SENTENZA N. 155
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Gabriele PESCATORE
Giudici
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21 del decreto legge 18 gennaio 1993, n. 8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68, promossi con n. 3 ordinanze emesse il 26 maggio 1993 dal Pretore di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, iscritte ai nn. 430, 433 e 434 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di Malara Filippo;
udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 1994 il Giudice relatore Renato Granata;
Ritenuto in fatto
1. A seguito di sentenza di condanna del Comune di Procida al pagamento di una somma di danaro il creditore Dinacci Filippo assoggettava a pignoramento, con atto del 29 gennaio 1991, le somme appartenenti al Comune suddetto ed in possesso del Banco di Napoli, in qualità di tesoriere. Nel corso della relativa procedura esecutiva il Pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli, - rilevato che all'udienza fissata per la comparizione delle parti il terzo aveva dedotto lo stato di dissesto del Comune ed aveva reso una dichiarazione di quantità (da interpretarsi come positiva), mentre il Comune debitore era comparso senza però comunicare se avesse, o meno, inserito, previo riconoscimento, il debito nel piano di estinzione - ha sollevato, con ordinanza del 26 maggio 1993, questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 21 d.l. 18 gennaio 1993 n.8, convertito in legge 19 marzo 1993 n.68, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 28, 41 e 113 Cost. Premesso che l'art. 21 citato imporrebbe di definire il giudizio con una mera pronunzia (di rito) di estinzione del processo, seppure in mancanza di opposizione o anche di semplici istanze al riguardo, il pretore rimettente muove plurime e variamente articolate censure di illegittimità costituzionale.
1.2. Ritiene innanzi tutto violati gli artt. 2, 3, comma 2, e 41 Cost. (per sospetta violazione dei diritti inviolabili, del principio di eguaglianza sostanziale e del diritto di iniziativa economica) sotto il (radicale ed assorbente) profilo che la P.A. non può, pur trovandosi in uno stato di definitiva impotenza patrimoniale ad adempiere integralmente ed immediatamente le proprie obbligazioni, essere assoggettata ad una esecuzione collettiva e, meno che mai, ad uno procedura di tipo concorsuale. La posizione istituzionale della P.A.non le consente di sottrarsi alle conseguenze del suo inadempimento, frustando l'interesse dei creditori insoddisfatti; essa non può fallire o essere assoggetta a qualsivoglia procedura di liquidazione. Invece la norma censurata, nel prevedere la speciale procedura di liquidazione (ex art. 21 cit.) conseguente alla deliberazione dello stato di dissesto, di fatto assimila (ingiustificatamente e, per di più, con una serie di privilegi) la posizione della P.A. a quella di imprenditore privato debitore.
1.3. Sotto altro profilo poi il giudice rimettente ritiene violati gli artt.2, 24, 28 e 113 Cost.. Osserva che la norma censurata delinea una procedura concorsuale del tutto atipica perchè sotto più profili diversa da quella del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa. Infatti da una parte si prevede la delibera dello stato di dissesto, l'esclusione della capitalizzazione di somme per interessi ed accessori, l'inammissibilità delle azioni esecutive individuali, il riparto "nei limiti della massa attiva" (con ciò ipotizzandosi l'incapienza), l'inammissibilità di richieste di crediti di data anteriore all'approvazione del piano di estinzione; tutte previsioni tipiche delle procedure concorsuali. D'altra parte però per altri versi la procedura di dissesto ha sue connotazioni proprie: lo stato di dissesto non viene dichiarato ad istanza del creditore, ma dalla stessa P.A. debitrice senza peraltro che si determini alcuno degli effetti personali che la normativa fallimentare collega, in danno del debitore o degli amministratori, alla dichiarazione di fallimento o all'accertamento dello stato di insolvenza; il commissario ha titolo a transigere vertenze in atto o pretese in corso senza che sia assicurato ai creditori alcun controllo sull'attività di predisposizione della massa passiva; nè è garantito l'accertamento, con indagine giudiziale e con efficacia definitiva, della consistenza e dell'entità della massa passiva, nonchè dell'ammontare e della natura di ciascun credito; non è prescritto che siano liquidati tutti i beni dell'ente assoggettato alla procedura; nè gli è sottratta la disponibilità e l'amministrazione degli stessi mediante il conferimento del potere di conservazione, di amministrazione e di liquidazione agli organi della procedura;non è neppure previsto che i beni (disponibili), in ipotesi, già "sottratti" vengano (o possano essere) acquisiti alla massa attiva, attraverso procedimenti di revoca degli atti compiuti dal debitore;non è poi consentito ai creditori alcun controllo in sede di riparto, nè è chiara la sorte dei crediti parzialmente insoddisfatti in sede di riparto ovvero non inclusi nella massa passiva.
