ORDINANZA N. 373
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 64, comma 2, secondo periodo, e 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Giudice di pace di Vittorio Veneto con ordinanza del 10 aprile 2003, iscritta al n. 479 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 ottobre 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Giudice di pace di Vittorio Veneto ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 64, comma 2, secondo periodo, e 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui prevedono che per i reati di competenza del giudice di pace commessi dopo la pubblicazione del predetto decreto legislativo e iscritti nel registro delle notizie di reato successivamente alla sua entrata in vigore, si osservano per intero le norme, anche processuali, del medesimo decreto;
che il rimettente procede, quale giudice dibattimentale, nei confronti di persona imputata del reato di guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), commesso il 19 ottobre 2001 (e cioè dopo la pubblicazione del decreto legislativo n. 274 del 2000, avvenuta il 6 ottobre 2000), ma iscritto nel registro delle notizie di reato in data 28 maggio 2002 (e cioè dopo l’entrata in vigore del decreto, fissata al 2 gennaio 2002);
che, a norma dell’art. 64, comma 2, secondo periodo, del citato decreto legislativo, in relazione alla fattispecie in giudizio devono osservarsi integralmente le disposizioni, anche processuali, dettate per i procedimenti penali di competenza del giudice di pace;
che ad avviso del rimettente tale previsione violerebbe innanzitutto il principio di eguaglianza, garantito dall’art. 3 Cost., posto che da «un adempimento ‘discrezionale’ […] o ‘casuale’» dell’autorità giudiziaria, quale l’iscrizione della notizia di reato, dipende l’applicazione «a fatti del medesimo disvalore e ugualmente compiuti anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 274 del 2000» di una «disciplina processuale» che sarebbe senz’altro «più sfavorevole di quella del codice di procedura penale, laddove nega: 1) (art. 2) l’accesso a riti alternativi con riduzioni della pena di un terzo e fino a un terzo (giudizio abbreviato e patteggiamento); 2) (art. 60) il beneficio della sospensione condizionale della pena […]; 3) (art. 62) l’applicabilità delle sanzioni sostitutive […]; 4) (art. 2) la possibilità di incidente probatorio»;
che difatti, secondo il rimettente, se dal «punto di vista prettamente sanzionatorio» la disciplina del decreto legislativo n. 274 del 2000 «è da considerarsi più favorevole per il tipo di pene previste, non altrettanto [potrebbe] dirsi per la disciplina dei ‘benefici processuali’ dell’accesso ai riti alternativi e della sospensione condizionale della pena»;
che perciò la disciplina dettata dal secondo periodo dell’art. 64, comma 2, produrrebbe la «inaccettabile conseguenza» che - a fronte di reati tutti egualmente commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 274 del 2000 - alcuni imputati, solo perché l’iscrizione nel registro delle notizie di reato del fatto da loro commesso è avvenuta entro il 1° gennaio 2002, godono sia delle nuove sanzioni più favorevoli che della possibilità di accedere ai riti alternativi e di beneficiare della sospensione condizionale della pena; altri invece, come l’imputato nel giudizio a quo, soltanto perché l’iscrizione nel registro delle notizie di reato è successiva al 2 gennaio 2002, non possono godere della sospensione condizionale né degli sconti di pena connessi ai riti alternativi, e sarebbero perciò privati della possibilità di fruire di un trattamento processuale complessivamente più favorevole;
che la disposizione transitoria in esame violerebbe inoltre l’art. 25 Cost., che impone che il giudice naturale precostituito per legge sia individuato nel giudice «esistente e competente al momento della consumazione del reato (nel caso di specie il tribunale monocratico)», facendo dipendere l’applicabilità della normativa «processuale» dettata dal decreto legislativo n. 274 del 2000 dall’iscrizione del fatto nel registro delle notizie di reato, cioè da un adempimento a sua volta condizionato dalla tempestività con cui gli uffici di polizia giudiziaria trasmettono alla procura competente le notizie di reato;
che la «indicazione dell’inizio del procedimento quale momento per cristallizzare la competenza del giudice» renderebbe quindi inevitabilmente retroattiva la «modifica legislativa in relazione ai fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore» e lascerebbe in sostanza il pubblico ministero libero «di scegliere il giudice che dovrà prendere cognizione del fatto, in violazione della riserva assoluta di legge di cui all’art. 25, primo comma, Cost.»;
che nella parte conclusiva dell’ordinanza di rimessione il giudice a quo sembra adombrare una soluzione interpretativa conforme ai «principi costituzionali in tema di successione di leggi sulla competenza», tale cioè da consentire, a suo avviso, di superare i dubbi di costituzionalità sino ad allora prospettati, suggerendo che per tutti i reati commessi dopo la pubblicazione, ma prima della entrata in vigore del decreto legislativo, dovrebbero osservarsi le disposizioni dell’art. 63, commi 1 e 2, e del titolo I, con esclusione però delle norme sulla competenza, che rimarrebbero quelle vigenti al momento della commissione del fatto;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;
