Sentenza n. 55 del 2021

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SENTENZA N. 55

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promosso dal Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento penale a carico di A. E. e altro, con ordinanza del 9 dicembre 2019, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 2021 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

deliberato nella camera di consiglio del 25 febbraio 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 9 dicembre 2019 (reg. ord. n. 129 del 2020), il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., nonché, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale della medesima disposizione, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di più circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

1.1.– Il giudice rimettente premette di essere chiamato a giudicare con rito abbreviato due persone imputate del reato di cui agli artt. 110, 116 e 628, secondo comma, cod. pen., perché, in concorso tra loro e, comunque, previo concerto, sottraevano dagli scaffali di un supermercato alcuni generi alimentari per un valore complessivo di euro 8,77; in particolare dall’imputazione risulta che una volta giunti alle casse, per assicurarsi il possesso di tali cose e procurarsi l’impunità, l’imputata F. H. M. Z. usava violenza contro la direttrice del negozio intervenuta a bloccarla all’uscita, spintonandola violentemente e strattonandola per un braccio, fuggendo all’esterno dell’ esercizio commerciale, seguita dall’imputato A. E. I due imputati venivano, poi, bloccati dal personale della Polizia di Stato che li trovava in possesso della merce appena sottratta ed intenti a consumarla.

All’imputato A. E. è stata contestata la recidiva reiterata, specifica infraquinquennale e dopo l’esecuzione della pena e, a tal riguardo, il giudice a quo dà analitico conto dei numerosi precedenti risultanti dai certificati penali dell’interessato.

Per entrambi gli imputati, secondo il giudicante, la responsabilità penale risulta accertata e, ai sensi dell’art. 116, primo comma, cod. pen., anche l’imputato A. E. è responsabile della rapina impropria, avendo programmato il solo furto, non essendovi elementi per ritenere che avesse invece previsto e accettato il rischio di realizzazione del più grave reato di rapina, anche solo in termini di dolo eventuale.

Era, infatti, prevedibile che il furto potesse degenerare in una rapina e ciò anche alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui «sussiste il necessario rapporto di causa ad effetto tra il reato di furto inizialmente programmato e quello di rapina impropria, commesso successivamente, poiché è del tutto prevedibile che un compartecipe possa trascendere ad atti di violenza o minaccia nei confronti della parte lesa o di terzi, per assicurarsi il profitto del furto, o comunque guadagnare l’impunità» (tra le tante, sono richiamate le sentenze della Corte di cassazione, sezione seconda penale: sentenze 3-29 ottobre 2018, n. 49443; 6-27 ottobre 2016, n. 45446 e 18 giugno-26 luglio 2013, n. 32644).

In favore dell’imputato A. E. sarebbero riconoscibili anche plurime circostanze attenuanti. In primo luogo, quell’attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen.; poi, quella di cui all’art. 62, numero 4), cod. pen., per il valore modesto dei beni sottratti, e per la minima entità dell’offesa recata all’integrità fisica della vittima.

Inoltre, sarebbero concedibili anche le circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen. in ragione dell’entità della violenza, della natura dei beni oggetto della condotta delittuosa e delle condizioni economiche degli imputati.

1.2.– Ciò precisato, quanto al bilanciamento tra la circostanza aggravante della recidiva qualificata e le menzionate circostanze attenuanti, il rimettente reputa necessario sollevare l’incidente di costituzionalità in ordine al divieto di prevalenza, fissato dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., sia della circostanza attenuante ex art. 116, secondo comma, cod. pen. che di più circostanze attenuanti, sulla recidiva reiterata, di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

In punto di rilevanza, il rimettente osserva come nella fattispecie al suo esame ricorra la recidiva reiterata (peraltro specifica, infraquinquennale e dopo l’esecuzione della pena), la quale non solo è stata correttamente contestata, ma deve applicarsi in concreto.

In considerazione del carattere recente dei precedenti giudiziari, dell’omogeneità tra gli stessi e il reato ora in esame, del tipo di devianza di cui gli stessi sono espressione, dell’insufficienza in chiave dissuasiva delle condanne e delle pene già eseguite, il rimettente afferma che la ricaduta nel reato sia effettivo sintomo di una maggiore pericolosità e colpevolezza dell’imputato.

