Sentenza n.89 del 1984

 CONSULTA ONLINE 

 

 

SENTENZA N. 89

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 15 bis della legge 25 marzo 1982 n. 94 (Norme per l'edilizia residenziale e provvidenze in materia di sfratti) promossi con ordinanze emesse il 5 maggio 1982 dal Pretore di Parma il 10 maggio 1982 dal Pretore di Firenze, il 14 giugno 1982 dal Pretore di Milano, il 24 settembre 1982 dal Pretore di Bologna, il 20 luglio, il 2 ottobre e il 2 novembre 1982 dal Pretore di Roma, il 15 novembre 1982 dal Pretore di Terni, il 10, 21 e 23 dicembre 1982 dal Pretore di Roma, il 4 febbraio e il 3 marzo 1983 dal Pretore di Bergamo, iscritte ai nn. 479, 548, 712, 778, 802, 878 e 903 del reg. ord. 1982 e ai nn.12, 98, 118, 160, 274, 275 e 320 del reg. ord. 1983 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica al n. 338 dell'anno 1982, ai nn. 25, 74, 88, 101, 149, 163, 184, 212 e 239 dell'anno 1983. Visto l'atto di costituzione di Pettirossi Giovanni ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 novembre 1983 il Giudice relatore Francesco Saja;

uditi l'avvocato Gabriella Zavattaro Ardizzi per Pettirossi Giovanni ed altri e l'Avvocato generale dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra Molinari Margherita e Fiorelli Alberto ed avente per oggetto la fine della locazione di un immobile non destinato ad uso di abitazione, il Pretore di Parma con ordinanza del 5 maggio 1982 (in G. U. n. 338 dell'8 dicembre 1982; reg. ord. n. 479 del 1982) sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 bis della legge 25 marzo 1982 n. 94, di conversione del D.L. 23 gennaio 1982 n. 9, il quale aveva prorogato di due anni i rapporti di locazione non abitativa già soggetti alle scadenze di cui all'art. 67, lett. a), b) e c) l. 27 luglio 1978 n. 392 (c.d. legge sull'equo canone).

Il Pretore osservava che, trattandosi nella specie di contratto non soggetto a proroga nel momento dell'entrata in vigore della legge ult. cit., e perciò non rientrante nella categoria di locazioni previste dal detto art. 67 bensì in quella considerata nel successivo art. 71, il conduttore non poteva invocare l'ulteriore proroga legale disposta dal citato art. 15 bis, la cui legittimità costituzionale appariva dubbia, appunto, in quanto esso limitava l'ulteriore proroga alla prima delle due categorie ora nominate e non l'estendeva alla seconda.

Quanto alla rilevanza, il magistrato rimettente notava che, secondo una recente sentenza (n. 5841 del 1981) della Cassazione, alla prima scadenza di qualsiasi locazione non abitativa, anche se soggetta alla disciplina transitoria della l. n. 392 del 1978, il locatore era obbligato a rinnovarla, salvo che ricorresse uno dei casi tassativamente previsti dall'art. 29 l. cit.. L'accoglimento di questa tesi avrebbe comportato che, non essendo stato invocato dal locatore alcuno dei detti casi, il conduttore nella specie avrebbe avuto diritto alla rinnovazione della locazione e l'art. 15 bis cit. sarebbe stato comunque inapplicabile. Il Pretore affermava tuttavia di non condividere l'orientamento della Cassazione e perciò riteneva rilevante la questione.

Lo stesso giudice riteneva inoltre di dover respingere l'eccezione di irrilevanza fondata sull'essere la norma denunciata comunque inapplicabile al rapporto de quo, già scaduto prima dell'entrata in vigore di essa.

Quanto al merito, al Pretore sembrava che l'applicabilità dell'art. 15 bis ai contratti "prorogati" (art. 67 cit.) e non a quelli "non prorogati" (art. 71 cit.) fosse priva di giustificazione e perciò determinasse, sia tra conduttori sia tra locatori, una disparità di trattamento contrastante col principio di eguaglianza: al riguardo egli considerava infatti che la maggior parte dei contratti cosiddetti "non prorogati" aveva avuto pur sempre un prolungamento coattivo della durata ai sensi del più volte citato art. 71, onde non poteva ritenersi ragionevole trattare quei contratti in modo diverso da quelli "prorogati".

