SENTENZA N. 323
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 11, secondo comma e secondo comma-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito in legge, con modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n. 359, promossi con ordinanze emesse il 18 novembre 1992 dal Pretore di Salerno, il 9 e 22 dicembre 1992 dal Pretore di Roma, il 21 dicembre 1992 dal Pretore di Bologna ed il 24 novembre 1992 dal Pretore di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, rispettivamente iscritte al n. 796 del registro ordinanze 1992 e ai nn. 30, 56, 74 e 152 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 1, 5, 8, 9 e 15, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visti gli atti di costituzione di Graziella Buoni o Del Buono, di Teresa Ferratini Volpe e di Rosalba Simonini nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
visto l'atto di intervento depositato dalla Confederazione italiana della proprietà edilizia;
udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 1993 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;
uditi gli avvocati Valerio Onida e Ugo Pansolli per Graziella Buoni o Del Buono, l'avvocato Valerio Onida per Teresa Ferratini Volpe e Rosalba Simonini e l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - I Pretori di Salerno (con ordinanza emessa il 18 novembre 1992), di Roma (con due ordinanze rispettivamente del 9 dicembre 1992 e del 22 dicembre 1992), di Bologna (con ordinanza emessa il 21 dicembre 1992) e di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno (con ordinanza del 24 novembre 1992), in altrettanti giudizi di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione per contratti con scadenza successiva al 14 agosto 1992, hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito in legge, con modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n. 359.
I giudici rimettenti prospettano l'illegittimità della norma nella sua interezza, ovvero nella parte in cui dispone la proroga del contratto, senza che sia consentito di recedere dal rapporto, anche se il locatore ha l'esigenza di riottenere la disponibilità dell'immobile per la necessità di adibirlo ad uso proprio o di familiari, ovvero per uno dei motivi indicati dagli artt.29 e 59 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
É stata inoltre sollevata questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione per la mancata previsione di una speciale procedura per il rilascio dell'immobile, in caso di esercizio del diritto di recesso da parte del locatore.
La norma denunciata stabilisce, per le locazioni in corso e con scadenza successiva all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, la proroga di diritto del contratto per due anni, nel caso in cui "le parti non concordino sulla determinazione del canone".
Tutte le ordinanze di rimessione muovono dalla premessa che la proroga operi in modo automatico, se le parti non hanno raggiunto l'accordo sul canone, e che il mero rifiuto di trattare da parte del proprietario, a prescindere dalle relative motivazioni, sia equiparato al mancato accordo.
In particolare:
a) il Pretore di Salerno ritiene che la norma denunciata comporti una sostanziale riedizione del regime vincolistico e determini una indiscriminata compressione del diritto di proprietà. Sarebbe violato l'art. 3 della Costituzione, perchè la generalizzata ed indifferenziata proroga delle locazioni non sarebbe adeguata alla diversità delle concrete situazioni personali ed economiche dei singoli locatori ed all'equilibrio degli interessi tra le parti. Ad avviso del giudice rimettente l'art. 11, comma 2-bis, del decreto-legge n. 333 del 1992 contrasta anche con l'art.42, secondo comma, della Costituzione, in quanto penalizzerebbe soltanto il locatore, sul quale addossa il peso (non prevedibile al momento della stipulazione del contratto secondo il regime della legge n. 392 del 1978) di tensioni connesse al mutamento legislativo, rendendo impossibile sottrarsi alla proroga del contratto anche in presenza di situazioni (quale l'esigenza di destinare l'immobile ad abitazione propria) che giustificherebbero il rifiuto del locatore alla stipula di un nuovo accordo;
b) il Pretore di Roma (R.O. n. 30 del 1993) dubita della legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2-bis, del decreto-legge n. 333 del 1992, ma solo nella parte in cui questa disposizione esclude il diritto di recesso del locatore alla scadenza del contratto ovvero nel corso della proroga biennale, se ha la necessità di adibire l'immobile agli usi o di effettuare sullo stesso le opere previsti, rispettivamente, dagli artt. 29 e 59 della legge n. 392 del 1978.
Il giudice rimettente ritiene che la proroga, in sè, non contrasta con alcun parametro costituzionale, essendo diretta ad assicurare il graduale passaggio dal regime dell'equo canone a quello della libertà contrattuale nella determinazione del corrispettivo per le locazioni abitative.
