ORDINANZA N.279
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 7 del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516 promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 15 dicembre 1989 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Rodio Marcello, iscritta al n.62 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8/1a s.s. dell'anno 1990;
2) ordinanza emessa il 15 dicembre 1989 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Bocchino Enrico ed altro, iscritta al n. 63 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8/1a s.s. dell'anno 1990.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 aprile 1990 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.
Ritenuto che, con due ordinanze del 15 dicembre 1990, il Tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 7, del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, come convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516;
che, innanzi tutto, il giudice a quo ritiene che il citato art. 4, n. 7, violi l'art. 25, secondo comma, Cost., in quanto sarebbe carente di parametri normativi determinati o di criteri di massima che consentano di individuare la fattispecie di reato, con particolare riferimento ai concetti di simulazione o dissimulazione e di alterazione della misura rilevante;
che, in secondo luogo, il Tribunale di Torino afferma il contrasto con l'art. 3 Cost. del citato art. 4, n. 7, in quanto produrrebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra la categoria dei contribuenti titolari di <redditi di lavoro autonomo o d'impresa> e quella dei titolari di <redditi fondiari o di capitali o altri redditi> di cui all'art. 1, secondo comma, n. 3 dello stesso decreto legge n. 429 del 1982, convertito in legge n. 516 del 1982;
che il giudice a quo, peraltro, ritiene di non condividere l'interpretazione con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le predette questioni (sentenza n. 247 del 1989) ed in base alla quale, ai fini dell'integrazione del reato previsto e punito dal predetto art. 4, n. 7, da un lato, non è sufficiente il solo simulare o dissimulare di cui parla la norma ma sarebbe necessario un qualcosa di ulteriore, e cioè un'attività preparatoria (fraudolenta) alla dichiarazione finale, volta all'alterazione del risultato della dichiarazione stessa e, d'altro lato, la misura rilevante dell'alterazione sarebbe un elemento estraneo alla vera e propria condotta, un elemento di carattere oggettivo e quindi non determinante ai fini dell'individuazione della fattispecie;
che l'ordinanza di rimessione rileva che anche la Corte di cassazione (Sez. III, 3 luglio 1989, n. 12495) ha adottato l'interpretazione, condivisa dal giudice a quo ma difforme da quella, innanzi citata, resa dalla Corte costituzionale;
che, pertanto, il Tribunale di Torino non condividendo la predetta interpretazione accolta dalla Corte costituzionale ritiene opportuno sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 7, del decreto legge n. 429 del 1982, convertito in legge n. 516 del 1982;
che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questione.
Considerato che, in ragione dell'identità delle questioni sollevate, i relativi giudizi possono essere riuniti;
che, come ricorda il Tribunale di Torino nelle ordinanze di rimessione, questa Corte ha già pronunciato, con sentenza n. 247 del 1989, la non fondatezza, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 7, del decreto legge n. 429 del 1982, come convertito in legge n. 516 del 1982;
che la soluzione accolta dalla predetta sentenza è stata successivamente ed in più occasioni ribadita (ordinanze di manifesta infondatezza nn. 311, 312, 313, 314, 315, 439, 538 e 540 del 1989 nonchè 114 e 202 del 1990);
che l'interpretazione adottata da questa Corte, come rilevato a suo tempo nella più volte citata sentenza n. 247 del 1989 e come sottolineato dallo stesso giudice a quo, condiziona la costituzionalità dell'art. 4, n. 7, del decreto legge n. 429 del 1982, come convertito in legge n. 516 del 1982, ed è stata del resto seguita da un più recente orientamento della Corte di cassazione (Sez. III, 1° febbraio 1990, n. 4664);
che, comunque, quando, come nel caso di specie, una norma consente interpretazioni diverse, delle quali solo una rende la norma stessa compatibile con il testo costituzionale, va seguita quest'ultima;
che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino va dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 7, del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) come convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516, sollevata dal Tribunale di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/05/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Renato DELL'ANDRO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 31/05/90.