SENTENZA N. 2
ANNO 2024
Commento alla decisione di
Giovanni Colocrese
negli Studi 2024/III di questa Rivista, 1032
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente:
Augusto Antonio BARBERA;
Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, nel procedimento vertente tra Game.Fer srl e Città metropolitana di Roma Capitale e altri, con ordinanza del 9 febbraio 2023, iscritta al n. 70 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2023.
Visto l’atto di costituzione di Game.Fer srl;
udita nell’udienza pubblica del 5 dicembre 2023 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;
deliberato nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza iscritta al n. 70 reg. ord. 2023, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti).
La disposizione censurata delega alle province alcune funzioni amministrative in materia di gestione e smaltimento dei rifiuti e, in particolare: l’approvazione dei progetti degli impianti per la gestione dei rifiuti, ad eccezione di alcune tipologie (lettera a); l’autorizzazione relativa alla realizzazione degli impianti e delle varianti di cui alla lettera a) (lettera b); quella all’esercizio delle attività di smaltimento e di recupero dei rifiuti, con alcune eccezioni, e di raccolta, trasporto, stoccaggio, condizionamento e utilizzazione dei fanghi in agricoltura e di raccolta ed eliminazione degli olii usati (lettera c); le autorizzazioni relative alle stazioni di trasferimento (lettera d).
1.1.– In punto di fatto, il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere su un ricorso presentato dalla Game.Fer srl, impresa titolare di un impianto di rottamazione di rifiuti metallici sito in Roma. L’impresa ha impugnato l’atto con cui la Città metropolitana di Roma Capitale, con riferimento a detto impianto, le aveva negato il rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Tra i motivi di impugnazione, la ricorrente ha dedotto l’incompetenza della Città metropolitana, chiedendo al Collegio di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 196, comma 1, lettere d) ed e), e 208 del d.lgs. n. 152 del 2006. Riferisce il rimettente che l’eccezione di illegittimità costituzionale, sollevata dalla parte, prende le mosse dalle ordinanze dello stesso TAR Lazio, emesse nel 2020 e nel 2021, che avevano rimesso a questa Corte analoga questione di legittimità costituzionale, avente ad oggetto l’art. 6, comma 2, della stessa legge regionale n. 27 del 1998 (in materia di autorizzazione per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli), decisa, nelle more del giudizio a quo, con la sentenza n. 180 del 2020 (recte: n. 189 del 2021).
1.2.– Il giudice rimettente afferma di condividere i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla parte ricorrente.
In punto di rilevanza, la questione avrebbe carattere prioritario rispetto a tutte le altre censure sollevate con il ricorso, anche a prescindere dalla loro graduazione. Ciò, «in ragione della tipologia del vizio di legittimità ad essa sotteso», attinente alla competenza della Città metropolitana. Sul punto, il giudice a quo richiama la sentenza del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 27 aprile 2015, n. 5, secondo la quale il potere del ricorrente di graduare i motivi di ricorso incontra un limite nel vizio di incompetenza, avente comunque carattere pregiudiziale.
L’antinomia fra norma regionale (che attribuisce le funzioni de quibus alle province) e previsioni nazionali (che, invece, le attribuiscono alle regioni) non potrebbe essere risolta con l’ordinario criterio secondo cui lex posterior derogat priori, posto che la prima, pur se anteriore alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), è stata poi modificata dallo stesso legislatore regionale con la legge della Regione Lazio 5 dicembre 2006, n. 23, recante «Modifiche alla legge regionale 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti) e successive modifiche». In tal modo, la legge reg. Lazio n. 27 del 1998 sarebbe stata «convalidata» anche alla luce del nuovo assetto delle competenze che era stato poco prima definito, con il codice dell’ambiente, dal legislatore nazionale nell’esercizio della potestà esclusiva ad esso attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Proprio in virtù della legge regionale n. 23 del 2006 risulterebbe confermata, a giudizio del Collegio rimettente, l’efficacia anche dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, pur non direttamente interessata da detto intervento normativo, con conseguente sua applicabilità ai procedimenti di autorizzazione successivi all’entrata in vigore del codice dell’ambiente.