Ricorda, tuttavia, che anche nel sistema vincolistico la composizione degli interessi contrapposti teneva conto della necessità del locatore, considerata causa di cessazione della proroga legale. La norma denunciata, non prevedendo la necessità del locatore quale causa di esclusione della proroga o di recesso dal contratto, comprimerebbe il diritto di proprietà, in contrasto con l'art.42 della Costituzione; violerebbe inoltre il diritto di difesa, garantito dall'art. 24 della Costituzione, essendo impossibile per il locatore far valere in giudizio le sue esigenze di vita e di lavoro, socialmente apprezzabili e meritevoli di riconoscimento e di tutela;
c) il Pretore di Roma, con altra ordinanza, emessa il 22 dicembre 1992 (R.O.n.56 del 1993), ritiene manifestatamente infondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, ma solleva il dubbio invocando l'art. 42 della Costituzione. A suo avviso la disposizione denunciata si risolverebbe in un irrazionale ripristino del regime vincolistico. In proposito richiama la giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la disciplina vincolistica è compatibile con l'assetto costituzionale del diritto di proprietà solo in quanto abbia carattere straordinario e temporaneo (sentenza n. 108 del 1986). La disciplina transitoria prevista dalla legge n.392 del 1978 avrebbe già soddisfatto le esigenze collegate al passaggio ad un regime definitivo, sicchè neppure la transizione al "regime libero" consentirebbe ulteriori compressioni del diritto di proprietà;
d) il Pretore di Bologna solleva la questione in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, prospettando il dubbio della legittimità costituzionale della norma nella parte in cui essa non prevede il diritto, per il locatore che ha necessità di disporre dell'immobile per adibirlo ad abitazione propria, di recedere dal rapporto alla scadenza del contratto ovvero nel corso della proroga legale, e nella parte in cui non introduce, in caso di esercizio del diritto di recesso da parte del locatore, una procedura per il rilascio dell'immobile.
Ad avviso del giudice rimettente la proroga, in sè, non contrasta con alcuna disposizione costituzionale, in quanto la liberalizzazione dei canoni di locazione, che ispira la nuova legge, non può essere resa operante senza predisporre con indispensabile gradualità una soluzione tecnica per il passaggio al nuovo sistema. Ma già nel regime vincolistico l'istituto della necessità come causa di cessazione della proroga legale ha assunto carattere strumentale per la composizione dei contrapposti interessi, prevalendo quelli dei conduttori, che rimangono tuttavia sacrificati di fronte all'esigenza del locatore- proprietario di ottenere la disponibilità dell'immobile in caso di necessità.
L'impossibilità per il locatore di invocare, appunto, situazioni di necessità personale per escludere o fare cessare la proroga determinerebbe il contrasto con l'art.42, secondo comma, della Costituzione.
Alla ingiustificata compressione del diritto di proprietà si aggiungerebbe l'ulteriore anomalia dell'assenza di una specifica procedura per disciplinare l'esercizio del recesso da parte del locatore; ne deriverebbe una violazione dell'art. 24, primo comma, della Costituzione, perchè, ad avviso del Pretore, sarebbe impossibile per il proprietario-locatore fare valere in concreto il suo diritto;
e) il Pretore di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, solleva il dubbio di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3 e 42, secondo comma, della Costituzione. La protrazione ex lege della durata della locazione determinerebbe una sostanziale riedizione del regime vincolistico, tale da comprimere irrazionalmente il diritto di proprietà e da creare una non giustificata disparità di trattamento tra locatori, a seconda che la scadenza del contratto sia anteriore o successiva al 14 agosto 1992.
2. - Il Pretore di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, ha sollevato inoltre, con la medesima ordinanza, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, secondo comma, del decreto-legge n. 333 del 1992. Questa disposizione, subordinando la validità dei patti in deroga alla loro stipulazione con l'assistenza delle organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale, ad avviso del Pretore violerebbe l'art. 18 della Costituzione ed il principio di libertà di associazione, costringendo, anche solo di fatto, le parti del contratto ad iscriversi a particolari organizzazioni. Inoltre, in contrasto con gli artt.3 e 23 della Costituzione, la norma imporrebbe una prestazione onerosa a carico di alcune categorie di cittadini, mentre l'implicita sanzione di invalidità dei patti conclusi senza la prevista assistenza darebbe luogo ad una incapacità di agire a tutela dei propri diritti, in violazione dell'art. 24, primo comma, della Costituzione.
