SENTENZA N. 237
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 800, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosso dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, nel procedimento vertente tra A. P. e altri e il Ministero della salute e altri, con ordinanza del 5 febbraio 2020, iscritta al n. 179 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti l’atto di costituzione di A. P. e altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2021 il Giudice relatore Angelo Buscema;
uditi l’avvocato Giuseppe Naccarato per A. P. e altri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021, e l’avvocato dello Stato Emanuele Feola per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 19 ottobre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato, con ordinanza iscritta al n. 179 del registro ordinanze 2020, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 800, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.
La disposizione censurata dispone che «[i] fondi esistenti sulle contabilità aperte ai sensi del comma 795, nonché sulle contabilità presso la tesoreria statale intestate al Ministero dell’economia e delle finanze, destinati in favore degli interventi cofinanziati dall’Unione europea, degli interventi complementari alla programmazione europea, ivi compresi quelli di cui al Piano di azione coesione, degli interventi finanziati con il Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all’articolo 1, comma 703, della legge n. 190 del 2014, nonché i fondi depositati sulle contabilità speciali di cui all’articolo 1, comma 671, della predetta legge 23 dicembre 2014, n. 190, a disposizione delle Amministrazioni centrali dello Stato e delle agenzie dalle stesse vigilate, non sono soggetti ad esecuzione forzata. Sui fondi depositati sui conti di tesoreria e sulle contabilità speciali, come individuati dal comma 795, non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento presso le sezioni di tesoreria dello Stato, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati non determinano obbligo di accantonamento da parte delle sezioni medesime».
Il rimettente riferisce di essere stato adito in via esecutiva a seguito di pignoramento presso terzi in relazione a un debito del Ministero della salute e, a fronte della dichiarazione negativa della Banca d’Italia, terzo pignorato nella veste di tesoriere dello Stato, di aver proceduto ai necessari accertamenti ai sensi dell’art. 549 del codice di procedura civile. Espletata una consulenza tecnica d’ufficio al fine di verificare la sussistenza presso la Banca d’Italia di somme pignorabili riferibili al predetto Ministero, è emerso come quest’ultimo fosse titolare soltanto di quattro contabilità speciali, i cui fondi non sarebbero soggetti a esecuzione forzata in virtù della disposizione censurata, mentre alcuni pagamenti verrebbero effettuati mediante prelevamento di somme giacenti su un conto denominato «Disponibilità del Tesoro per il Servizio di Tesoreria», anch’esso impignorabile in virtù dell’art. 5, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2003, n. 398, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico. (Testo A)».
1.1.– Ritenuta la propria legittimazione a sollevare incidente di legittimità costituzionale e l’impossibilità di accedere a un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, stante il suo tenore letterale, il rimettente, sul presupposto che il principio della responsabilità patrimoniale di cui agli artt. 2740 e 2910 del codice civile si applichi anche alle amministrazioni statali, ritiene che l’art. 1, comma 800, della legge n. 208 del 2015 precluda in maniera assoluta qualsiasi azione esecutiva nei confronti del Ministero della salute, ingenerando un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai creditori degli altri ministeri, i quali, viceversa, troverebbero sempre soddisfazione delle proprie ragioni nelle giacenze dei conti di tesoreria. Di qui l’asserito contrasto con l’art. 3 Cost.
Risulterebbe altresì violato l’art. 24 Cost., in quanto la citata norma, impedendo gli atti di pignoramento, renderebbe di fatto infruttuosi i tentativi di recupero coattivo delle somme dovute in virtù di titoli giudiziali, precludendo così, peraltro in via permanente, ogni tutela esecutiva, considerata l’assenza di valide alternative.
Infine, la disposizione censurata violerebbe l’art. 111 Cost., in quanto altererebbe l’effettiva parità delle parti nel processo esecutivo, attribuendo al debitore tutele ingiustificate, e determinerebbe un’irragionevole dilatazione dei tempi della procedura, che subirebbe un ingiusto aggravio.
2.– In punto di rilevanza, il rimettente evidenzia che, ove la disposizione fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, sussisterebbero crediti pignorabili (salvo valutarne la sufficiente capienza), mentre, diversamente, la procedura esecutiva non potrebbe che concludersi con esito negativo, con conseguente estinzione della stessa e mancata soddisfazione dei creditori procedenti e intervenuti.