Né sarebbe possibile aderire alla richiesta della parte ricorrente che, in sede di istanza cautelare, e sulla scorta della sentenza di questa Corte n. 189 del 2021, ha insistito per l’accoglimento del ricorso con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo). Non è infatti qui apprezzabile, secondo il TAR, un’ipotesi di «invalidità conseguenziale», ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), venendo piuttosto in rilievo una norma che, non ponendosi in rapporto di complementarità e di subordinazione funzionale rispetto a quella già dichiarata costituzionalmente illegittima, «appare suscettibile di applicazione autonoma, così da dover formare oggetto di un autonomo giudizio di legittimità costituzionale». Essa, del resto, pur replicando il medesimo modello di distribuzione delle competenze già censurato da questa Corte, stabilisce una delega in favore delle province «che si configura come autonoma e indipendente rispetto a quella prevista dallo stesso legislatore regionale in favore dei Comuni».
In definitiva, la norma regionale censurata non potrebbe essere «oggetto di diretta disapplicazione» da parte del rimettente, ma dovrebbe essere sindacata da questa Corte.
1.3.– La questione sarebbe, inoltre, dotata del requisito della non manifesta infondatezza.
Dal quadro normativo di riferimento il giudice rimettente desume, anzitutto, che le province non sono titolari, in materia ambientale, di funzioni amministrative proprie. In tale contesto, il modello di distribuzione delle competenze decisionali attuato dalla disposizione censurata violerebbe la riserva di competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in quanto contrastante con l’art. 208 cod. ambiente che, quanto agli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, assegna alle regioni il compito di approvarne il progetto e di autorizzarne la realizzazione e la gestione. Diversamente opinando, risulterebbe pregiudicato lo scopo del legislatore nazionale di garantire «la regolarità della messa in esercizio dei predetti impianti attraverso la fissazione di livelli di tutela uniformi» (viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 249 del 2009). Il codice dell’ambiente, nel riservare allo Stato la competenza legislativa esclusiva nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (nella quale – precisa il rimettente – rientra anche la disciplina dei rifiuti, «per costante giurisprudenza costituzionale»), avrebbe dunque fornito «una chiara e univoca indicazione della sola fonte legislativa legittimata ad operare la distribuzione delle connesse funzioni amministrative tra i vari livelli territoriali».
Non potrebbe, pertanto, considerarsi consentita l’allocazione delle funzioni presso un diverso livello amministrativo, trattandosi di un «limite insuscettibile di deroga» da parte delle regioni.
L’incompatibilità dell’assetto delineato dalla disposizione in oggetto rispetto al quadro delle competenze previsto dal codice dell’ambiente emergerebbe dalla sentenza di questa Corte n. 189 del 2021, che – nell’esprimere considerazioni estensibili anche al caso di specie – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, a far data dal 29 aprile 2006, dell’art. 6, comma 2, lettere b) e c), quest’ultima limitatamente al riferimento alla lettera b), della legge reg. Lazio n. 27 del 1998. Nello stesso senso, peraltro, deporrebbe anche la giurisprudenza costituzionale più risalente (sono menzionate le sentenze n. 187 del 2011 e n. 159 del 2012).
Il rimettente, infine, rileva che altre regioni, al fine di adeguarsi all’orientamento di questa Corte, hanno ridefinito il quadro delle competenze amministrative in materia di gestione dei rifiuti, «riallocando in capo alla Regione le funzioni amministrative che lo Stato le ha attribuito senza possibilità di delega». Viene richiamata la legge della Regione Toscana 28 ottobre 2014, n. 61 (Norme per la programmazione e l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di gestione dei rifiuti. Modifiche alla l.r. 25/1998 e alla l.r. 10/2010).
2.– Nel giudizio di legittimità costituzionale la Regione Lazio non si è costituita.
3.– Si è invece costituita la Game.Fer srl, ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per l’accoglimento della questione.
