SENTENZA N. 46
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 231 e 398 del Codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 13 maggio 1966 dal Pretore di Venezia nel procedimento penale a carico di Lotter Rosa, iscritta al n. 136 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 27 agosto 1966;
2) ordinanza emessa il 13 giugno 1966 dal Pretore di Avezzano nel procedimento penale a carico di Longo Raffaele, iscritta al n. 169 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 del 24 settembre 1966;
3) ordinanza emessa il 16 giugno 1966 dal Pretore di Gonzaga nel procedimento penale a carico di Aldrovandi Roberto, iscritta al n. 196 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 12 novembre 1966;
Udita nella camera di consiglio del 19 gennaio 1967 la relazione del Giudice Antonio Manca.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di Lotter Rosa, il Pretore di Venezia, con ordinanza del 13 maggio 1966, ha sollevato, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 231 e 398 del Codice di procedura penale limitatamente alla parte in cui, conferendo al Pretore (nei procedimenti penali per reati di sua competenza) la facoltà di scegliere tra il compimento di atti di polizia giudiziaria, di atti di istruzione sommaria, ovvero di escludere qualsiasi indagine, non si prevede la contestazione del fatto e l'interrogatorio dell'imputato, prima dell'emissione del decreto di citazione a giudizio.
Nell'ordinanza si rileva che, con l'anzidetta facoltà, si trasferirebbe alla discrezionalità del magistrato, senza alcuna indicazione di criteri obbiettivi, la scelta che sarebbe riservata al legislatore, dando luogo eventualmente a disparità di trattamento fra soggetti che si troverebbero in situazioni identiche. Donde il dubbio di un contrasto delle disposizioni predette con l'art. 3 della Costituzione.
Sussisterebbe del pari, secondo l'ordinanza, il dubbio di un contrasto con l'art. 24, secondo comma, in quanto l'art. 398, nell'ultimo comma, non prevede la contestazione del fatto o l'interrogatorio dell'imputato nel caso in cui non si proceda ad atti di istruzione sommaria.
L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 213 del 27 agosto 1966.
In questa sede non vi é costituzione di parti.
Nel corso del procedimento penale a carico di Longo Raffaele, il Pretore di Avezzano, con ordinanza del 13 giugno 1966, ha sollevato di ufficio, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 398, ultimo comma, del Codice di procedura penale, in quanto, nei procedimenti davanti al pretore, non prevede la contestazione del fatto o l'interrogatorio dell'imputato, qualora non si proceda ad atti di istruzione.
Nell'ordinanza si prospetta il dubbio di un contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, sul riflesso che se la contestazione del fatto o l'interrogatorio sono obbligatori, a garanzia del diritto di difesa, quando si proceda ad atti di istruzione, a maggior ragione sarebbero obbligatori quando si proceda alla citazione in giudizio senza alcuna istruttoria. Contrasto che sussisterebbe anche se si ritenesse che nel caso indicato sussisterebbe una forma di procedimento senza istruttoria.
Si prospetta altresì il dubbio di un contrasto con l'art. 3 della Costituzione, se si ritenesse che sia rimessa alla scelta discrezionale del pretore procedere o no ad atti istruttori, per la disparità di trattamento che deriverebbe ai cittadini in situazioni identiche.
L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 24 settembre 1966.
In questa sede non vi é costituzione di parti.
Nel corso del procedimento penale a carico di Aldrovandi Roberto, il Pretore di Gonzaga, con ordinanza del 16 giugno 1966, ha sollevato, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 398, ultimo comma, del Codice di procedura penale, in relazione all'art. 231, primo comma, dello stesso Codice.
Nell'ordinanza, con riferimento alla sentenza di questa Corte (n. 33 del 1966) si ritiene tuttora impregiudicata la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 231, e si solleva il dubbio che, in relazione all'art. 398, possa essere in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, per ragioni analoghe a quelle esposte nelle precedenti ordinanze.
Si aggiunga che la contestazione del fatto o l'interrogatorio dell'imputato non sono necessariamente collegati con il compimento di atti istruttori, data la formulazione generica del precetto costituzionale. Di guisa che tale garanzia dovrebbe essere osservata anche quando non si proceda ad alcun atto di istruzione.
L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del 12 novembre 1966.
Non vi é costituzione di parti in questa sede.
Considerato in diritto
Le tre cause, che riguardano la stessa questione, possono essere riunite e decise con unica sentenza.
1. - Le questioni sottoposte all'esame della Corte si concretano nel decidere: a) se possa ritenersi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per la eventuale disparità di trattamento che ne deriverebbe a soggetti in pari situazioni, la facoltà di scelta attribuita al pretore dall'art. 231, primo comma, del Codice di procedura penale, di compiere atti di istruzione sommaria, ovvero di emettere il decreto di citazione per il giudizio in base alle indagini preliminari di polizia giudiziaria, o anche in base alla denuncia o querela;
b) se, in queste ultime due ipotesi, ritenuta legittima la facoltà anzidetta, sia compatibile con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, anche la facoltà, preveduta dall'art. 398, ultima parte, del Codice di procedura penale, di emettere il decreto di citazione, senza procedere prima alla contestazione del fatto alla persona indiziata di reato.