3.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza delle questioni sollevate.
Anzitutto, il rimettente avrebbe omesso la completa ricostruzione del contesto normativo in cui la disposizione censurata si colloca, in tal modo risultando pregiudicato l’iter logico che ha condotto all’insorgenza dei dubbi di legittimità costituzionale.
In particolare, il giudice a quo avrebbe mancato di considerare che la dichiarazione della Banca d’Italia si sarebbe limitata ai conti accesi presso la sua sede centrale, in applicazione dell’art. 167, comma 1, del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 29 maggio 2007 (Approvazione delle Istruzioni sul Servizio di Tesoreria dello Stato), mentre il Ministero della salute ben potrebbe essere titolare di conti correnti accesi presso le tesorerie provinciali dello Stato, le cui somme non siano assoggettate al regime d’impignorabilità previsto dalla norma censurata. Inoltre, esso potrebbe essere titolare di altri crediti o di beni rientranti nel patrimonio disponibile e quindi assoggettabili a esecuzione forzata.
Ancora, il rimettente avrebbe omesso di tener conto della speciale disciplina dettata dall’art. 14, comma 2, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, il quale ammette la possibilità, in assenza di disponibilità finanziarie, di procedere al pagamento di quanto dovuto in virtù di provvedimenti giurisdizionali mediante emissione di uno speciale ordine di pagamento (SOP) rivolto all’istituto tesoriere, da regolare in conto sospeso. Tale disciplina, unitamente alla possibilità del creditore di adire il giudice amministrativo in sede di ottemperanza, non sarebbe stata presa in considerazione dal rimettente, omissione che ne avrebbe inficiato gli assunti.
Infine, le questioni sarebbero inammissibili in quanto il giudice a quo non avrebbe censurato anche l’art. 5, comma 6, del d.P.R. n. 398 del 2003, a cui pure ascrivere, nella fattispecie, la prospettata impossibilità di procedere a esecuzione forzata.
Nel merito, le questioni sollevate non sarebbero fondate.
Dopo aver ricostruito ed esaminato gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale in materia, il Presidente del Consiglio dei ministri esclude la violazione dell’art. 3 Cost., atteso che, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, la disposizione censurata non introdurrebbe alcuna disparità di trattamento tra i creditori del Ministero della salute e quelli degli altri ministeri, posto che, sotto il profilo soggettivo, l’impignorabilità di cui all’art. 1, comma 800, della legge n. 208 del 2015 concernerebbe i fondi ivi indicati «a disposizione delle Amministrazioni centrali dello Stato»: tutte, senza distinzione.
Tale impignorabilità – giustificata dall’esigenza di assicurare che gli interventi a cui i fondi sono destinati, cofinanziati dall’Unione europea, ricevano per intero gli importi a essi vincolati onde realizzare i programmi volti a rimuovere gli squilibri economici e sociali, nonché a promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale – risponderebbe a finalità espressamente riconosciute dall’art. 119, quinto comma, Cost. e, a livello europeo, dall’art. 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, nonché dall’art. 132 del regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio.
Resterebbero aggredibili in via esecutiva, oltre ai beni mobili e immobili rientranti nel patrimonio disponibile dello Stato, gli altri fondi a disposizione delle amministrazioni statali non oggetto di specifici vincoli di destinazione e rimarrebbe altresì esperibile sia la via dell’emissione del SOP rivolto all’istituto tesoriere, da regolare in conto sospeso, sia quella del giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo.
Di conseguenza – contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo – la norma censurata non svuoterebbe affatto di efficacia i titoli esecutivi giudiziali emessi nei confronti del Ministero della salute e, quindi, non si porrebbe in contrasto con i dettami dell’art. 24 Cost.
Infine, quanto all’asserita violazione dell’art. 111 Cost., il regime d’impignorabilità censurato dal rimettente non attribuirebbe al debitore pubblico alcuna tutela ingiustificata, essendo preordinato al raggiungimento delle finalità che connotano la politica di coesione, né comporterebbe un’irragionevole dilatazione dei tempi processuali e un ingiustificato aggravio della procedura esecutiva, dato che il pignoramento presso terzi dei fondi in questione deriverebbe da una libera scelta del creditore procedente, al quale sarebbe imputabile l’esito negativo della procedura, avendo avuto la possibilità di assumere iniziative differenti.
