Sentenza n. 80 del 1966
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SENTENZA N. 80

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,  

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 117, primo comma, del T.U. delle leggi di registro approvato con R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, e dell'art. 348, secondo comma, in relazione all'art. 347, secondo comma, del Codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 16 luglio 1965 dalla Corte di appello di Catania nel procedimento civile vertente tra Di Bella Agatina, Caruso Vincenzo e Marletta Gaetana, iscritta al n. 176 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 242 del 25 settembre 1965.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 4 maggio 1966 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Carmelo Carbone, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un giudizio promosso avanti alla Corte di appello di Catania dalla signora Di Bella Agatina avverso la sentenza del Tribunale di detta città del 10 febbraio 1964 che aveva annullato per simulazione un contratto di vendita di immobile di proprietà della medesima, il consigliere istruttore, constatata l'omissione del deposito da parte dell'appellante della copia della sentenza impugnata, anche dopo la scadenza del termine di differimento, da lui concesso, dichiarò con ordinanza del 14 maggio 1965 l'improcedibilità dell'appello. Avendo l'interessata prodotto reclamo al Collegio, questo ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 117, primo comma, del T.U. 30 dicembre 1923, n. 3269, delle leggi di registro, nonché dell'art. 348, secondo comma, in relazione all'art. 347, secondo comma, del Codice di procedura civile, sulla base delle seguenti considerazioni: sotto un primo aspetto, i due articoli, imponendo al cancelliere di non rilasciare copia della sentenza appellata fino all'avvenuta sua registrazione, e rispettivamente facendo conseguire alla mancata produzione della sentenza medesima, quando sia dovuta ad omissione del pagamento della imposta di registro, cioè di un tributo non ancora accertato, la conseguenza, non della semplice sospensione della causa, bensì dell'improcedibilità dell'appello, compromettono l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale, venendo così a violare l'art. 24 della Costituzione. Sotto un secondo aspetto, gli articoli stessi contrastano con l'art. 3 per la sperequazione di trattamento che viene a verificarsi secondo che l'appellante sia o no in possesso dei mezzi economici che gli consentano di anticipare l'ammontare dell'imposta. Nel formulare poi il giudizio di rilevanza della questione sollevata, la Corte d'appello ha osservato che se la censura di incostituzionalità dovesse colpire l'art. 117 si dovrebbe ordinare al cancelliere il rilascio della copia della sentenza impugnata, anche se non registrata, mentre, se incostituzionale fosse l'art. 348, non potrebbe confermarsi la pronuncia di improcedibilità emessa dal consigliere istruttore. In conseguenza la Corte stessa, con sua ordinanza del 16 luglio 1965, ha disposto la sospensione della causa e l'invio degli atti alla Corte costituzionale.

L'ordinanza, debitamente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 25 settembre 1965.

Si é costituito avanti alla Corte il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni del 7 settembre 1965. Inesse si fa rilevare che non sussiste l'allegata violazione dell'art. 3, dato che l'obbligo del pagamento dei tributi si estende a tutti, e violato esso riuscirebbe, al contrario, proprio quando si consentisse ad alcuni di svincolare l'esercizio del diritto di appello dell'obbligazione tributaria derogandosi, a favore di alcuni, al principio secondo cui il pagamento delle imposte di registro sulla sentenza va fatto nelle forme e nei termini di legge. Osserva che, d'altra parte, non sussiste l'allegata situazione deteriore dei non abbienti, rispetto a coloro che tali non sono, sia perché, ove si tratti di imposta di titolo, la concreta capacità contributiva é rivelata dallo stesso atto soggetto a registrazione, sia perché l'impossidente può giovarsi delle agevolazioni consentite dalla legge sul gratuito patrocinio. Del pari infondata, ad avviso dell'Avvocatura, deve ritenersi la censura di violazione dell'art. 24, poiché questo non vieta di imporre prestazioni fiscali in stretta e razionale connessione con il processo, quando, come nel caso delle disposizioni denunciate, siano tali da non rendere difficile o impossibile l'esercizio della tutela giurisdizionale. Conclude chiedendo che sia dichiarata l'infondatezza della questione proposta.

Con memoria depositata il 21 aprile 1966 la stessa Avvocatura ha svolto le argomentazioni accennate nelle precedenti deduzioni, invocando a sostegno di queste, le sentenze di questa Corte nn. 113 del 1963 e 91 del 1964 dalle quali si desumerebbe che contrastanti con la Costituzione sono da ritenere le disposizioni che frappongono ostacoli, non giustificati da rilevante interesse pubblico, ad uno svolgimento del processo civile adeguato alla funzione sua propria, non già le altre (come sarebbero quelle denunciate) che sono dirette a garantire lo svolgimento stesso, anche se impongono qualche onere. Insiste nelle conclusioni già prese.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione sollevata dalla Corte di appello di Catania deve essere esaminata anzitutto con riguardo al primo dei motivi di incostituzionalità prospettati, qual é fatto derivare dal contrasto delle norme di legge denunciate con l'art. 24 della Costituzione. Il problema della compatibilità fra il principio costituzionale, che garantisce a tutti di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, e le norme che impongono oneri fiscali a carico di chi tale tutela intenda richiedere, é stato oggetto di ripetuto esame da parte della Corte, e questa ha ritenuto che, per risolverlo, si renda necessario distinguere fra gli oneri che siano razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione, di prevenire altresì eccessi riprovevoli nell'esercizio del diritto di azione, eccitando nel titolare un senso di responsabilità, e che perciò devono ritenersi consentiti, e quegli altri i quali invece tendono alla soddisfazione di interessi del tutto estranei alle finalità predette, e, conducendo al risultato di precludere o ostacolare gravemente l'esperimento della tutela giurisdizionale, incorrono nella sanzione dell'incostituzionalità (sentenze 45, 56, 83, 113 del 1963; 47, 69, 91, 100 del 1964).