Ciò argomentato, il giudice a quo osserva ancora che l’applicazione della recidiva non è incompatibile con l’istituto del concorso anomalo, in quanto – richiamando la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 13 maggio-11giugno 2015, n. 24710 – afferma che il citato minor coefficiente psicologico (prevedibilità dello sviluppo più grave poi concretizzatosi) si innesta necessariamente su una componente dolosa qual è la rappresentazione e volizione del reato meno grave, sicché con riguardo a tale componente è dunque possibile la valutazione di maggior pericolosità e colpevolezza richiesta ai fini dell’applicazione della recidiva.

Con riferimento alle altre circostanze attenuanti, il giudice a quo afferma che esse, per la loro pregnanza, meriterebbero di essere ritenute prevalenti rispetto alla citata recidiva qualificata e di essere applicate nella loro estensione massima o quasi massima.

In tal senso, significativa sarebbe anche la richiesta del pubblico ministero, in sede di formulazione delle conclusioni, di applicazione delle attenuanti in misura prevalente sulla citata recidiva.

Tuttavia, il divieto posto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. osta ad un tale giudizio di prevalenza.

1.3.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente osserva come il precetto normativo in esame sia di dubbia legittimità costituzionale e, dopo aver ricordato che questa Corte ha già affrontato in plurime occasioni e sotto differenti profili la norma censurata, afferma che nella fattispecie il citato divieto trasmoda in una manifesta irragionevolezza, sia riguardo alla circostanza attenuante di cui all’art. 116 cod. pen., sia in relazione alla sussistenza di una pluralità di circostanze attenuanti.

Sotto il primo profilo, il rimettente afferma che la circostanza prevista dall’art. 116, secondo comma, cod. pen., anche se ad effetto comune, sia meritevole di una considerazione peculiare, «in quanto necessaria ad assicurare la “tenuta costituzionale” dell’istituto del concorso anomalo».

Il rimettente, dopo aver ricordato che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 42 del 1965, aveva auspicato un intervento del legislatore che ponesse fine a dubbi e discrasie suscitati dalla disposizione dell’art. 116 cod. pen., ritiene che in tale quadro la circostanza attenuante in esame «appare essenziale per assicurare la legittimità costituzionale ex art. 3 Cost. dell’istituto del concorso anomalo, consentendo che situazioni profondamente diverse (da un lato un vero e proprio dolo, dall’altro il dolo di un fatto diverso, potenzialmente del tutto diverso, accompagnato dalla prevedibilità del fatto più grave del correo) siano sanzionate in modo almeno un minimo differente».

Il divieto di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen. sulla recidiva reiterata, fissato dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., ad avviso del ricorrente vanificherebbe tale distinzione, imponendo l’applicazione al concorrente anomalo del trattamento sanzionatorio previsto per il reato più grave da lui non voluto.

Risulterebbe, poi, violato anche l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto il trattamento sanzionatorio che per effetto del divieto di prevalenza troverebbe applicazione sarebbe eccessivo e ingiusto, violando il canone della proporzionalità rispetto al fatto di reato posto in essere, globalmente considerato, ivi compreso l’atteggiamento psicologico dell’imputato. In quanto sproporzionata, la pena non potrebbe essere percepita dal condannato come giusta ed esplicare quindi la propria funzione rieducativa.

1.4.– È, poi, affrontato il secondo profilo di illegittimità della norma.

Il rimettente, in particolare, afferma che intende concedere all’imputato più circostanze attenuanti, tutte ad effetto comune, applicabili nella loro portata massima o quasi, con la conseguenza che, tralasciando per semplicità la pena pecuniaria, sarebbe a suo avviso congrua, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., una pena detentiva di anni uno e mesi sei di reclusione, fatta salva la riduzione per il rito.

Per effetto della recidiva reiterata e del divieto di prevalenza delle attenuanti, la pena detentiva da irrogare è, invece, quella di anni cinque di reclusione.

Si delineerebbe in tal modo, ad avviso del giudice a quo, una irragionevole divaricazione tra la pena irrogabile in assenza del divieto di prevalenza e la pena che invece è applicabile in presenza dello stesso, in contrasto con l’art. 3 Cost.