4.– Si sono costituiti A. P., C. P., S. P. e F. P., parti nel giudizio a quo, i quali, dopo aver sostenuto la legittimazione del rimettente a promuovere l’incidente di legittimità costituzionale e la rilevanza delle questioni sollevate, ne sostengono la fondatezza.
In particolare, risulterebbe violato l’art. 24 Cost. – unitamente all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – in quanto il regime d’impignorabilità dettato dalla disposizione censurata non si giustificherebbe in ragione di esigenze transitorie né si accompagnerebbe alla previsione di valide ed effettive alternative di tutela del creditore. A diversamente opinare non condurrebbe né la sussistenza di altri conti aggredibili, ove stabilmente incapienti; né il conto denominato «Disponibilità del Tesoro per il Servizio di Tesoreria», non intestato al Ministero della salute e, a sua volta, insuscettibile di pignoramento, stante il dettato dell’art. 5, comma 6, del d.P.R. n. 398 del 2003; né la procedura di cui all’art. 14 del d.l. n. 669 del 1996, come convertito, attivabile solo d’ufficio e al cui esito l’ordine di pagamento da regolare in conto sospeso richiederebbe che fossero rese disponibili le necessarie risorse sul pertinente capitolo, in termini incerti e mai brevi; né, infine, il giudizio di ottemperanza, che richiederebbe il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
Non si potrebbe neppure ritenere sussistente un vincolo di scopo idoneo a giustificare il previsto regime d’impignorabilità, essendo necessaria un’indicazione chiara, precisa, mirata e circostanziata della destinazione delle somme, che dovrebbero altresì essere determinate o determinabili nella misura.
La violazione dell’art. 3 Cost. sarebbe rinvenibile sia sotto il profilo della necessaria equiparazione del debitore pubblico e di quello privato, sia perché il Ministero della salute godrebbe di una tutela ingiustificatamente più intensa rispetto a qualsiasi altra amministrazione, risultando sottratti all’esecuzione tutti i fondi a esso pertinenti, con discriminazione a discapito dei suoi creditori. Con la conseguenza che, in via subordinata, la declaratoria di illegittimità costituzionale potrebbe riguardare la disposizione «nella parte in cui non prevede» un limite massimo temporale o quantitativo di preclusione delle azioni esecutive, pena, altrimenti, anche la violazione del diritto di proprietà, presidiato dagli artt. 42 Cost. e 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.
Infine, la disposizione censurata violerebbe l’art. 111 Cost., sia perché altererebbe l’effettiva parità delle parti nel processo esecutivo, munendo il debitore di ingiustificate tutele, sia perché determinerebbe un irrazionale aggravio del processo, costringendo il debitore a promuovere l’azione esecutiva, irrimediabilmente frustrata dall’impignorabilità destinata a manifestarsi solo nell’eventuale articolazione del procedimento esecutivo di cui all’art. 549 cod. proc. civ. Ciò con violazione degli artt. 28 e 97 Cost., in quanto, sottraendo il Ministero della salute alle azioni esecutive per il recupero di somme a qualsiasi titolo dovute, produrrebbe l’illegittimo effetto di deresponsabilizzare l’amministrazione (e i suoi funzionari), irrimediabilmente nuocendo ai principi di buon andamento e di imparzialità.
5.– In prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa, in cui, oltre a ribadire e approfondire gli argomenti esposti nell’atto di intervento, replicando alle difese delle parti del giudizio a quo, ha eccepito l’inammissibilità dell’ampliamento del thema decidendum da esse proposto nell’atto di costituzione e del tentativo ivi esperito di colmare le lacune dell’ordinanza di rimessione.