2. - La stessa questione di legittimità costituzionale era sollevata dalle ordinanze dei Pretori: di Firenze, 10 maggio 1982, Dondoli c. Boscia Cassai (in G. U. n. 25 del 26 gennaio 1983, reg. ord. n. 548 del 1982); di Milano, 14 giugno 1982, s.a.s. Tintoria milanese industriale c. Sartirana (in G. U. n. 74 del 16 marzo 1983; reg. ord. n. 712 del 1982); di Bologna, 24 settembre 1982, Compagnia di assicurazione di Milano c. s.r.l. Sa.bo. (in G. U. n. 88 del 30 marzo 1983, reg. ord. n. 778 del 1982); di Roma, 20 luglio 1982, s.p.a. Fimpa c. Bompadre (in G. U. n. 101 del 13 aprile 1983, reg. ord. n. 802 del 1982), e 2 novembre 1982, s.r.l. Rovima e. s.r.l. Morris sport (in G. U. n. 149 del io giugno 1983, reg. ord. n. 878 del 1982); 10 dicembre 1982, Figus Diaz c. s.p.a. NBA (in G. U. n. 184 del 6 luglio 1983, reg. ord. n. 98 del 1983); 23 dicembre 1982, s.r.l. Piave 63 c. Grazioli (in G. U. n. 184 del 6 luglio 1983, reg. ord. n. 118 del 1983), e 21 dicembre 1982, Pettirossi c. Impresa Officina edizioni (in G. U. n. 212 del 3 agosto 1983; reg. ord. n. 160 del 1983); di Terni 15 novembre 1982, Tamburini c. SIP (in G. U. n. 163 del 15 giugno 1983, reg. ord. n. 12 del 1983), di Bergamo, io febbraio 1983, s.r.l. Bugini Marmi c. Valentini (in G. U. n. 212 del 3 agosto 1983, reg. ord. n. 274 del 1983), 4 febbraio 1983, Piatti c. Ghezzi (in G. U. n. 212 del 3 agosto 1983, reg. ord. n. 275 del 1983): qui il Pretore si poneva la stessa questione di rilevanza di cui all'ordinanza del Pretore di Parma; ancora di Bergamo, 3 marzo 1983, Ferrari c. Benatelli (in G. U. n. 239 del 31 agosto 1983, reg. ord. n. 320 del 1983).

Con l'ordinanza 2 ottobre 1982, Canigliai c. De Benedetti Bonaiuto (in G. U. n. 149 del 1 giugno 1983, reg. ord. n. 903 del 1983), il Pretore di Roma, trattandosi di contratto prorogato ex art. 67 l. n. 392 del 1978, solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 bis l. n. 94 del 1982 con riferimento all'art. 3 Cost. in quanto esso dispone l'ulteriore proroga e non già in quanto non la estende alle locazioni di cui all'art. 71 l. n. 392 cit.: in altre parole, mentre in tutte le altre ordinanze viene perseguita un'estensione dell'ulteriore proroga attraverso una sentenza additiva, con la presente ordinanza se ne chiede la totale cancellazione.

Il Pretore ravvisa poi una violazione del principio di eguaglianza anche nell'essere state assoggettate al medesimo trattamento le diverse situazioni dei conduttori con aziende o attività più redditizie rispetto a quelli con attività meno redditizie.

3. - Il Pretore di Roma con le ordinanze n. 903 del 1982, 98 e 118 del 1983 sollevava anche questioni di legittimità costituzionale del cit. art. 15 bis per contrasto con gli artt. 41 e 42 Cost..

Rilevava il Pretore che con le sentenze n. 3 e 225 del 1976 la Corte costituzionale aveva ritenuto legittimo il regime di proroghe legali delle locazioni e di blocco dei canoni, continuamente rinnovato, solo in quanto eccezionale e transitorio. Il nuovo ricorso del legislatore ad una proroga legale, pur dopo l'entrata in vigore della legge n. 392 del 1978 che avrebbe dovuto dare una sistemazione definitiva alla materia. escludeva il carattere di eccezionalità e di transitorietà della proroga, e ledeva perciò, secondo l'ordinanza di rimessione, il diritto di proprietà del locatore sull'immobile.

Esso sembrava pregiudicare senza fini di utilità sociale anche il diritto di iniziativa economica privata.

4. - Nelle cause relative alle ordinanze n. 479, 548, 712, 778, 802, 878, 903 del 1982 e 12 del 1983 interveniva la Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale negava preliminarmente la rilevanza della questione sollevata dal Pretore di Parma (ord. n. 479 del 1982) nel giudizio a quo, essendo il rapporto locativo scaduto prima dell'entrata in vigore della norma impugnata e non potendo applicarsi lo jus superveniens, secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, ai rapporti già cessati e perduranti solo di fatto per il protrarsi della lite giudiziaria.