Inoltre, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 25, secondo comma, Cost., in quanto, per effetto del divieto di prevalenza, l’incidenza della recidiva finirebbe per attribuire un peso eccessivo al passato giudiziale della persona rispetto alla gravità del fatto di reato commesso, globalmente considerato anche nei suoi aspetti circostanziali.

Richiamando la sentenza n. 105 del 2014, il rimettente afferma, poi, che la norma censurata violerebbe anche l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto realizza una «deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attività commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall’art. 27, terzo comma, Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell’applicazione delle circostanze».

2.– Con atto del 20 ottobre 2020, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare le questioni non fondate.

In particolare, dopo aver passato in rassegna numerose decisioni di questa Corte, la difesa dello Stato evidenzia come l’illegittimità costituzionale sia stata pronunciata soltanto rispetto ad attenuanti ad effetto speciale, con funzioni precise ed essenziali, quali contenere gli scarti edittali e mitigare i livelli di pena, per fattispecie di grande ampiezza, oppure per incentivare comportamenti virtuosi dopo il reato.

La deroga alla ordinaria disciplina del bilanciamento, riferendosi ad una circostanza attenuante comune implicante una diminuzione della pena fino ad un terzo, non comporta ricadute sul trattamento sanzionatorio palesemente irragionevoli o sproporzionate.

L’Avvocatura generale quindi – richiamando anche la sentenza della Corte di cassazione (Cass., n. 24710 del 2015) che ha rigettato un’identica eccezione di illegittimità costituzionale – ha concluso per la non fondatezza della questione.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 9 dicembre 2019 (reg. ord. n. 129 del 2020), il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.; nonché, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale della medesima disposizione, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di più circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

1.1.– Il rimettente riferisce di dover giudicare, in sede di rito abbreviato, F. H. M. Z. ed A. E., due persone imputate del reato di cui agli artt. 110, 116 e 628, secondo comma, cod. pen., perché, in concorso tra loro sottraevano dagli scaffali di un supermercato alcuni generi alimentari per un valore complessivo di euro 8,77, con violenza adoperata immediatamente dopo la sottrazione da uno solo dei correi (cosiddetta rapina impropria).

Il giudice a quo dà, altresì, atto che soltanto all’imputato A. E., che non aveva posto in essere anche la condotta di violenza, è stata contestata la recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale e dopo l’esecuzione della pena, in ragione dei numerosi precedenti risultanti dal certificato penale.

Ciò precisato, egli riferisce che per entrambi risulta provata la responsabilità per il reato di rapina, e, con specifico riferimento all’imputato A. E., afferma che debba essere ritenuto responsabile della rapina impropria, ai sensi dell’art. 116, primo comma, cod. pen., non essendovi elementi per affermare che egli avesse previsto e accettato il rischio di realizzazione del più grave reato di rapina, anche solo in termini di dolo eventuale.

In favore di tale imputato, che aveva voluto in correità il furto ma non anche la rapina, sarebbe applicabile la circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen. che prescrive che, se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave.

Tuttavia, il divieto posto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. osterebbe ad un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti ai sensi dell’art. 69, secondo comma, cod. pen.; di qui la rilevanza della prima questione sollevata con riferimento a tale divieto applicato all’attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen.

1.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost. Infatti irragionevolmente comporta che il correo che abbia previsto e voluto un reato meno grave sia punito in relazione al diverso e più grave reato voluto e realizzato da un concorrente, con una pena «enormemente» più alta di quella prevista per il reato da lui voluto, ed inoltre, con una pena sensibilmente più alta di quella irrogabile al concorrente che ha voluto e commesso il più grave reato, ma al quale non trovi applicazione l’aggravante della recidiva reiterata.

Inoltre, il contrasto con l’art. 3 Cost. sussisterebbe anche sotto un ulteriore e diverso profilo; la norma censurata, impedendo il giudizio di prevalenza della diminuente in esame, finirebbe con il vanificare la funzione che la stessa tende ad assicurare, ossia sanzionare in modo diverso situazioni profondamente diverse sul piano dell’elemento soggettivo: quello del correo che pone in essere l’evento diverso e più grave e quello dell’altro correo che ha voluto solo il reato meno grave, unitamente alla prevedibilità del fatto più grave.

