Sentenza n. 130 del 2024

SENTENZA N. 130

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA;

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Francesco AMOROSO, Giovanni VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, commi 1, 2, lettera a), 3 e 4, lettera b), del decreto-legge 12 settembre 2023, n. 121 (Misure urgenti in materia di pianificazione della qualità dell’aria e limitazioni della circolazione stradale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 novembre 2023, n. 155, promosso dalla Regione Campania con ricorso notificato il 10 gennaio 2024, depositato in cancelleria l’11 gennaio 2024, iscritto al numero 1 del registro ricorsi 2024 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 giugno 2024 il Giudice relatore Giovanni Pitruzzella;

uditi l’avvocato Almerina Bove per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 18 giugno 2024.

Ritenuto in fatto

1.– La Regione Campania ha impugnato – con il ricorso iscritto al n. 1 reg. ricorsi del 2024 – l’art. 1-bis, commi 1, 2, lettera a), 3 e 4, lettera b), del decreto-legge 12 settembre 2023, n. 121 (Misure urgenti in materia di pianificazione della qualità dell’aria e limitazioni della circolazione stradale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 novembre 2023, n. 155.

La disposizione impugnata, aggiunta in sede di conversione, stabilisce al comma 1 quanto segue: «[a]l fine di incentivare il turismo di prossimità e all’aria aperta, che consente di abbattere le emissioni atmosferiche riducendo i lunghi spostamenti e favorendo la preservazione degli ecosistemi locali, secondo le strategie di accelerazione della transizione ecologica e di abbattimento delle emissioni atmosferiche che possono scaturire dalle attività turistiche, nello stato di previsione del Ministero del turismo è istituito un fondo, con una dotazione di 32.870.000 euro per l’anno 2023, destinato al finanziamento di investimenti proposti dai comuni, volti alla creazione e alla riqualificazione di aree attrezzate di sosta temporanea a fini turistici e alla valorizzazione del turismo all’aria aperta, attraverso apposito bando da pubblicare da parte del Ministero del turismo. […]».

In base al comma 2, «[a]gli oneri derivanti dal comma 1, pari a 32.870.000 euro per l’anno 2023, si provvede: a) quanto a euro 29.870.000, mediante corrispondente riduzione del Fondo unico nazionale per il turismo di conto capitale, di cui all’articolo 1, comma 368, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 […]».

Il comma 3 dispone poi che, «[a]l fine di ulteriormente favorire la transizione ecologica nel turismo, con azioni di promozione del turismo intermodale secondo le strategie di abbattimento delle emissioni atmosferiche che possono scaturire dalle attività turistiche, il Fondo istituito dall’articolo 1, comma 611, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, è ulteriormente incrementato, per l’anno 2023, di euro 17 milioni».

Infine, in base al comma 4, «[a]gli oneri derivanti dal comma 3, pari a euro 17 milioni per l’anno 2023, si provvede […] b) quanto a euro 8.918.631, mediante corrispondente riduzione del Fondo unico nazionale per il turismo di parte corrente, di cui all’articolo 1, comma 366, della legge 30 dicembre 2021, n. 234».

La ricorrente articola due motivi di ricorso.

Con il primo, lamenta la violazione degli artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 97 e 120 Cost.

Con riferimento all’art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 121 del 2023, come convertito, la Regione rileva che esso esclude ogni forma di coinvolgimento degli enti territoriali nella determinazione dei criteri e delle modalità di accesso al fondo istituito dalla stessa norma. Infatti, l’attuazione della norma impugnata è rimessa esclusivamente ad un «apposito bando» del Ministero del turismo. Ciò si tradurrebbe in una lesione della competenza legislativa residuale delle regioni in materia di turismo (art. 117, quarto comma, Cost.) e in una violazione del principio di leale collaborazione.

La Regione Campania osserva che, in base alla giurisprudenza costituzionale, l’autonomia finanziaria regionale di cui all’art. 119 Cost. vieterebbe al legislatore statale di prevedere «finanziamenti di scopo per finalità non riconducibili a funzioni di spettanza statale», se non nei limiti di quanto consentito dagli artt. 118, primo comma, 119, quinto comma, e 117, secondo comma, lettera e), Cost. La ricorrente ricorda la sentenza n. 254 del 2013 di questa Corte, che avrebbe escluso la legittimità di finanziamenti statali a destinazione vincolata, anche a favore di soggetti privati, in materie regionali. Inoltre, la Regione Campania rileva che, sia nei casi di intreccio di competenze statali e regionali, sia nei casi di chiamata in sussidiarietà ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost., l’istituzione di un fondo statale a destinazione vincolata dovrebbe essere accompagnata dalla previsione di un raccordo con le regioni nella fase di attuazione della norma legislativa.