Tutte tali evidenziate differenze portano a concludere - secondo il giudice rimettente - che la singolare procedura, disciplinata dall'art.21, non costituisce una forma di tutela del creditore giuridicamente apprezzabile nel momento in cui viene parallelamente prevista l'inammissibilità delle azioni esecutive individuali, in danno della P.A. dissestata, e l'obbligo della declaratoria di estinzione da parte del giudice delle procedure esecutive pendenti, risultando quindi soprattutto vulnerato il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. nella parte in cui la norma censurata frappone limiti alla pretesa del creditore di conseguire a mezzo dell'azione esecutiva l'oggetto del suo diritto.
L'art. 21 cit. è pertanto censurato nella parte in cui prevede che "in deroga ad ogni altra disposizione, dalla data di deliberazione di dissesto ... sono dichiarate estinte dal giudice, previa liquidazione dell'importo dovuto per capitale, accessori e spese, le procedure esecutive pendenti".
1.4. Il Pretore rimettente muove poi ulteriori censure di portata più limitata perchè centrate su specifici aspetti della disciplina positiva.
Ritiene innanzi tutto violati gli artt. 3 e 24 Cost. sotto il profilo che la norma censurata - pur apparendo funzionale all'inserimento del debito nel piano di estinzione - non garantisce in realtà tale inserimento, nè appresta mezzi al creditore per far valere il suo diritto all'inserimento, in tutti i casi di inadempimento della P.A., sicchè di fatto risulterebbero avvantaggiati alcuni dei creditori (quelli inseriti nella massa passiva) in danno di altri.
La medesima disposizione inoltre prevede (con violazione degli artt. 2 e 24 Cost.) la declaratoria di estinzione delle procedure esecutive pendenti da parte del giudice dell'esecuzione anzichè quella di mera improseguibilità delle stesse, senza peraltro approntare adeguate garanzie al creditore perchè il suo credito, nella misura quantificata dal giudice dell'esecuzione, venga inserito nella massa passiva.
Osserva ancora il pretore rimettente che per effetto della estinzione delle procedure esecutive gli atti esecutivi compiuti risultano inefficaci e quindi i beni pignorati ritornano nella disponibilità dell'ente locale esecutato invece di essere riversati nell'esecuzione collettiva;l'art.21 cit. si appalesa quindi illegittimo (per violazione degli artt.3 e 24 Cost.) nella parte in cui prescrive l'estinzione delle procedure esecutive, senza prevedere che i beni pignorati non vadano restituiti all'ente esecutato, ma confluiscano nella massa passiva.
Infine - osserva ancora il giudice rimettente - la norma irrazionalmente non prevede mezzi di tutela per reclamare avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione di liquidazione delle somme dovute dall'ente esecutato e di estinzione della procedure esecutiva; l'art.21 cit,. è quindi sospettato di illegittimità nella parte in cui non estende, all'ordinanza del giudice dell'esecuzione dichiarativa dell'estinzione del processo esecutivo e di liquidazione delle somme, il reclamo previsto dall'art. 630, comma ultimo, c.p.c. o qualsiasi altro mezzo di tutela.
2.1. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che questa Corte dichiari la manifesta infondatezza di tutte le censure mosse dal pretore rimettente.
Con ampia e diffusa memoria l'Avvocatura contesta la fondatezza di tutte le singole censure così come articolate nell'ordinanza di rimessione.
2.2. In particolare, con riferimento alla prima censura, rileva che se è legittimo dal punto di vista costituzionale assoggettare una Pubblica Amministrazione alla esecuzione forzata da parte dei singoli creditori, non vi è alcun ragionevole motivo per escludere una qualsiasi forma di esecuzione collettiva nei confronti della stessa allorquando la sua situazione finanziaria ed economica abbia raggiunto il punto critico del dissesto che manifesta la incapacità di soddisfare in maniera totale i creditori e, ancora più grave, di garantire l'adempimento delle proprie funzioni. D'altra parte - osserva l'Avvocatura - le garanzie dei creditori a vedere soddisfatti i propri interessi sarebbero senz'altro minori nel caso in cui questi ultimi ricorressero alle ordinarie procedure esecutive individuali. Infatti con il ricorso alla esecuzione forzata i creditori potrebbero trovare soddisfazione sui beni dell'ente locale debitore che siano reperibili (ad eccezione di quelli che per specifica destinazione sono inseriti nel patrimonio indisponibile e quindi impignorabili). Invece nella procedura ex art. 21 la molteplicità dei creditori dell'ente che si dichiara dissestato ha la probabilità di essere soddisfatta con maggiore certezza giacchè concorrono non solo sui beni degli enti lo cali, ma addirittura possono concorrere anche sul contributo erariale concesso dallo Stato.
