Sentenza n. 132 del 2025

SENTENZA N. 132

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Giovanni AMOROSO;

Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 579 del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, quarta sezione civile, nel procedimento vertente tra M. S. e il Presidente del Consiglio dei ministri e altri, con ordinanza del 30 aprile 2025, iscritta al n. 97 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Visti gli atti di costituzione dell’Azienda Usl Toscana Nord Ovest e di M. S.;

visti gli atti di intervento di V. L. e M. G., nonché del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 luglio 2025 il Giudice relatore Stefano Petitti;

uditi gli avvocati Mario Esposito e Carmelo Domenico Leotta per V. L. e M. G., Filomena Gallo per M. S. e gli avvocati dello Stato Gianna Maria De Socio e Ruggero Di Martino per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 luglio 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 30 aprile 2025, iscritta al n. 97 del registro ordinanze 2025, il Tribunale ordinario di Firenze, quarta sezione civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 579 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), attui materialmente la volontà suicidaria, autonomamente e liberamente formatasi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente, quando la stessa persona, per impossibilità fisica e per l’assenza di strumentazione idonea, non possa materialmente procedervi in autonomia, o quando comunque le modalità alternative di autosomministrazione disponibili non siano accettate dalla persona sulla base di una scelta motivata che non possa ritenersi irragionevole.

1.1.– I fatti di causa sono descritti dal giudice a quo nei termini seguenti.

M. S., persona affetta da sclerosi multipla a decorso progressivo primario, ha proposto innanzi al Tribunale di Firenze ricorso per provvedimento d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della salute, al fine di sentire accertare, previa eventuale rimessione di questione di legittimità costituzionale dell’art. 579 cod. pen., la sussistenza, in capo alla stessa ricorrente, del «diritto fondamentale ad autodeterminarsi nelle scelte terapeutiche in materia di fine vita, nella sua declinazione del diritto di scegliere, in modo libero, consapevole e informato, di procedere alla somministrazione del farmaco letale in modalità eteronoma e dunque da parte del personale sanitario».

A fondamento del ricorso ella ha dedotto:

– di trovarsi ormai nell’impossibilità di deambulare e di compiere qualsiasi atto della vita quotidiana, senza l’ausilio di terze persone, in quanto la malattia è progredita fino alla completa tetraparesi spastica, con definitiva compromissione di tutti e quattro gli arti;

– di avere rifiutato, nell’esercizio del proprio diritto di autodeterminazione, la nutrizione artificiale, pur indicata, sul piano clinico, dalla sopravvenienza di disfagia per liquidi e solidi;

– di avere chiesto alla competente azienda sanitaria, in data 15 marzo 2024, la verifica delle condizioni per accedere al suicidio medicalmente assistito, alla luce della sentenza n. 242 del 2019 di questa Corte;

– di avere ricevuto dapprima parere negativo, non essendo ella tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, e successivamente parere favorevole, a seguito della sentenza n. 135 del 2024;

– di avere trasmesso all’azienda sanitaria, in data 10 settembre 2024, la relazione del proprio medico di fiducia, con l’indicazione del farmaco letale e delle metodiche di autosomministrazione più aderenti alle condizioni fisiche e motorie in atto, cui era seguita, in data 25 settembre 2024, la relazione finale della commissione medica multidisciplinare, comprensiva del parere del comitato etico, che confermava l’adeguatezza delle procedure indicate;

– di avere presentato il ricorso d’urgenza, avente ad oggetto la somministrazione del farmaco letale per via endovenosa da parte di un soggetto terzo, individuato nel proprio medico di fiducia, non essendo reperibile sul mercato la strumentazione necessaria all’attuazione autonoma del suicidio assistito, cioè una pompa infusionale attivabile con comando vocale ovvero tramite la bocca e gli occhi, uniche modalità consentite dallo stato attuale di progressione della malattia.

In data 7 aprile 2025, ulteriormente aggravatosi il quadro clinico, M. S. ha chiesto al giudice cautelare che il proprio medico di fiducia fosse autorizzato, inaudita altera parte, ad attuare la sua volontà suicidaria, tramite infusione del farmaco letale, che ella non è più in grado di autosomministrarsi.

Ritenendo di non poter provvedere senza contraddittorio, il Tribunale di Firenze ha fissato l’udienza di discussione e ordinato la chiamata in causa dell’Azienda Usl Toscana Nord Ovest.

Si sono costituiti nel procedimento d’urgenza il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro della salute, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo, il difetto della loro legittimazione passiva e l’inammissibilità di un’azione cautelare funzionale unicamente a promuovere una questione di legittimità costituzionale.

È intervenuta nel medesimo procedimento l’Azienda Usl Toscana Nord Ovest, riferendo che, in seguito all’entrata in vigore della legge della Regione Toscana 14 marzo 2025, n. 16 (Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte costituzionale 242/2019 e 135/2024), ha chiesto all’ente di supporto tecnico-amministrativo l’immediato avvio di una procedura di acquisto di pompe infusionali idonee al caso di specie e che l’ente, trattandosi di dispositivi non presenti sul mercato, ha risposto di avere pubblicato un avviso di consultazione per individuare potenziali fornitori.

L’Azienda sanitaria ha eccepito l’inammissibilità della domanda cautelare, per difetto di strumentalità rispetto al giudizio di merito e per carenza dell’interesse ad agire, riguardo alla legittimità costituzionale di una norma, l’art. 579 cod. pen., che comunque non troverebbe applicazione nei confronti della ricorrente; l’Azienda ha contestato, inoltre, il requisito del periculum in mora, considerata la sua tempestiva attivazione per la ricerca di dispositivi idonei, atteso peraltro che l’impossibilità di accedere al suicidio assistito andrebbe ascritta alla scelta personale della paziente di non avvalersi della somministrazione orale del farmaco, modalità ancora praticabile.

1.2.– In ordine alla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, il rimettente considera infondate le eccezioni delle amministrazioni resistenti.

Sussisterebbe la giurisdizione del giudice ordinario, vertendo la controversia sul diritto soggettivo all’autodeterminazione, senza margini di discrezionalità amministrativa; sussisterebbe altresì la legittimazione passiva del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della salute, quali articolazioni del Governo, essendo comunque presente in giudizio l’Azienda sanitaria territorialmente competente.