che secondo l’Avvocatura la questione sarebbe manifestamente inammissibile perché l’ordinanza di rimessione è incompleta e contraddittoria, le censure sono espresse in maniera confusa e perplessa, nulla viene detto, ai fini della rilevanza, sulle circostanze di fatto (richiesta di riti alternativi o di incidente probatorio) dalle quali potrebbe discendere l’applicabilità degli istituti processuali asseritamente più favorevoli;
che nel merito la questione sarebbe, comunque, infondata, sostanzialmente perché le censure si basano sull’erroneo presupposto che la disciplina del processo dinanzi al giudice di pace sia più sfavorevole per l’imputato, quando, al contrario, il rito in esame è connotato da una semplificazione e da un favor per l’autore del fatto illecito che permeano sia la fase del giudizio che la fase esecutiva;
che, inoltre, la questione è prospettata sulla base di una lettura «scorretta e dequalificante» dell’istituto dell’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro, esclusivamente incentrata sull’ipotesi di abusi del pubblico ministero;
che con successiva memoria l’Avvocatura insiste per la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza della questione e, riportandosi agli argomenti sviluppati nell’atto di intervento, sottolinea che la scelta compiuta dal legislatore di far dipendere il radicamento della competenza del giudice di pace dal momento in cui il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato non è irragionevole, perché risponde all’esigenza di rendere più celeri i procedimenti non ancora pendenti, e non viola il principio del giudice naturale perché il criterio di determinazione del giudice non è fissato arbitrariamente in vista di singole controversie.
Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale degli artt. 64, comma 2, secondo periodo, e 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui prevedono che per i reati di competenza del giudice di pace commessi dopo la pubblicazione del citato decreto legislativo e iscritti nel registro delle notizie di reato successivamente alla sua entrata in vigore, si osservano per intero le norme, anche processuali, del medesimo decreto;
che le disposizioni censurate violerebbero gli artt. 3 e 25 della Costituzione, in quanto dal tempo, affatto ‘discrezionale’ o ‘casuale’, di un adempimento del pubblico ministero fanno dipendere l’applicazione a fatti aventi il medesimo disvalore, compiuti tutti anteriormente all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 274 del 2000, di una disciplina diversa rispetto a quella che sarebbe applicabile secondo le ordinarie regole sulla competenza e più sfavorevole perché preclude all’imputato l’accesso ai riti alternativi, la possibilità di fruire della sospensione condizionale della pena e di sanzioni sostitutive e gli impedisce di chiedere l’incidente probatorio;
che, inoltre, l’individuazione del giudice in base al momento in cui ha inizio il procedimento violerebbe il principio per il quale il giudice naturale precostituito per legge va determinato con riferimento alla commissione del reato, lasciando nella sostanza alla discrezionalità del pubblico ministero la scelta del giudice competente;
che, nel motivare sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della disciplina transitoria dettata dal secondo periodo del comma 2 dell’art. 64 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il rimettente afferma che l’imputato rimarrebbe privato della possibilità di usufruire di istituti «processuali» di favore, tra i quali indica, oltre ai riti alternativi del giudizio abbreviato e del patteggiamento e all’incidente probatorio, istituti indiscutibilmente sostanziali, quali la sospensione condizionale della pena e le sanzioni sostitutive;
che la applicabilità degli istituti sostanziali ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo è regolata dal primo periodo del comma 2 del medesimo art. 64, che richiama espressamente l'art. 2, terzo comma, del codice penale;
che la commistione tra istituti processuali e sostanziali rende oggettivamente difficile verificare se il giudice a quo intenda fare riferimento anche al parametro di cui al secondo comma dell’art. 25 Cost., atteso che agli argomenti concernenti la ‘perdita’ di istituti (sostanziali) di favore si sovrappongono le censure relative alla violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, che rendono la motivazione ulteriormente confusa e contraddittoria;
che per altro verso, con riferimento agli istituti processuali, l’omissione di qualsiasi considerazione circa le situazioni di fatto da cui potrebbe discenderne l’applicabilità nel giudizio a quo impedisce di verificare la rilevanza della questione;
che, in particolare, non è dato comprendere come sarebbe possibile procedere ad incidente probatorio nel corso del giudizio dibattimentale, né se l’imputato (che per effetto del mutato quadro sanzionatorio potrebbe sempre chiedere di essere ammesso all’oblazione, sussistendone i presupposti) abbia in qualche modo manifestato la volontà di chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena;
che inoltre il giudice a quo sembra prospettare una lettura alternativa della disciplina censurata, senza peraltro chiarire se tale soluzione interpretativa sia effettivamente praticabile e se consentirebbe di superare tutti i dubbi di costituzionalità sollevati;
che, sulla base dei rilievi ora esposti, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 64, comma 2, secondo periodo, e 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, dal Giudice di pace di Vittorio Veneto, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 novembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 2 dicembre 2004.