SENTENZA N. 42
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO;
Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti, sorto a seguito della sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche 12 maggio 2023, n. 87, promosso dalla Regione autonoma della Sardegna con ricorso notificato l’11 agosto 2023 e depositato in pari data, iscritto al n. 3 del registro conflitti tra enti 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2023.
Visti l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché l’atto di intervento di ENEL produzione spa;
udito nell’udienza pubblica del 12 marzo 2025 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;
uditi gli avvocati Franco Gaetano Scoca per ENEL produzione spa, Alessandra Putzu per la Regione autonoma della Sardegna, nonché l’avvocato dello Stato Francesco Sclafani per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 12 marzo 2025.
Ritenuto in fatto
1.− La Regione autonoma della Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. confl. enti n. 3 del 2023), ha proposto conflitto di attribuzione tra enti, chiedendo che sia dichiarato che non spettava allo Stato e, per esso, «al giudice ordinario o al giudice speciale, quale il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche», adottare la sentenza 12 maggio 2023, n. 87, pronunciata dal predetto Tribunale, nei procedimenti riuniti R.G. n. 182, n. 183 e n. 184 del 2018, nella camera di consiglio del 1° marzo 2023, depositata in cancelleria il 12 maggio 2023 e «conosciuta in data 26.06.2023».
Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata, della quale viene chiesto l’annullamento, avrebbe esercitato «il potere di disapplicare le leggi regionali», con ciò violando gli artt. 116, 117, primo comma, 101 e 134 della Costituzione, oltre che le «funzioni legislative» di essa Regione autonoma riconosciute dalla stessa Costituzione e, in particolare, dall’art. 3, primo comma, lettera l), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
1.1.− La regione ricorrente rileva che il Tribunale superiore delle acque pubbliche (d’ora in avanti: TSAP) sarebbe stato adito da ENEL produzione spa, ai sensi dell’art. 143 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici), in ragione delle scelte legislative, delle quali si è eccepita l’illegittimità costituzionale, effettuate con l’art. 16 della legge della Regione Sardegna 5 settembre 2000, n. 17 (Modifiche ed integrazioni alla legge finanziaria, al bilancio per gli anni 2000/2002 e disposizioni varie) e con la legge della Regione Sardegna 6 dicembre 2006, n. 19 (Disposizioni in materia di risorse idriche e bacini idrografici); scelte legislative attuate con le deliberazioni di Giunta regionale e i decreti del Presidente della medesima Giunta impugnati dinanzi il suddetto Tribunale.
La richiamata normativa regionale ha disposto la decadenza di tutti i concessionari dalle concessioni di derivazione idrica in essere, comprese quelle di grande derivazione idroelettrica, in vista di una gestione integrata della risorsa idrica quale «bene pubblico primario e fattore fondamentale di civiltà e di sviluppo per gli utilizzi primari». Al fine di una effettiva gestione integrata, il legislatore regionale ha disposto che il Sistema idrico multisettoriale regionale sia affidato in gestione all’Ente acque della Sardegna (ENAS), ente strumentale della Regione. Tutte le deliberazioni di Giunta e i decreti del Presidente della Regione impugnati dinanzi al TSAP si sarebbero limitati a dare attuazione alle scelte legislative.
Il TSAP, continua la ricorrente, ha accolto i ricorsi per violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), «per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti»; ha conseguentemente annullato gli atti impugnati, sebbene essi fossero stati adottati, come lo stesso TSAP avrebbe rilevato, ope legis.
1.2.− Secondo la Regione ricorrente, l’annullamento doveva considerarsi precluso «sia dalla pacifica circostanza che le deliberazioni non erano affette dal vizio di violazione di legge, sia dal chiaro disposto dell’art. 21 octies l. 241/1990 per cui "Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”». Il TSAP, invece, avrebbe disapplicato le leggi regionali sull’assunto che, «avendo natura di leggi provvedimento, dovevano essere disattese e, conseguentemente, non vincolavano il contenuto» delle deliberazioni impugnate. La chiara volontà di disapplicare la normativa regionale, del resto, si evincerebbe, a parere della ricorrente, dalla motivazione della decisione del TSAP, della quale sono riportati ampi stralci in ricorso.