Sarebbe, inoltre, configurabile anche la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., perché, per effetto del divieto di prevalenza, si determinerebbe un trattamento sanzionatorio sproporzionato rispetto al reato commesso – considerato anche in relazione all’atteggiamento psicologico dell’imputato – che sarebbe percepito come ingiusto dal condannato e, perciò, inidoneo ad esplicare la funzione rieducativa che gli è propria.

1.3.– Il rimettente, poi, solleva una seconda questione di legittimità costituzionale della stessa disposizione censurata, da ritenersi subordinata.

Egli afferma che all’imputato sarebbero concedibili anche l’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen., per il danno patrimoniale di speciale tenuità, e le attenuanti generiche, di cui all’art. 62-bis cod. pen. Parimenti però la diminuzione di pena che ne conseguirebbe risulta preclusa dal divieto di prevalenza posto dalla norma censurata, la quale violerebbe, anche sotto questa prospettiva, plurimi parametri costituzionali.

Sussisterebbe, in primo luogo, la violazione dell’art. 3 Cost., perché nei casi in cui più circostanze attenuanti siano concedibili ed applicabili nella loro portata massima, si configurerebbe una irragionevole divaricazione tra la pena irrogabile in assenza del divieto di prevalenza e quella applicabile in presenza di tale divieto.

La norma censurata violerebbe anche, l’art. 25, secondo comma, Cost., in quanto per effetto del divieto di prevalenza, l’incidenza della recidiva sarebbe tale da attribuire un peso eccessivo ai precedenti penali della persona, rispetto alla gravità del fatto commesso.

Infine, il divieto di prevalenza di più attenuanti confliggerebbe con l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto impedirebbe il necessario adeguamento del trattamento sanzionatorio al caso concreto, risultando alla fine sproporzionato e impossibile da accettare come giusto, con conseguente ostacolo alla realizzazione della funzione rieducativa della pena.

2.– In via preliminare, deve rilevarsi che il rimettente ha plausibilmente motivato in ordine alle ragioni che rendono rilevanti le questioni di legittimità costituzionale sottoposte all’esame di questa Corte.

2.1.– In primo luogo, il rimettente ha mostrato di far proprio il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, secondo cui l’applicazione della recidiva, pur non obbligatoria, si giustifica in quanto il nuovo delitto, commesso da chi sia già stato condannato per precedenti delitti non colposi, sia espressivo in concreto del maggior grado di colpevolezza e pericolosità nonché di rimproverabilità della condotta tenuta nonostante l’ammonimento individuale scaturente dalle precedenti condanne (sentenze n. 73 del 2020 e n. 192 del 2007; più di recente, ex plurimis, sentenza n. 185 del 2015; Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 maggio-5 ottobre 2010, n. 35738).

Nella fattispecie, il giudice a quo dà puntuale conto delle numerose condanne pronunciate nei confronti dell’imputato, alla luce delle quali reputa che la condotta contestatagli – concorso nel reato di furto degenerato in rapina impropria – mostri una maggiore pericolosità e colpevolezza dell’imputato, insensibile a tali precedenti condanne e, quindi, da un lato maggiormente rimproverabile e dall’altro più incline a commettere nuovi reati.

2.2.– Inoltre il giudice rimettente – nella ricostruzione della responsabilità dell’imputato, quale concorrente cosiddetto anomalo ai sensi dell’art. 116, primo comma, cod. pen., per il reato «diverso da quello voluto» – tiene conto della giurisprudenza, costituzionale e di legittimità, in ordine a tale norma.

Questa Corte (sentenza n. 42 del 1965) ha chiarito che la responsabilità ai sensi dell’art. 116 cod. pen. richiede la sussistenza non soltanto del rapporto di causalità materiale, ma anche di un «coefficiente di colpevolezza», poi ribadito dalla giurisprudenza di legittimità.

Occorre cioè un nesso psicologico, che postula che il reato diverso o più grave commesso da altro concorrente possa rappresentarsi alla psiche del concorrente anomalo come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello concordato (ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 2 ottobre-7 novembre 2019, n. 45356; sezione quarta penale, sentenza 18 ottobre-2 novembre 2018, n. 49897; sezione seconda penale, sentenza 11 luglio-29 ottobre 2018, n. 49433; sezione prima penale, sentenza 11 settembre-5 ottobre 2018, n. 44579) o come possibile epilogo rispetto al fatto programmato (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 10 giugno 2016-6 aprile 2017, n. 17502).