6.– In prossimità dell’udienza, anche A. P., C. P., S. P. e F. P. hanno depositato memoria illustrativa, segnalando il sopravvenuto accordo transattivo intercorso con il Ministero della salute, richiamando gli argomenti esposti in precedenza ed evidenziando, in replica a quanto sostenuto dall’Avvocatura generale dello Stato, come la mancata censura dell’art. 5, comma 6, del d.P.R. n. 398 del 2003 non infici la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, essendo sufficiente la rimozione anche di uno solo dei vincoli d’impignorabilità onde assicurare la tutela esecutiva invocata.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato, con ordinanza iscritta al n. 179 del registro ordinanze 2020, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 800, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.
La disposizione censurata dispone che «[i] fondi esistenti sulle contabilità aperte ai sensi del comma 795, nonché sulle contabilità presso la tesoreria statale intestate al Ministero dell’economia e delle finanze, destinati in favore degli interventi cofinanziati dall’Unione europea, degli interventi complementari alla programmazione europea, ivi compresi quelli di cui al Piano di azione coesione, degli interventi finanziati con il Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all’articolo 1, comma 703, della legge n. 190 del 2014, nonché i fondi depositati sulle contabilità speciali di cui all’articolo 1, comma 671, della predetta legge 23 dicembre 2014, n. 190, a disposizione delle Amministrazioni centrali dello Stato e delle agenzie dalle stesse vigilate, non sono soggetti ad esecuzione forzata. Sui fondi depositati sui conti di tesoreria e sulle contabilità speciali, come individuati dal comma 795, non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento presso le sezioni di tesoreria dello Stato, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati non determinano obbligo di accantonamento da parte delle sezioni medesime».
Secondo il rimettente, la disposizione precluderebbe in maniera assoluta qualsiasi azione esecutiva nei confronti del Ministero della salute – a seguito di consulenza tecnica d’ufficio risultato titolare presso la Banca d’Italia, terzo pignorato nella veste di tesoriere dello Stato, unicamente di contabilità speciali presidiate dalla norma censurata – ingenerando un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai creditori degli altri ministeri. Di qui l’asserito contrasto con l’art. 3 Cost.
Risulterebbe altresì violato l’art. 24 Cost., in quanto la norma renderebbe di fatto infruttuosi i tentativi di recupero coattivo delle somme dovute in virtù di titoli giudiziali, precludendo così ogni tutela esecutiva, in mancanza di valide alternative.
Infine, la disposizione violerebbe l’art. 111 Cost., in quanto altererebbe l’effettiva parità delle parti nel processo esecutivo, attribuendo al debitore tutele ingiustificate, e determinerebbe un’irragionevole dilatazione dei tempi della procedura, che subirebbe un ingiusto aggravio.
2.– Occorre preliminarmente evidenziare che, sebbene l’ordinanza di rimessione si riferisca indistintamente al comma 800 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, dalla descrizione della vicenda processuale e dal contenuto delle censure si evince chiaramente come oggetto di denuncia sia unicamente la porzione normativa secondo cui «i fondi depositati sulle contabilità speciali di cui all’articolo 1, comma 671, della predetta legge 23 dicembre 2014, n. 190, a disposizione delle Amministrazioni centrali dello Stato e delle agenzie dalle stesse vigilate, non sono soggetti ad esecuzione forzata». A essa va dunque circoscritto l’oggetto delle questioni sollevate.
Si evidenzia fin d’ora che l’art. 1, comma 671, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello 7 Stato (legge di stabilità 2015)», a seguito della sostituzione operata dall’art. 1, comma 801, della legge n. 208 del 2015, dispone che «[a]l fine di accelerare e semplificare l’iter dei pagamenti riguardanti gli interventi cofinanziati dall’Unione europea e gli interventi di azione e coesione complementari alla programmazione dell’Unione europea, a titolarità delle Amministrazioni centrali dello Stato ovvero di agenzie dalle stesse vigilate, il Fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, provvede alle erogazioni a proprio carico, riguardanti i predetti interventi, anche mediante versamenti nelle apposite contabilità speciali istituite presso ciascuna amministrazione o agenzia titolare degli interventi stessi».
3.– Tanto premesso, occorre rilevare come le parti costituite in giudizio, oltre a sostenere la fondatezza delle questioni sollevate dal rimettente, abbiano altresì denunciato il contrasto dell’art. 1, comma 800, della legge n. 208 del 2015 con gli artt. 28, 42 e 97 Cost., con l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, nonché la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della necessaria equiparazione del debitore pubblico e di quello privato.