1.2.1.− Così facendo, tuttavia, il TSAP avrebbe, da un lato, «chiaramente compresso le potestà legislative della ricorrente» e, dall’altro, sostituito questa Corte «nel deliberatamente disporre di non applicare una norma in vigore per quanto la stessa mai sia stata dichiarata illegittima». L’assunto della sentenza impugnata sarebbe che «le leggi regionali, avendo natura di leggi provvedimento, possono essere disattese e, conseguentemente, non hanno carattere vincolante sul contenuto dei provvedimenti impugnati»: di qui la violazione, a parere del TSAP, dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, che avrebbe imposto, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale sulle leggi provvedimento, che la decadenza delle concessioni di grande derivazione idroelettrica disposta ex lege fosse ad ogni modo preceduta dalla partecipazione al procedimento della società concessionaria.
La Regione autonoma della Sardegna ritiene, al contrario, che il TSAP non avrebbe potuto annullare le deliberazioni impugnate senza che prima fossero dichiarate costituzionalmente illegittime le leggi regionali, in quanto dette deliberazioni hanno soltanto, in via ricognitiva, dichiarato la decadenza o scadenza, ope legis, delle concessioni. Il giudice delle acque, invece, avrebbe «affermato esplicitamente il proprio potere di statuire la natura provvedimentale delle leggi regionali e, conseguentemente, di disapplicarle, e sostanzialmente annullarle, considerandole alla stregua di un mero atto amministrativo», le cui scelte, in quanto tali, dovrebbero essere necessariamente partecipate ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Tutto ciò avrebbe determinato, secondo la Regione ricorrente, la violazione degli evocati parametri costituzionali, richiamati in apertura.
1.3.− Il «carattere invasivo e costituzionalmente lesivo» della sentenza del TSAP sarebbe evidente sia perché essa si dilunga nella valutazione della natura provvedimentale delle leggi regionali, sia perché «si attribuisce la competenza a sindacare i limiti alle scelte legislative».
La giurisprudenza di questa Corte richiamata nella medesima sentenza avrebbe affermato che le leggi provvedimento devono soggiacere a un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale, specie sotto i profili della non arbitrarietà e non irragionevolezza della scelta legislativa (sono citate le sentenze n. 186 del 2022 e n. 116 del 2020). Il TSAP, tuttavia, non ha devoluto tali valutazioni a questa Corte, ma si sarebbe arrogato la competenza a giudicare la legittimità della legge, peraltro «pienamente in vigore e produttiva di effetti ormai da quasi venti anni a dimostrazione della piena e pacifica efficacia che la stessa ha avuto e ha»: di qui la violazione dell’art. 101 Cost., che vincola il giudizio del giudice alla legge, e dell’art. 134 Cost., che riserva a questa Corte il sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle regioni, tanto più considerando che queste ultime trovano nel giudizio di legittimità costituzionale un’ulteriore tutela delle garanzie costituzionali riconosciute loro dall’art. 116 Cost.
Non solo, il TSAP avrebbe anche affermato che la materia oggetto delle leggi regionali avrebbe dovuto essere dibattuta nell’ambito del procedimento amministrativo, con ciò invero affermando che la Regione autonoma della Sardegna non possa disporre in tema di «esercizio dei diritti demaniali della Regione sulle acque pubbliche», pur se lo statuto speciale in relazione a ciò assegna alla medesima Regione una potestà normativa primaria (artt. 3, primo comma, lettera l, e 14, primo comma). Con il risultato che il TSAP avrebbe disapplicato la normativa regionale in vigore.
1.4.− La Regione ricorrente rileva che quello in tal modo posto in essere dal TSAP sarebbe «un vero e proprio illegittimo abuso del potere giurisdizionale» sindacabile dinanzi a questa Corte, non potendo essere derubricato a mero error in iudicando: è l’esercizio del potere di disapplicazione della legge a essere contestato, che viola le norme costituzionali già richiamate e incide sulla competenza legislativa regionale, tutelata dall’art. 117, primo comma, Cost. e sulla autonomia speciale, riconosciuta dall’art. 116 Cost.