La tutela cautelare sarebbe ammissibile, essendo la progressione della malattia incompatibile con i tempi della cognizione ordinaria, e avendo la ricorrente urgenza di sentire affermata la liceità della somministrazione eteronoma del farmaco, al fine di orientare e attuare la propria scelta di fine vita.

Non vi sarebbe identità di oggetto tra giudizio principale e giudizio incidentale, poiché le questioni di legittimità costituzionale riguardano una norma penale che incrimina la condotta di un terzo, mentre il giudizio principale concerne l’accertamento del diritto della ricorrente all’autodeterminazione.

Al contempo, la sanzione prevista dall’art. 579 cod. pen. per l’omicidio del consenziente impedirebbe alla ricorrente di ottenere la cooperazione di un terzo nell’attuazione materiale del proposito suicidario, terzo che la stessa ricorrente ha già individuato nella persona del suo medico di fiducia.

Non sarebbe possibile qualificare come aiuto al suicidio, ai sensi dell’art. 580 cod. pen., e quindi ricondurre per via interpretativa nell’area di non punibilità, alle condizioni di cui alla sentenza n. 242 del 2019, la condotta del terzo che provoca la morte sostituendosi materialmente all’aspirante suicida, posto che l’aiuto al suicidio presuppone che l’atto sia compiuto di mano propria dal malato, pur con l’agevolazione altrui; neppure potrebbe il giudice comune estendere alla diversa fattispecie incriminatrice di cui all’art. 579 cod. pen. quanto la sentenza n. 242 del 2019 ha statuito rispetto all’art. 580 del medesimo codice.

1.3.– In ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni, il Tribunale di Firenze premette che la commissione medica multidisciplinare ha acclarato la sussistenza di tutte le condizioni rilevanti in base alla citata sentenza – patologia irreversibile, sofferenze intollerabili, trattamenti di sostegno vitale, consenso libero e consapevole –, sicché è tutelato il diritto di autodeterminazione della persona nel ricorso al suicidio medicalmente assistito.

Tuttavia, la paziente versa nell’impossibilità concreta di procedere in altro modo che tramite introduzione endovena del farmaco da parte di terzi; infatti, pur teoricamente possibile, la somministrazione orale, per ingestione di soluzione farmacologica, non sarebbe immune da complicazioni in paziente disfagico.

Ad avviso del rimettente, la scelta della persona di accedere alla morte medicalmente assistita solo per infusione endovenosa, modalità peraltro approvata dalla commissione medica insieme alla procedura orale, sarebbe insindacabile, giacché motivata dall’interessata e da lei concordata con il medico di fiducia, sulla base dei rischi della somministrazione per ingestione, alla luce delle attuali condizioni cliniche.

D’altro canto, essendo paralizzata dal collo in giù, M. S. potrebbe autosomministrarsi il farmaco endovena solo con l’utilizzo di uno strumento meccanico azionato dal movimento dei muscoli della bocca o dei bulbi oculari, o da un comando vocale, dispositivo che, per quanto riferisce la stessa Azienda sanitaria competente, non è attualmente presente sul mercato, e che, quand’anche venisse nel frattempo prodotto o adattato, dovrebbe soggiacere ai tempi delle necessarie valutazioni di conformità.

Non potrebbe d’altronde escludersi che, attesa la natura progressiva della malattia, M. S. perda, medio tempore, anche l’uso residuo dei muscoli del volto e della bocca, cosicché la somministrazione endovenosa ad opera di terzo «rimarrebbe non solo la scelta ritenuta più idonea e con minori complicazioni, ma anche la sola tecnicamente possibile».

Tutto ciò considerato, l’art. 579 cod. pen., nella parte in cui non esime da punibilità chi attui materialmente l’altrui volontà suicidaria nelle condizioni identificate dal caso di specie, violerebbe innanzitutto l’art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento che verrebbe a prodursi tra situazioni sostanzialmente identiche.

Infatti, «[a] parità di condizioni (persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili) il diritto all’autodeterminazione del paziente viene a essere condizionato da un fatto (possibilità di autosomministrazione del farmaco letale) del tutto accidentale, dipendente dalla condizione clinica della persona, dalle modalità di manifestarsi della malattia e dalla sua progressione».

Anzi, «[p]aradossalmente il diritto all’autodeterminazione viene pregiudicato proprio negli stati più gravi della malattia quando, ad esempio, è totalmente compromesso l’uso degli arti e/o la capacità di deglutire, e quindi in quelle ipotesi dove ragionevolmente sono maggiori le sofferenze fisiche e psicologiche del malato».

Non si tratterebbe di ampliare le condizioni in presenza delle quali il malato può accedere alla morte medicalmente assistita, condizioni che, rimanendo le stesse indicate da questa Corte con riferimento all’art. 580 cod. pen., verrebbero applicate anche alla fattispecie di cui all’art. 579 del medesimo codice «nei casi di impossibilità di autosomministrazione».

Non sarebbe ostativa la sentenza n. 50 del 2022, con la quale questa Corte ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione parziale dell’art. 579 cod. pen., atteso che l’impossibilità di interpretare la normativa di risulta con garanzia dei limiti fissati dalla sentenza n. 242 del 2019 – argomento principale di quella declaratoria di inammissibilità – non potrebbe riferirsi al caso odierno, per il quale detti limiti resterebbero validi, tanto da essere stati favorevolmente verificati, in concreto, dalla struttura sanitaria pubblica.

L’accoglimento delle questioni in scrutinio consentirebbe pertanto l’esercizio del diritto del paziente all’autodeterminazione, «senza far venir meno la cintura di protezione al bene della vita che la norma penale assicura».

In definitiva, secondo il giudice a quo, per l’omicidio del consenziente, di cui all’art. 579 cod. pen., si riproporrebbe il vulnus già emendato da questa Corte per l’aiuto al suicidio, di cui all’art. 580 del medesimo codice, ovvero la norma incriminatrice, per l’assolutezza della sua portata, violerebbe gli evocati parametri, comprimendo in modo sproporzionato il diritto di autodeterminazione del paziente e generando un’irragionevole disparità di trattamento fra le persone malate.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni inammissibili o non fondate.