Dunque, se anche si ritenesse che l’art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 121 del 2023, come convertito, sia riconducibile alla materia «tutela dell’ambiente», per la finalità del fondo da esso istituito, l’interferenza con la materia del turismo renderebbe evidente la sussistenza di un intreccio di competenze e necessaria la previsione di un’intesa con le autonomie territoriali in sede di determinazione dei criteri di riparto delle risorse.

Con riferimento al citato art. 1-bis, comma 2, lettera a), del d.l. n. 121 del 2023, come convertito, la ricorrente rileva che il fondo da esso regolato sarebbe alimentato, per la maggior parte, «mediante sottrazione di risorse a fondi già esistenti», la cui gestione avverrebbe in sede di Conferenza Stato-regioni. Similmente, con riferimento all’art. 1-bis, comma 4, lettera b), del d.l. n. 121 del 2023, come convertito, la Regione osserva che esso dispone la riduzione del Fondo unico nazionale per il turismo di parte corrente, di cui all’art. 1, comma 366, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), al fine di far fronte agli oneri derivanti dal precedente comma 3 del medesimo articolo, che incrementa, per l’anno 2023, di euro 17 milioni il Fondo istituito dall’art. 1, comma 611, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025).

La riduzione del Fondo unico nazionale per il turismo, disposta dalle norme appena citate, sottrarrebbe risorse alle regioni, cui le disponibilità di tale fondo sarebbero destinate.

La ricorrente rimarca che, in base all’art. 1, comma 369, della legge n. 234 del 2021, le modalità di attuazione del fondo unico nazionale per il turismo sono stabilite con decreto interministeriale. Il decreto adottato (9 marzo 2022, n. 3462, recante «Disposizioni applicative per l’attuazione, il riparto e l’assegnazione delle risorse del Fondo unico nazionale per il turismo di parte corrente e del Fondo unico nazionale per il turismo di parte capitale, di cui all’articolo 1, commi 366 e 368, della legge 30 dicembre 2021, n. 234»), modificato dal d. interm. 19 aprile 2023, n. 8019 (Fondo unico nazionale del turismo di parte corrente. Atto di programmazione biennio 2023–2024. Aggiornamento annualità 2024), prevede che le risorse siano ripartite sulla base di un accordo sottoscritto in sede di Conferenza Stato-regioni (accordo poi concluso il 21 giugno 2023). Dunque, le norme in questione violerebbero le prerogative regionali in quanto i fondi da esse previsti sarebbero alimentati, per la maggior parte, mediante sottrazione di risorse assegnate alle regioni «sulla base del previo – doveroso – accordo con le Regioni medesime».

Il secondo motivo di ricorso riguarda l’art. 1-bis, comma 3, del d.l. n. 121 del 2023, come convertito. Anche a tale riguardo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 97 e 120 Cost.

La norma impugnata invaderebbe la competenza legislativa regionale residuale in materia di turismo, «intervenendo […] nell’ambito del turismo intermodale». La Regione Campania richiama la propria legge 5 luglio 2023, n. 14 (Norme in materia di turismo itinerante Garden Sharing e aree di sosta caravan e autocaravan), che all’art. 7 prevede la concessione di contributi a favore dei comuni.

L’art. 1-bis, comma 3, violerebbe la competenza regionale «favorendo, al di fuori di ogni schema di preventivo dialogo tramite apposita intesa, l’atipica figura del “turismo intermodale”», per il quale gli enti territoriali non sarebbero mai stati coinvolti al fine di stabilirne la «disciplina istitutiva» e per la cui realizzazione non avrebbero mai potuto predisporre alcuna azione strutturale. Ciò implicherebbe «un’irragionevole ed unilaterale allocazione di risorse economiche, da parte dello Stato», nonché la «contestuale violazione del principio di leale collaborazione, oltre che del principio di ragionevolezza, efficienza, efficacia e buon andamento dell’azione amministrativa, con grave ridondanza nella sfera di attribuzioni delle Regioni».