2.3. Con riferimento alla seconda censura l'Avvocatura osserva che, ancorchè la procedura ex art. 21 si discosti da quelle previste dalla legge fallimentare, non di meno - tenendo conto anche della disciplina regolamentare posta con d.P.R. 24 agosto 1993 n.378 - è fatto salvo il diritto alla tutela giurisdizionale dei creditori. Ed infatti è privo di alcun rilievo la circostanza che lo stato di dissesto sia dichiarato dallo stesso ente locale, anzichè dalla autorità giudiziaria, atteso che l'art. 21 ne disciplina i presupposti senza lasciare discrezionalità alcuna all'ente stesso che è obbligato a procedere a tale declaratoria. D'altra parte sussiste la possibilità di controllo da parte dei creditori della formazione della massa passiva; questi, infatti, nel caso in cui ravvisino una qualunque lesione dei propri interessi, possono ricorrere ai normali mezzi di impugnazione degli atti posti in essere dall'organo straordinario di liquidazione e nei confronti del decreto ministeriale di approvazione del piano di estinzione.
Neppure è esatto - ritiene ancora l'Avvocatura - che l'art. 21 cit. non imponga che siano liquidati tutti i beni dell'ente in dissesto come emerge dalla complessa attività di realizzo demandata al Commissario liquidatore.
La salvaguardia della posizione dei creditori è poi assicurata anche in relazione agli atti di riparto avverso i quali possono essere esperiti i normali mezzi di tutela nel caso di lesione di loro interessi.
Mentre la mancata previsione di azioni revocatorie è poi giustificata dal fatto che l'ente locale non opera discrezionalmente, ma sulla base di normative che scandiscono la sua attività e che rendono obbligatori e necessari determinati comportamenti.
2.4. Con riferimento infine alle altre censure (sopra indicate al par.1.4.) osserva l'Avvocatura che:
a) nei confronti dei provvedimenti del commissario liquidatore e del decreto ministeriale che approva il piano di estinzione sono ammessi i normali mezzi di tutela giurisdizionale ed amministrativa;
b) che non vi è alcuna lesione dei creditori per il fatto che l'art. 21 prevede l'estinzione delle procedure esecutive in corso perchè il credito per cui pende l'azione esecutiva viene inserito nella massa passiva e partecipa al riparto della massa attiva;
d) che l'organo straordinario di liquidazione ha la totale disponibilità dei beni dell'ente e quindi anche di quelli restituiti in seguito all'estinzione della procedura esecutiva;
e) che la mancata previsione di alcuna specifica forma di tutela avverso il provvedimento di estinzione del giudice della esecuzione non impedisce all'interessato di ricorrere all'art. 630 c.p.c. che offre la possibilità di effettuare il reclamo contro l'ordinanza del giudice che dichiara l'estinzione.
4. Con atto di intervento fuori termine si è costituito l'avv. Filippo Malara, quale procuratore di sè stesso, chiedendo la dichiarazione di incostituzionalità della norma censurata (oltre che, in via conseguenziale, dell'art. 11, commi 1-bis e 4-bis, d.l. n.8/93 cit.).
5. In altre due analoghe procedure esecutive, entrambe promosse dalla società CIRO MUSELLA IMPORT contro il Comune di Pozzuoli, il Pretore di Napoli ha sollevato identiche questioni di costituzionalità con ordinanze emesse in pari data.
6. In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate per le ragioni già illustrate.
Considerato in diritto
1. Riuniti i giudizi per identità di oggetto, va pregiudizialmente dichiarato inammissibile l'intervento espletato fuori termine dell'avv. Filippo Malara (che peraltro non era parte nel giudizio a quo).
2. L'art. 21 d.l. 18 gennaio 1993 n.8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito nella legge 19 marzo 1993 n.68, è stato investito da censure di costituzionalità sotto più profili ed in riferimento a più parametri.