3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in ciascuno dei giudizi promossi con le ordinanze sopra indicate, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2-bis, del decreto-legge n. 333 del 1992 siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate e che la questione di legittimità costituzionale del secondo comma del medesimo art. 11 sia dichiarata inammissibile per irrilevanza.
L'Avvocatura osserva, quanto alla proroga, che la legge tende a favorire una graduale deregolamentazione della materia delle locazioni, attraverso un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi delle parti, incentivando la stipula di accordi in deroga.
Il conduttore otterrebbe due anni di proroga ad equo canone, ma con la certezza di dovere lasciare la casa alla scadenza, mentre beneficerebbe della lunga durata del rapporto, quadriennale con obbligo di rinnovo, a seguito del contratto stipulato in deroga all'equo canone. Parallelamente il locatore, in presenza della possibilità di proroga, sarebbe indotto a preferire il nuovo contratto con lo stesso conduttore.
L'Avvocatura ritiene infondata la denuncia di violazione dell'art. 3 della Costituzione, per asserita disparità di trattamento, giacchè sarebbero state incongruamente accostate dal giudice rimettente situazioni diverse. Inoltre non condivide l'interpretazione dell'art. 11, comma 2-bis, del decreto-legge n. 333 del 1992 offerta dalle ordinanze di rimessione.
L'Avvocatura osserva che questa disposizione introduce un principio destinato a completare logicamente la disciplina dei patti in deroga, delineata nel secondo comma dello stesso art. 11. Si tratterebbe di una norma applicabile solo quando il locatore sia disponibile a consentire un ulteriore periodo di godimento dell'immobile da parte dell'inquilino, ma non sia stato raggiunto l'accordo sul canone. Se questa disponibilità sia in concreto esclusa, non per effetto di una scelta del locatore ma per una sua situazione di necessità, difetterebbe lo stesso presupposto per il transito del rapporto sotto la nuova disciplina, che non potrebbe quindi essere applicata neppure quanto alla proroga biennale. Questa conclusione si fonda su di una interpretazione congiunta degli ultimi due commi dell'art. 11 del decreto-legge n. 333 del 1992 e, in particolare, sulla constatazione che allo stato di necessità del locatore, il quale intenda adibire l'immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui, rispettivamente, agli artt. 29 e 59 della legge n. 392 del 1978, è riconosciuta l'idoneità "a risolvere un rapporto già passato in regime di deroga".
Non potrebbe quindi disconoscersi rilevanza giuridica ad un identico stato di necessità, sia pure preesistente al momento dell'eventuale transito del rapporto sotto il nuovo regime.
4. - Nei giudizi promossi dai Pretori di Roma (R.O. n. 30 del 1993), di Bologna (R.O. n.74 del 1993) e di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno (R.O. n. 152 del 1993), si sono costituite, rispettivamente, Graziella Buoni o Del Buono, Teresa Ferratini Volpe e Rosalba Simonini, chiedendo, tutte, che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2-bis, del decreto- legge n. 333 del 1992, se interpretato nel senso, fatto proprio dai giudici rimettenti, che la proroga legale si applica non solo se non è stato raggiunto l'accordo sul canone ma anche quando il locatore non intende, alla scadenza del contratto, dare nuovamente in locazione l'immobile, o ha necessità di disporne per uso proprio.
Le parti private ritengono peraltro che questa interpretazione sia inesatta, perchè la proroga è strettamente correlata al mancato accordo sul canone e non all'esistenza di un contratto scaduto;
presuppone quindi che il locatore destini ancora a locazione l'immobile e che non si raggiunga l'accordo sulla determinazione del canone.
La difesa di Rosalba Simonini ha anche chiesto che sia dichiarata l'inammissibilità o, comunque, l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 11 del decreto-legge n. 333 del 1992. Osserva difatti che tra le parti del giudizio a quo non è intervenuto alcun accordo nè sono state avviate trattative per la stipulazione di un nuovo contratto. Non essendo stata richiesta o prospettata l'esigenza di assistenza delle organizzazioni dei proprietari e dei conduttori per la stipulazione di patti in deroga, il Pretore non avrebbe la necessità, nè la possibilità, di applicare il secondo comma dell'art.11 per definire il giudizio.