2.1.– L’inammissibilità seguirebbe quella dell’azione di accertamento esercitata nel giudizio principale, essendo la stessa diretta a superare un dubbio meramente «soggettivo», rispetto al quale la pronuncia del giudice si risolverebbe in un semplice parere, che «non potrebbe evidentemente vincolare l’autorità giudiziaria penale in ordine ad eventuali condotte successive poste in essere dalla ricorrente e dal terzo».

La controversia sottesa all’ordinanza di rimessione sarebbe quindi una lis ficta, volta unicamente al promuovimento della questione di legittimità costituzionale, in mancanza del presupposto dell’incidentalità.

2.2.– Sarebbe comunque non fondata la censura riferita all’art. 3 Cost., poiché basata sull’erroneo presupposto che questa Corte, nella giurisprudenza sul suicidio assistito, abbia riconosciuto l’esistenza di un «diritto di morire», mentre essa ha affermato solo che il malato, in determinate condizioni, ha un «potere di fatto», «di lasciarsi morire».

Non sarebbe quindi configurabile la denunciata disparità di trattamento, agganciata al raffronto tra gli artt. 580 e 579 cod. pen., il quale avrebbe senso unicamente nel «comparare due situazioni giuridiche soggettive di diritto e non due poteri di mero fatto».

In ogni caso, la comparazione sarebbe irragionevole, per «l’incomprimibile differenza tra le due ipotesi di reato», dovuta al fatto che, nell’omicidio del consenziente, diversamente che nel suicidio assistito, il soggetto passivo «perde il controllo del dinamismo esecutivo», aspetto di essenziale importanza nell’ipotesi in cui «chi ha dato il consenso abbia un ripensamento e, all’ultimo momento, decida di rimandare il momento della morte».

Sarebbe non fondata anche la censura ex artt. 2, 13 e 32 Cost., pure condizionata dall’equivoco sul diritto di morire: come emergerebbe dalla sentenza n. 50 del 2022, «il vigente quadro normativo già opera un bilanciamento tra i due diversi valori (tutela del bene della vita e rispetto della autodeterminazione)»; né sarebbe possibile la mera estensione della giurisprudenza costituzionale sul suicidio assistito all’omicidio del consenziente ex art. 579 cod. pen., dovendosi «pur sempre introdurre necessari adattamenti […] atti a consentire di non annullare la differenza della presente figura di reato rispetto a quella prevista dall’art. 580».

3.– Si è costituita in giudizio, tramite procuratore generale, M. S., che ha chiesto accogliersi le questioni di legittimità costituzionale.

3.1.– Ad avviso della parte, esse sarebbero ammissibili, perché diverso ne sarebbe il petitum, rispetto a quello del giudizio principale, quest’ultimo concernente invero l’accertamento del diritto della paziente di autodeterminarsi nella scelta di fine vita e di ottenere l’eterosomministrazione del farmaco che è impossibilitata ad autosomministrarsi, l’altro viceversa riguardante l’omessa previsione, ad opera dell’art. 579 cod. pen., di una scriminante per il personale sanitario che, in simili condizioni, effettui la richiesta somministrazione.

D’altronde, sarebbe «possibile chiedere con un’azione cautelare l’anticipazione degli effetti anche di sentenze di mero accertamento, non solo nell’ipotesi in cui venga congiuntamente proposta anche un’azione accessoria di condanna, ma anche quando il provvedimento richiesto abbia come unico oggetto il mero accertamento del diritto vantato dall’istante».

Sul piano della rilevanza delle questioni, M. S. deduce ancora che, qualora non fosse introdotta un’eccezione rispetto alla portata assoluta dell’art. 579 cod. pen., ella non potrebbe essere aiutata da alcuno, e, non potendo infondersi il farmaco da sé, si troverebbe abbandonata a una «notte senza fine».

3.2.– Le questioni sarebbero altresì fondate.

La rigidità della norma censurata determinerebbe «una irragionevole disparità di trattamento tra coloro che, pur trovandosi nelle medesime condizioni cliniche e avendo diritto alla morte volontaria, possono esercitare tale diritto in quanto fisicamente in grado di autosomministrarsi il farmaco e quanti – come l’odierna ricorrente – non hanno questa possibilità».

Ne sarebbe alterato lo stesso processo formativo della volontà, perché il malato, conscio di non poter chiedere in futuro l’eterosomministrazione, potrebbe sentirsi costretto, specialmente se la patologia è degenerativa, ad anticipare il suicidio assistito.

4.– Sono intervenuti in giudizio, tramite procuratori generali, V. L. e M. G., opponendosi all’accoglimento delle questioni.

Rappresentando di trovarsi in condizioni cliniche analoghe a quelle di M. S., gli intervenienti dichiarano la propria ferma volontà di «rimanere comunque loro stessi i padroni esclusivi e assoluti non solo della scelta di morire, ma anche del compimento materiale di un eventuale atto dispositivo che – si augurano mai accada – dovessero scegliere di compiere».

Gli intervenienti medesimi si oppongono dunque all’introduzione di una qualunque deroga applicativa dell’art. 579 cod. pen., che «assottiglierebbe la cintura posta a protezione della loro vita, un cui tassello irrinunciabile è dato dalla conservazione, senza eccezioni, della sua inviolabilità, anche a fronte della maturazione di una volontà di morire e di una richiesta di essere uccisi».

5.– Sono pervenute sette opinioni scritte di amici curiae, tutte ammesse con decreto presidenziale del 5 giugno 2025.

5.1.– Nella propria opinione, l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica APS deduce che l’accoglimento delle questioni sollevate dal Tribunale di Firenze si risolverebbe nell’estensione della procedura e delle garanzie introdotte dalla sentenza n. 242 del 2019 alla fattispecie della somministrazione eteronoma, mentre l’omesso accoglimento «determinerebbe una gravissima discriminazione ai danni delle persone malate che, a causa della impossibilità fisica ad autosomministrarsi il farmaco letale, si trovano addirittura in condizioni peggiori rispetto a quelle che oggi possono accedere al suicidio medicalmente assistito».