In particolare possono distinguersi:
a) una censura più radicale che, in riferimento agli artt.2, 3, comma 2, e 41 Cost., dubita che una Pubblica Amministrazione (e segnatamente un Comune) che versi in stato di dissesto possa essere assoggettata ad una procedura esecutiva collettiva di tipo concorsuale, procedura in principio neppure ipotizzabile per un ente pubblico;
b) una censura (logicamente subordinata alla non fondatezza della prima) che, in riferimento agli artt. 3, 24, 28 e 113 Cost., si focalizza sulle connotazioni essenziali della procedura medesima che, raffrontate con quelle delle ordinarie procedure concursuali, rivelerebbero l'inidoneità della stessa ad assicurare una compiuta tutela dei diritti dei creditori esecutanti sicchè sarebbe illegittimo l'arresto ex lege delle procedure esecutive individuali in quanto non bilanciato da un'adeguata tutela alternativa nell'ambito della procedura concorsuale;
c) una censura di dettaglio che (in via ulteriormente subordinata e quindi nella prospettiva della ritenuta legittimità dell'arresto della procedura esecutiva individuale) riguarda, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la tipologia del provvedimento con il quale viene conseguito tale effetto;
d) infine alcune censure che - abbandonando l'ancoraggio del provvedimento che il giudice rimettente è chiamato ad emettere - si proiettano oltre attenendo all'impugnativa dell'(emanando) provvedimento ovvero a distinti e specifici aspetti della disciplina positiva della procedura di liquidazione
3.1. Tutte le censure mosse dal giudice rimettente - così ordinate in sequenza logica - investo no l'art. 21 cit. (e segnatamente il suo terzo comma) che, nel più ampio contesto di un intervento legislativo diretto al risanamento degli enti locali < < dissestati>> (come sono definiti dall'art. 21, in rubrica e nel comma 9 - bis, quelli che abbiano adottato la deliberazione di dissesto) disegna una inedita procedura amministrativa di liquidazione dei debiti dell'ente medesimo, le cui caratteristiche essenziali, per quanto rileva ai fini della valutazione delle censure di costituzionalità che si andrà ad esaminare, possono così riassumersi:
a) ove l'ente locale non sia in condizione di garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistano nei suoi confronti crediti liquidi ed esigibili di terzi ai quali non sia stato fatto validamente fronte nell'ambito della procedura del riconoscimento dei debiti fuori bilancio (di cui all'art.24 d.l. 2 marzo 1989 n.66, conv. con l. 24 aprile 1989 n.144) ovvero adottando le misure (di cui all'art. 1-bis d.l. 1 luglio 1986 n. 318, conv. con l. 9 agosto 1986 n. 488) dirette a conseguire il pareggio finanziario, il consiglio dell'ente medesimo (ovvero eventualmente il commissario nominato ex art. 39, comma 3, l. n. 142 del 1990) è tenuto (< < obbligatoriamente>>) ad adottare la deliberazione di dissesto di cui all'articolo 25 d.l. n. 66/89 cit. che (non diversamente dall'accertamento dello stato di insolvenza nelle procedure concursuali) attiva la speciale procedura di liquidazione disciplinata dalla norma censurata. L'art. 1 del regolamento (d.P.R. 24 agosto 1993 n.378) ha poi meglio identificato gli elementi essenziali dello stato di dissesto che si riassumono in una grave situazione debitoria (denunciata anche dall'impossibilità per l'ente di assicurare il pareggio economico del bilancio di competenza) con il concreto rischio di condannare l'ente stesso alla paralisi;
b) il Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno nomina un commissario straordinario liquidatore ( ovvero una commissione straordinaria di liquidazione composta di tre membri ove si tratti di comuni con più' di 5.000 abitanti o di province); a tale organo della procedura compete l'amministrazione della gestione e dell'indebitamento pregressi e l'adozione di tutti i provvedimenti per l'estinzione dei debiti;
c) in particolare il commissario, o la commissione, provvedono all'accertamento della situazione debitoria dell'ente (ossia - mutuando la terminologia delle procedure concorsuali - a formare lo stato passivo); ammettono i debiti che possono far parte della massa passiva (ossia le categorie singolarmente specificate dall'art. 6 del regolamento, tra cui sono espressamente previsti i debiti provenienti da procedure esecutive in corso); comunicano agli interessati l'eventuale esclusione (art. 9 reg.) e quindi elaborano la proposta di un piano di estinzione dei debiti ammessi; piano poi istruito dall'apposita commissione di ricerca per la finanza locale, che a sua volta ne propone l'approvazione (con eventuali modifiche o integrazioni) al Ministro dell'interno;
d) contestualmente il commissario, o la commissione, individuano l'attivo della liquidazione. A tal fine da una parte pongono in essere una complessa attività di realizzo: accertano i residui attivi da riscuotere, gli interessi attivi sul conto di cassa, gli eventuali avanzi di gestione, i ratei di mutuo disponibili ed ogni attività' non indispensabile da alienare; acquisiscono le entrate relative alla gestione pregressa; alienano (sulla base dei valori di mercato) beni mobili ed immobili del patrimonio disponibile; transigono vertenze in atto o pretese in corso; provvedono ad approvare i ruoli delle imposte e delle tasse non riscosse, a richiedere il versamento dei canoni patrimoniali e a compiere tutti gli atti necessari alla riscossione dei crediti nei tempi più brevi possibili. D'altra parte - ed è questo un aspetto del tutto peculiare della procedura - assumono (a nome dell'ente locale) un mutuo presso la Cassa depositi e prestiti con onere a carico dello Stato (in una misura prederminata).
