SENTENZA N. 107
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 32 della legge 11 febbraio 1971, n. 11 (Nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici), e dell'art. 5 ter, terzo comma, della legge 4 agosto 1971, n. 592 (Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 5 luglio 1971, n. 432, concernente interventi in favore dell'agricoltura), nonché, in subordine, dell'art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 (Norme in materia di contratti agrari), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanze emesse l'8 luglio 1971 dal tribunale di Grosseto - sezione specializzata agraria - nei procedimenti civili rispettivamente vertenti tra Vivarelli Colonna Enrico e Cosimi Benito ed altri e tra Vivarelli Colonna Riccardo e Conti Ernesto ed altri, iscritte ai nn. 457 e 458 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 del 26 gennaio 1972;
2) ordinanze emesse il 25 gennaio 1972 dalla Corte d'appello di Bologna - sezione specializzata agraria - in tre procedimenti civili rispettivamente vertenti tra Fabbri Domenico e Augusto e Graziani Enrico, tra Visani Serafino e Graziani Enrico e tra Visani Giovanni e Graziani Enrico, iscritte ai nn. 81, 82 e 83 del registro ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 104 del 19 aprile 1972;
3) ordinanza emessa il 6 aprile 1972 dal tribunale di Palmi - sezione specializzata agraria - nel procedimento civile vertente tra De Bella Anna e Loiacono Carmine Antonio, iscritta al n. 196 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 28 giugno 1972;
4) ordinanza emessa il 25 gennaio 1972 dal tribunale di Agrigento - sezione specializzata agraria - nel procedimento civile vertente tra Belliotti Adele ed altri e Bongiovanni Antonino ed altri, iscritta al n. 221 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 187 del 19 luglio 1972;
5) ordinanza emessa il 6 dicembre 1972 dal tribunale di Macerata - sezione specializzata agraria - nel procedimento civile vertente tra Pascali Angela e Mancini Guido, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 81 del 28 marzo 1973;
6) ordinanza emessa il 22 maggio 1973 dalla Corte d'appello di Bologna - sezione specializzata agraria - nel procedimento civile vertente tra Lodi Maria Luisa e Vannini Giuseppe, iscritta al n. 318 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 26 settembre 1973.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Vivarelli Colonna Enrico e Riccardo, Graziani Enrico, De Bella Anna, Belliotti Adele ed altri, Pascali Angela, Lodi Maria Luisa, Gonnelli Edilio, Fusini Enrico e Loiacono Carmine Antonio;
udito nell'udienza pubblica del 9 gennaio 1974 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;
uditi gli avvocati Paolo Barile, Antonio Sorrentino e Antonio Astorri, per i proprietari, gli avvocati Michele Giorgianni, Emilio Romagnoli e Giuseppe Di Stefano, per gli affittuari, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Le sezioni specializzate agrarie dei tribunali di Grosseto, di Palmi, di Agrigento e di Macerata e quella della Corte di appello di Bologna, con le ordinanze indicate in epigrafe hanno deferito alla Corte l'esame della costituzionalità dell'art. 32 della legge 11 febbraio 1971, n. 11, che ha abrogato l'articolo unico della legge 13 giugno 1961, n. 527, il quale disponeva che la proroga dei contratti agrari non era ammessa quando il concedente intendesse compiere nel fondo radicali e immediate trasformazioni agrarie, la cui esecuzione fosse incompatibile con la continuazione del contratto e il cui piano fosse stato dichiarato attuabile e utile ai fini della produzione agraria dall'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura.
Tutte le ordinanze, meno quella del tribunale di Grosseto, hanno altresì impugnato l'art. 5 ter della legge 4 agosto 1971, n. 592, che ha interpretato autenticamente il suddetto art. 32, comprendendo nell'effetto abrogativo anche la disposizione originaria della esclusione della proroga, e cioè quella di cui alla lettera b) dell'art. 1 del d.l.C.P.S. 1 aprile 1947, n. 273.