Nel merito, comunque, la questione sarebbe infondata, perchè le organizzazioni di categoria prestano un'assistenza tecnica anche nei confronti dei non iscritti, senza sostituirsi alle parti. Non ne deriverebbe alcun limite alla capacità dei soggetti, nè vi sarebbe alcun rapporto tra l'eventuale invalidità dei patti in deroga, conclusi senza l'assistenza delle organizzazioni rappresentative delle categorie interessate, ed il diritto alla tutela giurisdizionale, sempre garantito.
5. - Nel giudizio promosso dal Pretore di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, ha depositato atto d'intervento la Confederazione italiana della proprietà edilizia (Confedilizia), chiedendo che sia ritenuta ammissibile la sua costituzione in giudizio e prendendo conclusioni anche nel merito.
6. - In prossimità dell'udienza tutte le parti private hanno presentato memorie, nelle quali hanno ulteriormente illustrato le tesi enunciate nei rispettivi atti di costituzione.
Considerato in diritto
l. - I Pretori di Salerno, Roma, Bologna e Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 11, secondo comma e secondo comma-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (convertito in legge, con modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n.359), che integra e modifica la disciplina delle locazioni di immobili urbani dettata dalla legge 27 luglio 1978, n. 392.
L'art. 11 del decreto-legge, al primo comma (che non è denunciato dalle ordinanze di rimessione), esclude dall'applicazione delle norme concernenti l'equo canone gli immobili adibiti ad uso di abitazione, la cui ultimazione dei lavori sia successiva all'entrata in vigore del decreto-legge; al secondo comma, della cui legittimità costituzionale si dubita, prevede che nei contratti di locazione relativi agli immobili ultimati prima di tale data, stipulati o rinnovati successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione, le parti possono convenire, con l'assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale, accordi in deroga alle norme della legge n. 392 del 1978, purchè per gli immobili ad uso abitativo il locatore rinunzi alla facoltà di disdetta del contratto alla prima scadenza. La facoltà del locatore di diniego della rinnovazione del contratto resta salva quando ricorrano le circostanze previste, rispettivamente, dagli artt.29 e 59 della legge n. 392 del 1978.
Queste circostanze comprendono il caso del locatore che intende adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta (art.29, primo comma, lettera a, della legge n. 392 del 1978).
Il comma 2-bis dell'art. 11, inserito in sede di conversione del decreto-legge n. 333 del 1992, prevede inoltre che, se alla prima scadenza del contratto, successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione, le parti non concordino sulla determinazione del canone, il contratto stesso è prorogato di diritto per due anni.
Le cinque ordinanze - emesse nel corso di giudizi per la convalida di licenza o di sfratto per finita locazione promossi da proprietari che non intendevano rinnovare il contratto neanche stipulando patti in deroga - investono la proroga biennale della locazione (comma 2-bis dell'art. 11 del decreto-legge n.333 del 1992). Le disposizioni indicate quale parametro di valutazione della legittimità costituzionale sono l'art. 42 (per tutte le ordinanze di rimessione); l'art. 24 (per i Pretori di Roma, di Bologna e di Busto Arsizio) e l'art. 3 della Costituzione (per i Pretori di Salerno e di Busto Arsizio).
Il Pretore di Busto Arsizio ha anche sollevato questione di legittimità costituzionale della disciplina dei patti in deroga e, più precisamente, ha denunciato la norma che prevede l'assistenza, considerata necessaria, delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori per la stipulazione di tali patti (secondo comma dello stesso art. 11). Quale parametro di valutazione della legittimità costituzionale il Pretore indica gli artt. 18, primo comma, 3, 23 e 24 della Costituzione.
2. - Tutti i giudizi prospettano questioni identiche o connesse, concernenti le stesse disposizioni legislative. Possono essere pertanto riuniti e decisi con unica sentenza.
3. - Preliminarmente deve essere dichiarata l'irricevibilità dell'atto di intervento depositato dalla Confederazione italiana della proprietà edilizia. Difatti l'ordinanza di rimessione del Pretore di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 7 aprile 1993, mentre l'atto di intervento è stato depositato il successivo 12 maggio, quindi oltre il termine previsto dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e dall'art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. L'atto, dal quale dovrebbero essere desunti gli elementi che si assume comprovino l'ammissibilità dell'intervento nonostante la Confederazione non sia parte del giudizio di merito, non può pertanto essere preso in considerazione.