Peraltro la riferibilità ex lege dell'attività del commissario all'ente, ancorchè prevista espressamente soltanto per l'ipotesi di accensione del mutuo, è in realtà più generale e riguarda ogni attività (quali transazioni, alienazioni) che egli è autorizzato a compiere e che incida nella sfera di soggettività dell'ente, sicchè - pur non essendoci un vera e propria perdita di capacità del debitore assoggettato alla liquidazione come nelle procedure concursuali - c'é però la previsione di un (eccezionale) potere di agire del commissario che realizza in concreto un effetto similare;
e) in sede di riparto il commissario, o la commissione, provvedono a liquidare i debiti inseriti nel piano di estinzione < < nei limiti della massa atti va disponibile>> (in caso di sua insufficienza - recita l'art. 6, comma 7, d.P.R n.378/93 - vi è il riparto proporzionale alla massa passiva) e quindi a deliberare il rendiconto della gestione (sottoposto all'esame del comitato regionale di controllo);
f) parallelamente alla procedura di liquidazione il consiglio dell'ente locale presenta al Ministro dell'interno un'ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato (con l'adozione dei provvedimenti prescritti dall'articolo 25 d.l. n. 66/89), che - dopo essere stato istruito (al pari del piano di estinzione) dalla Commissione di ricerca per la finanza locale - è approvato con decreto del Ministro dell'interno.
3.2. Come risulta evidente dalla pur sommaria analisi della complessa struttura in cui essa si articola, il risultato ultimo dell'intera procedura è quello di restituire l'ente all'espletamento delle sue funzioni istituzionali in una situazione di ripristinato equilibrio finanziario.
4. L'interferenza della procedura di liquidazione e risanamento con le (eventuali) procedure esecutive individuali (che costituisce lo snodo più delicato al fine della valutazione delle censure di costituzionalità) è risolta dall'art. 21 privilegiando lo svolgimento della prima secondo un'opzione che (in termini più estesi) si ritrova anche nell'art. 51 l. fall.; infatti l'art. 21 prevede che in deroga ad ogni altra disposizione, dalla data di deliberazione di dissesto i debiti insoluti non producono più interessi, rivalutazioni monetarie od altro;inoltre, sono dichiarate estinte dal giudice, previa liquidazione dell'importo dovuto per capitale, accessori e spese, le procedure esecutive pendenti e non possono essere promosse nuove azioni esecutive.
In particolare poi l'art. 5 del regolamento prevede l'inserimento < < d'ufficio>> nella massa passiva dei debiti provenienti da procedure esecutive in corso al momento della deliberazione di dissesto; analogamente il successivo art. 6 include tali debiti tra quelli che legittimamente possono far parte della massa passiva.
La finalità del legislatore appare chiaramente essere stata quella di deviare il soddisfacimento forzoso del credito dalla (ordinaria) esecuzione individuale verso una (speciale) procedura concorsuale di liquidazione ispirata (tra l'altro) al principio della par condicio creditorum.
5. In questo contesto normativo va innanzi tutto esaminata la prima, più radicale, censura espressa dal giudice rimettente.
Pur se sommaria ed ellittica, la allegazione dei parametri costituzionali evocati (artt. 2, 3, comma 2, e 41 Cost.) consente di cogliere il contenuto essenziale della censura diretta a contestare in radice l'assoggettabilità dell'ente locale alla procedura di liquidazione di cui all'art. 21 cit.
Peraltro, per coglierne la infondatezza, è sufficiente rilevare, da una parte, che non c'é contraddizione con la natura pubblica e la posizione istituzionale dell'ente locale e, dall'altra, che la posizione dei creditori (lungi dall'essere lesa) risulta sostanzialmente avvantaggiata.
Ed invero la evenienza che una esposizione debitoria particolarmente accentuata comprometta l'espletamento dei servizi essenziali dell'ente rende piena ragione della predisposizione di una procedura diretta al risanamento, e quindi alla normalizzazione finanziaria, dell'ente stesso, che, ancorchè < < dissestato>>, non può cessare di esistere in quanto espressione di autonomia locale, che costituisce un valore costituzionalmente tutelato; nè tanto meno l'ente può essere condannato alla paralisi amministrativa per una adombrata (dal giudice rimettente), ma in realtà insussistente, intangibilità delle posizioni dei creditori. I cui diritti e segnatamente il diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost.), non risultano d'altro canto affatto lesi, se si tiene conto che la procedura di liquidazione ex art. 21 cit. prevede la formazione della massa attiva, destinata a soddisfare i creditori, in termini più favorevoli di una normale procedura esecutiva individuale: vi rientrano infatti non solo tutto il ricavato della complessa attività di realizzo posta in essere dal commissario (così come sopra già indicato), ma anche (e soprattutto) lo speciale mutuo concesso con onere a carico dello Stato.