Tali questioni e profili di censura vanno ritenuti inammissibili, atteso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato al thema decidendum delineato dall’ordinanza di rimessione, per cui non possono essere presi in considerazione, oltre i limiti fissati nella medesima ordinanza, ulteriori questioni o profili di legittimità costituzionale dedotti dalle parti (ex plurimis, sentenze n. 172 e n. 109 del 2021).
È inoltre ininfluente il sopravvenuto accordo transattivo intercorso tra le parti costituite e il Ministero della salute, poiché non assumono rilievo gli eventi successivi all’ordinanza di rimessione, tra cui ricomprendere la definizione stragiudiziale della controversia, stante l’autonomia del giudizio incidentale di legittimità costituzionale da quello a quo (ex multis, sentenza n. 264 del 2017).
4.– Non è fondata l’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato in ordine all’insufficiente considerazione del contesto normativo in cui si colloca la disposizione censurata.
Seppur attraverso sintetici e stringati passaggi argomentativi e in mancanza di specifici richiami al quadro normativo di riferimento, il rimettente dimostra di aver considerato le alternative di tutela astrattamente previste, reputandole inidonee a garantire l’effettiva possibilità di esecuzione forzata nei confronti del Ministero della salute, in tal modo offrendo un’adeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza.
5.– Parimenti non fondata è l’eccezione d’inammissibilità relativa alla mancata censura dell’art. 5, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2003, n. 398, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico. (Testo A)».
La circostanza, infatti, non inficia in alcun modo la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 800, della legge n. 208 del 2015, atteso che, secondo quanto non implausibilmente sostenuto dal rimettente, l’ordinanza alla quale, in ragione dell’art. 549 del codice di procedura civile, è affidata la risoluzione dei «contrasti, in relazione all’accertamento dell’obbligo del terzo o a problemi relativi all’individuazione dei crediti o dei beni del debitore in possesso del terzo» (sentenza n. 172 del 2019), presuppone la non assoggettabilità a esecuzione forzata dei fondi depositati nelle contabilità speciali intestate al Ministero della salute, prevista dalla norma censurata.
6.– È peraltro inammissibile la questione sollevata dal giudice a quo in riferimento all’art. 111 Cost., sotto il profilo della ragionevole durata del processo, in quanto la disposizione determinerebbe «un’irrazionale dilatazione dei tempi processuali e un ingiusto aggravio della procedura esecutiva».
Tale motivazione sulla non manifesta infondatezza è lacunosa, in quanto non esplicita in che modo il divieto di esecuzione forzata sancito dal censurato art. 1, comma 800, della legge n. 208 del 2015 allunghi irragionevolmente la durata del processo esecutivo e ne comporti un appesantimento. Da tanto discende l’inammissibilità della questione (ex multis, sentenza n. 181 del 2021), senza che, stante il principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione, al fine di colmare la lacuna, possa farsi ricorso alle integrazioni al riguardo ricavabili dalle memorie delle parti costituite (sentenza n. 239 del 2019). Pur comprendendosi le difficoltà da queste ultime denunciate, correlate all’emersione in concreto del vincolo d’impignorabilità che discende dalla disposizione censurata, questa Corte non può non rammentare il proprio orientamento, secondo cui l’ordinanza di rimessione deve contenere un’«autonoma illustrazione delle ragioni per le quali la normativa censurata integrerebbe una violazione del parametro costituzionale evocato» (ex plurimis, sentenza n. 54 del 2020).
7.– Nel merito, le residue questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.
7.1.– Anzitutto, quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento che la disposizione determinerebbe tra i creditori del Ministero della salute e quelli degli altri ministeri, occorre rilevare come la disposizione medesima preveda che «i fondi depositati sulle contabilità speciali di cui all’articolo 1, comma 671, della predetta legge 23 dicembre 2014, n. 190, a disposizione delle Amministrazioni centrali dello Stato e delle agenzie dalle stesse vigilate, non sono soggetti ad esecuzione forzata».