4. - Esaminando per prima la questione di legittimità costituzionale relativa al secondo comma dell'art. 11 del decreto-legge n. 333 del 1992, nella parte in cui questa disposizione prevede l'assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori per la stipulazione di accordi in deroga, deve essere anzitutto valutata l'eccezione di irrilevanza, proposta dall'Avvocatura dello Stato e dalla parte privata.
L'eccezione è fondata. Oggetto del giudizio dinanzi al Pretore è esclusivamente la finita locazione e la contestata proroga della stessa. Il giudizio di merito non verte sulla stipulazione, o sulle modalità di stipulazione, di patti in deroga, sicchè la norma denunciata rimane estranea all'oggetto del giudizio: essa è stata richiamata solo per un'ipotesi astratta. Manca quindi il nesso di pregiudizialità tra la soluzione della questione di legittimità costituzionale e la decisione del giudizio principale. Ne segue che la questione sollevata dal Pretore di Busto Arsizio, con riferimento al secondo comma dell'art. 11 del decreto-legge n. 333 del 1992, è irrilevante e deve essere dichiarata inammissibile.
5. - Le altre questioni concernono la proroga biennale dei contratti di locazione.
I giudici rimettenti denunciano, con vario sviluppo argomentativo, l'indiscriminata compressione del diritto di proprietà del locatore e della connessa facoltà di godimento dell'immobile (art. 42 della Costituzione).
Mentre il Pretore di Salerno ed il Pretore di Roma, in una delle ordinanze di rimessione (R.O. n. 56 del 1993), ritengono che la stessa introduzione della proroga sia in contrasto con la Costituzione (artt. 3 e 42), il Pretore di Roma, nell'altra ordinanza (R.O. 30 del 1993), ed i Pretori di Bologna e di Busto Arsizio considerano giustificata la proroga, ma costituzionalmente non legittima la sua indiscriminata applicazione, anche quando l'immobile sia destinato a soddisfare una necessità propria del locatore o di suoi familiari.
I Pretori di Salerno e di Busto Arsizio denunciano inoltre la lesione del principio di eguaglianza, rispettivamente per mancata osservanza dell'equilibrio nel rapporto tra gli interessi dei locatori e dei conduttori, o per la diversità di trattamento, che si assume irrazionale e quindi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, a seconda che la scadenza del contratto sia anteriore o successiva alla entrata in vigore della legge di conversione del decreto- legge.
Il Pretore di Roma, in una delle ordinanze (R.O. n. 30 del 1993), ed il Pretore di Bologna ritengono che risulterebbe compresso il diritto del locatore di far valere in giudizio la tutela di situazioni meritevoli di riconoscimento, quando il godimento dell'immobile e la necessità di rientrarne in possesso rispondano ad apprezzabili esigenze di vita o di lavoro. Il Pretore di Bologna inoltre ritiene non legittima la mancanza di una procedura destinata a disciplinare l'esercizio del recesso da parte del locatore.
In tutti i casi l'interpretazione della disposizione denunciata, offerta dalle ordinanze di rimessione, è nel senso che la proroga della locazione opera anche se non vi sono state trattative per la stipulazione di un nuovo contratto e per la determinazione del canone: non solo, quindi, se l'accordo sulla determinazione del corrispettivo della locazione non è stato raggiunto.
6. - Ad avviso delle parti private la questione sarebbe irrilevante, essendo erronea l'interpretazione della disposizione denunciata da cui muovono le ordinanze di rinvio. Difatti la proroga legale sarebbe prevista dalla legge soltanto per il caso in cui entrambe le parti, locatore e conduttore, hanno manifestato la volontà di stipulare un nuovo contratto e non hanno trovato l'accordo sull'entità del canone. Quando invece il locatore intende rientrare in possesso dell'immobile alla scadenza del contratto, non si verificherebbe il presupposto al quale la legge collega l'effetto della proroga legale in caso di mancato accordo. Seguendo questa interpretazione il comma 2-bis del citato art. 11 non troverebbe applicazione nei casi sottoposti al giudizio dei Pretori che hanno sollevato le questioni di legittimità costituzionale.
L'eccezione è infondata. Se il giudice ha ritenuto di dover fare applicazione della norma, il controllo sull'ammissibilità della questione potrebbe far disattendere la premessa interpretativa dalla quale muove solo quando l'interpretazione offerta risulti palesemente arbitraria o del tutto non plausibile (da ultimo, sentenze n. 238 e 103 del 1993).
