SENTENZA N. 416
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge della Regione Calabria 5 maggio 1990, n. 55 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali n. 34/1984 e n. 11/1987), pro mosso con ordinanza emessa il 20 novembre 1992 dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria sul ricorso proposto da Tommaso Di Girolamo contro la Regione Calabria ed altri, iscritta al n. 73 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visti l'atto di costituzione di Tommaso Di Girolamo nonchè l'atto di intervento della Regione Calabria;
udito nell'udienza pubblica del 19 ottobre 1993 il Giudice relatore Enzo Cheli;
uditi l'avvocato Feliciano Serrao per Di Girolamo Tommaso e l'avvocato Raffaele Mirigliani per la Regione Calabria.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del giudizio sul ricorso proposto da Tommaso Di Girolamo contro la Regione Calabria ed altri per l'annullamento degli atti della commissione esaminatrice nel concorso interno per l'accesso alla II qualifica dirigenziale nel settore delle attività agricolo-forestali, nominata con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 39 del 1991, nonchè per l'annullamento della delibera della Giunta regionale n. 4319 del 5 agosto 1991, di approvazione dei suddetti atti, il Tribunale amministrativo regionale della Calabria - con ordinanza del 20 novembre 1992 - ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 97, primo comma, e 98 della Costituzione, dell'art. 5 della legge regionale calabra 5 maggio 1990, n. 55, "nella parte in cui non prevede la presenza, in seno alle commissioni giudicatrici nelle selezioni per l'avanzamento a dirigente di II qualifica, di membri esperti dotati di specifiche competenze culturali e/o tecniche rispetto alle materie previste dalle selezioni concorsuali".
In ordine alla rilevanza di tale questione, il Tribunale rimettente osserva che l'esame degli atti posti in essere dalla commissione - impugnati nel giudizio a quo unitamente alla deliberazione regionale di recepimento - presuppone "la preliminare indagine circa la legittimità della normativa che detta i criteri di composizione della commissione stessa", atteso che l'illegittimità di tale normativa "non potrebbe non riverberare conseguenze caducanti - e non già meramente inficianti - sul complesso della attività posta in essere (dalla commissione), nonchè sulle deliberazioni di relativo recepimento". La rilevanza della questione prospettata discenderebbe, pertanto, dallo "stretto nesso di consequenzialità giuridica che connette la nomina di una commissione giudicatrice (e, con essa, le disposizioni che la prevedono e la disciplinano) con gli atti da questa di seguito posti in essere" nonchè dal fatto che l'accoglimento della stessa questione "determinerebbe, in via derivata, l'annullamento dell'intero iter procedimentale", con la conseguente invalidazione degli atti che hanno formato oggetto di impugnativa nel giudizio a quo.
Circa la non manifesta infondatezza della questione, lo stesso Tribunale osserva che la norma impugnata, nel modificare il preesistente art. 46 della L.R. 22 novembre 1984, n. 34 - dove si prevedeva che la commissione fosse composta dal presidente della Giunta regionale, in qualità di presidente, da due professori universitari (designati dai Rettori delle Università calabresi), da due magistrati amministrativi (designati dal Presidente del TAR della Calabria) e da un rappresentante sindacale - ha disposto che, fermi restando il presidente della Giunta regionale ed il rappresentante sindacale, gli altri membri siano sostituiti dall'assessore regionale al personale e da due consiglieri regionali, di cui uno in rappresentanza della minoranza (designati dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, sentita la conferenza dei Presidenti dei gruppi consiliari). Tale nuova composizione - secondo il giudice a quo -, avendo fatto venir meno nella commissione la presenza maggioritaria di membri dotati di specifiche competenze tecniche, sostituiti con rappresentanti di nomina politica, non sarebbe idonea a garantire il rispetto delle norme contenute negli artt. 97, primo comma, e 98 della Costituzione, risultando in contrasto con i principi espressi da questa Corte in materia di composizione delle commissioni giudicatrici nei concorsi pubblici (in particolare nella sentenza n. 453 del 1990).