2.– Con atto depositato il 19 febbraio 2024, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio.

Il resistente osserva, in primo luogo, che nella materia del turismo, di competenza legislativa regionale residuale, «sono comunque ammissibili forme di regolazione statale, in presenza di determinate circostanze» (viene citata la sentenza di questa Corte n. 71 del 2018), e che anche in tali ipotesi il principio di leale collaborazione «impone il coinvolgimento delle Regioni mediante adeguati strumenti».

Si rileva poi che la disciplina impugnata si limiterebbe ad incrementare la dotazione del Fondo per il turismo sostenibile, al fine di favorire ulteriormente la transizione ecologica nel turismo, e che resterebbero invariati «il fine di promuovere il turismo intermodale e il congegno di riparto delle risorse», affidato ad un decreto ministeriale senza coinvolgimento degli enti territoriali. Il resistente cita, a tal proposito, i commi 611 e 612 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022 e il d.m. 22 marzo 2023, n. 5651 (Disposizioni applicative per il riparto e l’erogazione delle risorse stanziate sul Fondo istituito dall’articolo 1, comma 611, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, destinate al potenziamento degli interventi finalizzati alla promozione dell’ecoturismo e del turismo sostenibile), che avrebbe appunto individuato i beneficiari della misura senza alcun coinvolgimento degli enti sub-statali e che non sarebbe mai stato contestato dalle regioni.

Il Presidente del Consiglio dei ministri chiede, dunque, che il ricorso sia dichiarato non fondato.

Considerato in diritto

1.– La Regione Campania impugna l’art. 1-bis, commi 1, 2, lettera a), 3 e 4, lettera b), del d.l. n. 121 del 2023, come convertito.

La disposizione impugnata, aggiunta in sede di conversione, stabilisce al comma 1 quanto segue: «[a]l fine di incentivare il turismo di prossimità e all’aria aperta, che consente di abbattere le emissioni atmosferiche riducendo i lunghi spostamenti e favorendo la preservazione degli ecosistemi locali, secondo le strategie di accelerazione della transizione ecologica e di abbattimento delle emissioni atmosferiche che possono scaturire dalle attività turistiche, nello stato di previsione del Ministero del turismo è istituito un fondo, con una dotazione di 32.870.000 euro per l’anno 2023, destinato al finanziamento di investimenti proposti dai comuni, volti alla creazione e alla riqualificazione di aree attrezzate di sosta temporanea a fini turistici e alla valorizzazione del turismo all’aria aperta, attraverso apposito bando da pubblicare da parte del Ministero del turismo. […]».

In base al comma 2, «[a]gli oneri derivanti dal comma 1, pari a 32.870.000 euro per l’anno 2023, si provvede: a) quanto a euro 29.870.000, mediante corrispondente riduzione del Fondo unico nazionale per il turismo di conto capitale, di cui all’articolo 1, comma 368, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 […]».

Il comma 3 dispone poi che, «[a]l fine di ulteriormente favorire la transizione ecologica nel turismo, con azioni di promozione del turismo intermodale secondo le strategie di abbattimento delle emissioni atmosferiche che possono scaturire dalle attività turistiche, il Fondo istituito dall’articolo 1, comma 611, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, è ulteriormente incrementato, per l’anno 2023, di euro 17 milioni».

Infine, in base al comma 4, «[a]gli oneri derivanti dal comma 3, pari a euro 17 milioni per l’anno 2023, si provvede […] b) quanto a euro 8.918.631, mediante corrispondente riduzione del Fondo unico nazionale per il turismo di parte corrente, di cui all’articolo 1, comma 366, della legge 30 dicembre 2021, n. 234».