Presupposti che in questo caso non ricorrono.
7. - Per valutare la legittimità costituzionale della proroga delle locazioni, prevista dalla disposizione in esame, con riferimento alle garanzie costituzionali per la proprietà privata (art. 42, secondo comma, della Costituzione) e quindi alla facoltà di godimento del bene mediante la piena disponibilità dello stesso, deve essere tenuto presente il contesto normativo nel quale la proroga è inserita.
Si è in presenza di una disciplina volta ad aprire una fase di graduale transizione: dalla determinazione del canone di locazione secondo parametri vincolanti stabiliti dal legislatore alla libera negoziazione del canone stesso tra le parti.
La proroga tende non solo e non tanto a garantire e rafforzare la posizione del conduttore, quanto a preordinare un meccanismo volto a secondare, per un periodo di tempo determinato in relazione alla scadenza di ciascun contratto, l'accordo tra le parti, disincentivando sia le richieste di eccessivo aumento del canone, sia le eccessive resistenze ad una ragionevole maggiorazione dello stesso.
In questa materia la Corte ha precisato che la straordinaria e temporanea proroga delle locazioni è compatibile con i precetti costituzionali che riconoscono e garantiscono la proprietà privata, purchè la limitazione sia contenuta entro un ristretto spazio temporale (sentenza n. 3 del 1976) e sia dettata da rilevanti esigenze sociali, senza che si realizzi una definitiva ed irreversibile compressione della facoltà di godimento del proprietario (sentenza n. 225 del 1976); la proroga è altresì giustificata se destinata a realizzare un anello di congiunzione con una nuova disciplina da attuare gradualmente (sentenza n. 89 del 1984).
La norma denunciata non contiene una protrazione della durata del contratto fine a se stessa, idonea a configurare una sostanziale riedizione del regime vincolistico. Risponde, piuttosto, all'esigenza di predisporre una soluzione, limitata nel tempo, per il passaggio ad un nuovo sistema caratterizzato dal tendenziale superamento del principio della quantificazione legale del corrispettivo per le locazioni abitative.
La proroga delle locazioni risulta quindi inserita in un contesto che amplia le opportunità di remunerazione per il locatore. Essa appare congegnata in modo da non determinare di per sè una compressione del diritto di proprietà, ma da rappresentare uno strumento di graduale transizione, alla scadenza dei singoli contratti in corso, dalla vecchia ad una nuova disciplina. Circostanza questa che giustifica la proroga delle locazioni, "in una prospettiva interlocutoria di eccezionalità e temporaneità, che consente di escluderne il contrasto con il precetto costituzionale dell'art.42" (sentenza n. 32 del 1980).
8. - L'applicazione della nuova disciplina ai soli contratti con scadenza successiva al 14 agosto 1992 (data di entrata in vigore delle modifiche al decreto apportate dalla legge di conversione n. 359 del 1992) non contrasta con l'art. 3 della Costituzione, in quanto lo stesso dato temporale costituisce un elemento di differenziazione che, tra l'altro, è ancorato alla già avvenuta estinzione del vincolo negoziale per i contratti scaduti anteriormente alla data sopra indicata. Si giustifica pertanto una scelta normativa collegata al passaggio ad una nuova disciplina delle locazioni sulla base dell'assetto normativo delineato dallo stesso art. 11 per i contratti stipulati o rinnovati successivamente alla entrata in vigore della legge di conversione del decreto- legge n. 333 del 1992.
9. - Diversa valutazione deve essere fatta per il rapporto tra proroga di diritto ed esigenza o necessità del locatore di diretta utilizzazione dell'immobile.
Alcuni giudici rimettenti ritengono che il legislatore non abbia tenuto in alcun modo conto di questa situazione. Prospettano quindi un contrasto della norma denunciata con l'art. 3 della Costituzione, perchè verrebbe trascurata, attraverso una previsione generalizzata ed indifferenziata, la ricca ed inesauribile diversità delle concrete situazioni personali ed economiche dei singoli proprietari locatori e l'equilibrio tra gli interessi di costoro e quelli dei conduttori. Vi sarebbe anche una lesione dell'art.42 della Costituzione, per l'ingiustificato sacrificio del locatore- proprietario che abbia l'esigenza di ottenere la disponibilità dell'immobile per sè o per i propri familiari. Infine si profila un contrasto con l'art 24 della Costituzione, perchè sarebbe preclusa al locatore la possibilità di far valere in giudizio necessità di vita e di lavoro socialmente apprezzabili e meritevoli di riconoscimento e di tutela.