Tali principi - osserva ancora il giudice a quo - per il loro carattere generale devono necessariamente trovare applicazione - oltre che nei concorsi per l'accesso alla pubblica amministrazione - anche nei concorsi "interni" o "riservati", quale quello in esame, in ordine ai quali resta, comunque, invariata l'esigenza di garantire una oggettiva valutazione dei candidati e la selezione dei migliori fra essi, offrendo la massima tutela possibile rispetto a possibili ingerenze di natura politica, pregiudizievoli dell'imparzialità della pubblica amministrazione.
2. - La parte privata, ricorrente nel giudizio a quo, é intervenuta con una memoria adesiva alla tesi formulata dal giudice rimettente, deducendo che la norma impugnata ha completamente capovolto la corretta impostazione della precedente normativa regionale, determinando una composizione esclusivamente politica della commissione, in contrasto con i principi di imparzialità e di destinazione dei pubblici impiegati al servizio esclusivo della Nazione.
3. - Si é costituita in giudizio la Regione Calabria opponendo, in primo luogo, l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza.
Secondo la Regione il provvedimento costitutivo della commissione, non formando oggetto del ricorso pendente innanzi al Tribunale amministrativo, resterebbe in ogni caso sottratto, in quanto atto inoppugnabile, alla cognizione del giudice a quo, con conseguente irrilevanza della questione di costituzionalità sollevata di ufficio nei confronti della normativa regionale che regola la composizione della stessa commissione.
Nel merito, la questione é ritenuta infondata, dal momento che il principio della partecipazione dei partiti politici alla formazione dell'indirizzo politico nazionale, affermato nell'art. 49 della Costituzione, porterebbe ad escludere la possibilità di attribuire un disvalore così assoluto ad un sistema di composizione della commissione giudicatrice quale quello di cui é causa. Ciò risulterebbe, altresì, confortato dal fatto che la nomina politica di alti magistrati o funzionari statali é prevista dal nostro ordinamento ed é stata ritenuta da questa Corte conforme alla Costituzione con le sentenze n. 1 del 1967 e n. 177 del 1973 (concernenti, rispettivamente, le nomine governative dei consiglieri della Corte dei conti e dei consiglieri di Stato).
4. - In prossimità dell'udienza sia la Regione Calabria che la parte privata ricorrente nel giudizio a quo hanno presentato memoria, dove vengono sviluppate e approfondite le tesi annunciate nei rispettivi atti di costituzione.
Considerato in diritto
l. - La questione di costituzionalità in esame investe l'art. 5 della legge regionale della Calabria 5 maggio 1990, n. 55 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali n. 34/1984 e n.11/1987), dove si dispone che la commissione chiamata a formare le graduatorie nelle selezioni interne per la copertura dei posti della seconda qualifica dirigenziale è composta dal presidente della Giunta regionale o da un suo delegato che la presiede; dall'assessore regionale al personale; da due consiglieri regionali, di cui uno in rappresentanza della minoranza; da un rappresentante sindacale, con qualifica non inferiore a quella del posto messo a concorso.
Ad avviso del Tribunale amministrativo della Calabria tale disposizione (che ha sostituito l'art. 46 della legge regionale 22 novembre 1984, n. 34, dove la stessa commissione risultava composta dal Presidente della Giunta regionale, da due professori universitari, ordinari di materie attinenti ai posti oggetto di selezioni, da due magistrati amministrativi e da un rappresentante sindacale) verrebbe a violare, <nella parte in cui non prevede la presenza, in seno alle commissioni giudicatrici per l'avanzamento a dirigente di 2° qualifica, di membri esperti dotati di specifiche competenze culturali e/o tecniche rispetto alle materie previste dalle selezioni concorsuali>, il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97, primo comma, della Costituzione nonchè il vincolo posto a carico dei pubblici dipendenti dall'art. 98 della stessa Costituzione di essere al servizio esclusivo della Nazione.
2.-Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità avanzata dalla Regione Calabria sul presupposto che la questione sollevata dal Tribunale amministrativo risulterebbe estranea all'oggetto del giudizio a quo, in quanto diretta a invalidare la norma regolatrice della composizione della commissione del concorso di cui è causa, laddove lo stesso giudizio risulta invece delimitato, alla luce dei motivi enunciati nel ricorso, ai soli atti valutativi espressi dalla commissione ed alla conseguente delibera regionale approvativa di tali atti.
