SENTENZA N. 30
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott- Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 11 dicembre 1971, n. 1115 (Proroga del vincolo alberghiero e dei contratti di locazione di immobili adibiti all'esercizio di attività di natura commerciale od artigianale), promosso con ordinanza emessa il 2 marzo 1972 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Fiore Ferdinando e la società Immobiliare di via Settembrini 39, iscritta al n. 374 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28 del 31 gennaio 1973.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 novembre 1974 i1 Giudice relatore Michele Rossano;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Altisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Risulta in fatto dall'ordinanza di rimessione che la società - Immobiliare di via Settembrini n. 39, proprietaria di un locale adibito ad uso ricevitoria del lotto, intimò licenza per finita locazione a Raffaele Vitagliano, conduttore, e lo convenne in giudizio dinanzi al pretore di Milano con atto di citazione del 25 giugno 1970.
Il convenuto si costituì dichiarando di avere ceduto il contratto, insieme con l'azienda, a Ferdinando Fiore. Questi intervenne nel processo invocando la proroga di cui all'art. 6 della legge 26 novembre 1969, n. 833.
L'attrice replicò rilevando l'inapplicabilità del regime vincolistico, di cui alla citata norma, ai rapporti sorti dopo il marzo 1947, quale il rapporto relativo al locale di via Settembrini n. 39.
Con sentenza 16 febbraio 1971 i1 pretore dichiarò sciolto il rapporto con effetto dalla data di scadenza convenuta.
Il Fiore propose appello dinanzi al tribunale di Milano deducendo falsa applicazione del regime libero in luogo di quello vincolistico.
Rimessa la causa al collegio, l'appellante riconobbe, con la comparsa conclusionale, l'infondatezza della tesi sostenuta con l'atto di appello, invocando nel contempo l'applicazione della proroga sopravvenuta con la legge 11 dicembre 1971, n. 1115.
L'appellata replicò negando i presupposti per l'applicazione della nuova proroga e riproponendo la questione circa la risoluzione di diritto in conseguenza della cessione del contratto.
Il tribunale di Milano, con sentenza non definitiva 2 marzo 25 settembre 1972, dichiarò inammissibile la questione relativa alla risoluzione di diritto del contratto in conseguenza della cessione del contratto medesimo.
Lo stesso tribunale - con ordinanza di pari data - ritenuta la incompatibilità del regime vincolistico e della sua ulteriore proroga di cui alla legge 11 dicembre 1971, n. 1115, con le norme di cui all'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione sollevò, di ufficio, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della indicata legge n. 1115 del 1971 con riferimento alle citate norme della Costituzione.
L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale edizione speciale n. 28 del 31 gennaio 1973.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. Le parti non si sono costituite.
Considerato in diritto
Il tribunale di Milano, con l'ordinanza di rimessione - dopo aver esposto considerazioni di carattere economico, politico e sociale sul regime vincolistico delle locazioni - rileva, in generale, che tale regime, di cui fa parte la legge 11 dicembre 1971, n. 1115, costituisce un sistema di norme giuridiche non conforme alle direttive imposte dalla Costituzione.
Afferma, in particolare, che le leggi di proroga delle locazioni sostituiscono il termine di durata "negoziale", previsto dal contratto, con altro termine, con la conseguenza che non sopravvive il contratto, perché sono diversi gli effetti giuridici; e la posizione giuridica del conduttore deriva dalla legge e non dal contratto. Sostiene, quindi, che il regime di proroga legale attua un trasferimento coattivo dei poteri costituenti il contenuto del diritto di proprietà a favore di altro privato ed in base ad una valutazione astratta dell'interesse generale, laddove un trasferimento del genere non può operarsi se non a favore di enti pubblici e in base ad una valutazione in concreto dell'interesse generale, giusta quanto dispone l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, da interpretarsi tenendo presente l'art. "45" (reclius: 43) della stessa Costituzione, nel quale é contrapposta l'espropriazione ad una forma di acquisto analoga a quella del demanio necessario ed é così riaffermata la legittimità di strumenti di spossessamento diversi dalla espropriazione e dalle figure che in senso lato vi corrispondono.
Aggiunge che il regime vincolistico non può essere giustificato invocando la funzione sociale assegnata alla proprietà privata dall'art. 42, secondo comma, della Costituzione, dato che tale norma va interpretata in coordinamento con quelle dell'inciso iniziale dello stesso comma e del capoverso successivo, e, quindi, i vincoli imposti alla proprietà privata non possono implicarne il disconoscimento, né risolversi in una forma di espropriazione a vantaggio di altri privati e senza indennizzo. osserva, poi, che il regime vincolistico non trova alcuna giustificazione nella necessità di privare il proprietario della "rendita di posizione" - che costituisce il prodotto di investimenti pubblici in quanto conseguenza diretta dell'urbanizzazione - dato che l'appartenenza pubblica della rendita di posizione potrebbe portare solo all'acquisizione di tale rendita alla collettività e non alla sua elargizione ad altri privati con criteri casuali.
Sostiene, inoltre, che é evidente la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge numero 1115 del 1971 in riferimento all'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, posto che la controversia verte sull'applicazione della stessa legge n. 1115 del 1971.
L'Avvocatura generale dello Stato sostiene che la rilevanza della questione non é stata adeguatamente motivata dal tribunale di Milano; e che, comunque, la stessa questione non é in concreto rilevante, in quanto il contratto di locazione, essendo stato stipulato dopo il 1 marzo 1947 e avendo per oggetto un immobile non adibito ad uso di abitazione, non é soggetto alla proroga legale; deduce, poi, la mancanza di fondamento della questione medesima.