Quindi complessivamente i creditori possono contare su disponibilità maggiori di quelle che, in mancanza della procedura di liquidazione in esame, avrebbero potuto essere assoggettate a procedure esecutive individuali.
Che poi non di meno i crediti possano essere liquidati (e quindi in concreto soddisfatti) < < nei limiti della massa attiva disponibile>> - come prevede l'art. 21 cit. - è evenienza non affatto diversa da quella del comune rischio di inadempimento del debitore e di incapienza di una qualsivoglia procedura esecutiva individuale; rischio che peraltro, nella procedura ex art. 21 cit., risulta invece razionalizzato perchè il pagamento avviene non già secondo il (casuale e contingente) andamento delle singole procedure individuali, bensì nel rispetto del canone della par condicio creditorum sicchè il principio di eguaglianza, lungi dall'essere violato come assume il giudice rimettente, è viceversa maggiormente attuato; rischio che - deve aggiungersi - per altro verso è in tal caso bilanciato proprio dall'approntamento di maggiori disponibilità finanziarie per il soddisfacimento dei crediti stessi (mentre costituisce mera questione esegetica - rimessa all'interpretazione della giurisprudenza - quella della sorte della eventuale parte non soddisfatta dei crediti ammessi).
6. L'art. 21 cit. è stato poi censurato nella parte in cui - nel prevedere la suddetta forma di procedura esecutiva - contempla che il giudice dell'esecuzione dichiari estinte le procedure esecutive in corso < < previa liquidazione dell'importo dovuto per capitale, accessori e spese>> con conseguente violazione del diritto d'azione del creditore procedente, i cui interessi nella procedura amministrativa che viene attivata con la dichiarazione di dissesto non sono garantiti come nelle procedure concorsuali previsti dalla legge fallimentare.
La censura costituisce uno sviluppo di quella appena esaminata ed essenzialmente si focalizza sulla evidenziazione, e talora enfatizzazione, delle connotazioni differenziali della procedura di liquidazione ex art.21 cit. rispetto alle procedure concorsuali, differenze che ridonderebbero soprattutto in violazione del diritto alla tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.) oltre che degli altri parametri evocati (artt. 3 e 28 Cost.).
Orbene, una volta riconosciuta (al paragrafo che precede) in via di principio la possibilità che, nell'ambito di un più complesso intervento diretto al risanamento dell'ente dissestato, si ponga in essere una liquidazione concorsuale dei crediti ammessi, l'indagine richiesta dal giudice rimettente si sposta sullo strumento tecnico-giuridico approntato a tal fine dal legislatore per verificarne (essenzialmente) il rispetto del generalissimo principio della tutela giurisdizionale delle situazioni soggettive, tutela che va riconosciuta non solo nella fase dell'accertamento giudiziale, ma anche della concreta attuazione mediante esecuzione forzata.
Deve innanzi tutto ribadirsi che, ove sorga la esigenza di una procedura concorsuale, non necessariamente questa deve interamente svolgersi nel contesto di un procedimento giurisdizionale sotto l'immediato e diretto controllo dell'autorità giudiziaria, come nell'ipotesi del fallimento, ben potendo invece il legislatore prevedere un procedimento amministrativo tanto più se sono coinvolti interessi pubblici, come nella specie quello al risanamento dell'ente locale dissestato.
Ciò di per sè solo non significa negazione della giustiziabilità delle posizioni soggettive versate nella procedura di liquidazione e non comporta vulnerazione di quel supremo principio dell'ordinamento costituzionale (sent. n.18 del 1982 e n.392 del 1992) che è il diritto alla tutela giurisdizionale, la quale non implica un'unica rigida tipologia di procedura concorsuale.
Il nostro ordinamento d'altra parte già conosce ipotesi di procedure concursuali che si svolgono inizialmente in ambito amministrativo, quali la liquidazione coatta amministrativa e l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. E questa Corte è già intervenuta affermando, tra l'altro, che dal fatto che l'accertamento del passivo < < si svolga a cura di un commissario liquidatore, senza l'immediato intervento dell'autorità giudiziaria, diversamente da quanto previsto per l'ordinaria procedura fallimentare, e che nel frattempo i singoli creditori trovino limiti all'esperimento di azioni individuali, non deriva alcuna sostanziale violazione del precetto costituzionale dell'art. 24, primo comma>> (sent. n.87 del 1969);e successivamente ha precisato che < < l'innegabile carattere amministrativo della liquidazione e la prevalente considerazione degli interessi generali, nelle diverse fattispecie di liquidazione coatta amministrativa disciplinate dalla legge, non comportano una riduzione dei controlli giurisdizionali tale da abbandonare alla discrezionalità di apprezzamento del commissario liquidatore e dell'autorità amministrativa lo svolgimento della procedura>> (sent. n.159 del 1975).