Al riguardo il rimettente ha puntualmente precisato che, nel caso di specie, sussistono sia il necessario rapporto di causa ad effetto tra il reato di furto inizialmente programmato e quello di rapina impropria, commesso successivamente in ragione dell’azione violenta posta in essere dall’altro correo, sia l’elemento soggettivo della colpa, poiché era prevedibile che il compartecipe potesse trascendere ad atti di violenza o minaccia nei confronti della parte lesa o di terzi, per assicurarsi il profitto del furto, o comunque guadagnare l’impunità (ex plurimis, Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenze: 3-29 ottobre 2018, n. 49443; 6-27 ottobre 2016, n. 45446; 18 giugno-26 luglio 2013, n. 32644).

In particolare, il giudice rimettente, descrivendo in modo puntuale lo svolgersi della condotta criminosa, dimostra di aderire all’orientamento della giurisprudenza di legittimità che postula l’accertamento in concreto, alla luce di tutti gli elementi del caso, della prevedibilità del fatto diverso da parte di altro concorrente (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze n. 17502 del 2017, già citata; 28 aprile-18 novembre 2016, n. 49165; 19 novembre 2013-28 febbraio 2014, n. 9770).

La motivazione del giudice a quo in punto di rilevanza è quindi senz’altro plausibile e ciò comporta l’ammissibilità delle questioni prospettate in riferimento al divieto di prevalenza della diminuente di cui all’art.116, secondo comma, cod. pen. (ex multis, sentenze n. 73 del 2020 e n. 250 del 2018).

3.– Nel merito, sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., sollevate in via principale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della diminuente di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., sull’aggravante della recidiva reiterata (art. 99, quarto comma, cod. pen.).

4.– L’art. 116, primo comma, cod. pen. – come già ricordato – contempla l’ipotesi in cui il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, prevedendo che quest’ultimo ne risponde se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. Però, ove il reato commesso risulti essere più grave di quello voluto, l’art. 116, secondo comma, cod. pen. stabilisce che la pena è diminuita.

Si tratta di una circostanza attenuante ad effetto comune che, ai sensi dell’art. 65 cod. pen., comporta la diminuzione della pena in misura non eccedente il terzo.

Quando tale diminuente concorre con l’aggravante della recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen., il giudizio di prevalenza e, quindi, la diminuzione della pena, è impedita dalla disposizione censurata, rimanendo possibile, a favore dell’imputato, solo il giudizio di equivalenza. Infatti la legge n. 251 del 2005 ha riformulato il quarto comma dell’art. 99 cod. pen., introducendo il divieto di prevalenza di qualsiasi circostanza attenuante, inclusa la diminuente del vizio parziale di mente, nell’ipotesi – tra l’altro – di recidiva reiterata, precludendo così in modo assoluto al giudice di applicare, in tal caso, la relativa diminuzione di pena.

5.– Tale norma, nel testo risultante dalla legge n. 251 del 2005, è stata oggetto di numerose dichiarazioni di illegittimità costituzionale, che hanno restituito al giudice la possibilità di ritenere, nell’ambito dell’obbligatorio giudizio di bilanciamento delle circostanze eterogenee, la prevalenza, rispetto alla circostanza aggravante della recidiva reiterata, di singole circostanze attenuanti, che sono state distintamente, di volta in volta, oggetto di verifica di costituzionalità.

In generale, questa Corte ha affermato che deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato dall’art. 69 cod. pen., sono sì costituzionalmente ammissibili e rientrano nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, ma sempre che non «trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenze n. 205 del 2017 e n. 68 del 2012; in senso conforme, sentenza n. 88 del 2019), non potendo in alcun caso giungere «a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale» (sentenze n. 73 del 2020 e n. 251 del 2012).