La giurisprudenza costituzionale, d’altra parte, avrebbe già riconosciuto che la disapplicazione della legge è di per sé una lesione del potere legislativo regionale (è citata la sentenza n. 285 del 1990), censurabile in sede di conflitto anche ove sia posta in essere con un atto non definitivo, contestualmente impugnato in sede giurisdizionale, in quanto il tono costituzionale del conflitto sta nel lamentare la lesione di attribuzioni costituzionali.
La disapplicazione delle leggi regionali in quanto leggi provvedimento, in definitiva, risulterebbe in contrasto con i parametri costituzionali evocati e, pertanto, la Regione autonoma della Sardegna chiede che sia annullata l’impugnata sentenza del TSAP.
2.− Con atto depositato il 18 settembre 2023 si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o di non fondatezza del ricorso.
2.1.− Il resistente, dopo aver segnalato che la Regione autonoma della Sardegna ha proposto avverso l’impugnata sentenza del TSAP anche ricorso per cassazione, eccepisce l’inammissibilità del ricorso sotto un duplice profilo.
2.1.1.− Esso, innanzitutto, sarebbe tardivo, in quanto proposto oltre il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 39, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).
La Regione autonoma della Sardegna, infatti, è parte del giudizio deciso con la sentenza del TSAP, pubblicata il 12 maggio 2023, sicché «il ricorso avrebbe dovuto essere proposto entro l’11 luglio 2023, invece è stato notificato l’11 agosto 2023, ovvero 90 giorni dopo la pubblicazione della sentenza».
A nulla varrebbe quanto sostiene la ricorrente, ovvero di aver avuto conoscenza della decisione soltanto il 26 giugno 2023. In disparte la circostanza che non viene indicata quale sarebbe la fonte di tale conoscenza, se anche questa fosse la comunicazione di cancelleria il ricorso resterebbe tardivo, in quanto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, ai sensi dell’art. 39, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, l’«avvenuta conoscenza dell’atto impugnato […] viene in considerazione soltanto in linea sussidiaria, quando manchino la pubblicazione o la notificazione, che la legge assume, agli effetti che qui interessano, come equipollenti» (sentenza n. 132 del 1976).
Tale principio sarebbe in linea con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il dies a quo per la decorrenza del termine per l’impugnazione coincide con la data di pubblicazione della sentenza, in quanto la comunicazione del dispositivo è una «attività meramente informativa» (Corte di cassazione, sezione quinta civile, ordinanza 20 luglio 2021, n. 20656). Sarebbe dunque onere delle parti informarsi della decisione, anche perché «lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio» (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 5 settembre 2018, n. 21648; Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 dicembre 2014, n. 26402).
D’altra parte, questa Corte, con la sentenza n. 297 del 2008, ha dichiarato non fondata, in riferimento all’art. 24 Cost., una questione di legittimità costituzionale sollevata sull’art. 327, primo comma, del codice di procedura civile, il quale dispone che il termine (allora) annuale per l’impugnazione della sentenza decorre dalla sua pubblicazione e non – come avrebbe voluto l’allora giudice rimettente – dalla comunicazione a cura della cancelleria.
2.1.2.− Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il ricorso sarebbe inammissibile anche perché il tono costituzionale del conflitto sarebbe «solo formalmente enunciato ma non sostanzialmente argomentato». La ricorrente avrebbe lamentato, infatti, soltanto un error in iudicando, sicché il conflitto sarebbe un improprio strumento di impugnazione dell’atto giurisdizionale (è citata la sentenza di questa Corte n. 39 del 2007): la supposta disapplicazione delle leggi regionali compiuta dal TSAP riguarderebbe «il concreto esercizio della giurisdizione e non i suoi confini», tanto è vero che per le medesime ragioni la sentenza è stata fatta oggetto anche di ricorso per cassazione.
2.2.− Nel merito, il ricorso sarebbe ad ogni modo non fondato.
2.2.1.− Nella sentenza del TSAP, innanzitutto, manca quella chiara manifestazione di volontà di prescindere dalle leggi regionali, la qual cosa solo potrebbe dare origine al conflitto (è citata la sentenza di questa Corte n. 340 del 2011).