Nella specie, se è vero - come osserva il giudice rimettente - che l'art. 21 cit. non prevede speciali mezzi di tutela giurisdizionale, ciò però non significa - nè mai potrebbe significare - che l'attività dell'organo di liquidazione sia sottratta alla ordinaria verifica giurisdizionale.
Viceversa rimane ferma la giurisdizione generale del giudice amministrativo in caso di atti il legittimi oltre che quella del giudice ordinario in caso di lesione di diritti soggettivi ove ritenuti configurabili nella procedura instaurata con la deliberazione dello stato di dissesto.
Quindi c'é sempre un giudice chiamato a verificare la legittimità della procedura di liquidazione, e la mancata menzione di specifici mezzi processuali di tutela - mentre, secondo quanto già osservato, non può mai essere intesa come radicale loro esclusione - potrà - ove intesa come implicita previsione normativa di una tutela giudicata contenutisticamente non adeguata delle situazioni soggettive dei creditori - in ipotesi rilevare, al fine di attivare la verifica di costituzionalità di tale tutela differenziata e in tesi limitata alla giurisdizione generale di legittimità davanti al giudice amministrativo, soltanto in eventuali giudizi promossi davanti all'una o all'altra giurisdizione ed aventi ad oggetto la legittimità di singoli atti (compresi quelli di ammissione o di esclusione di crediti) della procedura (sul punto cfr., sotto profili diversi, sent. 146/87 e sent. 251/89).
La catalogazione dei singoli punti differenziali della procedura di liquidazione ex art. 21 rispetto alle altre procedure concursuali - puntualmente evidenziati dal giudice rimettente - non dà corpo, per mera sommatoria, ad un autonomo e più radicale sospetto di illegittimità dell'arresto dell'esecuzione individuale, ma rappresenta la ricognizione descrittiva (e quasi didascalica) delle connotazioni caratteristiche dell'una e dell'altra procedura; non è il solo scostamento della disciplina della procedura di liquidazione in esame dall'archetipo del fallimento (ripetutamente richiamato dal giudice rimettente) a concretare un vizio di costituzionalità, come mostrano se non altro le procedure della liquidazione coatta amministrativa e della amministrazione straordinaria, della cui idoneità a comportare l'arresto delle esecuzioni individuali non si dubita. D'altra parte nella procedura di liquidazione ex art.21 cit. è possibile identificare quel nucleo essenziale ed indefettibile delle procedure concursuali che è costituito dal presupposto dello stato di insolvenza del debitore (o di altra analoga anomalia strutturale) e dalla formazione rispettivamente di uno stato passivo e di una massa attiva per il soddisfacimento proporzionale dei crediti ammessi nel rispetto della par condicio creditorum, mentre le più specifiche differenziazioni di disciplina, ove in ipotesi prive di giustificazione, potrebbero - come già rilevato - radicare distinte questioni di costituzionalità in quei giudizi nei quali di tale disciplina occorra fare applicazione. Viceversa nel giudizio a quo l'art. 21 cit. viene in rilievo unicamente per il provvedimento di estinzione della procedura esecutiva individuale.
In conclusione l'arresto della procedura esecutiva individuale (che conseguentemente si estingue) non vulnera i parametri costituzionali evocati (e soprattutto gli artt. 24 e 113 Cost.) perchè - essendo previsto in favore dell'accesso ad una procedura di liquidazione che ha i tratti essenziali di una procedura concorsuale - sussiste comunque il controllo giurisdizionale della legittimità di ogni suo atto; mentre - come già si è detto - in questa sede non rilevano, ai fini della valutazione della costituzionalità della disposizione che il giudice rimettente è chiamato ad applicare, i profili differenziali di disciplina rispetto alle altre procedure concursuali.
7. In riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. la norma in questione è poi censurata nella parte in cui - nel prevedere una forma di procedura esecutiva collettiva (di tipo concorsuale) di una Pubblica Amministrazione (e segnatamente di un Comune) che versi in stato di dissesto - contempla che il giudice dell'esecuzione dichiari l'estinzione, anzichè la improseguibilità, delle procedure esecutive in corso.
La questione non è fondata.