Nella maggior parte dei casi, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale hanno riguardato «circostanze espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva» (sentenza n. 73 del 2020), in quanto riferite ad attenuanti a effetto speciale, tali essendo quelle che importano una diminuzione della pena superiore ad un terzo (art. 63, terzo comma, cod. pen.): così la «lieve entità» nel delitto di produzione e traffico illecito di stupefacenti (sentenza n. 251 del 2012); la «particolare tenuità» nel delitto di ricettazione (sentenza n. 105 del 2014); la «minore gravità» nel delitto di violenza sessuale (sentenza n. 106 del 2014); il «danno patrimoniale di speciale tenuità» nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito (sentenza n. 205 del 2017).

In un caso la dichiarazione di illegittimità ha avuto ad oggetto il divieto di prevalenza di una circostanza – l’essersi il reo adoperato per evitare che il delitto di produzione e traffico di stupefacenti sia portato a conseguenze ulteriori – diretta a premiare l’imputato per la propria condotta post delictum (sentenza n. 74 del 2016).

Più recentemente l’esito di incostituzionalità ha riguardato la circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen., espressiva non già di una minore offensività del fatto, quanto piuttosto della ridotta rimproverabilità dell’autore, derivante dal minor grado di discernimento. In relazione a tale fattispecie questa Corte ha affermato che il «disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile» (sentenza n. 73 del 2020).

6.– Nella fattispecie ora all’esame della Corte il divieto di prevalenza dell’attenuante di cui al secondo comma dell’art. 116 cod. pen. si rivela in contrasto con i parametri evocati dal giudice rimettente, per una ragione ancora più stringente di quelle che hanno portato alle precedenti, sopra richiamate, dichiarazioni di illegittimità costituzionale.

La struttura della fattispecie prevista dall’art. 116 cod. pen. – norma introdotta dal codice penale del 1930 e ispirata a un rigore marcatamente accentuato nella repressione dei reati commessi con concorso di persone – è tutt’affatto particolare se confrontata con il principio generale della personalità della responsabilità penale, posto dall’art. 27, primo comma, Cost., e dalla conseguente preclusione di ogni forma di responsabilità oggettiva penale (ex plurimis, sentenza n. 364 del 1988).

Qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, rispondono tutte di quest’ultimo (art. 110 cod. pen.) perché da ciascuno “voluto” e quindi investito da dolo, pur con possibile diverso grado di intensità e di partecipazione causale sì da potersi distinguere tra chi ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo (nel qual caso la pena è aumentata: art. 112, primo comma, numero 2, cod. pen.) e chi invece abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato (ciò che comporta che la pena è diminuita: art. 114, primo comma, cod. pen.).

Invece l’art. 116, primo comma, cod. pen. prevede l’ipotesi in cui un concorrente risponde del reato «diverso da quello voluto» e quindi in realtà “non voluto”; non di meno ne risponde perché ha voluto il reato oggetto dell’accordo e il reato diverso da quello voluto è conseguenza della sua azione od omissione.

Se si considera la formulazione testuale della norma, il principio della personalità della responsabilità penale appare essere in sofferenza, quanto meno nella misura in cui tale disposizione richiede soltanto che l’evento del reato diverso sia conseguenza dell’azione od omissione del correo, ossia il solo nesso di causalità materiale.

Ma alla tenuta costituzionale della norma contribuiscono da una parte l’interpretazione adeguatrice, costituzionalmente orientata, accolta fin dalla citata sentenza n. 42 del 1965 e dalla sopra citata giurisprudenza di legittimità, e d’altra parte proprio l’attenuante prevista dal secondo comma dell’art. 116 cod. pen., che ha una funzione di necessario riequilibrio del trattamento sanzionatorio.

Infatti si è già rilevato che, pur mancando il dolo (anzi dovendo escludersi che esso ricorra anche nella forma del dolo eventuale), è però «necessaria, per questa particolare forma di responsabilità penale, la presenza anche di un elemento soggettivo», ossia «un coefficiente di partecipazione anche psichica»: occorre, in altre parole, che «il reato diverso o più grave commesso dal concorrente debba potere rappresentarsi alla psiche dell’agente, nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di colpevolezza» (sentenza n. 42 del 1965).