Il TSAP, infatti, si sarebbe «semplicemente limitato a disporre l’annullamento delle deliberazioni impugnate siccome viziate, in proprio e non in via derivata, dall’inosservanza delle garanzie procedimentali previste dall’art. 7 della legge generale sul procedimento amministrativo». Nel far ciò, si sarebbe effettuata una interpretazione costituzionalmente orientata delle leggi regionali che hanno disposto la decadenza dalle concessioni, ritenendo che la loro applicazione deve comunque prevedere la partecipazione procedimentale, come questa Corte avrebbe affermato nella sentenza n. 116 del 2020: ed è nell’ambito del procedimento amministrativo che si sarebbe dovuta ricostruire l’estensione applicativa delle leggi regionali.
D’altro canto, accogliendo questo motivo di ricorso di ENEL produzione spa il TSAP ha dichiarato assorbiti gli altri motivi di impugnazione, con i quali era stata dedotta l’inapplicabilità della legislazione regionale alle concessioni di grande derivazione.
2.2.2.− Il ricorso sarebbe non fondato anche perché l’annullamento dei provvedimenti regionali per un vizio procedimentale non impedirebbe una loro rinnovazione, in applicazione delle stesse leggi regionali, ma nel rispetto delle garanzie partecipative. Il TSAP non avrebbe fatto altro che interpretare, in senso conforme a Costituzione, le leggi regionali, sicché non sarebbe corretta la prospettazione della Regione autonoma della Sardegna secondo cui la sentenza impugnata avrebbe disatteso le leggi regionali in quanto leggi provvedimento.
Del resto, insiste il Presidente del Consiglio dei ministri, ove avesse voluto disapplicare le leggi regionali, il TSAP avrebbe accolto le censure con cui ENEL produzione spa lamentava l’assenza di potestà normativa in capo alla Regione autonoma in materia di concessioni di grandi derivazioni.
3.− Con atto depositato il 2 ottobre 2023, è intervenuta nel giudizio ENEL produzione spa, la quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile, o non fondato.
L’interveniente richiama ampiamente le vicende all’origine del conflitto, evidenziando, in particolare, come nel contenzioso giurisdizionale scaturito dai provvedimenti amministrativi della Regione autonoma della Sardegna sia stata eccepita non solo l’illegittimità costituzionale, ma anche il contrasto delle leggi regionali – sulle quali quei provvedimenti si fondano – con il diritto dell’Unione europea e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
3.1.− Ciò premesso, ENEL produzione spa argomenta, dapprima, in ordine all’ammissibilità del proprio intervento: essendo parte nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, vi sarebbe quell’interesse qualificato, inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, cui la giurisprudenza di questa Corte e l’art. 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale subordinano la possibilità di intervento di soggetti diversi rispetto allo Stato o alle regioni (è citata, in particolare, la sentenza n. 157 del 2023).
3.2.− Quanto al ricorso, esso, innanzitutto, sarebbe inammissibile «in quanto improprio mezzo di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale del TSAP», come sarebbe dimostrato dalla «sostanziale identità delle causae petendi» dell’odierno giudizio e di quello instaurato con ricorso per cassazione.
Il TSAP, infatti, avrebbe annullato gli atti amministrativi della Regione ricorrente per un loro vizio autonomo, senza fare disapplicazione delle leggi regionali, sicché il ricorso contesterebbe le modalità di esercizio della giurisdizione ed esulerebbe, pertanto, dai presupposti del conflitto di attribuzione. La sentenza impugnata avrebbe deciso i ricorsi sulla base della «ragione più liquida», relativa alla violazione della legge sul procedimento amministrativo, che prescindeva dalla valutazione di non manifesta infondatezza e rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sulle leggi regionali.
Da quanto osservato deriverebbe la mancanza di tono costituzionale del conflitto sollevato, in quanto a essere contestato è appunto il modo di esercizio della giurisdizione, e non l’esistenza stessa del potere giurisdizionale (sono citate le sentenze n. 184 del 2022 e n. 39 del 2007).