L’art. 1 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 maggio 2014 (Apertura di contabilità speciali di tesoreria intestate alle Amministrazioni centrali dello Stato per la gestione degli interventi cofinanziati dall’Unione europea e degli interventi complementari alla programmazione comunitaria) ha acceso presso la tesoreria statale – ossia, la Banca d’Italia, che esercita il servizio in virtù dell’art. 6 del decreto legislativo 5 dicembre 1997, n. 430 (Unificazione dei Ministeri del tesoro e del bilancio e della programmazione economica e riordino delle competenze del CIPE, a norma dell’articolo 7 della L. 3 aprile 1997, n. 94), dell’art. 4, comma 1, della legge 28 marzo 1991, n. 104 (Proroga della gestione del servizio di tesoreria provinciale dello Stato), e delle convenzioni con essa intercorse – tali specifiche contabilità speciali intestate alle amministrazioni centrali dello Stato indicate nella Tabella allegata al decreto, titolari degli interventi cofinanziati dall’Unione europea. Ciò al fine di effettuare i relativi pagamenti (art. 1, comma 671, della legge n. 190 del 2014).
L’esclusione dell’esecuzione forzata prescritta dalla disposizione censurata riguarda dunque tutte le contabilità speciali sopra menzionate, a qualunque amministrazione centrale esse siano intestate, con la conseguenza che non sussiste la dedotta discriminazione a discapito dei creditori del Ministero della salute.
7.2.– Quanto alla violazione degli artt. 24 e 111 Cost., quest’ultimo sotto il profilo della parità delle parti, si deve anzitutto rammentare come anche alla pubblica amministrazione si applichi la regola generale per cui il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 del codice civile) ed è soggetto all’espropriazione forzata se non esegue spontaneamente il comando contenuto nella sentenza di condanna (art. 2910 cod. civ.) (sentenze n. 223 del 2020 e n. 138 del 1981).
Tuttavia, se, di fronte alla sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro, la posizione dell’amministrazione non è, in via di principio, diversa da quella di ogni altro debitore, sicché anche nei suoi confronti è esperibile l’esecuzione forzata per espropriazione, si deve considerare che: a) limiti di pignorabilità dei beni patrimoniali possono essere individuati concretamente in relazione alla natura o alla destinazione degli specifici beni dei quali di volta in volta si chiede l’espropriazione; b) l’iscrizione nel bilancio preventivo dello Stato o dell’ente pubblico di somme o di crediti non può valere a paralizzare l’azione esecutiva, non potendo da essa desumersi un vincolo di destinazione in senso tecnico – stante il principio di unità del bilancio (sentenza n. 192 del 2012) – idoneo a far ricomprendere tali somme o crediti nell’ambito del patrimonio indisponibile; c) rimane salva l’ipotesi che determinate somme o crediti siano vincolati al soddisfacimento di specifiche finalità pubbliche (sentenza n. 138 del 1981), «quando una espressa disposizione di legge o un provvedimento amministrativo dia loro una univoca, precisa e concreta destinazione» (sentenza n. 622 del 1988).
In secondo luogo, limiti all’esecuzione forzata sono stati avallati da questa Corte anche in ragione dell’esistenza di vie alternative alla soddisfazione delle situazioni sostanziali sottostanti al titolo esecutivo, attraverso modalità sostitutive (sentenze n. 186 del 2013, n. 350 del 1998 e n. 155 del 1994; ordinanza n. 83 del 2003).
Tanto rammentato, già la disciplina generale delle contabilità speciali depone nel senso della sussistenza di un vincolo di destinazione in senso tecnico, idoneo a far confluire le risorse ivi depositate nel patrimonio indisponibile dello Stato. Infatti, ai sensi dell’art. 10, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367 (Regolamento recante semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili), il versamento di fondi nelle contabilità speciali può essere autorizzato nei casi in cui essi debbano essere accreditati per essere «destinati a specifici interventi, programmi e progetti».