Nel merito l'interveniente escludeva che la norma impugnata contrastasse col principio di eguaglianza, in quanto il suo carattere straordinario ed eccezionale ne giustificava pienamente la limitazione alle locazioni previste dall'art. 67 della legge sull'equo canone. Il rilevato carattere eccezionale e straordinario escluderebbe anche la fondatezza della questione relativa all'eguale trattamento dei conduttori più o meno abbienti nonché di quelle sugli artt. 41 e 42 Costituzione.

Nella causa relativa all'ordinanza n. 160 del 1983 intervenivano le parti private locatrici, sostanzialmente riportandosi alle argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato.

5. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica la Presidenza del Consiglio dei ministri ha presentato una memoria con riferimento all'ordinanza n. 903 del 1982.

Passate in rassegna le numerose leggi, succedutesi nel tempo, di proroga delle locazioni non abitative, l'interveniente osserva come i contratti in corso al momento di entrata in vigore della l. n. 392 del 1978 e non soggetti a proroga - ossia quelli di cui all'art. 71 della stessa legge - costituiscono ipotesi "del tutto marginali e statisticamente insignificanti" mentre i contratti cosiddetti prorogati - di cui all'art. 671. cit. - costituiscono una "massa enorme". Limitare a questi ultimi l'ulteriore proroga e fissarne la misura massima dei canoni é stato non irragionevole, ma anzi necessario, sia per evitare gli effetti inflazionistici di un incontrollato aumento dei canoni, già bassi per effetto della sopra ricordata legislazione vincolistica, sia per tutelare la continuità di aziende che operano da molto tempo sul mercato.

Considerato in diritto

1. - Le quattordici ordinanze in epigrafe sottopongono alla Corte questioni sostanzialmente identiche ovvero strettamente connesse: pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - La l. 27 luglio 1978 n. 392 (c.d. legge sull'equo canone), disciplinando in via transitoria il passaggio dalla vecchia alla nuova normativa sulle locazioni di immobili urbani, ha considerato nel capo secondo del titolo secondo quelle aventi ad oggetto gli immobili destinati ad uso diverso da quello di abitazione. Rispetto a questi essa dispose nell'art. 67 che i contratti sottoposti a proroga secondo la legislazione fino ad allora vigente erano prorogati secondo le previsioni delle lettere a), b) e c) e scadevano perciò rispettivamente negli anni 1982 (a decorrere dal mese di agosto), 1983 e 1984; mentre, per quelli non soggetti a proroga, essa previde nell'art. 71 una disciplina tendenzialmente ispirata, quanto alla durata del rapporto, alla nuova normativa degli artt. 27 e 42.

Successivamente l'art. 15 bis l. 25 marzo 1982 n. 94, di conversione del D.L. 25 gennaio 1982 n. 9, ha, nel primo comma, ulteriormente prorogato di due anni le scadenze delle locazioni di immobili non destinati ad uso abitativo limitatamente a quelle già soggette a proroga (e cioè le locazioni previste dalle lettere a), b) e c) del cit. art. 67), nulla disponendo invece per quelle non soggette a proroga, considerate nell'art. 71.

A detta norma dell'art. 15 bis attengono i rilievi delle ordinanze di rimessione, le quali dubitano della sua legittimità costituzionale sotto diversa e opposta angolazione. Una (e cioè quella n. 903/82 del pretore di Roma) ne assume l'incostituzionalità per le ragioni che verranno appresso specificate, per cui essa dovrebbe essere eliminata dal nostro ordinamento. Le altre, invece, sul presupposto della sua legittima sussistenza, eccepiscono che essa, limitando senza alcuna valida giustificazione la sua previsione ad alcune delle locazioni anzidette - ossia a quelle previste dall'art. 67 cit. - non la estende, come avrebbe dovuto, a quelle indicate nell'art. 71, che i magistrati rimettenti ritengono assimilabili alle prime: con tale gruppo di ordinanze si invoca perciò una sentenza additiva, diretta ad eliminare la discriminazione, che viene considerata irrazionale.

3. - Prima di esaminare le singole censure, la Corte deve occuparsi di alcune questioni preliminari.