Le ordinanze del tribunale di Grosseto e quella del tribunale di Agrigento propongono poi, in via alternativa, ma in realtà subordinata, anche questione di costituzionalità dell'art. 14 legge 15 settembre 1964, n. 756, che dispone la proroga dei contratti agrari, in quanto, ove l'esclusione di essa (nel caso di esecuzione di lavori di trasformazione da parte del concedente), non fosse dichiarata illegittima, per tale dovrebbe ritenersi l'intera disposizione concernente la proroga di quei contratti.
In tutte le ordinanze la questione di costituzionalità é posta in riferimento agli artt. 41, 42 e 44, e, nell'ordinanza del tribunale di Agrigento, anche in relazione agli artt. 3 e 4 della Costituzione.
Secondo le stesse ordinanze, le norme che hanno abrogato le disposizioni, le quali consentivano al proprietario concedente di riottenere la disponibilità del fondo per compiervi lavori di trasformazione agraria volti ad accrescerne la produzione, sarebbero innanzi tutto in contrasto con l'art. 41, che sancisce la libertà dell'iniziativa economica privata; libertà che resterebbe preclusa al proprietario ove egli non potesse dare allo sfruttamento del fondo, che é un bene economico produttivo, quell'indirizzo che a lui sembra più conveniente e più utile, anche ai fini sociali, in conformità del parere tecnico espresso dai competenti organi amministrativi dello Stato.
Quelle stesse norme abrogatrici sarebbero inoltre in contrasto con l'art. 42 della Costituzione perché, imponendo al proprietario un vincolo totale alla disponibilità del fondo, ne svaluterebbero l'utilità e il valore, con un provvedimento sostanzialmente oblatorio da parificarsi a una espropriazione non legittima, perché compiuta senza la corresponsione di alcun indennizzo.
Infine esse sarebbero anche in contrasto con l'art. 44 della Costituzione perché imporrebbero al proprietario vincoli (la totale indisponibilità) non al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo, ma anzi, rendendo impossibili le trasformazioni agrarie, idonei solo ad impedire quel razionale sfruttamento. E comunque contrari al rispetto della proprietà terriera che, se piccola e media, dev'essere "aiutata" e cioè non solo protetta, ma anche incentivata. Al che é da aggiungere che, secondo il tribunale di Agrigento, le ripetute norme contrasterebbero anche con l'art. 3, perché favorirebbero oltre ogni razionale misura la categoria dei concessionari di fondi agricoli a scapito di quella dei proprietari concedenti ai quali, per essere negata ogni autonomia nella propria attività di imprenditori in agricoltura, sarebbe anche disconosciuto il diritto al lavoro, tutelato, nella libertà della sua scelta, dall'art. 4 della Costituzione.
Passando alla questione proposta in via subordinata e concernente l'assunta illegittimità della norma abrogativa, i tribunali di Grosseto e di Agrigento deducono, come s'é già detto, la illegittimità della norma (art. 14 legge n. 756 del 1964) che sancisce la proroga dei contratti agrari "fino a nuova disposizione".
Secondo le relative ordinanze, venendo meno per il concedente la possibilità di conseguire la disponibilità del fondo nell'unico caso in cui prima era ammesso, sarebbe stato alterato l'equilibrio precedente tra proroga e sua cessazione e quindi il contemperamento equitativamente raggiunto dalle norme anteriori fra la tutela dei diritti, costituzionalmente protetti, del concedente da una parte e del concessionario dall'altra. Il tutto con riferimento a un concetto che si assume espresso nelle sentenze di questa Corte n. 53 del 1962 e n. 16 del 1968.
Dal che discenderebbe la violazione di tutti gli articoli della Costituzione sopra richiamati.
Le ordinanze sono state tutte comunicate, notificate e pubblicate come per legge.
2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato é intervenuto dinanzi alla Corte nei giudizi promossi dal tribunale di Grosseto nei procedimenti civili riuniti promossi da Vivarelli Colonna Enrico contro Cosimi Benito ed altri, e dal tribunale di Agrigento nel procedimento civile vertente tra Belliotti Adele ed altri e Bongiovanni Antonino ed altri, deducendo la infondatezza delle questioni. La difesa dello Stato rileva che le disposizioni della legge 11 febbraio 1971, n. 11, e dell'art. 32 in particolare, non soltanto non violano nessuna delle norme costituzionali indicate nelle ordinanze di rinvio, ma, positivamente, si configurano come efficace strumento di realizzazione degli scopi cui le disposizioni stesse sono ispirate.
