SENTENZA N. 3
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Dott. Luigi OGGIONI, Presidente
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo e secondo comma, e 3 della legge 6 novembre 1963, n. 1444 (norme relative alle locazioni degli immobili urbani ad uso di abitazione), e delle successive leggi di proroga, promossi con ordinanze emesse l'8 maggio 1973, il 19 giugno e il 5 novembre 1974 dal pretore di Roma in tre procedimenti civili vertenti tra Frisardi Alvaro e Palma Achille e tra Gallone Armando, Panaccione Francesco e la società Paolense, iscritte al n. 272 del registro ordinanze 1973, al n. 352 del registro ordinanze 1974 e al n. 34 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 223 del 29 agosto 1973, n. 284 del 30 ottobre 1974 e n. 62 del 5 marzo 1975.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1975 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;
udito il vice avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza in data 8 maggio 1973 (emessa nel procedimento civile tra Alvaro Frisardi ed Achille Palma, per il rimborso di somme che si assumevano corrisposte a seguito di indebito aumento di canone locativo bloccato ex art. 1 e 3 della legge 1963 n. 1444) e con successiva ordinanza del 19 giugno 1974 (pronunziata in altro analogo procedimento, vertente tra Armando Gallone e la società Paolense), l'adito pretore di Roma ha sollevato, in quanto a suo avviso rilevante e non manifestante infondata, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge 6 novembre 1963 n. 1444, nonché di tutte le norme di proroga della detta legge fino al 31 dicembre 1973 (e precisamente: art. 1 della legge 1 ottobre 1965 n. 1110; art. 3 della legge 17 dicembre 1965 n. 1395; art. 1 della legge 27 giugno 1966 n. 453; art. 1 della legge 23 dicembre 1966 n. 1123; art. 2 d.l. 27 giugno 1967 n. 460, convertito in legge 29 luglio 1967 n. 628; art. 1 bis d.l. 22 dicembre 1968 n. 1240, convertito in legge 12 febbraio 1969 n. 4; art. 2 della legge 26 novembre 1969 n. 833; art. 56 d.l. 26 ottobre 1970 n. 745, convertito in legge 18 dicembre 1970 n. 1034).
Tutte le norme indicate - in quanto non prevedono alcuna forma di concreta rivalutazione del canone "bloccato" delle locazioni - vulnererebbero, infatti, secondo il giudice a quo, il precetto dell'art. 42 secondo comma della Costituzione.
In particolare, poi, il comma secondo dell'art. 1 legge 1963 n. 1444 citato - consentendo riduzioni autoritative dei canoni, ove in precedenza maggiorati in misura eccedente determinate percentuali - contrasterebbe anche con il precetto dell'eguaglianza (art. 3 della Costituzione); in quanto legittimerebbe, sia pur entro certi limiti, aumenti già apportati o concordati, senza contemporaneamente consentire i medesimi aumenti per i canoni rimasti invariati.
2. - Con altra ordinaza del 5 novembre 1974 (emessa nel procedimento civile tra Francesco Panaccione e la società Paolense), ancora il pretore di Roma ha riproposto la questione di legittimità della normativa sul blocco dei canoni in riferimento all'art. 42, comma secondo della Costituzione con estensione, per altro, dell'impugnazione anche nei confronti dello art. 1, della sopravvenuta legge 12 agosto 1974, n. 351. La quale ultima - pur prevedendo la possibilità di aumento dei canoni (in misura non superiore al venti per cento per i contratti stipulati anteriormente al 1 marzo 1947 ed al dieci per cento per i contratti stipulati tra il 1 marzo 1947 ed il 1 gennaio 1953) - non soddisferebbe, comunque (proprio per la eccessiva limitazione nell'entità e nel tempo degli anzidetti aumenti), l'esigenza prospettata di tutela della proprietà.
3. - Ritualmente notificate, comunicate e pubblicate le ordinanze de quibus ed instaurati i relativi giudizi innanzi alla Corte, é in questi intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per sostenere, in ogni caso, l'infondatezza delle sollevate questioni.
Considerato in diritto
1. - Per la sostanziale identità delle questioni prospettate, i tre giudizi vanno preliminarmente riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2. - Con le ordinanze di rinvio é denunziato a questa Corte il regime di blocco dei canoni delle locazioni degli immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, quale nel complesso attuato attraverso le norme in epigrafe indicate.
L'impugnativa trae motivo dal rilievo, in particolare, della mancata previsione, nella normativa sopradetta, di alcun meccanismo (tranne quello - considerato "inadeguato" - di cui all'art. 1 legge 1974 n. 351) di rivalutazione periodica del canone, bloccato "per lungo periodo di tempo in cui si sarebbe di fatto verificata una notevole svalutazione monetaria".
Discenderebbe da ciò, appunto, l'ipotizzata lesione del diritto del proprietario ("a conservare invariato, nel valore di acquisito, il canone locatizio") e la conseguente vulnerazione del precetto costituzionale (art. 42 comma secondo), che quel diritto garantisce.
3. - La questione non é fondata.
Il regime di blocco in discussione - come dalla Corte già precisato con sentenza n. 30 del 1975 (a proposito di proroga, in genere, delle locazioni) - si giustifica alla stregua dell'art. 42 della Costituzione (di cui erroneamente si deduce la violazione); giacché questo "riconosce e garantisce la proprietà ma riserva alla legge di determinarne (i modi di acquisto e di godimento ed) i limiti allo scopo di realizzarne la funzione sociale". Funzione che qui, in particolare, si identifica nello scopo di assicurare il bene primario dell'abitazione a categorie di soggetti non superanti determinati livelli di reddito e, quindi, non in grado di accedervi in base alle leggi del mercato libero.