L'Avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilità per irrilevanza nel giudizio a quo della questione sollevata dal pretore di Parma (ord. n. 479/82) e relativa alla mancata estensione della ulteriore proroga disposta dall'art. 15 bis alle locazioni di cui all'art. 71 legge n. 392/1978; deduce l'Avvocatura che nella specie il contratto era scaduto anteriormente all'entrata in vigore della legge di conversione 25 marzo 1982 n. 94 (l'art. 15 bis non esisteva nell'originario decreto - legge, ma venne introdotto in sede di conversione); sicché esso, anche in caso di una previsione normativa nel senso auspicato dall'ordinanza di rimessione, sarebbe escluso dalla proroga: infatti, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, le norme sopravvenute nel corso del processo non sono applicabili a quei rapporti, che, a causa della già avvenuta scadenza, perdurano soltanto in fatto.

Nella discussione orale l'Avvocatura ha esteso la medesima eccezione anche alla questione sollevata dal pretore di Milano (ord. n. 712/82), deducendo che anche in questo caso vi sarebbe stata una scadenza anteriore alla entrata in vigore della legge.

L'eccezione non può chiaramente trovare accoglimento, giacché, come giurisprudenza costante, non spetta a questa Corte, nella valutazione della rilevanza delle questioni il riesame e il controllo degli elementi a base del giudizio principale che rientrano nell'esclusivo potere del giudice a quo.

La medesima considerazione si impone anche con riguardo alla eccepita irrilevanza della questione relativa all'orientamento giurisprudenziale secondo cui alle locazioni soggette al regime transitorio si applicherebbero gli artt. 28 e 29 legge n. 392/1978, concernenti le rinnovazioni del contratto alla prima scadenza (applicabilità che, peraltro, é stata inequivocabilmente esclusa da successive pronunce della Corte di Cassazione).

4. - Parimenti non é fondata l'altra eccezione di inammissibilità sollevata nella discussione orale dalla stessa Avvocatura, la quale ha dedotto che l'ordinanza del pretore di Roma n. 903/1982 avrebbe un contenuto contraddittorio, laddove, da un lato, tenderebbe alla eliminazione della norma impugnata dall'ordinamento giuridico, mentre, dall'altro, vorrebbe che essa fosse conservata e addirittura estesa, mediante una pronuncia additiva, alle locazioni previste dall'art. 71.

Invero, il riferimento a tale ultima disposizione tende nell'ordinanza in esame non già alla detta estensione essendo, per contro, diretto a dare ulteriore sostegno alla dedotta illegittimità della norma denunciata, che si sarebbe occupata inadeguatamente e irrazionalmente del fenomeno.

La pronuncia additiva a cui accenna l'Avvocatura é bensì chiesta nelle altre tredici ordinanze di rimessione, ma non n quella in esame, sicché va senz'altro esclusa la prospettata contraddittorietà e quindi la dedotta causa di inammissibilità.

5. - Passando al merito delle proposte questioni, va per prima esaminata, per ragioni sistematiche, l'ordinanza a cui si é fatto ora cenno e cioè quella del pretore di Roma n. 903/1982.

Con essa il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della norma del ricordato art. 15 bis l. 25 marzo 1982 n. 94, la quale contrasterebbe:

1) con l'art. 42, secondo comma, della Costituzione per avere imposto un regime di proroga legale incompatibile con diritti spettanti al proprietario di un immobile urbano;

2) con l'art. 41, primo e secondo comma, della Costituzione, per avere Imposto un regime di proroga legale in contrasto con la libertà di iniziativa economica spettante al locatore;

3) con l'art. 3, primo comma, della Costituzione per avere riservato un trattamento uniforme a situazioni differenziate, come quelle dei commercianti, artigiani o lavoratori autonomi titolari di una piccola impresa rispetto agli altri conduttori più abbienti;

4) con lo stesso art. 3, primo comma, della Costituzione sotto diverso profilo, per ingiustificata disparità di trattamento tra più locatori e più conduttori di immobili destinati ad uso diverso dall'abitazione, i quali sono soggetti a regime di proroga in base alla sola circostanza che il loro contratto sia stato o meno sottoposto al cessato regime di vincolo e senza che sia stata considerata l'analoga situazione dei contratti di cui al suddetto art. 71 legge n. 392 del 1978.

6. - Relativamente alla prima questione va rilevato che il problema, nelle sue linee generali, é venuto più volte all'esame della Corte, la quale ha ritenuto la legittimità costituzionale della disciplina vincolistica sulla fondamentale considerazione che essa trovava giustificazione nella gravissima ed eccezionale congiuntura del mercato edilizio ed aveva perciò carattere di straordinarietà e temporaneità.

