Sentenza n. 69 del 1964
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SENTENZA N. 69

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 549 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 ottobre 1963 dal Tribunale di Lanciano nel giudizio di esecuzione penale a carico di Di Gironimo Domenico, iscritta al n. 205 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 336 del 28 dicembre 1963.

Visto l'atto di intervento in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 13 maggio 1964 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con sentenza 21 novembre 1962 la Corte di cassazione, nel rigettare il ricorso proposto da Di Gironimo Domenico avverso la sentenza della Corte di appello de L'Aquila, che confermava la condanna inflittagli dal Tribunale di Lanciano per il reato di lesioni, condannava il ricorrente al pagamento della somma di lire 30.000 in favore della cassa delle ammende ai sensi dell'art. 549 del Codice di procedura penale.

In sede di esecuzione di tale sentenza il Di Gironimo proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Lanciano sollevando questione di legittimità costituzionale dell'art. 549 del Codice di procedura penale, nella parte in cui prevede la condanna al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

Il Tribunale, disattendendo il contrario avviso del Pubblico Ministero, con ordinanza 24 ottobre 1963, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della dedotta questione, ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale osservando che la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 549 del Codice di procedura penale nei casi di rigetto o di inammissibilità del ricorso in cassazione, é in contrasto con il diritto alla tutela giurisdizionale garantito in modo assoluto ed incondizionato dall'art. 24 della Costituzione.

L'ordinanza di rinvio, comunicata ai Presidenti delle Camere, notificata ritualmente alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 28 dicembre 1963, n. 336.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte é intervenuto soltanto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, con deposito di atto di intervento e memoria in cancelleria rispettivamente in data 28 novembre 1963 e 30 aprile 1964.

Nei propri scritti l'Avvocatura rileva che la questione di legittimità appartiene concettualmente e sistematicamente alla materia degli oneri di carattere patrimoniale imposti da norme di legge a carico delle parti al fine di garantire, a tutela dell'interesse pubblico, il regolare svolgimento del processo.

Inquadrando la norma impugnata nell'ambito dei principi esposti dalla Corte, specialmente con le recenti sentenze nn. 83 e 113 del 1963, non può contestarsi - continua l'Avvocatura -, che la funzione della norma sia di pubblico interesse tendendo ad evitare la proposizione di ricorsi temerari e infondati con conseguente intralcio nell'amministrazione della giustizia.

Trattasi di norma che non comporta esclusione o limitazione del diritto dell'imputato a far valere le proprie ragioni mediante la impugnazione, in quanto si limita a sanzionare, successivamente alla definizione del giudizio, la infondatezza dell'impugnativa onde indurre l'imputato, e per esso il difensore, a valutare preventivamente e responsabilmente la serietà del ricorso per cassazione che egli intenda proporre.

L'Avvocatura conclude, pertanto, chiedendo che la Corte voglia dichiarare non fondata la proposta questione di legittimità costituzionale.

 

Considerato in diritto

 

Secondo il Tribunale la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 549 del Codice di procedura penale per i ricorsi per cassazione che siano rigettati o dichiarati inammissibili sarebbe in contrasto con l'assolutezza del diritto alla tutela giurisdizionale garantito dall'art. 24 della Costituzione.

É facile però osservare in contrario che il diritto alla tutela giurisdizionale non é così assoluto e incondizionato, come ritiene il giudice a quo, non essendo possibile dare ad esso una estensione tale da farne deviare la funzione dirigendola a uno scopo sterile e dilatorio (sentenza n. 56 del 27 aprile 1963).

La condanna al pagamento di una somma alla cassa delle ammende prevista dall'art. 549 del Codice di procedura penale é un onere patrimoniale imposto alla parte privata nel processo penale per la tutela di un preminente interesse pubblico essendo diretta ad evitare che siano proposti ricorsi per cassazione per semplici fini dilatori.

Come risulta dalla relazione ministeriale al progetto definitivo del Codice di procedura penale con l'anzidetta sanzione si é inteso impedire la presentazione di ricorsi che hanno il solo scopo di prolungare la durata del processo e di ritardare il momento della esecuzione della condanna.

La sanzione ha una funzione analoga al deposito preventivo stabilito a pena di inammissibilità per i ricorsi per cassazione in materia civile.

Anche per i ricorsi in materia penale era previsto dal Codice di procedura del 1865 (art. 656) il deposito preventivo; ma con il Codice del 1913 si ritenne opportuno sostituire al deposito la sanzione pecuniaria da applicarsi con la sentenza che dichiara inammissibile il ricorso per cassazione o lo rigetta. E la sanzione é rimasta ferma anche nel Codice vigente.

É chiaro che in tal modo quelli che intendono esercitare il diritto di impugnativa si trovano in una condizione più favorevole poiché il deposito preventivo é una condizione per la valida costituzione del rapporto processuale, mentre la sanzione pecuniaria non incide direttamente sul procedimento di impugnazione, essendo applicata con la sentenza, di inammissibilità o di rigetto, che ad esso pone termine.

Non può quindi tale sanzione ritenersi idonea a impedire o comunque a limitare il diritto di produrre ricorso per cassazione e difendersi in tale sede.

È stato obiettato che il timore della sanzione pecuniaria può indurre a non esercitare il diritto di impugnativa. A tale osservazione é però agevole replicare che la sanzione tende a rafforzare la responsabilità processuale, responsabilità che deve essere particolarmente sentita quando, dopo avere goduto della tutela giurisdizionale nel giudizio di merito, si intenda promuovere il giudizio per cassazione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 549 del Codice di procedura penale nella parte relativa alla sanzione pecuniaria prevista nel caso di rigetto o di inammissibilità del ricorso per cassazione, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 30 giugno 1964.