 n. 533, quanto alla mancata previsione di un meccanismo di adeguamento del limite di reddito, ivi stabilito, ai fini appunto della definizione della condizione di non abbiente.

 

2. La duplicità di struttura del quesito nei termini indicati (non di alternatività, ma di consecutività, per subordinazione della seconda questione al mancato accoglimento della prima) non pone di per sè problemi di ammissibilità (cfr., in fattispecie analoghe sent.ze n.107/74; 31/87;69/91; 10/93).

 

3.1. Al profilo logicamente pregiudiziale dell'ammissibilità attengono, e vanno perciò preliminarmente esaminate, le eccezioni di irrilevanza della questione principale - per inapplicabilità, ratione temporis ovvero ratione materiae, del denunciato art. 4 nel giudizio a quo - sollevate dalla parte privata e (la prima) anche dall'Avvocatura dello Stato.

 

Nessuna di tali eccezioni può però trovare accoglimento.

 

3.2. Sulla applicabilità della nuova disciplina delle spese ex d.l.384/1992, nel giudizio in corso (pacificamente) instaurato dopo l'entrata in vigore del predetto decreto, il Pretore rimettente ha infatti diffusamente motivato: tra l'altro ritenendo, a tal fine, appunto riferibile ai "procedi menti giudiziari" la norma transitoria, contenuta nel comma terzo del medesimo art. 4 d.l. cit., là dove limita l'ultrattività delle previgenti disposizioni esonerative nei procedimenti < < instaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ed ancora in corso alla medesima data>>.

 

Si prospetta ora, da parte della Avvocatura dello Stato e della difesa privata, una opposta lettura della riferita norma intertemporale (che escluderebbe invece l'applicazione dello ius superveniens nel giudizio a quo e la rilevanza quindi della correlativa questione di legittimità), basata sull'assunto che l'espressione "procedimenti in corso" vada intesa come riferita ai procedimenti amministrativi per i quali, alla data di sopravvenienza del d.l. 384/93, non fosse ancora decorso il termine di decadenza per la proposizione dell'azione giudiziaria.

 

Si può prescindere dalla considerazione che tale alternativa esegesi sembra contraddetta, per la parte che ne interessa, dalle prime pronunzie della Corte di cassazione (sent.ze nn. 1681, 5304/93) e che, contrariamente a quanto si assume, essa neppure trova conforto nella sentenza n. 20/94 di questa Corte ( che ha bensì presupposto una tale accezione del termine "procedimento" sub art. 4 co. 3 cit. ma - dichiaratamente - al solo ed esclusivo fine di determinare la portata intertemporale della diversa norma innovativa, contenuta nel precedente comma primo del medesimo art. 4, che riduce il termine per la proposizione dell'azione giudiziaria).

 

É assorbente, infatti, il rilievo che si esula comunque, nella specie, dal limite del controllo sull'ammissibilità della questione: che - come reiteratamente precisato - non può infatti far disattendere le premesse interpretative offerte dal giudice a quo, quando queste non siano (come innegabilmente non sono in questo caso) palesemente arbitrarie ed implausibili (cfr. 436/92; 103, 323, 345, 416/93 ex plurimis).

 

3.3. A sua volta, anche la seconda eccezione di irrilevanza - per assunta inapplicabilità della norma in questione nel giudizio a quo, in ragione della sua inserzione in un contesto normativo concernente i soli rapporti (e vertenze) con l'INPS - trova l'identico sbarramento della inammissibilità della esegesi offerta dal giudice a quo;esegesi sul punto confortata anche dalla considerazione che, per effetto delle sentenze 23/73 e 85/1979 l'esonero, di cui agli artt. 57 e 152 citati, aveva già esteso la sua portata applicativa oltre l'ambito delle vertenze INPS e l'attuale abrogazione investe appunto dette disposizioni nella loro attuale portata, non incompatibile con la collocazione della norma abrogante.

 

4. Una terza eccezione di inammissibilità è stata formulata dall'Avvocatura con riguardo all'arbitraria estensione della impugnativa nei riguardi dell'art. 11 l.533/73, che disciplina la diversa materia del gratuito patrocinio.

 

Ma - trattandosi di censura che propriamente attiene alla struttura della seconda questione di legittimità, avente per quanto detto carattere subordinato ed eventuale - il suo esame può riservarsi al prosieguo, in correlazione all'esito della questione principale.