La Corte, peraltro, ha avvertito che, appunto in dipendenza di tale natura, la normativa de qua non poteva perdurare illimitatamente senza trasformare il regime del blocco in una disciplina ordinaria, la quale non avrebbe tutelato in maniera adeguata il diritto di proprietà, violando così l'art. 42 della Costituzione. Conseguentemente con varie pronunce (e in particolare con le decisioni nn. 3 e 225 del 1976) essa ha sollecitato il legislatore ordinario ad approntare, nel pieno rispetto del cit. art. 42 Cost., una disciplina organica e permanente nella materia; disciplina che, dopo vari rinvii, é stata emanata mediante la cit. legge 27 luglio 1978 n. 392. Con essa fu instaurato un regime diverso da quello del blocco e vennero emanate le necessarie norme transitorie, le quali hanno inciso anch'esse sulla durata del rapporto locatizio, in quanto dirette a regolare il passaggio necessariamente graduale dalla precedente alla nuova disciplina.

Appunto al profilo di ordine transitorio, ossia a quello considerato dall'art. 67, si riferisce la norma impugnata la quale, come si é detto, ha ulteriormente prorogato di due anni le scadenze ivi stabilite per le locazioni non abitative e già soggette a proroga.

Indubbiamente tale proroga costituisce una non lieve anomalia nel quadro normativo conseguente alla cit. legge n. 392/78 e va sottolineato come trattasi dell'unica volta in cui il legislatore ha ritenuto di poter derogare alla nuova normativa con l'introdurre un'ulteriore proroga del rapporto locativo: non sono mancate invero successive disposizioni legislative per venire incontro alle singole e concrete esigenze dei conduttori, ma esse hanno avuto per oggetto soltanto il termine per l'esecuzione del provvedimento di rilascio e quindi si pongono su un piano completamente diverso.

L'anomalia, come opportunamente e con ricchezza di riferimenti ricorda l'ordinanza de qua, venne rilevata in sede di lavori preparatori alla Camera dei Deputati e da più parti vennero espresse preoccupazioni sulla legittimità costituzionale della norma in relazione alle note decisioni di questa Corte. Ciò nonostante, prevalse l'orientamento positivo sulla base del determinante rilievo che da quell'anno (1982) avrebbe avuto inizio la massiccia scadenza di un notevole numero di locazioni di immobili non destinati ad abitazione (art. 67, primo comma lett. a), senza che fosse stata predisposta alcuna delle misure indispensabili per non turbare l'equilibrio del mercato, il che avrebbe potuto determinare pericolose conseguenze sul livello dei prezzi e quindi sul fenomeno inflattivo e, in genere, sull'economia nazionale.

In altri termini, la proroga fu disposta soltanto per adeguare la disciplina transitoria che, a contatto con la realtà, si era rilevata insufficiente. Di ciò si ebbe piena consapevolezza durante i lavori preparatori, nei quali fu chiarito che si trattava di una misura del tutto eccezionale, dovuta ad esigenze di mera natura temporanea ed inerente quindi ad una situazione assolutamente irripetibile (cfr. l'ordine del giorno n. 9/3108/2). E appunto in relazione al ricordato carattere della norma, e quindi al fine di bilanciare in qualche modo lo straordinario sacrificio imposto al locatore, furono concessi notevoli aumenti del canone, oltre al recupero, a partire dal secondo anno, della svalutazione monetaria frattanto maturata.

Tutto ciò considerato, la Corte, pur avvertendo le serie preoccupazioni e perplessità che la norma impugnata può destare, ritiene tuttavia di escluderne l'illegittimità costituzionale in quanto essa risulta sostanzialmente diretta a costituire l'ultimo e definitivo anello di congiunzione della graduale attuazione della nuova disciplina, senza che possa consentirsi un ulteriore analogo intervento legislativo.

7. - Va anche esclusa la fondatezza della seconda questione, con cui il giudice a quo deduce che il potere d'iniziativa economica privata, previsto dall'art. 41 della Costituzione, sarebbe stato ingiustificatamente sacrificato dalla norma impugnata.

Premesso, invero, che l'autonomia negoziale non é, come tale, elevata a diritto costituzionalmente garantito, salve specifiche previsioni, qui non ricorrenti, va osservato che il richiamo all'iniziativa economica privata non sembra pertinente, in quanto nella specie non viene dedotta alcuna attività produttiva del locatore, ma si verte soltanto in tema di godimento di un bene, quale l'immobile dato in locazione: sicché la norma applicabile é quella, sopra esaminata, dell'art. 42 Cost., specificamente relativo allo statuto della proprietà privata. Il che rende superfluo rilevare che, essendo anche l'iniziativa economica ammessa nei limiti dell'utilità sociale, gli argomenti sopra esposti a proposito del diritto di proprietà escluderebbero analogamente l'illegittimità costituzionale della norma sotto l'angolo visuale del ricordato art. 41 Cost..