Alla stregua del criterio richiamato deve ritenersi fondata l'eccezione proposta in confronto all'art. 117 del R.D. n. 3269 del 1923 (modificato con il R.D. 13 gennaio 1936, n. 2313) quando sia messo in relazione con l'art. 348 del Codice di procedura civile. Infatti il divieto ch'esso impone ai funzionari delle cancellerie giudiziarie di rilasciare copia di qualsiasi atto soggetto a registrazione, prima che questa sia stata effettuata, in quanto precluda il rilascio della copia della sentenza di primo grado a favore di colui che intenda proporre gravame contro di essa, ha per conseguenza di pregiudicare il valido esercizio di tale diritto, dato che l'ultimo comma del citato art. 348 del Codice di procedura civile fa derivare l'improcedibilità dell'appello stesso dal mancato deposito, alla prima udienza di comparizione, del fascicolo dell'appellante, fascicolo del quale é elemento essenziale la copia della sentenza impugnata, secondo il tassativo disposto del precedente art. 347.

Quando, come nella specie, l'onere del previo pagamento prescritto dal citato art. 117 non riguarda solo la spesa di registrazione della sentenza, ma si riferisce anche al titolo posto a base della medesima e formante oggetto della contestazione, appare chiara la sua estraneità alle esigenze del giudizio di appello ed il suo rivolgersi a finalità esclusivamente fiscali, qual é quella di stimolare il contribuente al pagamento dell'imposta sul titolo predetto, e per conseguenza il suo netto e radicale contrasto con il precetto costituzionale.

L'esercizio del potere di gravame garantito a favore di chi si senta ingiustamente leso dalla sentenza di primo grado viene subordinato alla condizione del previo pagamento di una imposta, rispetto alla quale non riesce ancora possibile la determinazione non già solo del suo esatto ammontare, ma della stessa sussistenza dell'obbligo correlativo, data la mancanza di definitività dell'accertamento giudiziale sul titolo controverso. La condizione stessa, nel caso che ha dato luogo al giudizio, assume poi aspetto particolarmente gravoso, trattandosi di sentenza che ha ritenuto la simulazione della compravendita in contestazione, sulla quale l'imposta é da applicare in misura proporzionale.

Nulla potrebbe dedursi in contrario dal potere discrezionale, che l'art. 348 del Codice di procedura civile attribuisce al consigliere istruttore, di concedere all'appellante una dilazione alla presentazione del fascicolo. A parte l'ovvia considerazione che la dilazione, anche se fosse consentito disporla a tempo indeterminato, non soddisfa l'interesse alla tutela giurisdizionale, la quale può raggiungersi solo con l'emanazione di una sentenza definitiva di merito, impossibile ad ottenersi senza il previo pagamento del tributo, é da osservare che essa, differendo da quella necessaria ex art. 195 del Codice di procedura civile, o dall'altra di cui all'art. 108 della legge di registro, esige la fissazione di un termine, decorso il quale (ove non si verifichino le ipotesi di cui agli artt. 305 e 307 del Codice di procedura civile), si apre alla parte interessata la facoltà di richiedere la definizione del giudizio sospeso, che non potrebbe altrimenti effettuarsi se non con la dichiarazione di improcedibilità.

2. - Una volta accertata la incostituzionalità della norma denunciata pel suo contrasto con l'art. 24, non si rende necessario prendere in esame la questione sollevata in confronto all'art. 3 della Costituzione.

3. - La pronuncia di incostituzionalità deve essere limitata all'art. 117 della legge di registro, nella parte denunciata dall'ordinanza, poiché, venuto meno il divieto ch'esso impone, la improcedibilità sancita dall'ultimo comma dell'art. 348 rimarrebbe necessariamente limitata ai casi di inadempienze da parte dell'appellante diverse da quelle della mancata esibizione della sentenza impugnata per effetto dell'omessa osservanza dell'obbligo fiscale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 117 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, modificato con l'art. 1 del R.D. 13 gennaio 1936, n. 2313, nella parte in cui vieta ai funzionari delle cancellerie giudiziarie di rilasciare, prima che sia avvenuta la loro registrazione, copie o estratti di sentenze il cui deposito in giudizio sia condizione essenziale per la procedibilità dell'impugnativa, ai sensi dell'art. 348 del Codice di procedura civile.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO  

 

Depositata in cancelleria il 2 luglio 1966.