Per l’Associazione Coscioni, la sentenza n. 50 del 2022, pur avendo dichiarato inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione parziale dell’art. 579 cod. pen., ha escluso che quest’ultimo contenga una disciplina immodificabile, sicché, nell’inerzia protratta del legislatore, sarebbe necessario che questa Corte anche qui riconoscesse il bilanciamento delle tutele di cui alla sentenza n. 242 del 2019.

5.2.– In modo analogo, l’opinione presentata dall’Associazione A buon diritto Onlus APS assume che l’eventuale rigetto delle questioni odierne negherebbe quel bilanciamento tra diritto alla vita e diritto all’autodeterminazione, che questa Corte ha invece ritenuto necessario in tema di fine vita.

5.3.– Nel suo scritto, la Consulta di bioetica Onlus osserva che M. S. è in acclarato possesso di tutti i requisiti di ammissione al suicidio assistito, stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, avendo ella «seguito pedissequamente l’iter metodologico indicato».

La Consulta di bioetica sostiene che anche per l’eterosomministrazione, come per il suicidio assistito, la cooperazione della struttura sanitaria pubblica sia indispensabile, essendo il farmaco terminale «a esclusiva dispensa ospedaliera», dovendosi quindi affermare che l’azienda sanitaria «non possa negare i farmaci necessari che sono ad essa sola disponibili e la prestazione esecutiva di quello che deve ritenersi, comunque, un trattamento medico sanitario».

5.4.– L’Associazione Liberididecidere, la Leo Foundation ASSL e l’Associazione Avvocati matrimonialisti italiani (AMI), nella loro opinione congiunta, insistono sull’«identità sostanziale» tra la fattispecie oggetto delle odierne questioni e quella del suicidio medicalmente assistito, identità al cospetto della quale una differenza di trattamento giuridico comporterebbe un’irragionevole «discriminazione tra malati».

5.5.– L’opinione presentata unitariamente dal Centro studi Rosario Livatino, dall’Unione per la promozione sociale - ODV e dal Comitato per la pubblica agenda sussidiaria e condivisa "Ditelo sui tetti” (Mt. 10.27) esclude possa configurarsi una lesione dell’autodeterminazione del malato quando sia praticabile una modalità di suicidio assistito – l’assunzione orale del farmaco – ritenuta idonea dai sanitari.

L’opinione denuncia quindi una contraddizione interna all’ordinanza di rimessione, che presupporrebbe l’impossibilità di autosomministrazione del farmaco e tuttavia, al contempo, riconoscerebbe che l’autosomministrazione è, in qualche modo, ancora possibile.

Si insiste poi sul differente ruolo causale del terzo nell’aiuto al suicidio e nell’atto eutanasico, solo nel primo restando il gesto terminale sotto il dominio del paziente.

5.6.– L’opinione presentata dal Centro Studi Scienza & Vita, insieme all’Associazione Unione giuristi cattolici italiani (UGCI), torna sul difetto di incidentalità delle questioni, relative a una norma penale che sarebbe estranea all’oggetto del procedimento ex art. 700 cod. proc. civ.

Comunque, secondo detta opinione, «[l]a discrezionalità in tale ambito risiede al solo Parlamento, vista la delicatezza dei valori in gioco»; il coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale «nel cagionare la morte di un paziente rappresenta, invero, lo stravolgimento delle finalità per le quali è sorto e della sua stessa essenza».

5.7.– Infine, nella sua opinione, il Movimento per la vita italiano - Federazione dei movimenti per la vita e dei centri di aiuto alla vita d’Italia sottolinea come la fattispecie sia diversa da quella dei precedenti giurisprudenziali sul suicidio assistito: qui il paziente è ancora in vita, sicché «è richiesta alle istituzioni l’attivazione di garanzie specifiche per rendere effettivo il dovere di tutela della vita umana».

Reputa il Movimento per la vita che le questioni sollevate dal Tribunale di Firenze debbano essere quindi disattese, anche perché, essendo scaturite dalla transitoria indisponibilità di strumentazione idonea, le questioni stesse sarebbero basate «su un mero fatto».

6.– In prossimità dell’udienza pubblica, hanno depositato memorie il Presidente del Consiglio dei ministri, la difesa di M. S. nonché quella degli intervenienti V. L. e M. G.

6.1.– Richiamato il suo atto di intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri è tornato «ad escludere in radice la possibilità stessa di qualificare la posizione giuridica soggettiva oggetto del procedimento principale (e segnatamente la richiesta afferente alla "possibilità di accedere alla somministrazione eteronoma” del farmaco letale) quale "diritto” azionabile giudizialmente».

Per l’Avvocatura dello Stato, «mettere la propria vita nelle mani di chi sarà il proprio omicida non è una situazione comparabile a chiedere ad un terzo aiuto al suicidio», e invero «[l]’esistenza di condizioni patologiche che comportino un diverso atteggiarsi della condotta del terzo tale da uscire dal perimetro del reato di aiuto al suicidio, per entrare nel perimetro del più grave reato di omicidio del consenziente esclude in radice l’esistenza di situazioni comparabili sul piano della parità di trattamento».

6.2.– La memoria di M. S. replica alle eccezioni statali di inammissibilità.

Deduce infatti che la questione di legittimità costituzionale può ben cadere su una norma – nella specie, l’art. 579 cod. pen. – che, pur non direttamente applicabile nella decisione del giudizio principale, su di essa comunque incida: «non è dirimente quindi la natura "penale” della norma censurata rispetto alla natura "civile” del giudizio a quo» – assume la parte – «trattandosi all’evidenza di due facce della stessa medaglia».

Nel merito, viene rappresentato, col sostegno di un’allegata relazione medica, che «il "rifiuto” di [M. S.] di assumere il farmaco per via orale non rappresenta un "capriccio” bensì è dettato dal terrore […] che l’assunzione del farmaco per via orale non vada a buon fine».

La parte ribadisce che il divieto assoluto di cui all’art. 579 cod. pen., «nei casi in cui sussistano tutte le garanzie previste per l’aiuto al suicidio», enfatizza «una distinzione formalistica, ma priva di giustificazione sostanziale, tra autosomministrazione e somministrazione eterodiretta».