3. - Si sono inoltre costituiti, sostenendo la infondatezza delle questioni prospettate dalle ordinanze di rinvio, emesse dal tribunale di Grosseto nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Vivarelli Colonna Enrico e Cosimi Benito ed altri e dal tribunale di Palmi nel procedimento civile vertente tra De Bella Anna e Loiacono Carmine Antonio, rispettivamente i mezzadri Gonnelli Edilio e Fusini Enrico e il sig. Loiacono Carmine Antonio.
La difesa dei mezzadri, con deduzioni del 9 febbraio 1972, sviluppate ed integrate dalla successiva memoria, osserva che la premessa dalla quale muove l'ordinanza di rinvio non é esatta, perché la legittimità dell'art. 14 della legge n. 756 del 1964 non risiede esclusivamente nella possibilità che la proroga dei contratti, in essa disposta, possa cessare per la facoltà attribuita al concedente di procedere a trasformazioni fondiarie.
La linea di evoluzione dell'istituto delle trasformazioni agrarie dimostrerebbe invece che, nella intenzione del legislatore, la continuazione della proroga, anche in caso di trasformazioni radicali e immediate, nonché in tutti i casi di miglioramento, restava la regola, mentre l'eccezione era limitata ai soli casi di incompatibilità con la continuazione del contratto e di più conveniente occupazione della mano d'opera.
La difesa del Gonnelli e del Fusini, inoltre, dopo aver ricordato i gravi inconvenienti che l'istituto delle trasformazioni ha provocato nei rapporti agrari, legittimando richieste pretestuose al solo scopo di ottenere la cessazione del contratto agrario, afferma che la norma dell'art. 32 della legge n. 11 del 1971 ha inteso ovviare precisamente a quegli inconvenienti, lasciando sussistere tutti gli altri motivi di cessazione della proroga e di risoluzione contrattuale. In questa prospettiva, il richiamo ad un brano della sentenza della Corte n. 16 del 1968, da cui l'ordinanza prende lo spunto per formulare le dedotte censure di legittimità costituzionale, non avrebbe alcun valore, perché in quella decisione la legittimità della proroga é fondata su una serie di considerazioni tra le quali l'accenno al nesso tra miglioramenti del concedente e proroga costituisce semplice aggiunta alla motivazione della sentenza.
Il sig. Loiacono, dal canto suo, ritiene che non abbiano fondamento i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dal tribunale di Palmi perché le norme denunciate, in quanto dirette ad assicurare la funzione sociale della proprietà, lungi dal violare il dettato costituzionale, lo integrano e lo attuano secondo le esigenze storiche, la cui interpretazione é riservata esclusivamente al legislatore ordinario. La nuova disciplina, inoltre, avrebbe lo scopo di tutelare la posizione del contraente più debole in considerazione della preminenza della prestazione di lavoro svolta nel rapporto e perciò attuerebbe finalmente il precetto dell'art. 44 della Costituzione, realizzando un più razionale sfruttamento del suolo e più equi rapporti sociali.
4. - Si sono infine costituiti dinanzi alla Corte i concedenti Enrico Vivarelli Colonna e Riccardo Vivarelli Colonna, attori rispettivamente nei due giudizi promossi dal tribunale di Grosseto; Enrico Graziani nei tre giudizi promossi dalla Corte d'appello di Bologna, con ordinanze del 25 gennaio 1972; Anna De Bella nel giudizio promosso dal tribunale di Palmi; Adele Belliotti, Elena Castellana, Orazio Comella, Enrico Belliotti e Luisa Belliotti, nel giudizio promosso dal tribunale di Agrigento; Angela Pascali, nel giudizio promosso dal tribunale di Macerata; Maria Luisa Lodi nel giudizio promosso dalla Corte d'appello di Bologna con ordinanza 22 maggio 1973.
