Ordinanza n. 63 del 2025

ORDINANZA N. 63

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Giovanni AMOROSO;

Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Napoli, nona sezione penale, nel procedimento penale a carico di A. C., con ordinanza del 24 maggio 2023, iscritta al n. 102 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2025 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2025.


Ritenuto che, con ordinanza del 24 maggio 2023, depositata presso la cancelleria di questa Corte il 15 maggio 2024 e iscritta al n. 102 del registro ordinanze 2024, il Tribunale ordinario di Napoli, nona sezione penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice penale, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che il rimettente espone di dover giudicare della responsabilità penale di A. C., chiamato a rispondere del delitto di circonvenzione di persone incapaci di cui all’art. 643 cod. pen., asseritamente commesso in danno della madre, allora convivente con l’imputato e successivamente deceduta;

che alla base di tale imputazione vi sarebbe l’atto di vendita da parte della madre della casa familiare, cui la donna – qualificata come «persona offesa» del reato – sarebbe stata indotta, «per effetto dell’abuso della sua infermità e quindi incapacità naturale al momento dell’alienazione», dall’imputato;

che danneggiato dal reato sarebbe il fratello dell’imputato;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente rammenta anzitutto che sulla legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. pen. si è già espressa la sentenza n. 223 del 2015 di questa Corte;

che rispetto ad allora, tuttavia, dovrebbe registrarsi la sopravvenuta e innovativa disciplina introdotta con la legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), «che contempla tra i reati contro le fasce deboli anche quelli in ambito famigliare e la procedibilità d’ufficio» per il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi di cui all’art. 572 cod. pen.;

che il giudice a quo pone in evidenza, in particolare, che l’art. 572 cod. pen. punisce in ogni caso i maltrattamenti «e quindi le vessazioni in ambito familiare, anche non violente», pure se commesse nei confronti di ascendenti o discendenti, con un regime di procedibilità d’ufficio, mentre l’art. 649 cod. pen. prevede la non punibilità della circonvenzione di incapaci realizzata in danno di ascendenti o discendenti e la procedibilità a querela di quella commessa in danno del fratello o della sorella non conviventi;

che, ad avviso del rimettente, «[t]ale disparità di trattamento appare irragionevole perché anche per vessazioni o fatti di minore gravità non esclude la punibilità nei rapporti tra coniugi conviventi e la procedibilità è d’ufficio, mentre nell’ipotesi di circonvenzione di incapaci esclude la punibilità, in considerazione del c.d. sentimento famigliare senza rimedi per la persona offesa che è peraltro l’unica legittimata a proporre querela»;

che le due incriminazioni sarebbero, d’altra parte, omogenee sul piano degli interessi tutelati;

che l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata risulterebbe dalla circostanza che il delitto di circonvenzione è «posto a tutela di beni personali, qual[i] la libertà di determinazione del soggetto infermo di mente oppure incapace naturale il quale si determina al compimento dell’atto di disposizione per effetto dell’abuso che il reo fa di tale infermità inducendolo a compiere un atto pregiudizievole per l’incapace», restando invece sullo sfondo la tutela del patrimonio;

che, per altro verso, la lesione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. consisterebbe «nel fatto che la persona offesa, disabile o inferma, non autonoma nel provvedere ai propri interessi, se non interdetta o dichiarata incapace legale, è l’unico soggetto legittimato a proporre querela e non può difendersi contro l’abuso commesso ai suoi danni dal congiunto (coniuge o discendente)», e ciò «anche in considerazione della circostanza che la residuale tutela civilistica dell’art. 2043 c.c. consente soltanto di ottenere la dichiarazione di nullità del contratto ma non il c.d. reato in contratto che può essere accertato soltanto in dibattimento penale»;

che vi sarebbe dunque «una violazione del principio di proporzionalità tra lesione e procedibilità d’ufficio»;

che, inoltre, ad avviso del giudice a quo la disposizione censurata «non contempla un’estensione della legittimazione a proporre querela anche in favore del danneggiato, che subisce, come nella vicenda processuale del giudizio a quo, un danno definitivo e non rimediabile se non in sede di giudizio civile, per effetto dell’abuso del reo, quando la persona offesa non possa più essere chiamata a testimoniare né possa proporre querela perché deceduta»;

che, con riguardo alla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, il rimettente ne afferma la natura «decisiva, perché riconosce[re] l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 cp nella parte in cui non prevede la punibilità del reo comporta la risoluzione del caso relativo al riconoscimento di responsabilità penale del congiunto qualora risulti in concreto aver commesso un abuso della condizione di infermità dell’incapace circonvenuto»;

che, in definitiva, la disposizione censurata sarebbe costituzionalmente illegittima «nella parte in cui prevede la non punibilità del delitto di circonvenzione di incapaci quando esso sia realizzato in danno di ascendenti o discendenti, nel quale caso si procede d’ufficio ma il reato non è punibile; oppure in relazione all’ipotesi di delitto di circonvenzione posto in essere in danno del fratello o della sorella non conviventi», ipotesi quest’ultima in cui «il delitto è procedibile a querela»;

che, più innanzi, il giudice a quo precisa che la disposizione censurata risulterebbe contraria a Costituzione «nella parte in cui esclude la punibilità del reo autore di circonvenzione di incapace, mentre nei delitti contro famigliari come nel delitto di maltrattamenti ai sensi dell’art. 572 cp la procedibilità è d’ufficio e non si prevede alcuna causa di non punibilità in ossequio al sentimento famigliare anche nelle ipotesi di condotte non violente poste in essere in danno di congiunti»;