A sua volta, la difesa di M. S. eccepisce l’inammissibilità dell’intervento di V. L. e M. G., poiché «l’eventuale accoglimento della questione di legittimità costituzionale non avrebbe alcuna incidenza sulla loro posizione soggettiva», in quanto essi, ovviamente, «non potrebbero mai essere obbligati a una simile procedura».

6.3.– La memoria di V. L. e M. G. si sofferma sulla qualificazione del loro interesse a intervenire.

Essi tornano a indicare la necessità «che sia garantita la tutela loro accordata oggi dallo Stato, nel godimento del diritto alla vita, alla dignità e alla autodeterminazione terapeutica, tramite la conservazione del divieto fissato dall’art. 579 cod. pen.», ogni deroga implicando «la formulazione di un giudizio di minor meritevolezza di tutela e, quindi, di minore valore del bene della loro vita, sulla base di un criterio di qualità».

Le odierne questioni sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza, essendo il giudizio principale volto a ottenere «un inaudito provvedimento interinale di "autorizzazione a delinquere”», e potendo comunque M. S. procedere al suicidio assistito tramite assunzione orale del farmaco.

Nel merito si insiste sul raffronto tra gli artt. 579 e 580 cod. pen., adducendo la «diversità naturalistica» delle condotte rispettivamente previste, il «diverso disvalore» manifestato dal relativo trattamento sanzionatorio e le corrispondenti «finalità di tutela, contigue, ma non del tutto sovrapponibili».

7.– Si era costituita in giudizio, e aveva presentato memoria, l’Azienda Usl Toscana Nord Ovest, chiedendo che le questioni fossero dichiarate inammissibili o non fondate.

L’Azienda ha poi formalizzato la rinuncia agli atti del giudizio incidentale.

8.– In data 4 luglio 2025, quindi fuori termine rispetto alla data fissata per l’udienza pubblica dell’8 luglio 2025, la difesa di V. L. e M. G. ha presentato ulteriore memoria, con allegazione documentale.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 579 cod. pen., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017, attui materialmente la volontà suicidaria, autonomamente e liberamente formatasi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente, quando la stessa persona, per impossibilità fisica e per assenza di strumentazione idonea, non possa materialmente procedervi in autonomia o quando comunque le modalità alternative di autosomministrazione disponibili non siano accettate dalla persona sulla base di una scelta motivata che non possa ritenersi irragionevole.

1.1.– Il rimettente espone di essere chiamato a giudicare sul ricorso per provvedimento d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., presentato da M. S., persona affetta da sclerosi multipla a decorso progressivo primario, la quale chiede sia accertato il proprio «diritto fondamentale ad autodeterminarsi nelle scelte terapeutiche in materia di fine vita, nella sua declinazione del diritto di scegliere, in modo libero, consapevole e informato, di procedere alla somministrazione del farmaco letale in modalità eteronoma e dunque da parte del personale sanitario».

Il giudice a quo riferisce che la ricorrente versa nelle condizioni individuate da questa Corte, con la sentenza n. 242 del 2019, per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, tanto essendo stato verificato dalla competente azienda sanitaria, su parere favorevole del comitato etico territorialmente competente.

Il rimettente aggiunge tuttavia che M. S., la cui malattia è progredita fino a completa tetraparesi, non è in grado di attivare manualmente la pompa infusionale del farmaco letale, sicché, non essendo disponibili sul mercato dispositivi di autosomministrazione azionabili con la voce o con movimenti della bocca o degli occhi, ella chiede che le venga riconosciuto il diritto di ricorrere alla somministrazione da parte di un terzo, indicato nella persona del suo medico di fiducia.

Il Tribunale di Firenze precisa infine che, pur essendo teoricamente possibile l’assunzione del farmaco per via orale, M. S., essendo affetta da disfagia, rifiuta questa modalità alternativa, perché rischiosa, e chiede di poter attuare la propria volontà di congedo dalla vita con una somministrazione per via endovenosa.

1.2.– Circa la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, il rimettente assume che nulla osti sul piano dell’ammissibilità dell’invocata tutela cautelare, essendo la progressione della malattia neurodegenerativa incompatibile con i tempi della cognizione ordinaria, e avendo la ricorrente urgenza di sentire affermata la liceità dell’eterosomministrazione del farmaco, onde poter attuare l’eventuale scelta di fine vita.

Sempre ad avviso del rimettente, il giudizio principale e il giudizio incidentale non avrebbero petita coincidenti, le questioni di legittimità costituzionale riguardando una norma penale che incrimina la condotta del terzo, laddove il giudizio principale concerne l’accertamento del diritto della ricorrente all’autodeterminazione.

Nel medesimo tempo, la sanzione prevista dall’art. 579 cod. pen. per l’omicidio del consenziente impedirebbe alla ricorrente di ottenere la cooperazione di un terzo nell’attuazione materiale del proposito suicidario.

L’indisponibilità di un dispositivo di autosomministrazione del farmaco azionabile con la voce, tramite la bocca o con gli occhi renderebbe attuali le questioni, insieme al non irragionevole rifiuto della paziente di una modalità alternativa – l’assunzione orale – non immune da rischi e complicanze.

1.3.– La motivazione della non manifesta infondatezza delle questioni si basa sulla considerazione che la struttura sanitaria pubblica ha ritenuto che M. S. si trovi nelle condizioni previste dalla sentenza n. 242 del 2019, ipotesi nella quale è tutelato il diritto di autodeterminazione del malato tramite il suicidio medicalmente assistito, e sulla considerazione altresì che l’art. 579 cod. pen., nella parte in cui non esime da punibilità chi attui materialmente l’altrui volontà suicidaria nelle condizioni identificate dal caso di specie, impedisca al paziente di realizzare la sua scelta di fine vita in conseguenza di un dato puramente accidentale, qual è la compromissione dell’uso delle mani determinata dalla progressione della malattia.

Sarebbe dunque violato l’art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento che verrebbe a prodursi tra malato e malato, i quali pure versino in situazioni sostanzialmente identiche.