Non vi è lesione del diritto di azione perchè la pretesa creditoria all'esecuzione forzata non è frustrata, ma è meramente deviata da uno strumento di soddisfacimento individuale verso uno di tipo concorsuale; la già esaminata esigenza di contestuale liquidazione dei debiti degli enti locali nel rispetto della par condicio creditorum costituisce ragione sufficiente di tale meccanismo sostitutorio dello strumento di tutela approntato dall'ordinamento. Coerentemente a tale premessa il legislatore ha inteso evitare la concorrente pendenza di due procedure dirette al soddisfacimento del credito, quella individuale e quella concorsuale, sicchè non può certo dirsi nemmeno lesiva del principio di ragionevolezza la previsione della estinzione, anzichè della mera sospensione, della prima. Che poi nelle ordinarie procedure concursuali l'arresto delle azioni esecutive individuali ex art. 51 l. fall. si atteggi ad improseguibilità delle stesse non costituisce un elemento differenziale utile a svelare una qualche lesione della tutela dei creditori, atteso anche che comunque il bene in ipotesi già pignorato nell'ambito della procedura individuale non può che rifluire nella massa attiva della procedura di liquidazione in esame.
8. Con l'ultimo gruppo di censure il giudice rimettente - come già rilevato - si pone ancora in una prospettiva anticipatoria avendo di mira profili ulteriori e diversi rispetto a quelli strettamente connessi al provvedimento (di estinzione della procedura esecutiva) da adottare.
8.1. Innanzi tutto, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., è censurato l'art. 21 nella parte in cui - nel prevedere il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione dichiara l'estinzione delle procedure esecutive in corso - non contempla la possibilità di reclamo di cui all'art. 630 c.p.c. od altro mezzo di tutela.
La questione è inammissibile per difetto di rilevanza perchè è soltanto dopo l'emissione del provvedimento che sorge il problema della sua ricorribilità e (semmai) potrà essere il giudice adito ex art. 630 cit., il quale ritenga tale norma in realtà non applicabile, a dubitare della legittimità costituzionale della (assunta) mancata previsione di tale strumento di tutela.
8.2. Altre due censure riguardano distinti e specifici aspetti della disciplina positiva della procedura di liquidazione in questione.
8.2.1. Sotto un primo profilo l'art. 21 è censurato, in riferimento ancora agli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui - nel prevedere la declaratoria di estinzione della procedura esecutiva in corso - non contempla uno specifico strumento di tutela del creditore procedente per ottenere che il suo credito sia inserito nella massa passiva.
La questione è inammissibile.
Indipendentemente dal rilievo che i crediti che provengono da procedure esecutive individuali in corso al momento della dichiarazione di dissesto sono inserite < < d'ufficio>> (art. 5, lett e), reg.) nella massa passiva e che la delibera dell'organo straordinario della liquidazione di ammissione o non ammissione dei singoli debiti (ex art. 9, comma 4, reg.) costituisce atto amministrativo suscettibile - secondo quanto già argomentato - della verifica giudiziaria di legittimità innanzi al giudice competente, non è nella sede del giudizio a quo che possa censurarsi l'idoneità di tale tutela giurisdizionale rispetto ai parametri invocati perchè la pregiudizialità dell'incidente di costituzionalità sussiste unicamente in relazione al provvedimento di estinzione e liquidazione che deve adottare il giudice rimettente e non anche in ordine allo strumento di reazione approntato dall'ordinamento al creditore che in ipotesi dovesse non essere ammesso allo stato passivo; contingenza questa mera mente eventuale che non può radicare un'anticipata verifica di costituzionalità del dedotto profilo di illegittimità della norma la cui rilevanza si porrà - una volta non ammesso il credito - in un successivo giudizio volto a far valere l'illegittimità della delibera dell'organo straordinario della liquidazione.
8.2.2. Infine in riferimento ai medesimi parametri (artt.3 e 24 Cost.) l'art. 21 è ulteriormente censurato nella parte in cui - nel prevedere l'estinzione delle procedure esecutive in corso - non prescrive che nella massa passiva confluiscano i beni già pignorati (che invece ritornano nella disponibilità dell'ente in dissesto).
Ancorchè si sia già incidentalmente rilevato (sotto altro profilo) che il bene in ipotesi già pignorato nell'ambito della procedura individuale non può non rifluire nella massa attiva della procedura di liquidazione in esame, la questione è in realtà - analogamente a quella da ultimo esaminata - inammissibile per difetto di rilevanza in quanto nel giudizio a quo non si controverte (nè sarebbe stato certo possibile in quella sede controvertere) in ordine alla formazione della massa attiva della procedura di liquidazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
a) dichiara non fondate, nelle parti indicate in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 21 d.l.18 gennaio 1993 n.8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito nella legge 19 marzo 1993 n.68, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 , 24, 28, 41 e 113 della Costituzione, dal Pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli, con le ordinanze indicate in epigrafe;
b) dichiara inammissibili, nelle parti indicate in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 21 d.l. 18 gennaio 1993 n.8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito nella legge 19 marzo 1993 n.68, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/04/94.
Gabriele PESCATORE, PRESIDENTE
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 21/04/94.