3.3.− Nel merito, in ogni caso, il ricorso sarebbe non fondato.
L’impugnata decisione del TSAP, come già argomentato nell’eccepire l’ammissibilità del conflitto, «non ha effettuato alcuno sconfinamento di giurisdizione, tanto più di quella della Corte costituzionale, essendosi limitato a censurare gli atti amministrativi correttamente ritenendo che l’adozione delle delibere del 2018, in assenza della preventiva comunicazione nei confronti di ENEL dell’avvio del procedimento instaurato dalla Regione rispetto alle concessioni attualmente in capo ad ENEL stessa, risultasse viziata per violazione degli art. 7 e ss. della legge n. 241/1990».
Ai sensi di tale disposizione legislativa, infatti, il procedimento amministrativo deve essere comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti, salvo sussistano esigenze di celerità del procedimento stesso che lo impediscano. Nel caso di specie, sarebbe indubbio che i provvedimenti amministrativi regionali intendessero produrre effetti nei confronti di ENEL produzione spa, titolare di concessioni di grande derivazione che – ai sensi dell’art. 12, comma 6, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) – andranno in scadenza nel 2029 e che, invece, la Regione autonoma della Sardegna riteneva essere già scadute, sulla base di quanto disposto dalle leggi regionali n. 17 del 2000 e n. 19 del 2006. A nulla rileva – osserva l’interveniente – che tali ultime leggi siano qualificabili come leggi provvedimento, in quanto sono gli atti amministrativi regionali ad avervi dato applicazione, indicando peraltro per la prima volta nominativamente ENEL produzione spa quale destinataria delle norme legislative.
Ad avvalorare la decisione del TSAP starebbe, d’altra parte, la più recente giurisprudenza di questa Corte in tema di leggi provvedimento (è citata la sentenza n. 116 del 2020), nonché la giurisprudenza amministrativa secondo cui avverso tali leggi «["]l’unica possibilità di tutela per i cittadini è quella di impugnare gli atti applicativi delle stesse, anche se di contenuto vincolato rispetto alla legge, deducendo l’incostituzionalità della stessa rispetto al quale la norma di legge si ponga quale presupposto” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 8 ottobre 2008, n. 4933)».
4.− In data 7 febbraio 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la quale, dopo aver insistito nelle eccezioni preliminari presentate con l’atto di costituzione, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o improcedibile per cessazione della materia del contendere.
4.1.− Nelle more del giudizio, infatti, le sezioni unite civili della Corte di cassazione, con l’ordinanza 28 dicembre 2024, n. 34734, hanno cassato l’impugnata sentenza del TSAP, facendo venire meno «l’oggetto del contendere e l’interesse della Regione al ricorso».
Detta ordinanza avrebbe rimosso ogni incertezza in ordine al riparto costituzionale delle attribuzioni, condizione questa per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere (è citata la sentenza di questa Corte n. 15 del 2024). Secondo il resistente, la decisione della Corte di cassazione – pur accogliendo il ricorso della Regione autonoma della Sardegna – avrebbe escluso che il TSAP abbia disapplicato le leggi regionali: la sentenza impugnata, infatti, ha correttamente rilevato la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, ma al contempo «non ha fatto buon governo dell’art. 21 octies l. 241/90», che impedisce l’annullamento degli atti amministrativi «qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato o comunque ciò sia dimostrato in giudizio dall’amministrazione».
Il giudice del rinvio sarà dunque chiamato a decidere se sussistono o meno i presupposti per applicare l’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, ma in ogni caso non potrà violare le prerogative legislative della Regione autonoma della Sardegna, in quanto il suo giudizio dovrà svolgersi «entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento» (è citata Corte di cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 4 ottobre 2024, n. 26040). E avendo le sezioni unite «espressamente escluso, con effetto di giudicato esplicito, uno sconfinamento del TSAP dai limiti della propria giurisdizione e quindi una lesione delle prerogative legislative regionali», per un verso il giudice del rinvio non potrà sindacare la sentenza del giudice di legittimità e, per un altro, è venuto meno l’interesse della Regione autonoma al ricorso «perché non c’è più la possibilità che si pervenga ad una decisione lesiva delle sue attribuzioni legislative e quindi l’iniziale situazione di incertezza su cui si fondava l’interesse al ricorso è cessata per effetto del suddetto giudicato interno».