Sarebbero violati anche gli artt. 2, 13 e 32 Cost., perché l’assolutezza del divieto sancito dall’art. 579 cod. pen. impedirebbe a chiunque di soccorrere il paziente nell’attuazione di una legittima scelta di fine vita, che il paziente stesso non è in grado di realizzare da sé.

2.– Va anzitutto ribadita l’ammissibilità dell’intervento di V. L. e M. G., per le ragioni indicate nell’ordinanza dibattimentale, letta in udienza e allegata alla presente sentenza.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato plurime eccezioni di inammissibilità.

Analoghe eccezioni hanno formulato gli intervenienti V. L. e M. G., con argomenti che ricorrono anche in alcune opinioni degli amici curiae.

Involgenti i requisiti della rilevanza, dell’incidentalità e della pregiudizialità, tali eccezioni possono così sintetizzarsi:

1) sarebbe inammissibile la domanda cautelare avanzata nel giudizio principale, in quanto diretta a un accertamento non connesso a un interesse ad agire, atteso il carattere meramente soggettivo del dubbio manifestato dalla ricorrente;

2) la controversia nel cui ambito è stata emessa l’ordinanza di rimessione sarebbe una lis ficta, preordinata unicamente al promuovimento della questione di legittimità costituzionale, non essendovi invero differenza tra l’oggetto del giudizio principale e quello del giudizio incidentale;

3) l’accertamento chiesto da M. S. riguarderebbe una norma penale, sull’omicidio del consenziente, a lei inapplicabile quale soggetto passivo, una norma quindi estranea all’oggetto del procedimento ex art. 700 cod. proc. civ. che ella ha instaurato;

4) la pronuncia del giudice della cautela civile, ove pure di accoglimento della domanda di accertamento, sarebbe inidonea a vincolare l’autorità giudiziaria penale in ordine all’eventuale condotta del terzo, autore della somministrazione del farmaco;

5) sarebbe contraddittorio l’argomentare del rimettente circa l’impossibilità di M. S. di procedere al suicidio assistito, e quindi circa la necessità dell’intervento di un terzo, poiché l’ordinanza riferisce della possibilità dell’assunzione orale del farmaco;

6) l’indisponibilità sul mercato di una strumentazione idonea all’autosomministrazione del farmaco rappresenterebbe un mero fatto, insufficiente a fondare la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata.

Queste tesi non colgono nel segno, e le eccezioni che vi corrispondono si rivelano, quindi, prive di fondamento.

È dovere di questa Corte darne conto, pur in una pronuncia di inammissibilità determinata da altra e differente ragione, in quanto, rispetto a quest’ultima, le eccezioni stesse si presentano come logicamente preliminari.

3.1.– Innanzitutto, per quanto riguarda l’interesse ad agire in accertamento, da tempo la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto non determinante l’attualità della lesione del diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza che sia rimovibile soltanto con l’intervento del giudice (ex multis, Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 30 gennaio 2023, n. 2765; sezione lavoro, sentenza 31 luglio 2015, n. 16262; seconda sezione civile, sentenza 26 luglio 2006, n. 17026).

Nel caso di specie, la ricorrente agisce per rimuovere un reale stato di incertezza sul fatto che il suo diritto di accedere alla procedura di suicidio assistito (già riconosciutole dall’Azienda sanitaria territorialmente competente) possa legittimare la somministrazione del farmaco letale da parte di personale sanitario, essendo ella impossibilitata a provvedervi da sola.

La configurabilità di questa specifica declinazione del diritto della paziente ad autodeterminarsi (ovvero, la sua effettiva riconducibilità a quanto statuito dalla sentenza n. 242 del 2019) è controversa e la ricorrente ha un evidente interesse a sapere se possa o meno chiedere a un terzo di aiutarla, senza esporlo con ciò stesso a responsabilità penale.

Il Tribunale di Firenze ha specificamente motivato sul punto: «la necessità di esperire un’azione di accertamento nel giudizio principale si fonda sulla necessità per la ricorrente di conoscere la effettiva possibilità di ottenere lecitamente la somministrazione eteronoma del farmaco per via endovenosa, circostanza rilevante al fine di potersi orientare e compiere consapevolmente le proprie scelte in materia di fine-vita».

Trattasi di una motivazione plausibile, in grado di superare il vaglio di questa Corte in punto di rilevanza, interesse ad agire e ricorrere, vaglio che – per costante giurisprudenza costituzionale – è limitato a un controllo esterno di non implausibilità (tra molte, sentenze n. 62 del 2025, n. 75 e n. 4 del 2024, n. 193 del 2022).

D’altronde, a partire dalle sentenze n. 1 del 2014 e n. 35 del 2017, questa Corte ha avuto modo di affermare, riguardo a questioni incidentali sollevate nei giudizi di accertamento sul diritto di voto per le elezioni politiche, che, se l’ordinanza di rimessione contiene una motivazione non implausibile circa la sussistenza dell’interesse ad agire nel giudizio principale e se questo verte su un diritto fondamentale, la rilevanza della questione è assicurata, purché giudizio principale e giudizio incidentale non abbiano oggetto coincidente e occorra evitare la creazione di una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale.

Della non implausibilità della motivazione espressa dal Tribunale di Firenze in ordine all’interesse ad agire si è appena detto, né può dubitarsi del carattere fondamentale delle scelte che concernono la propria esistenza e la propria morte, implicate nell’autodeterminazione, quale situazione soggettiva tutelata, pur suscettibile di necessario bilanciamento col diritto al bene della vita, tale essendo il nucleo della giurisprudenza di questa Corte in tema di fine vita.

Quanto all’azione cautelare esperita da M. S., quest’ultima ha fatto valere la sua istanza di accertamento in via d’urgenza. D’altra parte, un controllo che intervenisse solo ex post, nel giudizio penale avente ad oggetto l’imputazione ex art. 579 cod. pen. nei confronti del terzo, riguarderebbe l’esistenza di una causa di non punibilità relativa al medesimo e non anche l’accertamento del diritto ad autodeterminarsi della persona già ammessa alla procedura di suicidio medicalmente assistito, situazione soggettiva rispetto alla quale si creerebbe, appunto, una zona franca dal sindacato costituzionale.