In relazione a tali disposizioni del d.l. n. 121 del 2023, come convertito, la ricorrente promuove tre distinte questioni: a) l’art. 1-bis, comma 1, violerebbe gli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, nella parte in cui esclude ogni forma di coinvolgimento degli enti territoriali nella determinazione dei criteri e delle modalità di accesso al fondo istituito dalla stessa norma, destinato al finanziamento di investimenti proposti dai comuni nel settore turistico; b) l’art. 1-bis, commi 2, lettera a), e 4, lettera b), violerebbe l’art. 119 Cost. e il principio di leale collaborazione, in quanto, stabilendo che i fondi di cui al comma 1 e al comma 3 siano alimentati, per la maggior parte, mediante riduzione del Fondo unico nazionale per il turismo, determinerebbe una «sottrazione di risorse già assegnate alle Regioni o comunque alle stesse destinate sulla base del previo – doveroso – accordo con le Regioni medesime»; c) l’art. 1-bis, comma 3, violerebbe gli artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, in quanto invaderebbe la competenza legislativa regionale residuale in materia di turismo, «favorendo, al di fuori di ogni schema di preventivo dialogo tramite apposita intesa, l’atipica figura del “turismo intermodale”», per la cui realizzazione gli enti territoriali non avrebbero mai potuto predisporre alcuna azione strutturale, con conseguente irragionevole ed unilaterale allocazione di risorse economiche, da parte dello Stato, nonché violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, con ridondanza nella sfera di attribuzioni delle Regioni.

2.– La prima questione è fondata.

Sin dalla sentenza n. 370 del 2003, questa Corte ha sancito l’illegittimità costituzionale di norme statali che istituivano fondi settoriali a destinazione vincolata in materie regionali, residuali o concorrenti, indipendentemente dal fatto che dovessero essere ripartiti tra le regioni o tra gli enti locali o anche erogati direttamente ai privati (di recente, sentenze n. 95 del 2024, n. 223 del 2023, n. 179, n. 123, n. 114 e n. 40 del 2022).

Il divieto di fondi settoriali in materie regionali tollera, però, alcune eccezioni. La prima risulta direttamente dall’art. 119, quinto comma, Cost. (ai sensi del quale, «[p]er promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni»). La seconda riguarda il caso in cui la norma statale stanzi risorse per un settore che tocca contemporaneamente una o più materie regionali e una o più materie statali: in questi casi, la concorrenza di competenze legittima la previsione statale del fondo, a condizione che le regioni siano coinvolte nella sua gestione (ad esempio, sentenze n. 114 del 2022 e n. 56 del 2019). La terza eccezione si ha nel caso di chiamata in sussidiarietà, cioè qualora sussistano esigenze di esercizio unitario a fondamento della gestione accentrata del fondo: anche in tale ipotesi, questa Corte richiede il rispetto del principio di leale collaborazione, cioè il coinvolgimento degli enti territoriali (regioni e/o enti locali, a seconda dei casi) negli atti statali di gestione del fondo (da ultimo, sentenze n. 70 del 2023, n. 179 e n. 123 del 2022).

Alla luce della giurisprudenza costituzionale appena illustrata, l’elemento decisivo per la soluzione della prima questione risulta essere l’individuazione della materia cui ricondurre il fondo istituito dalla disposizione impugnata (da ultimo, sentenza n. 95 del 2024: «[a]l fine di valutare se sussista la lesione del principio di leale collaborazione nell’istituzione di un fondo statale destinato a finanziare uno specifico settore, occorre, per costante giurisprudenza costituzionale, verificare anzitutto a quale ambito materiale afferisce il fondo, la cui natura va esaminata con riguardo “all’oggetto, alla ratio e alla finalità” della norma che lo prevede»).

Dal punto di vista oggettivo, l’art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 121 del 2023, come convertito (che istituisce un fondo «destinato al finanziamento di investimenti proposti dai comuni, volti alla creazione e alla riqualificazione di aree attrezzate di sosta temporanea a fini turistici e alla valorizzazione del turismo all’aria aperta»), attiene innegabilmente alla materia del turismo, di competenza residuale delle regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. (ex multis, sentenze n. 123 e n. 85 del 2022, n. 84 del 2019).

Dal punto di vista teleologico, la disposizione impugnata si propone una finalità turistico-ambientale («Al fine di incentivare il turismo di prossimità e all’aria aperta, che consente di abbattere le emissioni atmosferiche riducendo i lunghi spostamenti e favorendo la preservazione degli ecosistemi locali, secondo le strategie di accelerazione della transizione ecologica e di abbattimento delle emissioni atmosferiche che possono scaturire dalle attività turistiche […]»), restando peraltro oscuro in che misura la creazione di aree attrezzate per i camper possa «incentivare il turismo di prossimità […], che consente di abbattere le emissioni atmosferiche riducendo i lunghi spostamenti».