La parte richiama il lungo contenzioso che, da diversi anni, l’ha vista coinvolta, a diverso titolo, con le varie amministrazioni territoriali e locali. Titolare sin dal 1994 di «autorizzazioni provvisorie sempre rinnovate», dal 2018 essa si è vista sistematicamente negare il rinnovo del titolo necessario per continuare ad esercitare la propria attività. Diverse pronunce del TAR Lazio, nel corso degli ultimi anni, hanno riconosciuto fondate le sue ragioni, dapprima escludendo la competenza del Comune in favore della Città metropolitana (sentenza 22 ottobre 2018, n. 10222), poi annullando il diniego di rinnovo dell’autorizzazione provvisoria (sentenza 7 giugno 2021, n. 6791), quindi addirittura affermando la competenza della Regione senza sollevare questione di legittimità costituzionale e finendo anche per pronunciare ultra petita rispetto ai motivi dedotti (sentenza 7 settembre 2022, n. 11590). Il giudizio a quo costituisce, in tale complessivo quadro, un’ulteriore tappa del lungo contenzioso, questa volta avente ad oggetto il rilascio dell’autorizzazione unica ai sensi dell’art. 208 cod. ambiente.
In questo contesto – evidenzia la parte – «la società non riesce dal 2018 a ottenere autorizzazioni per la prosecuzione dell’attività oggetto di precedenti autorizzazioni provvisorie».
Nell’aderire alle motivazioni dell’ordinanza di rimessione, e nel riportarsi ad ampi stralci della sentenza n. 189 del 2021 di questa Corte, la parte rimarca la «necessità di avere un quadro normativo certo che consenta la definizione del giudizio e il superamento di una situazione di impasse perdurante ormai da oltre 5 anni, con ovvie conseguenze negative sulla società odierna deducente», la quale, nelle more, rischierebbe «la chiusura definitiva dell’attività d’impresa».
Considerato in diritto
1.– Il TAR Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, che delega alle province alcune funzioni amministrative in materia di gestione dei rifiuti.
Si tratta, in particolare: a) dell’approvazione dei progetti degli impianti per la gestione dei rifiuti, ad eccezione di alcune tipologie che sono rimesse alla competenza della Regione o dei comuni, nonché dell’approvazione dei progetti di varianti sostanziali in corso di esercizio; b) dell’autorizzazione relativa alla realizzazione degli impianti e delle varianti di cui alla lettera precedente; c) dell’autorizzazione all’esercizio delle attività di smaltimento e di recupero dei rifiuti, fatte salve alcune eccezioni, nonché delle attività di raccolta, trasporto, stoccaggio, condizionamento e utilizzazione dei fanghi in agricoltura, di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 (Attuazione della direttiva n. 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura), nonché di raccolta e di eliminazione degli olii usati di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95 (Attuazione delle direttive n. 75/439/CEE e n. 87/101/CEE relative alla eliminazione degli olii usati); d) delle autorizzazioni relative alle stazioni di trasferimento.
Il rimettente è investito della cognizione di una controversia avente ad oggetto il provvedimento di diniego di un’autorizzazione unica, ai sensi dell’art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, per un impianto di smaltimento e recupero di rifiuti, adottato dalla Città metropolitana di Roma capitale in base alle menzionate previsioni dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998.
Secondo il giudice a quo, la disposizione regionale censurata, nell’introdurre un modello di distribuzione delle competenze decisionali non conforme a quello previso dal codice dell’ambiente, violerebbe i livelli minimi di tutela ambientale stabiliti dal legislatore nazionale, per quanto concerne la gestione dei rifiuti, nell’esercizio della sua potestà esclusiva ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Viene richiamata, a sostegno di tale assunto, la sentenza di questa Corte n. 189 del 2021, che, in una fattispecie analoga, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di altra norma, l’art. 6, comma 2, lettere b) e, parzialmente, c), della medesima legge regionale, parimenti recante una delega (in quel caso, in favore dei comuni) di funzioni amministrative che la legge statale, per il tramite delle previsioni del cod. ambiente, demanda alle regioni.
2.– In via preliminare, occorre delimitare l’odierno thema decidendum alle sole previsioni dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998 che risultano avere effettiva attinenza all’oggetto del giudizio principale, pendente dinanzi al TAR, al pari di quanto ritenuto da questa Corte con riguardo alla fattispecie che ha costituito oggetto della richiamata sentenza n. 189 del 2021.