 

5. Nel merito, la prima questione è fondata.

 

Questa Corte ha invero più volte sottolineato, nelle sentenze esattamente al riguardo richiamate dal Pretore, la particolare valenza del diritto alla prestazione previdenziale ed assistenziale ai sensi dell'art.38, co. 2, Costituzione e il carattere strumentale del regime di esonero delle spese di soccombenza ai fini della effettiva tutelabilità del diritto stesso.

 

In particolare, nella sentenza 23 del 1973 (che ha esteso l'applicazione dell'art. 57 l. 153/69 anche alle controversie instaurate contro l'INAIL), all'obiezione per cui quel regime rischiava di alterare la "par condicio" delle parti in giudizio, si è espressamente replicato che il detto esonero, ... "attraverso un meccanismo di neutralizzazione della notoria minor resistenza del lavoratore" nel processo "realizza invece una situazione di sostanziale parità", così risolvendosi in un "mezzo di ripristino di una eguaglianza che, se pur esistente sul piano formale, è suscettibile comunque di cadere ove il rischio del processo, apparendo troppo gravoso, distolga il lavoratore dal far valere una fondata pretesa".

 

A sua volta, la decisione n. 60 del 1979, nel respingere le questioni di legittimità dell'art. 152 disp. att. c.p.c., ha avuto modo di precisare come di per sè il gratuito patrocinio, condizionato a limiti reddituali e non esteso al rimborso delle spese in caso di soccombenza, non avrebbe pari attitudine ad eliminare, compiutamente, il rischio processuale per l'assicurato.

 

E, sulla stessa linea, la successiva sentenza n. 85/79 ha fatto del pari riferimento alla specialità della garanzia dell'esonero per inferire l'illegittimità del medesimo art.152 nella parte in cui non ne estendeva l'applicazione nei confronti dei destinatari dell'assistenza pubblica.

 

Nè da tale indirizzo si è da ultimo discostata la sentenza n.135/1987, che lo ha anzi ancora una volta confermato con l'unica riserva di una possibile più restrittiva definizione dell'area dei beneficiari dell'esonero: nel senso che - in considerazione delle condizioni economiche dei lavoratori, "che hanno a volte raggiunto retribuzioni di entità notevole e pensioni anche elevate" - potrebbero essere appunto esclusi, dal detto esonero, i lavoratori "abbienti", peraltro con l'espressa avvertenza che < < la determinazione concreta delle condizioni e degli estremi della situazione di "abbiente" per i fini che interessano specificamente la materia, importa scelta affidate alla discrezionalità del legislatore>>.

 

Con l'art. 4 co. 2 del d.l. 384 ora impugnato, il legislatore del 1992 - disattendo tali precise indicazioni sui limiti di una possibile revisione riduttiva della disciplina dell'esonero e sopratutto obliterando la valenza, più volte ribadita, di quel meccanismo ai fini dell'eliminazione del rischio processuale per la generalità degli assicurati cui non sia riferibile una ipotetica condizione di abbienza - ha viceversa operato una indiscriminata abrogazione dell'esonero stesso, trascurando qualunque distinzione tra abbienti e non abbienti.

 

E ciò appunto pone ora la norma stessa in insanabile contrasto - nella sua interezza - con i precetti costituzionali evocati: risultandone, per l'effetto, indiscriminatamente (e irragionevolmente quindi) ripristinata la situazione di disparità sostanziale nel processo (rispetto all'istituto assicuratore) cui avevano posto rimedio le disposizioni abrogate (art.3); limitata di fatto la possibilità di agire a tutela dei propri diritti (art. 24); non tutelata a sufficienza la condizione di inabile al lavoro (art. 38 Cost.).

 

6. Con l'accoglimento della questione principale perde rilievo la questione prospettata in via subordinata. La quale, quanto all'art. 11 l.533/1973, va, per tale motivo, dichiarata inammissibile; e, quanto all'ulteriore profilo di violazione dell'art. 4 d.l. 384/92, è più propriamente da considerarsi assorbita.

 

7. Assorbita rimane ovviamente anche l'eccezione di cui retro sub 4.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, del D.L.19 settembre 1992 n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e pubblico impiego e disposizioni fiscali), convertito in L. 14 novembre 1992 n.438;

 

b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 della l. 11 agosto 1973 n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie) sollevata, in relazione agli artt. 3, 24, 38 Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Renato GRANATA, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 13/04/94.