Sull’ultimo requisito indicato dalla giurisprudenza di questa Corte poc’anzi richiamata, ovvero che l’oggetto del giudizio principale non si esaurisca in quello del giudizio incidentale, vale anche quanto di seguito si osserva sull’eccezione di fictio litis.

3.2.– L’accertamento chiesto da M. S. al Tribunale di Firenze ha ad oggetto il ruolo causale del terzo, ricondotto alla previsione dell’art. 579 cod. pen., ovvero alla norma censurata nell’incidente di costituzionalità, ma non si limita ad esso, estendendosi invece a tutti gli altri requisiti di esercizio del diritto ad autodeterminarsi, sicché va esclusa la coincidenza dei petita, e potendosi altresì escludere che quella intrapresa dalla ricorrente sia una ficta lis.

La ricorrente, infatti, non agisce per ottenere la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma, ma per l’accertamento del diritto di autodeterminarsi anche al fine dell’esecuzione dell’eventuale proposito di congedarsi dalla vita. Sicché spetta al giudice a quo valutare se tale interesse possa essere tutelato già sulla base della normativa vigente, ovvero – in caso negativo – se sussistano i presupposti per una questione di legittimità costituzionale relativa alla disposizione che impedisce il soddisfacimento di quell’interesse. Il petitum prospettato dalla ricorrente nel giudizio principale e la questione sollevata nel giudizio incidentale hanno dunque oggetto ed estensione diversi.

La riprova si trae dalla persistenza di un margine di autonomia decisoria del giudice a quo pur dopo l’eventuale sentenza di accoglimento di questa Corte; infatti, anche ove fosse introdotta per additiva la scriminante oggetto dell’incidente di costituzionalità, quindi ammesso l’intervento attivo del terzo, potrebbe ancora quel giudice ritenere insussistenti gli altri requisiti di esercizio del diritto all’autodeterminazione, e quindi respingere la domanda di accertamento. Invero, allo stato della procedura, è intervenuto soltanto, e unicamente in sede amministrativa, l’accertamento della sussistenza dei requisiti, già definiti da questa Corte, per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, sicché sussiste l’interesse a ottenere l’intervento del giudice al fine dell’accertamento del diritto della ricorrente ad autodeterminarsi nel senso da lei indicato. Questo profilo appare evidente riguardo alla decisione libera e consapevole, richiesta dalla sentenza n. 242 del 2019, la cui sussistenza deve essere verificata dal giudice in termini di attualità.

Non persuade l’argomento speso dall’Avvocatura dello Stato nella discussione in udienza, secondo il quale la natura fittizia dell’azione cautelare esercitata da M. S. dovrebbe evincersi dalla circostanza che ella, nel ricorso ex art. 700 cod. proc. civ., non avrebbe formulato domande specifiche nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della salute, che pure ha chiamato a contraddire.

In realtà, nei confronti di queste amministrazioni una domanda è stata spiegata, seppur non di condanna, ma, appunto, di accertamento e tale domanda non poteva che indirizzarsi verso i soggetti potenzialmente coinvolti dalla successiva attuazione del diritto da accertare, mentre rientra nel potere del giudice a quo estendere il contraddittorio, come qui è avvenuto nei confronti dell’Azienda Usl Toscana Nord Ovest.

3.3.– Non è meritevole di accoglimento neppure l’argomento per cui l’art. 579 cod. pen. sarebbe estraneo alla fattispecie oggetto del giudizio principale, poiché esso sembra enfatizzare un aspetto – quello della natura penale della norma rispetto alla natura civile del giudizio – che non è, invece, dirimente, considerato il principio di unità dell’ordinamento giuridico.

In forza di tale principio, il giudice civile non potrebbe esprimere l’accertamento positivo richiestogli da M. S. senza avere verificato l’insussistenza di norme imperative, anche penali, contrarie al diritto che ne costituisce l’oggetto.

Per giurisprudenza costante di questa Corte, il requisito dell’incidentalità è integrato ove la questione investa una norma che il rimettente deve applicare come «passaggio obbligato» per risolvere la controversia oggetto del giudizio principale (ex multis, sentenze n. 169 del 2022, n. 46 del 2021 e n. 224 del 2020).

Nel caso di specie, l’art. 579 cod. pen. segna un passaggio obbligato sulla strada dell’accertamento chiesto al rimettente, in quanto la norma penale, vietando proprio la condotta integrativa del diritto reclamato da M. S., si pone come vero e proprio ostacolo giuridico alla sua affermazione.

3.4.– Inconsistente si rivela altresì, e per analoghi motivi, l’obiezione secondo la quale un provvedimento d’urgenza eventualmente favorevole a M. S., che ne accertasse il diritto ad autodeterminarsi nell’attuazione dell’eventuale proposito suicidario tramite intervento di un terzo, sarebbe inidoneo a vincolare l’autorità giudiziaria penale quanto alla condotta del terzo medesimo.

Anche questo argomento sconta la non condivisibile tendenza a compartimentare l’ordinamento per settori.

In realtà, ove questa Corte, entrando nel merito delle questioni, e accogliendole, riconoscesse la necessità costituzionale di un’area di non punibilità per una determinata fattispecie, la scriminante varrebbe anche in sede penale, ove pure il giudizio a quo sia stato di natura civile. Infatti, se la domanda oggetto del giudizio principale fosse accolta, in un eventuale futuro processo penale a carico dell’autore della somministrazione, quest’ultimo potrebbe certamente invocare una causa di non punibilità riferita al provvedimento di un giudice.

3.5.– Quanto all’ulteriore profilo di inammissibilità per contraddittorietà, è vero che il Tribunale di Firenze riferisce dell’astratta possibilità di M. S. di procedere al suicidio assistito senza l’intervento di un terzo, o almeno senza l’intervento di questi con una somministrazione endovenosa, ma ciò non inficia l’ordinanza di rimessione quando postula come inevitabile tale intervento per corrispondere alla volontà della paziente, una volta manifestata.

Nell’ordinanza medesima è infatti spiegato come, ad avviso del giudice a quo, «non pare che possa sindacarsi la scelta manifestata dalla paziente, non espressione di una mera preferenza immotivata, ma una scelta concordata con il medico di fiducia, sulla base delle possibili complicazioni della somministrazione orale, valutate anche le condizioni fisiche del malato».