In secondo luogo, con specifico riferimento alla fattispecie, nelle contabilità speciali in esame sono destinate a confluire le risorse europee e nazionali di cofinanziamento degli interventi rientranti nella politica dell’Unione europea per ridurre le disparità di sviluppo fra le Regioni degli Stati membri e per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale, secondo il quadro strategico tracciato dall’accordo di partenariato intercorso con il singolo Stato membro, i programmi operativi da quest’ultimo elaborati e la programmazione a essi complementare. Il vincolo di destinazione, in particolare, emerge dall’art. 132 del regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio; disposizione che specificamente mira a garantire che i beneficiari di interventi cofinanziati ricevano per intero gli importi per la realizzazione dei progetti presentati.
Quanto precede concorre a delineare la ragione giustificatrice del divieto di esecuzione forzata sancito dalla disposizione censurata.
Al contempo, occorre considerare che, quantunque essa, non unica nel panorama normativo, rappresenti un oggettivo ostacolo alla soddisfazione coattiva in sede civile delle ragioni creditorie vantate nei confronti della pubblica amministrazione in virtù di un provvedimento giurisdizionale di condanna pecuniaria, è identificabile una valida ed efficace alternativa, utile al medesimo fine.
Infatti, ove l’amministrazione sia restata inerte di fronte a una pronuncia giurisdizionale di condanna al pagamento di una somma di denaro, in alternativa al procedimento di esecuzione forzata civile, è possibile ricorrere al giudizio di ottemperanza di cui agli articoli da 112 a 115 dell’Allegato 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
Se, da un lato, esso presuppone la stabilità propria del giudicato in ordine al provvedimento del giudice ordinario, dall’altro consente l’accesso a tecniche di esecuzione incisive, quali la possibilità d’irrogazione di penalità di mora (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 25 giugno 2014, n. 15) e la nomina di un commissario ad acta che, nella persistente inerzia dell’amministrazione dello Stato, proceda al reperimento materiale delle risorse necessarie al pagamento e vi provveda anche in caso d’indisponibilità sul pertinente capitolo di bilancio, mediante l’emissione di uno speciale ordine di pagamento (SOP), da regolare in conto sospeso, rivolto alla Banca d’Italia (art. 14, comma 2, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, recante «Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997», convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1997, n. 30), per effetto del quale essa anticipi al creditore quanto dovuto, salva successiva regolarizzazione contabile (art. 7 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 24 giugno 2015, recante «Modalità di emissione e caratteristiche dello speciale ordine di pagamento informatico rivolto al tesoriere per il pagamento di somme dovute in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali e di lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva»).
Peraltro, tale ultima procedura, diretta a contemperare le esigenze di finanza pubblica con il diritto del creditore, consente a quest’ultimo, ove ne sussistano i presupposti, di sollecitare direttamente e preventivamente il dirigente responsabile della spesa a disporre il pagamento mediante emissione del SOP, senza la necessità di attendere la formazione del giudicato onde ricorrere all’ottemperanza.
Tanto considerato, alla luce degli orientamenti espressi da questa Corte e della coerenza con essi della normativa precedentemente richiamata, emerge come ai fondi depositati sulle richiamate contabilità speciali sia impresso un vincolo di destinazione in senso tecnico che connota di ragionevolezza il regime di esclusione dall’esecuzione forzata sancito dalla norma censurata, senza comprimere ingiustificatamente l’esercizio del diritto del creditore volto a ottenere altrimenti l’attuazione, anche coattiva, delle decisioni di giustizia, nel bilanciamento dei valori in conflitto.
Ne consegue che non sussiste la violazione della garanzia di poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (art. 24 Cost.) né si profila un’irragionevole alterazione delle posizioni in gioco (art. 111 Cost.).
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 800, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in cui prevede che «i fondi depositati sulle contabilità speciali di cui all’articolo 1, comma 671, della predetta legge 23 dicembre 2014, n. 190, a disposizione delle Amministrazioni centrali dello Stato e delle agenzie dalle stesse vigilate, non sono soggetti ad esecuzione forzata», sollevata, in riferimento all’art. 111 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevole durata del processo, dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 800, della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui prevede che «i fondi depositati sulle contabilità speciali di cui all’articolo 1, comma 671, della predetta legge 23 dicembre 2014, n. 190, a disposizione delle Amministrazioni centrali dello Stato e delle agenzie dalle stesse vigilate, non sono soggetti ad esecuzione forzata», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., quest’ultimo sotto il profilo della parità delle parti, dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2021.