In sostanza i concedenti aderiscono alle censure prospettate nelle ordinanze di rinvio e chiedono che la Corte dichiari la illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
I difensori di Enrico Vivarelli Colonna, Enrico Graziani, Adele Belliotti ed altri, hanno ulteriormente illustrato, in una unica memoria, le loro deduzioni "allo scopo di offrire alla Corte un quadro organico dei problemi, quali sono stati prospettati" dalle ordinanze di rinvio.
5. - All'udienza pubblica, le parti hanno sviluppato e ribadito, anche oralmente, le argomentazioni esposte negli scritti difensivi, insistendo nelle rispettive conclusioni.
Considerato in diritto
1. - I giudizi proposti con le nove ordinanze elencate in epigrafe vanno riuniti, avendo per oggetto questioni identiche o, comunque, connesse.
2. - La proroga dei contratti agrari, che é stata da ultimo disciplinata dall'art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756, dura ormai da oltre trenta anni e, nella norma anzidetta, é stata ora prevista debba continuare "fino a nuova disposizione". Si é inteso in tal modo assicurare stabilità al lavoratore sul fondo a lui concesso e dal quale egli ritrae i mezzi di sussistenza, nel mentre, con altre norme, si é provveduto a migliorarne la posizione in ordine alla ripartizione dei prodotti ed ai poteri di iniziativa. Il tutto in conformità dei principi costituzionali che privilegiano il lavoro e autorizzano l'imposizione di obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, al fine di stabilire equi rapporti sociali.
In correlazione, sono rimasti limitati i poteri del proprietario-concedente, ed a tutela della sua posizione contrattuale, in luogo del suo antico potere di recesso, sono state introdotte cause di esclusione dalla proroga, configurabili come giuste cause o giustificati motivi autorizzanti lo scioglimento del rapporto.
Lasciando da parte quanto in tal senso é stato previsto a favore dei proprietari-concedenti che siano o siano stati coltivatori diretti, e la cui posizione qui non interessa, si osserva che, a tutela dei proprietari-concedenti senza altra qualificazione, sono state previste due sole cause di cessazione. La prima, concernente l'inadempimento grave da parte del concessionario in ordine alle obbligazioni nascenti dal contratto, e la seconda, relativa all'intento del concedente di compiere nel fondo trasformazioni agrarie, la cui esecuzione sia incompatibile con la continuazione del rapporto.
3. - All'interesse del proprietario-concedente, in esito a tale seconda ipotesi, corrisponde (in base all'ultima e più precisa formula di cui alla legge 13 giugno 1961, n. 527) un diritto esercitabile solo in concorso di condizioni attinenti il pubblico interesse e sotto il controllo dell'autorità amministrativa.
Ed infatti, secondo il disposto dell'articolo unico della detta legge, la proroga non é ammessa "se il concedente voglia compiere nel fondo radicali ed immediate trasformazioni agrarie, la cui esecuzione sia incompatibile con la continuazione del contratto, e il cui piano sia già stato dichiarato attuabile ed utile - tenuto conto dell'interesse generale della produzione agraria e delle esigenze della occupazione della manodopera - dall'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura, il quale fissa il termine entro il quale devono essere compiute le opere di trasformazione".
E l'articolo termina prevedendo che, contro il provvedimento dell'Ispettorato, é ammesso ricorso gerarchico al Ministero dell'agricoltura e foreste, il quale provvede con decreto, ovviamente soggetto ai comuni rimedi giurisdizionali.
4. - Per effetto delle norme abrogatrici di cui agli artt. 32 della legge 11 febbraio 1971, n. 11, e 5 ter della legge 4 agosto 1971, n. 592, tale potere del proprietario-concedente é stato ora eliminato, rimanendo così preclusa ogni sua iniziativa volta a una sostanziale trasformazione e al miglior rendimento del fondo.
Contro questa ulteriore limitazione dei poteri del proprietario-concedente, risultante dalle già indicate norme abrogatrici, sono insorte nei giudizi a quo le parti attrici che avevano proposto, prima dell'entrata in vigore di esse, azione di cessazione della proroga, e, su loro eccezione, le ordinanze indicate in epigrafe hanno sollevato le questioni di costituzionalità delle norme innanzi indicate, con riferimento agli artt. 41, 42, 44 e 3 e 4 della Costituzione. Per il caso che esse venissero dichiarate non fondate, le ordinanze hanno poi sollevato anche questione dell'art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756, che dispone la proroga dei contratti agrari, e ciò in riferimento agli stessi articoli della Costituzione.