4.2.− Nel merito, il resistente espressamente richiama «tutte le argomentazioni sviluppate nell’atto di costituzione che risultano confermate dalla sopravvenuta pronuncia della Corte di Cassazione».
5.− In data 11 febbraio 2025, anche la Regione autonoma della Sardegna ha depositato una memoria.
Alla luce della richiamata ordinanza del giudice di legittimità, che ha annullato l’impugnata sentenza del TSAP, la ricorrente osserva che è venuto meno l’atto lesivo delle proprie prerogative, sicché, «salvo che non si ritenga opportuno ribadire che spetta all’adita Ecc.ma Corte Costituzionale, e non al Tribunale Superiore delle Acque, la competenza a statuire la natura di legge provvedimento di una disposizione normativa», chiede che il ricorso sia dichiarato improcedibile per sopravvenuta cessazione della materia del contendere.
6.− In data 19 febbraio 2025, ha depositato una memoria anche ENEL produzione spa, che pure ha chiesto sia dichiarata la cessazione della materia del contendere.
L’interveniente sottolinea, in particolare, che l’ordinanza della Corte di cassazione ha affermato che «il TSAP non ha affatto disapplicato le leggi regionali, in tal modo sostituendosi al Giudice delle leggi», ma ha fatto valere un vizio autonomo dei provvedimenti impugnati da essa ENEL produzione spa. Non residuerebbe pertanto alcuna materia del contendere, in quanto il giudice di legittimità avrebbe «escluso che il TSAP abbia esercitato il potere – asseritamente – sottratto» alla Regione autonoma della Sardegna.
Considerato in diritto
1.− La Regione autonoma della Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe, ha proposto conflitto di attribuzione tra enti nei confronti dello Stato, impugnando la sentenza n. 87 del 2023 del Tribunale superiore delle acque pubbliche che ha annullato, su ricorso di ENEL produzione spa, alcuni atti della stessa Regione. Secondo la ricorrente, questi ultimi sono attuativi della legislazione regionale con la quale è stata disposta la decadenza di tutti i concessionari dalle concessioni di derivazione idrica, comprese quelle di grande derivazione idroelettrica.
Il TSAP, pur riconoscendo la natura di leggi provvedimento delle leggi regionali in questione, avrebbe tuttavia affermato che esse possono essere disattese e non vincolano il contenuto degli atti impugnati: di qui, secondo la Regione autonoma, l’illegittima disapplicazione della normativa regionale, che avrebbe realizzato «un vero e proprio illegittimo abuso del potere giurisdizionale», con conseguente violazione degli artt. 116, 117, primo comma, 101 e 134 Cost., oltre che delle funzioni legislative di essa Regione autonoma riconosciute dalla stessa Costituzione e dallo statuto speciale.
2.− In via preliminare, va ribadita l’ammissibilità dell’intervento in giudizio di ENEL produzione spa.
Pur se di regola, in sede di conflitto di attribuzione tra enti, non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi, il presente giudizio è – come si è già deciso con l’ordinanza dibattimentale letta all’udienza del 12 marzo 2025 – suscettibile di incidere in maniera immediata e diretta sulla situazione soggettiva di ENEL produzione spa, il cui ricorso è stato accolto con il provvedimento giurisdizionale oggetto del conflitto; sicché deve essere consentito all’interveniente di far valere le proprie ragioni di fronte a questa Corte.
3.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio, ha eccepito la tardività del ricorso, notificato l’11 agosto 2023, il quale sarebbe stato proposto oltre il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 39, secondo comma, della legge n. 87 del 1953. La Regione autonoma della Sardegna, infatti, è parte del giudizio deciso con la sentenza impugnata, sicché il dies a quo dovrebbe essere individuato nella pubblicazione in cancelleria di detta decisione, avvenuta il 12 maggio 2023.
3.1.− L’eccezione non è fondata.