Tale giudizio coinvolge unicamente le attività amministrative legate all’autorizzazione alla realizzazione di un impianto di smaltimento e recupero di rifiuti, comprendenti, come tali, sia l’approvazione del progetto dell’impianto e la sua realizzazione, sia l’autorizzazione all’esercizio delle conseguenti operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti; aspetti tutti, ricompresi, oggi, nell’atto di autorizzazione unica di cui all’art. 208 cod. ambiente. Pertanto, nell’ambito della disciplina dettata dall’art. 5, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, vengono in rilievo nella presente sede solo le previsioni di cui alle lettere a), b) e c), quest’ultima limitatamente alla delega, in favore delle province, delle funzioni amministrative concernenti l’autorizzazione all’esercizio delle attività di smaltimento e di recupero dei rifiuti.
Le rimanenti funzioni amministrative, individuate dalla restante parte della lettera c) (autorizzazioni all’esercizio dell’attività di raccolta, trasporto, stoccaggio, condizionamento e utilizzazione dei fanghi in agricoltura; nonché all’attività di raccolta e di eliminazione degli olii usati), e dalla lettera d) (autorizzazioni relative alle stazioni di trasferimento), non sono interessate dalle vicende del giudizio a quo e, quindi, non devono costituire oggetto di applicazione da parte del giudice rimettente.
3.– Nel merito, la questione è fondata.
Vanno qui richiamati i principi affermati da questa Corte nella citata sentenza n. 189 del 2021, e ribaditi nella sentenza n. 160 del 2023.
3.1.– La regola generale di riparto delle competenze, dettata dal legislatore statale con l’art. 196, comma 1, lettere d) ed e), cod. ambiente, assegna alle regioni le funzioni amministrative in materia di gestione dei rifiuti, con riguardo sia all’approvazione dei progetti per la realizzazione di nuovi impianti, ivi comprese le autorizzazioni per le modifiche di quelli già esistenti, sia agli atti di assenso necessari per l’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti, anche pericolosi. L’art. 208 cod. ambiente conferma la competenza regionale anche per il rilascio dell’autorizzazione unica, atto che racchiude in sé, oggi, tutti i segmenti dell’attività amministrativa afferenti alla realizzazione e all’entrata in funzione dei nuovi impianti.
Questa scelta allocativa è stata compiuta dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., materia alla quale la costante giurisprudenza di questa Corte ascrive la disciplina della gestione dei rifiuti (tra le tante, sentenze n. 50 del 2023, n. 222 del 2022, n. 86 del 2021 e n. 227 del 2020).
Tale potestà esclusiva comporta che il solo legislatore nazionale sia competente a definire l’organizzazione delle corrispondenti funzioni amministrative anche attraverso l’allocazione di competenze presso enti diversi dai comuni – ai quali esse devono ritenersi generalmente attribuite secondo il criterio espresso dall’art. 118 Cost. – tutte le volte in cui l’esigenza di esercizio unitario della funzione trascenda il relativo ambito territoriale di governo (sentenza n. 189 del 2021).
Ne consegue che, nel sistema delineato dalla riforma costituzionale del 2001, che ha riscritto il Titolo V della Parte II della Costituzione, le funzioni amministrative riconducibili alle materie di cui all’art. 117, secondo comma, Cost. – le quali, sulla base di una valutazione orientata dai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, siano state conferite dallo Stato alla regione – non possono essere da quest’ultima riallocate presso altro ente infraregionale. Si avrebbe, altrimenti, una modifica, mediante atto legislativo regionale, dell’assetto inderogabilmente stabilito, sulla base di una valutazione di congruità rispetto alla dimensione degli interessi implicati, dalla legge nazionale competente per materia, quale, nell’ambito di cui si tratta, il codice dell’ambiente (sentenza n. 189 del 2021).
3.2.– La potestà legislativa esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. risponde, del resto, a ineludibili esigenze di protezione di un bene unitario e di valore primario quale è l’ambiente (sentenze n. 246 del 2017 e n. 641 del 1987), che risulterebbero vanificate ove si riconoscesse alla regione la facoltà di rimetterne indiscriminatamente la cura a un ente territoriale di dimensioni minori, in deroga alla valutazione di adeguatezza compiuta dal legislatore statale con l’individuazione del livello regionale (sentenze n. 60 del 2023 e n. 189 del 2021).