5. - Non vi é dubbio che le disposizioni impugnate, valutate nel quadro del descritto sistema vincolistico dei contratti agrari, costituiscono un'ulteriore grave limitazione del diritto del concedente: ed infatti l'esclusione della cessazione della proroga, nell'ipotesi in cui costui voglia disporre del fondo per operarvi radicali ed immediate trasformazioni, incide sulla sua posizione soggettiva con un limite del quale occorre valutare la legittimità costituzionale. A tal fine la Corte ritiene di poter affermare che l'art. 44 Cost. - il quale consente, certo, in tema di proprietà terriera interventi legislativi più penetranti di quelli ammessi dall'art. 42 - richiede che le limitazioni siano finalizzate non solo alla instaurazione di "equi rapporti sociali", ma anche alla realizzazione di condizioni che consentano "il razionale sfruttamento del suolo": e ciò in vista di una finalità che, unitamente all'interesse dei singoli, vuol soddisfare quello della società. Discende da questo principio che le limitazioni imposte dal legislatore contrastino con l'art. 44 Cost. tutte le volte in cui, per il loro contenuto, non favoriscano, o addirittura, come nel caso, ostacolino, il conseguimento di quelle finalità.
6. - É sulla base di questa premessa che la questione proposta in via principale appare fondata.
Va in proposito osservato che la legge 527 del 1961 (e le precedenti in essa richiamate), assumendo come causa di cessazione della proroga l'ipotesi in cui il concedente voglia compiere radicali trasformazioni agrarie, consentiva che con la proroga convivesse uno strumento (cessazione di essa) essenziale per impedire che il regime di proroga confliggesse con l'esigenza, costituzionalmente rilevante, di un "razionale sfruttamento del suolo".
Alla base della cessazione della proroga, nel caso di cui sopra, vi é infatti una finalità che trascende l'interesse del concedente. Il che é dimostrato dalla necessità di un controllo pubblico, esercitato dal competente organo tecnico-amministrativo dello Stato, quale l'Ispettorato agrario compartimentale, sulle opere e sulla loro utilità, in funzione "dell'interesse generale della produzione agraria" e "della esigenza della occupazione della manodopera".
Dal che può trarsi la conclusione che, se la già prevista ipotesi di cessazione della proroga serviva ad impedire che il regime da essa instaurato ostacolasse un fine pubblico quale il "razionale sfruttamento del suolo", l'eliminazione dall'ordinamento di tale possibile cessazione viene a collidere con l'art. 44 della Costituzione.
7. - Ma l'abrogazione della norma che esclude, sempre con riferimento al caso dei lavori di trasformazione da compiere, la proroga del contratto agrario, non soddisfa, ed anzi contrasta, anche il secondo degli scopi che l'art. 44 configura come validi a rendere legittimi gli obblighi e i vincoli che possono essere imposti alla proprietà terriera, e cioè il fine di stabilire "equi rapporti sociali".
In proposito va osservato che tale finalità non coincide con quella più generica espressa dall'art. 42, che assegna alla proprietà una "funzione sociale". Questa, considerati gli scopi perseguiti dalla norma denunziata, può riconoscersi conseguibile anche mediante l'attuazione incondizionata del regime di proroga, come idoneo a consolidare la posizione del concessionario del fondo, coltivatore manuale della terra. Ma per stabilire "equi rapporti sociali" é ovvio che non basti assicurare la tutela di una sola delle due parti del rapporto, anche se si tratti di quella contrattualmente più debole. Occorre invece un equo temperamento degli interessi di entrambe: il che non può dirsi si verifichi quando al proprietario concedente (non appartenente alla categoria dei coltivatori-diretti) é preclusa l'unica possibilità, prima concessagli, di rientrare in possesso del fondo al fine di operarvi trasformazioni radicali, su piani approvati, impiegando capitali spesso cospicui ed effettuando i relativi lavori entro termini prestabiliti che assicurino l'effettivo compimento di essi.