Nella prospettiva del rimettente, pur entrambe teoricamente possibili, le due modalità di somministrazione attuative della volontà suicidaria – per vena o per bocca – non sono equivalenti rispetto all’esistenza dei rischi di complicanze, e allo stesso comprensibile desiderio della paziente di non avventurarsi in una procedura, quella di ingestione, resa incerta dalla disfagia per solidi e liquidi, dalla quale ella è parimenti affetta.

3.6.– La natura fattuale della ritenuta indisponibilità di una strumentazione idonea all’autosomministrazione del farmaco nel caso in esame, o in casi analoghi, non è di per sé ostativa all’accesso al merito delle questioni, poiché il fatto che paralizza l’esercizio di un diritto esibisce un’innegabile giuridicità, divenendo parte costitutiva di una fattispecie giuridica.

In altri termini, proprio per la stretta inerenza alla possibilità di esercizio del diritto all’autodeterminazione, la circostanza della quale trattasi non rappresenta un mero inconveniente di fatto, del quale– in base alla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 35 del 2017 e n. 219 del 2016; ordinanze n. 66 del 2014 e n. 112 del 2013) – possa predicarsi l’irrilevanza ai fini del giudizio di legittimità costituzionale.

4.– Tuttavia, il giudice a quo non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti e per tale ragione le questioni sono inammissibili.

4.1.– L’ordinanza di rimessione si esprime sul punto con esclusivo richiamo all’interlocuzione intercorsa con l’Azienda Usl Toscana Nord Ovest, la quale, tramite l’ente regionale di supporto tecnico-amministrativo, avrebbe constatato che «tali dispositivi non sono presenti sul mercato», riferendo che, di conseguenza, si è «pubblicato un avviso di consultazione di mercato, finalizzata a individuare potenziali fornitori, in modo da poter individuare un percorso di acquisto il più possibile confacente alle necessità espresse».

Tale esposizione appare carente e inadeguata, proprio su un aspetto che lo stesso rimettente presenta come essenziale alla definizione della fattispecie, ovvero – così nella formulazione del petitum – «l’assenza di strumentazione idonea».

In particolare, per quanto riferisce nell’ordinanza di rimessione, il Tribunale di Firenze sembra essersi arrestato al piano dell’azione di un ente locale di committenza, non andando oltre la presa d’atto delle semplici ricerche di mercato di una struttura operativa del Servizio sanitario regionale.

Le verifiche concernenti l’esistenza della strumentazione idonea e, in caso affermativo, la concreta disponibilità della stessa avrebbero richiesto il coinvolgimento di organismi specializzati operanti, col necessario grado di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l’Istituto superiore di sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale, al quale sono assegnate specifiche funzioni istituzionali di natura consultiva, anche per le aziende sanitarie locali (art. 9 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, recante «Istituzione del servizio sanitario nazionale»).

In proposito, non può non ricordarsi che, nell’ordinanza con la quale la Corte di assise di Milano ha rimesso a questa Corte la questione poi decisa con la sentenza n. 242 del 2019, si dava atto che il suicidio, agevolato in quella occasione, era avvenuto, in Svizzera, da parte di persona affetta da tetraplegia, mediante attivazione con la bocca di uno stantuffo, che aveva consentito l’infusione nelle sue vene del farmaco letale.

L’incompletezza dei riferimenti circa l’esistenza di idonei dispositivi di autosomministrazione, per di più nel sostanziale difetto di un’attività istruttoria amministrativa o giudiziale, rende perplessa la descrizione della fattispecie, il che ridonda in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione (ex multis, sentenze n. 187 del 2024, n. 198 del 2023 e n. 249 del 2022).

4.2.– Il mancato approfondimento, per quanto risulta dall’ordinanza di rimessione, in ordine alla reperibilità di strumenti di autosomministrazione per persone con tetraparesi, oltre a rendere inammissibili le questioni in scrutinio, rischia altresì di ledere l’autodeterminazione di M. S., la quale, ove tali dispositivi esistessero, e potessero essere reperiti in tempi ragionevolmente correlati al suo stato di sofferenza, avrebbe diritto ad avvalersene.

Deve infatti affermarsi che la persona rispetto alla quale sia stata positivamente verificata, nelle dovute forme procedurali, la sussistenza di tutte le condizioni da questa Corte indicate nella sentenza n. 242 del 2019 e precisate nella sentenza n. 135 del 2024 – ovvero, l’esistenza di una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, avvertite come assolutamente intollerabili da una persona tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, o per la quale simili trattamenti sono stati comunque indicati, anche se rifiutati, e tuttavia capace di prendere decisioni libere e consapevoli – ha una situazione soggettiva tutelata, quale consequenziale proiezione della sua libertà di autodeterminazione, e segnatamente ha diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego.

Alla luce delle menzionate sentenze, è infatti la struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, affiancata dal comitato etico territorialmente competente, a verificare, insieme alle condizioni legittimanti, anche le modalità di esecuzione del suicidio medicalmente assistito, nell’esplicazione di un doveroso ruolo di garanzia che è, innanzitutto, presidio delle persone più fragili.

Giova in proposito ricordare che, nella citata sentenza n. 242 del 2019 (Considerato in diritto, punto 5), questa Corte ha già avuto modo di affermare che alle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale «spetterà altresì verificare le relative modalità di esecuzione, le quali dovranno essere evidentemente tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze».

5.– Per tutto quanto esposto, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze devono essere dichiarate inammissibili.

Qualora da rinnovata e più estesa istruttoria emergesse la reperibilità, nei tempi ragionevoli sopra indicati, di strumenti di autosomministrazione della sostanza capace di porre fine alla vita attivabili da persone nello stato clinico di M. S., e qualora essi risultassero utilizzabili, nelle condizioni date, il Servizio sanitario nazionale dovrà prontamente acquisirli e metterli a disposizione del paziente che sia stato ammesso alla procedura di suicidio medicalmente assistito.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 579 del codice penale sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, quarta sezione civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 luglio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Stefano PETITTI, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2025

 

Allegato:

Ordinanza letta all'udienza dell'8 luglio 2025