SENTENZA N. 108
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 293 del Codice penale militare di pace, modificato dall'art. 2 del D.L.C.P.S. 20 agosto 1947, n. 1103, promosso con ordinanza emessa il 21 settembre 1962 dal Giudice istruttore presso il Tribunale militare territoriale di Padova nel procedimento penale a carico di De Rocco Franco, iscritta al n. 180 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 300 del 24 novembre 1962.
Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'atto di costituzione in giudizio di De Rocco Franco;
udita nell'udienza pubblica del 22 maggio 1963 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;
uditi l'avv. Sandro Diambrini Palazzi, per De Rocco Franco, e il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di De Rocco Franco il Giudice istruttore presso il Tribunale militare territoriale di Padova, con ordinanza del 21 settembre 1962, sollevava di ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 293 del Codice penale militare di pace, modificato dall'art. 2 del D.L.C.P.S. 20 agosto 1947, n. 1103, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione.
La norma impugnata dispone che qualora nel corso di un procedimento penale occorra tutelare un segreto militare o politico, il giudice istruttore o il presidente possono escludere, con provvedimento non soggetto ad impugnazione, il difensore o il consulente tecnico non militari.
Tale norma, secondo il Giudice istruttore del Tribunale militare di Padova, violerebbe in primo luogo il diritto alla difesa tutelato dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto priverebbe l'imputato militare di un difensore liberamente scelto e fornito della necessaria competenza tecnica. La esclusione del difensore non militare si risolverebbe, infatti, nell'assegnazione all'imputato di un difensore scelto fra gli ufficiali di grado inferiore, sprovvisto della necessaria preparazione giuridica e in posizione di dipendenza gerarchica rispetto ai giudici.
La norma impugnata contrasterebbe inoltre con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto creerebbe una situazione di disparità fra gli imputati militari e gli altri nel caso di procedimenti penali nel corso dei quali occorresse tutelare un segreto politico o militare. L'art. 423 del Codice di procedura penale comune si limita, infatti, a prescrivere che si proceda a porte chiuse nel caso in cui la pubblicità del dibattimento può nuocere alla sicurezza dello Stato, e di conseguenza anche nel caso in cui sia in questione un segreto politico o militare. La norma impugnata, adottando invece per tali casi la più rigorosa misura della esclusione del difensore e del consulente tecnico non militari, determinerebbe, ad avviso del Giudice istruttore, una posizione di sfavore per gli imputati militari rispetto agli altri cittadini.
L'ordinanza, regolarmente notificata all'imputato, al Procuratore militare presso il Tribunale militare di Padova, e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 300 del 24 novembre 1962.
Si sono costituiti in giudizio l'imputato De Rocco, rappresentato e difeso dall'avv. Sandro Diambrini Palazzi, con memoria di costituzione e deduzioni depositate il 12 dicembre 1962 e il Presidente del Consiglio dei Ministri, assistito dall'Avvocatura Generale dello Stato, con atto di intervento depositato il 28 ottobre 1962.
La difesa dell'imputato, riportandosi alle argomentazioni con tenute nella ordinanza di rinvio ha concluso per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata.
L'Avvocatura dello Stato, nel concludere nel senso della infondatezza della questione, esclude in primo luogo che possa ravvisarsi un contrasto fra l'art. 3 della Costituzione e la norma impugnata. Le misure di maggior rigore previste da quest'ultima per la tutela del segreto politico o militare sarebbero, infatti, senz'altro compatibili con il principio della eguaglianza in quanto la disposizione obbedirebbe a criteri di razionalità, risponderebbe alle particolari esigenze connesse al servizio militare, e riguarderebbe non singoli cittadini, ma una intera categoria di essi, cioé quella dei militari.
Per quanto attiene alla denunciata violazione dell'art. 24 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato esprime l'avviso che né la scelta obbligata del difensore fra gli ufficiali in servizio, né il difetto di preparazione giuridica del difensore militare e la sua posizione di dipendenza gerarchica rispetto al giudice rappresenterebbero ragioni di pregiudizio del diritto alla difesa tutelato dalla suddetta norma costituzionale.
Il difetto di preparazione giuridica nel difensore militare non costituirebbe quindi, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, un motivo di pregiudizio per il diritto alla difesa; che anzi l'esercizio di questo diritto sarebbe nei giudizi a carico di militari, ancor più garantito dalla maggiore preparazione tecnico-militare di cui é provvista quella categoria di difensori, preparazione che, analogamente a quanto avviene per la partecipazione ai Tribunali militari di persone non esperte di diritto, meglio risponderebbe alle esigenze peculiari di tali giudizi.