La giurisprudenza di legittimità, sopra richiamata, ha, poi, chiarito che si tratta di prevedibilità in concreto, tenuto conto di tutte le peculiarità del caso di specie. Il correo è responsabile per il fatto-reato non voluto, perché avrebbe dovuto prevedere che l’attuazione dell’accordo delittuoso sarebbe potuta sfociare in un reato diverso; mentre – può aggiungersi – la previsione, da parte del correo, dell’evento diverso, con accettazione del rischio che si verifichi, ridonda in dolo eventuale e quindi in responsabilità piena, non diminuita dall’attenuante in esame (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 28 giugno-30 agosto 1995, n. 9273).

7.– Ancorché il difetto di prevedibilità possa ascriversi a colpa, il trattamento sanzionatorio, però, è quello del reato doloso, tale essendo la prescrizione del primo comma dell’art. 116 cod. pen.; ossia lo stesso trattamento previsto per il correo che ha commesso – e voluto – il reato “diverso”.

In ciò la norma esibisce tutto il suo rigore sanzionatorio se solo la si compara ad un’altra fattispecie generale e per certi versi simile: quella dell’art. 83 cod. pen. Norma questa che, al di fuori dell’ipotesi del concorso, prevede che se l’«evento [è] diverso da quello voluto», l’agente è responsabile a titolo di colpa e quindi solo ove il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo.

Invece l’art. 116, primo comma, cod. pen. non opera questo décalage da reato doloso a reato colposo. Prevede al contrario la stessa responsabilità per il reato, diverso da quello voluto con l’accordo delittuoso, commesso da altro correo, parificando così a quest’ultimo la posizione del concorrente che non ha voluto il fatto-reato.

Ed è qui che, come detto, soccorre il secondo comma dell’art. 116 cod. pen. per operare la necessaria diversificazione quanto alla dosimetria della pena. Il trattamento sanzionatorio non può essere pienamente parificato quando il reato commesso sia più grave di quello voluto. In tal caso la pena per il correo che risponde a titolo di colpa di un reato doloso più grave di quello voluto è necessariamente riequilibrata mediante l’operatività della diminuente prevista dalla norma. Anch’essa quindi concorre a sorreggere la tenuta costituzionale di questa eccezionale fattispecie di responsabilità penale, della quale peraltro già la sentenza n. 42 del 1965 auspicava una revisione e che è stata oggetto di varie iniziative di riforma, finora senza esito.

8.– Questa finalità di necessario riequilibrio del trattamento sanzionatorio nella fattispecie del concorso anomalo di cui all’art. 116 cod. pen. mostra il carattere tutt’affatto particolare della diminuente in esame, al di là dell’essere essa un’attenuante comune e non già ad effetto speciale.

La scelta del legislatore di sanzionare con la pena prevista per un delitto doloso il reo, al quale viene mosso un rimprovero di colpa, trova un bilanciamento proprio nella previsione di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., secondo cui la pena è diminuita.

Invece la norma censurata impedisce, in modo assoluto, al giudice di ritenere prevalente la diminuente in questione, in presenza della circostanza aggravante della recidiva reiterata, con ciò frustrando, irragionevolmente, gli effetti che l’attenuante mira ad attuare e compromettendone la necessaria funzione di riequilibrio sanzionatorio.

Il divieto inderogabile di prevalenza dell’attenuante in esame non risulta, quindi, compatibile con il principio costituzionale di determinazione di una pena proporzionata.

Infatti il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato «esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo (sentenza n. 222 del 2018). E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile» (sentenza n. 73 del 2020).

9.– In definitiva, la sproporzione della pena rispetto alla rimproverabilità del fatto posto in essere, globalmente considerato, conseguente al divieto di prevalenza censurato, determina un trattamento sanzionatorio che impedisce alla pena di esplicare la propria funzione rieducativa con violazione dell’art. 27 Cost.

Inoltre, il contrasto dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., con l’art. 3 Cost. viene in rilievo sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, in quanto il divieto censurato finisce per vanificare la funzione che la diminuente di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., tende ad assicurare, ossia sanzionare in modo diverso situazioni profondamente distinte sul piano dell’elemento soggettivo (quello del correo che pone in essere l’evento diverso e più grave e quello di chi vuole il reato meno grave senza prevedere, colpevolmente, che questo possa degenerare nel fatto più grave).

Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

10.– Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, consegue che la questione del medesimo art. 69, quarto comma, cod. pen., sollevata, in via subordinata, come sopra rilevato al punto 1.3., resta assorbita.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2021.