8. - Non ha neppure fondamento la terza questione, con cui si lamenta l'illegittimità della norma la quale non ha distinto, tra imprenditori o professionisti, a seconda del reddito, in quanto, ad avviso dell'ordinanza di rimessione, la proroga sarebbe stata giustificata soltanto per quelli di più modeste condizioni economiche.

Ma qui appare evidente come venga in gioco il potere discrezionale del legislatore relativo alla valutazione delle situazioni che, in relazione al mercato delle locazioni, richiedevano una modificazione della disciplina transitoria precedentemente disposta dalla l. n. 392/1978: valutazione che consentiva logicamente la possibilità di introdurre delle distinzioni, ovvero, come é avvenuto, di emanare una disciplina indiscriminata sul ritenuto presupposto di una generale ed analoga esigenza.

Si tratta quindi di una scelta politico - economica che, come tale, si sottrae al sindacato della Corte (art. 28 legge 11 marzo 1953 n. 87).

9. - Rimane da esaminare l'ultima questione, con cui il pretore di Roma, a sostegno della dedotta irrazionalità della norma impugnata, denuncia che con essa si siano trattate in modo differente le locazioni di cui all'art. 67 e quelle di cui all'art. 71 della legge sull'equo canone, pur dovendosi ritenere, a suo avviso, che le due disposizioni si riferiscano a contratti di locazione sostanzialmente identici.

Il problema é analogo a quello delle altre tredici ordinanze, sebbene queste lo abbiano sollevato per dedurne una diversa conseguenza e cioé non già al fine di far cadere la norma impugnata (l'art. 15 bis), ma per eliminarne la limitazione all'art. 67, attualmente esistente, ed estendere così la proroga anche alle locazioni di cui al citato art. 71.

La denunziata irrazionale disparità, ad avviso della Corte, non sussiste.

In proposito va premesso che le locazioni di cui all'art. 71 sono soltanto:

a) quelle stipulate nel periodo di appena un mese e cioè dopo il 30 giugno 1978 (data di entrata in vigore dell'ultimo provvedimento di proroga) e prima del 30 luglio 1978 (giorno di entrata in vigore della legge 392);

b) quelle stipulate anche prima, ma aventi una scadenza convenzionale posteriore alla predetta data del 30 luglio 1978.

Ora rispetto a tali due ipotesi non é ipotizzabile una comune data di cessazione del rapporto, in quanto esse per la loro varietà non sono suscettibili di essere ricondotte ad una comune scadenza; a differenza dei contratti ex art. 67, rispetto ai quali la cessazione fissata uniformemente nelle lettere a), b) e c) (sia pure con la possibilità di qualche mese di differenza in relazione al disposto del secondo comma) consentiva una concreta valutazione ed indusse perciò il legislatore a considerare inadeguata la disciplina transitoria fissata nella l. 392/1978. Tra le due categorie di contratti sussiste, invero, una profonda eterogeneità rispetto al termine finale del rapporto, il quale sta alla base della disposta proroga: termine che nei casi previsti dall'art. 67 é determinato e quindi idoneo ad essere oggetto di una valutazione complessiva, ma é incerto nell'ipotesi dell'art. 71 e pertanto non idoneo ad incidere nel quadro della disciplina transitoria (possono esserci addirittura casi di contratti con scadenza stabilita convenzionalmente dalle parti oltre lo stesso termine di proroga).

E ciò, a parte il fatto statisticamente accertato che i contratti non soggetti a proroga costituiscono un numero molto limitato, per cui può ritenersi che il legislatore, nella sua discrezionale valutazione economico - sociale, ne abbia considerato adeguata la regolamentazione transitoria precedentemente stabilita e quindi non necessaria una loro modifica.

Al problema é d'uopo dare quindi soluzione negativa e perciò risultano non fondate sia l'ultima questione posta dall'ordinanza n. 903/1982 sia la questione prospettata dalle altre tredici ordinanze.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 15 bis l. 25 marzo 1982 n. 94 sollevate con le ordinanze indicate in epigrafe dai Pretori di Parma, Firenze, Milano, Bologna, Roma, Terni e Bergamo in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 5 aprile 1984.