Anche sotto questo profilo l'art. 44 deve pertanto considerarsi violato.
Ne consegue che deve essere quindi dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 32 della legge 11 febbraio 1971, n. 11, e dell'ultimo comma dell'art. 5 ter della legge 4 agosto 1971, n. 592.
8. - Per effetto delle predette statuizioni ridiventano operanti le norme abrogate dalle disposizioni dichiarate illegittime. Ma é dovere della Corte controllare se quelle norme, in base alle stesse considerazioni che hanno portato alla dichiarazione di illegittimità della loro abrogazione, non presentino aspetti di parziale illegittimità. Ove ciò si verifichi (non essendo concepibile che, per effetto di una sentenza di questa Corte, col cessare del vigore di disposizioni costituzionalmente illegittime - art. 136 Cost. -, diventino applicabili altre norme, a loro volta confliggenti con principi costituzionali) é ovvio debba esercitarsi il potere previsto dall'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Deve ammettersi infatti che quel potere sussiste tutte le volte in cui, fra la pronunzia di illegittimità delle norme oggetto del giudizio e la pronunzia di illegittimità di altre disposizioni, vi sia un nesso di conseguenzialità.
Ciò premesso, e richiamato il punto 7 della presente sentenza, nel quale si é affermato che uno dei profili di illegittimità afferenti la norma denunciata era rappresentato dal contrasto col fine perseguito dall'art. 44 della Costituzione, mirante alla instaurazione di equi rapporti sociali, deve qui rilevarsi che anche le norme ripristinate offrono il fianco ad analoghe considerazioni critiche, nella parte in cui omettono di prevedere qualsiasi indennizzo a favore del lavoratore manuale della terra, che lascia il fondo non per sua scelta, ma perché la sua permanenza non é ivi compatibile con i lavori di trasformazione agraria che il concedente intende, essendovi stato autorizzato, di compiere su di esso.
La Corte considera anzi essenziale, proprio ai fini del rispetto dell'art. 44, che al concessionario sia riconosciuto e corrisposto, allorché egli é costretto ad abbandonare il fondo, un equo indennizzo, dovendosi ritenere costituzionalmente illegittima una disciplina che non preveda un simile ristoro in favore di chi beneficiava di un diritto di proroga che viene fatto cessare in vista di un interesse del concedente e della collettività.
Tale indennizzo, ove le parti non si accordino, sarà ovviamente liquidato ad opera del giudice, il quale, nel determinarne l'ammontare, terrà conto dell'importo del canone, del reddito del fondo, della durata del rapporto, e di tutti gli altri elementi di giudizio ricorrenti nella specie.
Al riguardo non sarà inutile ricordare infine che il principio non é ignoto al nostro ordinamento - anche all'infuori del rapporto di lavoro - ed é applicato, benché su presupposti sostanzialmente diversi, ma con finalità non del tutto estranee, nella legge 27 gennaio 1963, n. 19, in tema di tutela giuridica dell'avviamento commerciale.
Da quanto sopra esposto, deriva pertanto che anche le norme ripristinate vanno dichiarate illegittime, benché solo parzialmente, e ciò ai sensi dell'art. 27, ultima parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87, in quanto la loro illegittimità deriva come conseguenza dei principi affermati nella decisione adottata.
9. - Tutte le altre questioni di legittimità, proposte in via principale e in via subordinata, vanno dichiarate assorbite.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 32 della legge 11 febbraio 1971, n. 11, e 5 ter, ultimo comma, della legge 4 agosto 1971, n. 592, che hanno abrogato l'articolo unico della legge 13 giugno 1961, n. 527, e l'art. 1 del d.l.C.P.S. 1 aprile 1947, n. 273, in materia di proroga dei contratti agrari;
b) dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 13 giugno 1961, n. 527, e dell'art. 1 del d.l.C.P.S. 1 aprile 1947, n. 273, nella parte in cui non prevedono che al concessionario, nei cui confronti sia pronunziata la cessazione della proroga per la causa ivi prevista, é dovuto un equo indennizzo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 23 aprile 1974.