che, conclusivamente, si assume che la disposizione censurata sarebbe costituzionalmente illegittima «nella parte in cui limita la legittimazione alla querela soltanto alla persona offesa che sia incapace e circonvenuta ed esclude la punibilità in ragione del sentimento famigliare mentre l’art. 572 cp prevede la procedibilità d’ufficio per il delitto di maltrattamenti contro famigliari»;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate;

che l’inammissibilità deriverebbe, anzitutto, dal «difetto di rilevanza dovuta a insufficiente descrizione della fattispecie», difettando nello specifico «una lineare e coerente descrizione della condotta dell’imputato e del suo modus operandi», soprattutto al fine di escludere che, nel caso di specie, possa ravvisarsi un comportamento violento del reo, rilevante ai sensi del terzo comma della disposizione censurata;

che, in secondo luogo, sussisterebbe una «inadeguata o carente motivazione della non manifesta infondatezza», giacché il rimettente, pur dubitando della legittimità costituzionale dei primi due commi dell’art. 649 cod. pen., prenderebbe in considerazione soltanto il secondo comma, senza confrontarsi invece con il primo e, in ogni caso, non illustrerebbe le ragioni dell’affermata lesione del «diritto di difesa della persona offesa»;

che le questioni sollevate sarebbero, comunque, infondate;

che, con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 3 Cost., il giudice rimettente comparerebbe disposizioni dissimili in rapporto al bene giuridico protetto;

che, infatti, mentre l’art. 572 cod. pen. proteggerebbe «l’incolumità psico-fisica di coloro che, in ragione del tipo di rapporto instaurato, possono trovarsi in condizione di minorata difesa o di maggiore vulnerabilità», l’art. 643 cod. pen. tutelerebbe unicamente «l’integrità patrimoniale dell’incapace», o quantomeno «la libertà di autodeterminazione del minorato psichico in ordine ai propri interessi patrimoniali»;

che l’art. 649 cod. pen. stabilirebbe un trattamento di favore per gli autori di taluni reati contro il patrimonio in relazione a «motivazioni di ordine etico-politico e patrimoniale: da un lato la comunanza di interessi economici, dall’altro il grave turbamento alle relazioni familiari che deriverebbe dalla punibilità o perseguibilità d’ufficio dei considerati reati»;

che, dunque, «la tutela penale dell’interesse patrimoniale proprio del singolo individuo leso dal reato di circonvenzione di incapaci» cederebbe «il passo ad un bene di rilevanza costituzionale di cui all’art. 29 della Costituzione, ovverosia la tutela dei rapporti familiari e della loro coesione»: ciò che assicurerebbe la ragionevolezza e la piena legittimità della disposizione censurata;

che, quanto alla questione relativa all’art. 24 Cost., la norma sottoposta a scrutinio sarebbe «espressione di una scelta discrezionale legislativa di politica criminale» e non precluderebbe alla persona offesa «l’opportunità di usufruire della tutela giurisdizionale, quale quella civile, esercitando il relativo diritto di difesa».

Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. pen. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.;

che tuttavia, come emerge già dalle oscillanti formulazioni del petitum, non appare chiaro se oggetto delle questioni sollevate sia la causa di non punibilità stabilita nel primo comma dell’art. 649 cod. pen., ovvero il regime di punibilità a querela stabilito dal secondo comma;

che, infatti, da vari passaggi dell’ordinanza parrebbe emergere l’intenzione di censurare il primo comma dell’art. 649 cod. pen., nella parte in cui prevede la non punibilità del delitto di circonvenzione di incapaci commesso in danno di ascendenti o discendenti;

che in altri passaggi dell’ordinanza – e, in particolare, nella formulazione finale del petitum – il giudice a quo parrebbe invece censurare la mancata estensione, da parte del secondo comma dell’art. 649 cod. pen., della legittimazione a proporre querela al danneggiato del reato, oltre che alla persona offesa;

che i percorsi motivazionali a sostegno delle censure sono inestricabilmente sovrapposti, anche nei passaggi riferiti ai parametri evocati e alla fattispecie di maltrattamenti contro familiari o conviventi, indicata quale tertium comparationis;

che le segnalate ambiguità non si lasciano sciogliere nemmeno sulla base dell’esame del fatto storico contestato all’imputato, che consiste in una circonvenzione di persone incapaci asseritamente commessa da uno dei figli (l’imputato) contro la madre (la persona offesa del reato), la quale sarebbe stata indotta ad alienare a terzi un proprio immobile;

che, infatti, da quanto si comprende dalla stringata descrizione dei fatti di causa, ciò avrebbe provocato un danno patrimoniale all’altro figlio, il quale è pertanto qualificato in ordinanza non quale persona offesa del delitto di circonvenzione, bensì quale mero danneggiato dal reato, come tale legittimato a costituirsi parte civile contro l’imputato, ma non a proporre querela;

che non è agevole, d’altro canto, cogliere il senso degli insistiti riferimenti al regime di procedibilità d’ufficio o a querela con riferimento ad un caso di specie nel quale il fatto, in radice, non sarebbe comunque punibile, in quanto commesso in danno di un ascendente;

che, in base alla giurisprudenza costituzionale, il carattere oscuro, confuso o contraddittorio della motivazione dell’ordinanza di rimessione determina l’inammissibilità delle questioni sollevate (ex multis, sentenze n. 161 del 2017, n. 102 del 2016, n. 247 del 2015, n. 244 del 2011; ordinanze n. 54 del 2018, n. 369 del 2006 e n. 373 del 2004);

che tale profilo di inammissibilità ha rilievo assorbente rispetto alle ulteriori eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli, nona sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2025