3.3.– Con la disposizione in scrutinio, la Regione Lazio, nel delegare alle province determinate funzioni afferenti alla gestione dei rifiuti, ad essa conferite con legge nazionale, ha violato il parametro evocato introducendo una deroga all’ordine delle competenze stabilito dalla legge statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in assenza di una disposizione del codice dell’ambiente che abiliti alla descritta riallocazione.
3.4.– Come sottolineato da questa Corte nella richiamata sentenza n. 189 del 2021, la mancata riproduzione, nel testo dell’art. 118 Cost. modificato dalla legge cost. n. 3 del 2001, del riferimento, presente nella formulazione originaria, alla delega come strumento di “normale” esercizio delle funzioni amministrative regionali induce, infatti, a ritenere che tale istituto non sia più configurabile come ordinario strumento di allocazione di competenze da parte del legislatore regionale, in assenza di una specifica abilitazione ad opera della fonte a ciò competente.
Nel previgente assetto ordinamentale, in cui la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, improntata al principio del parallelismo tra funzioni legislative e amministrative, era assistita da una presunzione di adeguatezza, la delega, comportando la scissione tra titolarità ed esercizio della funzione, rispondeva a un’essenziale esigenza di flessibilità, sicché si prevedeva che, ove l’ente individuato dalla Costituzione si fosse rivelato inadeguato rispetto alle concrete esigenze della collettività di riferimento, lo svolgimento delle funzioni amministrative sarebbe stato demandato all’ente ritenuto più idoneo a garantirne il soddisfacimento.
Per contro, «nel modello delineato dalla riforma costituzionale del 2001, in linea con il principio di sussidiarietà, la valutazione di adeguatezza informa di sé l’individuazione, ad opera del legislatore statale o regionale, dell’ente presso il quale allocare, in termini di titolarità, la competenza. Infatti, muovendo dalla preferenza accordata ai Comuni, cui sono attribuite, in via generale, le funzioni amministrative, la Costituzione demanda al legislatore statale e regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, la facoltà di diversa allocazione di dette funzioni, per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (art. 118, primo comma, Cost.)» (ancora sentenza n. 189 del 2021).
4.– Per le considerazioni esposte, l’art. 5, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, con riferimento alle lettere a), b) e c), quest’ultima nella sola parte in cui stabilisce la delega, in favore delle province, della funzione amministrativa avente ad oggetto l’autorizzazione all’esercizio delle attività di smaltimento e di recupero dei rifiuti. Va, pertanto, dichiarata la illegittimità costituzionale della lettera c), limitatamente alle parole «delle attività di smaltimento e di recupero dei rifiuti, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 4, comma 1, lettere g) ed h), dall’articolo 6, comma 2, lettera c) e dall’articolo 20, nonché».
5.– Come già rilevato nella sentenza n. 189 del 2021, anche in questo caso deve osservarsi che il contrasto della disposizione censurata con il parametro dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. è sopravvenuto rispetto alla adozione della stessa disposizione. La discrasia rispetto all’assetto delle competenze, quale delineato dalla legge cost. n. 3 del 2001, si è dunque verificata solo nel momento dell’entrata in vigore delle norme interposte del codice dell’ambiente che, conformemente al nuovo quadro costituzionale, hanno ridisegnato, quanto alla gestione dei rifiuti, la distribuzione delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo.
L’illegittimità costituzionale della disciplina censurata decorre, pertanto, dal 29 aprile 2006, data di entrata in vigore degli artt. 196 e 208 cod. ambiente.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale, a far data dal 29 aprile 2006, dell’art. 5, comma 2, lettere a), b) e c), quest’ultima limitatamente alle parole «delle attività di smaltimento e di recupero dei rifiuti, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 4, comma 1, lettere g) ed h), dall’articolo 6, comma 2, lettera c) e dall’articolo 20, nonché», della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2023.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2024