A parte tale osservazione, considerando sia il contenuto che la finalità del fondo istituito, la materia del turismo non può essere considerata recessiva, come del resto risulta dai lavori preparatori della disposizione impugnata, nel corso dei quali più volte è stata sottolineata l’incidenza dell’impugnato art. 1-bis sulla materia del turismo. Dunque, si deve ritenere che, nel caso di specie, ricorra un caso di inestricabile intreccio di competenze (turismo e tutela dell’ambiente).

Pertanto, sulla base della giurisprudenza costituzionale richiamata, occorre dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 121 del 2023, come convertito, nella parte in cui non dispone che il bando ivi previsto sia adottato previa intesa con la Conferenza unificata (in relazione a fondi statali nella materia del turismo: sentenze n. 123 del 2022 e n. 94 del 2008), quale sede più idonea per contemperare gli interessi statali con quelli delle autonomie territoriali, dato che la disposizione impugnata destina le risorse ai comuni (sentenza n. 56 del 2019).

3.– La seconda questione è inammissibile.

La Regione Campania censura l’art. 1-bis, commi 2, lettera a), e 4, lettera b), del d.l. n. 121 del 2023, come convertito, cioè le norme che regolano le modalità di copertura degli oneri derivanti dai commi 1 e 3. La ricorrente ritiene che la riduzione del Fondo unico nazionale per il turismo (FUNT) di parte corrente e di conto capitale si traduca in una «sottrazione di risorse già assegnate alle Regioni o comunque alle stesse destinate sulla base del previo – doveroso – accordo con le Regioni medesime», con conseguente violazione dell’art. 119 Cost. e del principio di leale collaborazione.

Questa Corte «ha in più occasioni ricordato che l’autonomia finanziaria costituzionalmente garantita agli enti territoriali non comporta una rigida garanzia quantitativa e che sono pertanto ammesse anche riduzioni delle risorse disponibili, “purché tali diminuzioni non rendano impossibile lo svolgimento delle funzioni attribuite agli enti territoriali medesimi” (sentenza n. 83 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 155 del 2020). Ha inoltre […] precisato che “grava sul ricorrente l’onere di provare l’irreparabile pregiudizio lamentato” (ex plurimis, sentenza n. 76 del 2020), onere peraltro soggetto a gradazioni, a seconda che debba essere valutato ai fini dell’ammissibilità del ricorso o della sua fondatezza» (sentenza n. 220 del 2021). In proposito, «secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, sotto il profilo dell’onere di allegazione ai fini dell’ammissibilità, è sufficiente una motivazione che chiarisca “l’incidenza della misura introdotta dal legislatore statale sulle risorse destinate a tali funzioni” (sentenza n. 137 del 2018)» (ancora sentenza n. 220 del 2021; nello stesso senso si vedano anche le sentenze n. 95 del 2024, n. 29 del 2023, n. 155 del 2020 e n. 83 del 2019).

L’esposizione della ricorrente non soddisfa tali criteri. La Regione Campania si limita a riferire che ad essa sono stati assegnati 2.510.000 euro, in base all’Accordo del 21 giugno 2023, concluso in sede di Conferenza Stato-regioni, relativo al riparto del FUNT di parte corrente, ma non precisa l’entità del taglio subito per effetto del censurato art. 1-bis, comma 4, lettera b). Con riferimento all’art. 1-bis, comma 2, lettera a), la ricorrente non solo non specifica l’entità della riduzione, ma non indica neppure la somma assegnatale in virtù del riparto del FUNT di conto capitale, benché il ricorso sia successivo rispetto al relativo Accordo di riparto del 20 dicembre 2023, concluso in sede di Conferenza Stato-regioni. Inoltre, la Regione Campania non dà conto delle successive disposizioni legislative che hanno inciso sulla dotazione iniziale del FUNT, modificandola in relazione all’anno 2023: art. 4 del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25; art. 36 del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115 (Misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 settembre 2022, n. 142; art. 39-bis del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48 (Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro), convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 85; art. 17 del decreto-legge 1° giugno 2023, n. 61 (Interventi urgenti per fronteggiare l’emergenza provocata dagli eventi alluvionali verificatisi a partire dal 1° maggio 2023 nonché disposizioni urgenti per la ricostruzione nei territori colpiti dai medesimi eventi), convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2023, n. 100; art. 4 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104 (Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2023, n. 136.