La questione è, nei sensi che verranno ora precisati, infondata.
La necessità come causa di cessazione della proroga legale ha assunto, nella comune interpretazione adeguatrice (sentenza n. 132 del 1972), funzione di strumento per la composizione dei contrapposti interessi, rimanendo sacrificati quelli dei conduttori, altrimenti prevalenti, di fronte all'esigenza del locatore-proprietario di ottenere la disponibilità dell'immobile in caso di necessità (sentenze n. 291 del 1987; n. 22 del 1980).
In questi casi il recesso deve trovare applicazione ai rapporti in corso per la proroga imposta autoritativamente dalla legge, restandone esclusi soltanto quelli pendenti per effetto dell'autonomia negoziale delle parti (sentenza n. 250 del 1983).
L'interpretazione seguita dalle ordinanze di rimessione non è in linea con il principio di necessaria applicazione del recesso, elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte, ed affermato anche dalla legislazione di settore. Tale interpretazione si palesa inoltre inesatta nel contesto del sistema in cui si colloca la disposizione denunciata, la quale si presta ad una diversa e corretta lettura, adeguata ai principi costituzionali.
Difatti il secondo comma dell'art. 11 in esame prevede che, per i contratti ad uso abitativo (per i quali l'ammissibilità di accordi in deroga presuppone che il locatore rinunzi alla facoltà di disdetta alla prima scadenza), il rinnovo del contratto per un ulteriore quadriennio, che di regola opera, può essere impedito dal locatore se ricorrano le condizioni indicate dagli artt.29 e 59 della legge n. 392 del 1978. Il diniego di rinnovazione, anche contro la rinuncia alla facoltà di disdetta, è ammesso, tra l'altro, quando il locatore intende adibire l'immobile ad abitazione propria, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta (art. 29, primo comma, lettera a). I casi previsti dagli artt. 29 e 59 della legge n. 392 del 1978 sono tali da comprendere le situazioni sottoposte al giudizio dei Pretori rimettenti e rispondono a principi che hanno in precedenza trovato espressione nella legislazione di settore.
La disciplina della proroga, quale complemento e completamento della regolamentazione dei patti in deroga, deve essere interpretata seguendo un criterio sistematico, nel contesto di una disposizione che vede esclusa la rinnovazione del contratto pur nel caso di avvenuta stipulazione di patto in deroga, quando il locatore, con attualità e concretezza, intenda adibire l'immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere rispettivamente previsti dagli artt. 29 e 59 della legge n. 392 del 1978, e faccia valere tale suo diritto con le procedure delineate dalla medesima legge.
Questi principi sono da ritenere egualmente, ed anzi a maggior ragione, applicabili alla parallela e più ristretta proroga ex lege, che può essere impedita, anche nel suo ulteriore corso, quando ricorrano le specifiche e comprovate esigenze del locatore, nei casi ed alle condizioni che la stessa legge prevede.
Così interpretata la norma si sottrae ai dubbi di legittimità costituzionale che sono stati prospettati e la questione deve essere dichiarata non fondata, nei sensi sopra precisati.
10. - Il Pretore di Bologna ha esposto un ulteriore dubbio di legittimità costituzionale del medesimo art. 11, comma 2- bis, del decreto-legge n. 333 del 1992, in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione, ritenendo che manchi una specifica procedura volta a disciplinare l'esercizio del recesso da parte del locatore.
La norma denunciata regola le condizioni per la proroga legale dei contratti di locazione. Gli aspetti attinenti alla procedura per il rilascio dell'immobile, individuabili all'interno del sistema con gli ordinari criteri di interpretazione, non sono disciplinati dalla disposizione in questione, la quale, avendo riguardo esclusivamente ai profili sostanziali, non può essere sindacata sotto il profilo della violazione del diritto alla tutela giurisdizionale.
La questione è pertanto infondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara:
1) inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, secondo comma, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito in legge, con modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 18, 23 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2-bis, del decreto-legge n.333 del 1992 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito in legge, con modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione, dai Pretori di Salerno, di Roma, di Bologna e di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 21/07/93.