In proposito va, infatti, rilevato che il giudice rimettente, nella sua ordinanza, si è dato carico di tale possibile eccezione quando, proprio al fine di allontanare dalla questione proposta il sospetto di ultrapetizione rispetto ai limiti della domanda avanzata dal ricorrente nel giudizio a quo, ha argomentato sia in ordine al <nesso di consequenzialità> che viene a collegare la nomina di una commissione con gli atti dalla stessa posti in essere, sia in ordine agli effetti caducanti che l'accoglimento della questione proposta sarebbe in grado di determinare, in via derivata, nei confronti dell'intero iter procedimentale svolto dalla commissione e, quindi, anche nei confronti degli atti che hanno formato oggetto di espressa censura.
Tali argomentazioni, quand'anche controvertibili, appaiono, ad avviso di questa Corte, sufficienti a giustificare l'ingresso della questione sollevata, ove si tenga conto dell'indirizzo, ripetutamente espresso in sede di giudizio costituzionale, secondo cui <il controllo sull'ammissibilità della questione potrebbe far disattendere la premessa interpretativa offerta dal giudice a quo solo quando questa dovesse risultare palesemente arbitraria, e cioè in caso di assoluta reciproca estraneità fra oggetto della questione e oggetto del giudizio di provenienza o quando l'interpretazione offerta dovesse risultare del tutto non plausibile> (v., da ultimo, sentenze nn. 103, 238, 345 del 1993).
Il che non si riscontra nel caso in esame.
3. - Nel merito la questione è fondata.
Questa Corte, con la sentenza n. 453 del 1990, ha avuto modo di sottolineare come l'applicazione del principio di imparzialità ai concorsi per l'ammissione ai pubblici impieghi imponga <il perseguimento del solo interesse connesso alla scelta delle persone più idonee all'esercizio della funzione pubblica, indipendentemente da ogni considerazione per gli orientamenti politici e per le condizioni personali e sociali dei vari concorrenti>. Da qui la conseguenza che, nella composizione delle commissioni giudicatrici di tali concorsi, <il carattere esclusivamente tecnico del giudizio debba risultare salvaguardato da ogni rischio di deviazione verso interessi di parte o comunque diversi da quelli propri del concorso> e che la presenza in tali commissioni di tecnici ed esperti dotati di titoli di studio e professionali adeguati alle materie oggetto delle prove di esame <debba essere, se non esclusiva, quanto meno prevalente, tale da garantire scelte finali fondate sull'applicazione di parametri neutrali e determinate soltanto dalla valutazione delle attitudini e della preparazione dei candidati>. Questi principi sono stati confermati nella sent. n. 333 del 1993.
Giova, d'altro canto, rilevare che tale orientamento in tema di imparzialità nei pubblici concorsi ha trovato un ulteriore (e più radicale) svolgimento nell'ambito della nuova legislazione statale in tema di pubblico impiego, posta con il D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, dove, in tema di selezione del personale, è stato enunciato il criterio fondamentale che le commissioni di concorso per l'accesso e per la progressione del personale nei pubblici uffici siano composte <esclusivamente con esperti di provata competenza, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali> (art. 8, lett. c).
L'applicazione dei principi richiamati-direttamente conseguenti dal criterio di imparzialità che deve ispirare l'organizzazione e l'azione amministrativa in tutti i suoi aspetti e che, di conseguenza, viene a operare anche nei confronti di tutti i concorsi, sia di accesso che di progressione nella carriera, per il pubblico impiego-porta, pertanto, all'accoglimento della questione proposta: e questo in relazione al fatto che la norma impugnata (a differenza di quanto statuito nella precedente disciplina posta con l'art. 46 della legge regionale calabra n. 34 del 1984) ha previsto una commissione giudicatrice composta interamente da rappresentanti politici e sindacali, senza alcuna presenza di esperti o di componenti dotati di specifica competenza tecnica rispetto alle prove di esame.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 della legge regionale della Calabria 5 maggio 1990, n. 55 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali n. 34/1984 e n. 11/1987), nella parte in cui non ha previsto la presenza, in seno alle commissioni giudicatrici per l'avanzamento a dirigente di 2° qualifica, di membri esperti dotati di specifica competenza tecnica rispetto alle materie previste per le selezioni concorsuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/11/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Enzo CHELI, Redattore
Depositata in cancelleria il 25/11/93.