Le questioni sono infondate.
2. - Quanto alla prima, é da premettere che il primo comma del citato art. 231, con disposizione di carattere generale, stabilisce che il pretore, per i reati di sua competenza, non soltanto può adottare uno dei giudizi speciali (per direttissima o per decreto nei casi consentiti dalla legge, artt. 502 e seguenti e 506 del Codice di procedura penale), ma può anche compiere o meno gli atti di istruzione sommaria indicati nel secondo comma del citato art. 398.
Secondo i giudici del merito, poiché la legge non indica al riguardo alcun criterio direttivo di carattere obbiettivo, l'esercizio di tale facoltà sarebbe rimessa alla discrezionalità del magistrato, donde la possibilità di un trattamento disuguale per situazioni che si presentassero identiche. L'assunto non é fondato.
É anzitutto da considerare, infatti, che gli accennati poteri sono conseguenza necessaria del carattere particolare che, nel sistema processuale penale, ha il procedimento davanti al pretore; procedimento che se non può considerarsi (e non é considerato) come un procedimento speciale, é tuttavia regolato, per taluni aspetti, con disposizioni diverse da quelle concernenti il rito sommario espletato dal Pubblico Ministero. Particolari disposizioni che si ricollegano, a loro volta, alle imprescindibili esigenze, comunemente ammesse, di rapidità e semplicità, cui si ispira il sistema legislativo per quanto attiene ai procedimenti di competenza del pretore. I quali si riferiscono, di regola, a reati di non grave entità, ma in numero imponente, come chiaramente dimostrano i rilevamenti statistici.
Occorre aggiungere, d'altra parte, come si é già notato nella sentenza n. 33 del 1966 (ricordata pure nelle ordinanze di rinvio), che anche se la legge non contiene direttive al riguardo, la scelta della via da seguire non può ritenersi rimessa ad un indiscriminato apprezzamento. Essa, invero, come tutte le facoltà attribuite al magistrato dall'ordinamento, rientra nell'ambito del potere - dovere del giudice di provvedere a seguito della valutazione delle varie circostanze, e resta perciò condizionata dalle esigenze obbiettive dell'amministrazione della giustizia, dalla necessità cioè, di compiere o meno determinati atti e di esperire determinate indagini, prima di giungere alla fase dibattimentale, al fine ovviamente dell'accertamento della verità.
3. - É pure infondata la seconda questione.
Secondo le ordinanze di rinvio, per assicurare compiutamente l'esercizio del diritto di difesa, dovrebbe procedersi alla contestazione del fatto nei modi indicati nell'ultima parte dell'art. 398 del Codice di procedura penale, non soltanto quando il pretore compie atti di istruzione sommaria, come é stato ritenuto con la citata precedente sentenza n. 33 del 1966, ma anche (anzi, secondo una delle ordinanze, a maggior ragione) quando emette il decreto di citazione per il giudizio senza compiere alcuno di tali atti.
In proposito peraltro occorre tener presente la giurisprudenza di questa Corte, con la quale, in relazione al secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, si é affermato il principio che l'esercizio del diritto della difesa possa anche, senza violare il precetto costituzionale, armonizzarsi con i vari tipi di procedimento compresi nel sistema processuale vigente.
Di tale principio, enunciato nella sentenza n. 46 del 1957, si é fatta applicazione con varie pronunzie successive (nn. 29 e 97 del 1962, 45
e 108 del 1963 e 5 del 1965) ed, in particolare, con le sentenze n. 170 del 1963 e 27 del 1966, riguardanti il giudizio per decreto, preveduto dagli artt. 506 e seguenti del Codice di procedura penale. Con dette sentenze non si é ritenuto in contrasto con la Costituzione l'eventuale differimento, alla fase dibattimentale instaurata con l'opposizione, dello svolgimento della difesa, qualora il pretore non abbia ritenuto di procedere in precedenza alla contestazione del fatto.
Nei casi che hanno dato origine all'attuale controversia, il pretore, pur seguendo la procedura ordinaria, ha tuttavia emesso il decreto di citazione senza istruttoria e senza contestazione del fatto, donde il rinvio alla fase dibattimentale anche dell'esercizio del diritto di difesa.
Ora, pure in questi casi, tale differimento non può ritenersi in contrasto con il precetto costituzionale (art. 24, secondo comma), così come é stato interpretato ed applicato dalla giurisprudenza di questa Corte.
La procedura, infatti, trova giustificazione nella struttura del sistema, e si armonizza, in conformità dei principi già affermati, con le esigenze che, come regola generale, disciplinano i procedimenti di competenza pretoriale e che sono state in precedenza indicate.
Che se, invece, in base alle necessità processuali, nella fase precedente al giudizio, occorre espletare atti di istruzione, nettamente distinti nel sistema del Codice, dalle indagini preliminari (artt. 219, 231 e 232), in tal caso, come é stato deciso con la ricordata sentenza n. 33 del 1966
, é necessario, a pena di nullità, rendere possibile l'esercizio del diritto di difesa da parte del soggetto indiziato di reato, nei modi indicati dal citato art. 398, ultima parte dell'ultimo comma.
riunite le tre cause indicate in epigrafe