4. - É pur vero, d'altra parte, che i "limiti" sopradetti, "se possono comprimere le facoltà che formano la sostanza del diritto di proprietà, non possono mai pervenire ad annullarle". (cfr. sentenza n. 155 del 1972).
Ma tale principio - che, nella sentenza n. 155 del 1972 citata, sorregge la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 1 legge 11 febbraio 1971 n. 11 ("per l'omessa previsione di forme di periodica rivalutazione del canone in denaro dei fondi rustici") - non può, contrariamente all'assunto del giudice a quo, condurre ad analoga conclusione di illegittimità nei rispetti della normativa impugnata.
E ciò per la fondamentale ragione (posta anche in luce dall'Avvocatura dello Stato) che - mentre nella materia dell'affitto di fondi rustici, il giudizio di costituzionalità é stato formulato sul presupposto del carattere ordinario della relativa disciplina - nella specie viene, invece, in considerazione una disciplina (quale é appunto quella sul blocco dei canoni locativi), costituente un mezzo straordinario di intervento pubblico, preordinato a fronteggiare crisi congiunturali del settore dell'edilizia abitativa.
In altre parole, l'eventuale alterazione dell'equilibrio (il quale deve pur sussistere) tra interessi dei conduttori ed interessi dei proprietari locatori - quale si connetterebbe ad una disciplina che in via normale e permanente riducesse ad irrisoria misura il reddito della proprietà edilizia - non viene qui in rilievo (e la Corte si esime, pertanto, dall'esaminarla) in quanto proprio gli indicati caratteri di straordinarietà e temporaneità di tale disciplina ne giustificano in ogni caso la legittimità: in funzione dello scopo sociale di intervento in favore delle classi meno abbienti, che si realizza senza una definitiva ed irreversibile compressione delle facoltà di godimento del proprietario.
5. - Non va, a questo punto, per altro trascurata la circostanza della uniforme ripetizione e sovrapposizione nel tempo di normative di blocco.
La considerazione di tale circostanza prospetta, infatti, il pericolo che - in dipendenza dell'ulteriore procrastinarsi di tali normative - possa di fatto acquisirsi al regime di blocco quel carattere di ordinarietà (che per il momento non gli si riconosce).
Ora, tale evenienza - ove in concreto si verificasse potrebbe indurre la Corte a riformulare, sotto tale diverso presupposto, il giudizio di legittimità sulla disciplina di blocco, con riferimento ai parametri costituzionali, e con riguardo, tra l'altro, anche all'aspetto della valutazione comparativa delle condizioni economiche del locatore.
6. - Parimenti infondata é, poi, l'altra sollevata questione di costituzionalità concernente il comma secondo dell'art. 1 della legge 1963 n. 1444 citato.
La norma, ad avviso del giudice a quo, contrasterebbe - come detto - con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui - attraverso la prevista riduzione autoritativa di canoni maggiorati in misura "eccedente" determinate percentuali - finirebbe, in pratica, con il legittimare aumenti già apportati o concordati, senza contemporaneamente consentire i medesimi aumenti per i canoni rimasti invariati.
Ora, deve, appunto, escludersi la prospettata lesione del precetto dell'eguaglianza, giacché la disposizione impugnata ha, in realtà, operato nei confronti di due distinte categorie di locatori: di quelli, cioè, che non avevano richiesto aumenti prima dell'entrata in vigore della legge (così facendo presumere di ritenere i canoni stessi per loro equi e remunerativi) e di quelli, invece, che avevano apportato maggiorazioni.
La prevista riduzione del canone non poteva, ovviamente, rivolgersi che alla seconda delle due indicate categorie; e razionalmente essa é stata contenuta in limiti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale: degli artt. 1 e 3 della legge 6 novembre 1963, n. 1444, (norme relative ad immobili urbani ad uso di abitazione), nonché delle successive norme di proroga della detta legge (e precisamente: art. 1 della legge 1 ottobre 1965, n. 1110; articolo 3 della legge 17 dicembre 1965, n. 1395; art. 1 della legge 27 giugno 1966, n. 453; art. 1 della legge 23 dicembre 1966, n. 1123; art. 2 del d.l. 27 giugno 1967, n. 460, convertito in legge 28 luglio 1967, n. 628; art. 1 bis del d.l. 22 dicembre 1968, n. 1240, convertito in legge 12 febbraio 1969, n. 4; art. 2 della legge 26 novembre 1969, n. 833; art. 56 del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, convertito in legge 18 dicembre 1970, n. 1034; art. 1, quarto comma, d.l. 24 luglio 1973, n. 426, convertito in legge 4 agosto 1973, n. 495; art. 1, quarto comma, legge 22 dicembre 1973, n. 841; art. 1 della legge 12 agosto 1974, n. 351) sollevata, con le ordinanze in epigrafe indicate - in riferimento all'art. 42, secondo comma, della Costituzione;
dichiara altresì non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma secondo, della legge 6 novembre 1963, n. 1444, sollevata nelle stesse ordinanze, con riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1976.
Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 15 gennaio 1976.