Questa Corte ritiene che la rilevanza della questione sia stata sufficientemente motivata, come si desume dal contenuto dell'ordinanza, e sussista.
In vero, la questione, oggetto del giudizio, concerne l'applicabilità della legge di proroga 11 dicembre 1971, n. 1115, invocata dal conduttore, e la tesi, sostenuta con l'ordinanza di rimessione, della incompatibilità del regime vincolistico con l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, se fosse fondata, escluderebbe la legittimità costituzionale della citata legge n. 1115 del 1971 e delle altre leggi di proroga applicabili.
Ma la questione, sebbene ammissibile, é infondata.
In vero l'espropriazione per pubblica utilità si realizza (come questa Corte ebbe a precisare con sentenza 8-14 febbraio 1962, n. 5), mediante un atto di autorità che importa immediatamente il trasferimento della proprietà per motivi di interesse generale da valutarsi con riguardo al singolo atto. E l'atto di autorità, in quanto atto di esercizio di un potere, deve essere giuridicamente disciplinato nei suoi elementi astratti, concreti e per quanto concerne la disciplina della sua attuazione. Non é quindi ammissibile un potere generale di espropriazione fuori di una specifica disciplina legislativa e della previsione di un atto tipico al quale sia connesso il verificarsi dell'effetto giuridico.
Con la su indicata sentenza questa Corte escluse pertanto che il divieto della libera vendita del risone con l'obbligo di conferimento all'ammasso costituisse espropriazione per pubblica utilità, come parte della dottrina e alcune sentenze della Corte di cassazione (18 maggio 1955, n. 1462; 19 settembre 1960, n. 2451) avevano ritenuto, e non invece, secondo la qualificazione della legge, una cessione coatta, con l'effetto di applicare alcune norme concernenti tale tipo di contratto.
In coerenza con detti principi questa Corte (sentenza 22 dicembre 1959, n. 68) escluse che attuasse una espropriazione la legge 9 novembre 1955, n. 1070, avente per oggetto il mutamento della destinazione originaria di un singolo bene dell'ente pubblico ex Gioventù Italiana del Littorio e l'attribuzione di tale bene all'ente beneficiario della nuova destinazione (Patronato Scolastico di Padova); ciò in quanto tale legge era di organizzazione amministrativa nel campo della distribuzione dei beni tra i vari organismi della pubblica Amministrazione, nel quale non poteva disconoscersi al legislatore ampia facoltà.
Ed infine, sempre con riferimento all'espropriazione, considerata quale atto di esercizio di un potere che postula la giuridica disciplina di elementi astratti e concreti e della sua attuazione, fu da questa stessa Corte affermato che l'espropriazione per motivi di interesse generale si riferisce a beni oggettivamente idonei a conseguire un interesse pubblico specificamente determinato (sentenza 26 febbraio 1959, n. 8) e non ad interessi sociali, economici e giuridici, attinenti alla struttura sociale. Questi ultimi interessi furono oggetto di valutazione e di specifica disciplina legislativa con le leggi di riforma fondiaria che ebbero di mira non a trasferire da un soggetto ad altro un determinato bene, ma a sottrarre parte del patrimonio ad un soggetto che si trovasse nelle condizioni previste dalle leggi di riforma e fosse proprietario, come nel caso della legge 12 maggio I950, n. 230, di oltre trecento ettari di terreno (sentenza 18 novembre 1959, n. 57; 21 dicembre 1961, n. 77).
Da tali premesse consegue: erroneamente il tribunale ritiene che l'interprete possa sindacare il mancato esercizio del potere di espropriazione sulla base di generiche valutazioni economiche e sociali; non giustifica l'affermazione che in realtà sia stato esercitato il potere di espropriazione in tutto o in parte un asserito contrasto tra principi della Costituzione attinenti alla disciplina di esercizio di tale potere e la disciplina legislativa adottata dal legislatore in un campo (quale il regime vincolistico delle locazioni), nel quale é consentita una libertà nei limiti dell'autonomia segnata dalla Costituzione. Se anche, quindi, fosse esatta la opinione del tribunale, secondo cui la volontà astratta di legge concernente la proroga si sostituisce alla volontà delle parti (opinione non pacifica, contra Cass. 26 gennaio 1963, n. 118), la sostituzione sarebbe ammissibile (arg. art. 1339 cod. civ.) e comunque non giustificherebbe pronunce d'illegittimità di norme del regime vincolistico delle locazioni. Tale regime non esclude affatto l'attitudine del diritto di proprietà a riacquistare il suo pieno contenuto e tanto meno contrasta con la disciplina tipica delle locazioni, come é dimostrato dai successivi provvedimenti di proroga e dal loro contenuto normativo.
Escluso pertanto che i commi dell'art. 42 della Costituzione, interpretati in connessione tra di loro, stabiliscono principi direttivi in contrasto con il regime vincolistico delle locazioni in generale e con la legge 11 dicembre 1971, n. 1115, in particolare, il fondamento costituzionale di tale regime é dato dal secondo comma dell'art. 42 della Costituzione, il quale riconosce e garantisce la proprietà, ma riserva alla legge di determinare i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. E la valutazione dell'entità consentita di tali limiti si desume dal contenuto tipico della disciplina legislativa del contratto di locazione, che esclude il trasferimento coattivo del diritto e comunque la perdita dello stesso, ma consente limiti al godimento del bene per assicurare lo scopo della funzione sociale della proprietà.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 11 dicembre 1971, numero 1115 (Proroga del vincolo alberghiero e dei contratti di locazione di immobili adibiti all'esercizio di attività di natura commerciale od artigianale), sollevata dal tribunale di Milano, con ordinanza 2 marzo 1972, in riferimento all'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO
Depositata in cancelleria il 25 febbraio 1975.