Tali carenze rendono insufficiente la motivazione dell’asserita lesione dell’autonomia finanziaria della ricorrente, con conseguente inammissibilità della seconda questione.

4.– La terza questione non è fondata.

La Regione impugna l’art. 1-bis, comma 3, del d.l. n. 121 del 2023, come convertito, e svolge un’argomentazione unitaria riferita a diversi parametri, all’interno della quale sono individuabili due censure: a) la prima attiene alla scelta unilaterale di favorire il turismo intermodale, allocando ulteriori risorse sul fondo per il turismo sostenibile: dunque, la ricorrente lamenta la violazione del principio di leale collaborazione con riferimento al procedimento legislativo che ha condotto all’approvazione dell’art. 1-bis, comma 3; b) la seconda riguarda una asserita “oscurità” del turismo intermodale e la sua “impraticabilità”, con conseguente violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento dell’amministrazione e ridondanza sulle attribuzioni regionali.

La prima censura non è fondata in quanto «[q]uesta Corte, invero, non ha mai ritenuto necessario un coinvolgimento delle regioni nel procedimento di formazione delle leggi e ha costantemente escluso che nel principio di leale collaborazione possa essere rinvenuto un fondamento costituzionale all’applicazione dei meccanismi collaborativi nel procedimento legislativo» (così la sentenza n. 237 del 2017; nello stesso senso, da ultimo, sentenze n. 63 del 2024 e n. 6 del 2023).

La seconda censura non è fondata perché la nozione di turismo intermodale riceve una prima caratterizzazione nella stessa norma impugnata («Al fine di ulteriormente favorire la transizione ecologica nel turismo, con azioni di promozione del turismo intermodale secondo le strategie di abbattimento delle emissioni atmosferiche che possono scaturire dalle attività turistiche […]»), che ribadisce quanto stabilito dalla norma istitutiva del Fondo per il turismo sostenibile, cioè dall’art. 1, comma 611, della legge n. 197 del 2022, secondo il quale «[l]e risorse del Fondo di cui al primo periodo sono destinate alle seguenti finalità: […] b) favorire la transizione ecologica nel turismo, con azioni di promozione del turismo intermodale secondo le strategie di riduzione delle emissioni per il turismo». Inoltre, quella nozione è ulteriormente precisata dal d.m. attuativo 22 marzo 2023, n. 5651, il cui art. 4 definisce gli «[i]nterventi ammissibili», fra i quali «promuovere sistemi di veicolazione e scambio intermodale basato sull’uso di mezzi di trasporto pubblico e di biciclette, mediante la realizzazione di cicloposteggi o di centri per il deposito custodito di e-bike, anche in prossimità delle stazioni dei treni e dei bus, al fine di potenziare la mobilità€ in bicicletta e la realizzazione di una rete di percorribilità ciclistica».

Dunque, alla norma impugnata non può imputarsi la violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione per il fatto di aver assegnato ulteriori risorse per la promozione del turismo intermodale: l’art. 1-bis, comma 3, mira chiaramente a incentivare il turismo che si realizza con una combinazione di mezzi più ecologici rispetto agli autoveicoli, cioè con bus, treni e biciclette (anche elettriche).

La Regione rileva che, finora, gli enti territoriali non hanno potuto agire per rendere “praticabile” il turismo intermodale, ma tale argomento non è idoneo a dimostrare l’irragionevolezza di una norma che aumenta le risorse per questa forma di turismo. Al contrario di quanto assume la Regione, tale incremento potrebbe facilitare la realizzazione degli interventi necessari per promuovere il turismo intermodale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2023, n. 121 (Misure urgenti in materia di pianificazione della qualità dell’aria e limitazioni della circolazione stradale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 novembre 2023, n. 155, nella parte in cui non dispone che il bando ivi previsto sia adottato previa intesa con la Conferenza unificata;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, commi 2, lettera a), e 4, lettera b), del d.l. n. 121 del 2023, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Campania, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 3, del d.l. n. 121 del 2023, come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione Campania, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Giovanni PITRUZZELLA, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2024