Infine, nemmeno la subordinazione gerarchica del difensore militare rispetto ai giudici dovrebbe rappresentare, secondo l'Avvocatura dello Stato, un ostacolo alla retta esplicazione del compito difensivo.
Considerato in diritto
L'art. 293 del Codice penale militare di pace, che attribuisce al giudice istruttore o al presidente, quando occorra tutelare il segreto politico o militare, la potestà di escludere, con provvedimento insindacabile, il difensore o il consulente tecnico non militare, non lede il diritto alla difesa, sancito dall'art. 24 della Costituzione.
Nella interpretazione di tale norma questa Corte si é costantemente orientata nel senso che essenziale finalità di essa sia quella di garentire al cittadino la possibilità di tutelare in giudizio le proprie ragioni, con le forme e i mezzi che assicurano la istituzione e lo svolgimento del contraddittorio. Non é dubbio che l'assistenza del difensore e la sua particolare competenza tecnica costituiscano il normale presidio del diritto alla difesa; ma si deve ammettere del pari che un tale presidio non può attuarsi, come necessità assoluta e inderogabile, allo stesso modo in tutti gli stadi del procedimento e nelle varie forme di esso. Nelle precedenti sentenze sullo stesso oggetto, infatti, questa Corte, posto in via generale il principio della assistenza tecnica e professionale, ha ritenuto: che le modalità del diritto di difesa sono regolate secondo le speciali caratteristiche dei singoli procedimenti; che il diritto di difesa non si identifica sempre con la necessità dell'assistenza del difensore, onde il carattere non obbligatorio di tale assistenza in talune speciali forme di esso; che infine, dal punto di vista della competenza tecnica, non costituiscono lesione del diritto alla difesa le disposizioni che ammettono al patrocinio davanti al pretore e agli uffici di conciliazione anche individui non forniti propriamente della competenza tecnica normalmente richiesta per i difensori (
sentenze n. 46 del 1957, n. 29 del 1962, n. 58 del 1963).Posta nel quadro di questa interpretazione, la norma impugnata non può dirsi in contrasto con l'art. 24 della Costituzione. Nei giudizi regolati dal Codice penale militare di pace, se viene esercitata la facoltà preveduta dall'art. 293 dei quel Codice, la difesa deve ritenersi assicurata anche se affidata soltanto a difensori militari. Allo stesso modo come il nostro ordinamento prevede che ad elementi non tecnici possa, in taluni procedimenti, essere affidata addirittura la funzione suprema del giudicare, così non può ritenersi aberrante che, in circostanze del tutto particolari, ad elementi non tecnici sia affidata la funzione della difesa: e ciò non senza considerare che al difensore militare é assicurata, attraverso la preparazione che lo conduce al grado di ufficiale, anche una adeguata conoscenza dei principi delle leggi penali militari, e che, inoltre, esso si trova particolarmente provveduto di quelle esperienze della vita e dei rapporti militari, che costituiscono non trascurabile ausilio alla interpretazione delle leggi militari e allo svolgimento della difesa.
D'altra parte non si può accedere al criterio, espresso nell'ordinanza, che l'efficacia dell'assistenza da parte dei difensori militari venga sminuita dai rapporti di dipendenza gerarchica in cui essi si trovano di fronte ai giudici, dovendosi da un lato ritenere che tali rapporti non siano tali da influenzare la coscienza del difensore, e dall'altro escludere che i giudici militari siano disposti in senso difforme alle direttive di una giusta difesa dei diritti dell'imputato.
Né, infine, vale il richiamare, come per denunciare una pretesa disparità di trattamento , la disposizione dell'art. 423 del Cod. proc. penale, relativa alla potestà del presidente o del pretore, nei giudizi ordinari, di disporre che il dibattimento o alcuni atti di esso abbiano luogo a porte chiuse, quando la pubblicità possa nuocere alla sicurezza dello Stato. É da tener presente che ogni giudizio é regolato in relazione alla sua propria e particolare natura e con ragionevole considerazione della diversità delle situazioni che vi si riferiscono, per cui la misura prevista dall'art. 293 del Codice penale militare, mentre é conforme alla natura del giudizio militare, non é configurabile nei giudizi ordinari, per i quali la legge, nell'ambito delle ragionevoli possibilità, ha previsto la misura del dibattimento a porte chiuse.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 293 del Codice penale militare di pace, modificato dall'art. 2 del D.L.C.P.S. 20 agosto 1947, n. 1103, sollevata dal Giudice istruttore presso il Tribunale militare territoriale di Padova con ordinanza del 21 settembre 1962, in riferimento agli articoli 24, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1963.
GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE
BIAGIO PETROCELLI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 22 giugno 1963.