L’art. 39, secondo comma, della legge n. 87 del 1953 stabilisce che «[i]l termine per produrre ricorso è di sessanta giorni a decorrere dalla notificazione o pubblicazione ovvero dall’avvenuta conoscenza dell’atto impugnato».
A tali fini, il dies a quo si identifica con la pubblicazione solo quando quest’ultima sia normativamente richiesta in quanto l’atto «possiede una natura normativa [o] non è comunque diretto a destinatari determinati e, come tale, non può non avere un’efficacia indivisibile o non differenziabile da soggetto a soggetto (o, peggio ancora, da ufficio a ufficio)» (sentenza n. 611 del 1987). È solo al ricorrere di condizioni siffatte che, ai fini dell’individuazione del dies a quo per proporre conflitto di attribuzione tra enti, la pubblicazione «è assorbente e determinante rispetto a qualsiasi altra forma di conoscenza legale» (sentenza n. 140 del 1999).
È dunque senz’altro «pubblicazione», ai sensi dell’art. 39, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, quella che avviene nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino Ufficiale della regione (sentenze n. 62 del 2011, n. 328 del 2010, n. 121 del 2005, n. 140 del 1999, n. 461 del 1995), quando l’ordinamento riconosca «un rapporto di coessenzialità tra la pubblicazione nel giornale ufficiale di un determinato atto e la produzione, da parte di quest’ultimo, dei suoi effetti giuridici tipici, compresa la sua conoscenza legale» (sentenza n. 611 del 1987).
Invece, quando, come nel caso di specie, la «pubblicazione» non è funzionale ad «apprestare una situazione oggettiva di effettiva conoscibilità, da parte di tutti, degli atti [pubblicati]» (sentenza n. 132 del 1976), per l’individuazione del dies a quo non può che farsi ricorso agli altri criteri di cui all’art. 39, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, ovvero la «notificazione» o, in linea sussidiaria, la «avvenuta conoscenza», senza che trovi applicazione il regime del cosiddetto termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ.
3.2.− A tale proposito, questa Corte sin dall’inizio della sua attività ha affermato che «la notificazione o la conoscenza del provvedimento debbano intendersi riferite agli organi legittimati a proporre il ricorso, cioè, per lo Stato, al Presidente del Consiglio dei Ministri e, per la Regione, al Presidente della Giunta regionale. Ciò in applicazione del principio generale di diritto processuale secondo cui l’atto, che può formare oggetto di impugnazione, deve essere portato a conoscenza del soggetto cui la legge attribuisce la potestà di agire» (sentenza n. 82 del 1958).
Risulta dagli atti che il dispositivo dell’impugnata sentenza del TSAP è stato notificato, in quanto parte di quel giudizio, alla Regione autonoma della Sardegna, «in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore», il 13 giugno 2023; sicché – avendo la Regione acquisito conoscenza del deposito dell’atto asseritamente lesivo – è da questa data che vanno fatti decorrere i sessanta giorni di cui all’art. 39, secondo comma, della legge n. 87 del 1953. Il ricorso per conflitto di attribuzione tra enti è stato notificato l’11 agosto 2023 e, pertanto, deve ritenersi tempestivo.
4.− Nelle memorie difensive e anche in udienza pubblica, entrambe le parti e l’interveniente hanno richiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o improcedibile per cessazione della materia del contendere, in ragione della sopravvenuta ordinanza delle sezioni unite civili della Corte di cassazione 28 dicembre 2024, n. 34734, che ha cassato con rinvio l’impugnata sentenza del TSAP.
Deve pertanto constatarsi che, successivamente all’instaurarsi del giudizio, tanto le parti quanto l’interveniente hanno manifestato di non avere più interesse a una decisione nel merito, di talché il ricorso, pur originariamente ammissibile sotto tale profilo, deve essere dichiarato improcedibile per carenza d’interesse sopravvenuta (sentenze n. 174 del 2007, n. 204 del 2005, n. 13 del 1998 e n. 89 del 1994).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara improcedibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche 12 maggio 2023, n. 87, promosso dalla Regione autonoma della Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 11 aprile 2025
Allegata ordinanza del 12 marzo 2025: