SENTENZA N. 240
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
- Luca ANTONINI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 55, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio nel procedimento vertente tra E. B. e la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), con ordinanza del 29 gennaio 2018, iscritta al n. 56 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visti gli atti di costituzione di E. B. e della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella udienza pubblica del 20 novembre 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini e Ulisse Corea per E. B., Paolo Palmisano per la Commissione nazionale per le società e la borsa, e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 29 gennaio 2018, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98.
1.2.– Il rimettente ha premesso di essere investito del ricorso presentato da E. B. per l’annullamento della delibera con la quale la CONSOB l’ha sospesa per un anno dall’esercizio dell’attività di consulente finanziario, ai sensi dell’art. 55, comma 2, del t.u. finanza.
All’epoca dei fatti, tale disposizione prevedeva che «[l]a CONSOB può disporre in via cautelare, per un periodo massimo di un anno, la sospensione dall’esercizio dell’attività qualora il consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede sia sottoposto a una delle misure cautelari personali del libro IV, titolo I, capo II, del codice di procedura penale o assuma la qualità di imputato ai sensi dell’articolo 60 dello stesso codice in relazione ai seguenti reati: a) delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile e nella legge fallimentare; b) delitti contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica, ovvero delitti in materia tributaria; c) reati previsti dal titolo VIII del T.U. bancario; d) reati previsti dal presente decreto».
L’ordinanza riferisce che la ricorrente è imputata in un procedimento penale per il reato di cui all’art. 166, comma 1, del t.u. finanza, per avere abusivamente promosso strumenti finanziari per conto e nell’interesse di un gruppo criminale. Nell’ambito di tale procedimento il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Firenze ha disposto l’interdizione dall’esercizio dell’attività di promozione finanziaria per la durata di un mese, con ordinanza cautelare del 27 marzo 2015.
Peraltro, in data 9 marzo 2016 e in relazione agli stessi fatti oggetto del procedimento penale, la CONSOB ha altresì adottato un provvedimento sanzionatorio che ha disposto la sospensione della ricorrente dall’attività di promotore finanziario per un periodo di quattro mesi, in applicazione dell’art. 196 del t.u. finanza, recante la disciplina delle sanzioni applicabili ai consulenti finanziari che violano le norme del medesimo t.u. finanza o le disposizioni generali o particolari emanate in forza di esso.
In seguito alla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal GIP del Tribunale di Firenze nell’ambito del procedimento penale sopra richiamato, in data 12 aprile 2017 la CONSOB ha disposto la sospensione cautelare della ricorrente dall’esercizio dell’attività, per un periodo di un anno, in applicazione dei poteri a essa conferiti dal censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza.
L’ordinanza riferisce che la ricorrente ritiene che il potere di sospensione cautelare, previsto dal citato art. 55, comma 2, del t.u. finanza, debba ritenersi esaurito al momento del suo esercizio, per avere la CONSOB già irrogato la sanzione della sospensione ai sensi dell’art. 196 del t.u. finanza per i medesimi fatti; sicché la successiva ordinanza di sospensione emessa ai sensi dell’art. 55, comma 2, del t.u. finanza sarebbe viziata di illegittimità.
In subordine, la stessa ricorrente solleva questioni di illegittimità costituzionale della menzionata disposizione (art. 55, comma 2, del t.u. finanza), in quanto la misura cautelare da esso prevista, letta congiuntamente con quella dell’art. 196 del t.u. finanza, sarebbe del tutto illogica e sproporzionata e, quindi, tale da contrastare con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità di cui all’art. 3 Cost. Sarebbe altresì violato il divieto di bis in idem stabilito dall’art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7, come precisato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché «l’identico principio affermato dall’art. 50 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo»: in proposito la ricorrente afferma che, letta alla luce della giurisprudenza europea di Strasburgo, la «sospensione di un anno irrogata con il provvedimento impugnato […] concreterebbe una nuova e ulteriore sanzione afflittiva e quindi “punitiva”, a prescindere dalla sua qualificazione formale».
1.3.– Il TAR riferisce che, secondo la difesa della CONSOB, le misure di cui al censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza sarebbero prive di carattere sanzionatorio, trattandosi di atti di «amministrazione attiva a contenuto “cautelativo”»; nondimeno lo stesso TAR ritiene non praticabile una interpretazione della disposizione censurata «conforme alla Costituzione e al diritto eurounitario», essendo la medesima impedita dalla lettera e dalla ratio della disposizione come ricostruita dalla giurisprudenza. In particolare il giudice a quo ritiene che il potere cautelare di cui al citato art. 55, comma 2, del t.u. finanza non sia assimilabile a quello sanzionatorio di cui all’art. 196 del t.u. finanza, posto che il primo è finalizzato a evitare che lo strepitus fori derivante dal coinvolgimento del promotore in gravi vicende penali possa compromettere la fiducia degli investitori nella correttezza degli operatori del mercato finanziario (sono citate Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 12 febbraio 2014, n. 3202 e Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 10 settembre 2015, n. 4226); il secondo, invece, esprime un potere sanzionatorio riconosciuto alla CONSOB in relazione a violazioni accertate e considerate nella loro obiettiva gravità.
1.4.– Il rimettente ritiene che le questioni di legittimità costituzionale siano rilevanti, in quanto nel giudizio a quo deve farsi applicazione del menzionato art. 55, comma 2, del t.u. finanza e l’eventuale esito positivo del giudizio di legittimità costituzionale determinerebbe l’annullamento della misura fondata sulla disposizione censurata.
1.5.– Le questioni sono inoltre ritenute non manifestamente infondate in riferimento all’art. 3 Cost., in quanto la norma oggetto di censura determinerebbe, in primo luogo, una «irragionevole disparità di trattamento», essendo parificate le situazioni di coloro che subiscono solo la sospensione di cui all’art. 55, comma 2, del t.u. finanza e quella di coloro che subiscono anche la sospensione in applicazione dell’art. 196 del t.u. finanza, posto che non si prevede che, nel disporre la misura cautelare ex art. 55, comma 2, si tenga in considerazione l’eventuale sanzione amministrativa già irrogata in applicazione dell’art. 196 del t.u. finanza.
1.6.– Il TAR rimettente ritiene inoltre che sia violato il divieto di bis in idem di cui all’art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7 (citato come «analogo» a quello previsto dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007), in ragione del fatto che la sospensione di un anno, irrogata con il provvedimento impugnato nel giudizio principale, «concreta in ultima analisi una nuova e ulteriore sanzione afflittiva e quindi “punitiva”, a prescindere dalla relativa qualificazione formale» alla luce dei criteri stabiliti dalla sentenza della Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi, e richiamati dalla giurisprudenza successiva (viene citata in particolare la sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia). Né la violazione del divieto di bis in idem potrebbe escludersi a seguito dei principi indicati nella sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia, dato che mancherebbe anche qualsiasi «connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta» che consentirebbe ai due procedimenti di essere considerati «parti di un’unica reazione sanzionatoria». Da ciò deriverebbe anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. per il tramite della norma interposta di cui all’art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7.
1.7.– In conclusione, il giudice rimettente chiede, in principalità, la dichiarazione di illegittimità costituzionale «integrale» della disposizione denunciata e, in subordine, «nella parte in cui non impone alla CONSOB di tenere conto dell’eventuale pregressa irrogazione di provvedimenti sanzionatori a carico dell’interessato».
2.– Con atto depositato il 10 aprile 2018 si è costituita la ricorrente E. B. insistendo perché sia dichiarata l’illegittimità costituzionale del censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza.
In particolare, la ricorrente nel giudizio a quo ribadisce di aver subito per gli stessi fatti una pluralità di sanzioni, nell’ambito di procedimenti tra loro distinti «uno penale, uno amministrativo “definitivo” e uno amministrativo “cautelare”», che hanno condotto all’adozione di tre misure gravemente afflittive nei confronti della medesima persona per le medesime condotte. In questo contesto, il censurato art. 55, comma 2, – la cui applicazione ha determinato «una nuova e ulteriore sanzione afflittiva, particolarmente grave e pregiudizievole», qualificabile quale sanzione di natura sostanzialmente penale ai sensi della giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo – deve ritenersi lesivo del principio del ne bis in idem di cui all’art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7 e perciò anche dell’art. 117, primo comma, Cost. Tale disposizione, infatti, consente alla CONSOB di irrogare un’ulteriore sanzione, oltre a quella prevista dall’art. 196 del t.u. finanza, in assenza di qualunque forma di coordinamento tra i due procedimenti, capace di «ingenerare paradossali “spirali sanzionatorie”» (si cita la sentenza di questa Corte, n. 50 del 1995), come richiesto dalla più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (si richiama la sentenza della Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia): ciò comporta che la disposizione censurata è idonea a determinare un’imprevedibile e sproporzionata duplicazione (se non triplicazione) della risposta punitiva dell’ordinamento rispetto all’idem factum, non rispettosa del ne bis in idem.
La stessa disposizione determinerebbe poi anche una lesione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità di cui all’art. 3 Cost., in quanto – prescindendo da ogni valutazione circa la pregressa irrogazione di sanzioni amministrative o altre misure di natura penale nei riguardi dello stesso soggetto per i medesimi fatti – comporterebbe un’arbitraria parificazione tra chi, per lo stesso fatto, abbia già subito una sospensione dall’esercizio dell’attività di promotore finanziaria a titolo di sanzione ex art. 196 del t.u. finanza e chi non sia stato colpito in precedenza da alcuna sospensione.
Sotto un altro profilo, la misura di cui all’art. 55, comma 2, del t.u. finanza sarebbe viziata da irragionevolezza intrinseca, per assenza di proporzionalità, in quanto, pur essendo irrogata a titolo cautelare, determinerebbe effetti definitivi e irreversibili sullo svolgimento dell’attività professionale del consulente, con un contenuto addirittura più afflittivo del provvedimento sanzionatorio ex art. 196 del t.u. finanza.
Le conclusioni raggiunte non sarebbero smentite dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato citata nell’ordinanza di rimessione, che distingue nettamente le funzioni delle due misure, sottolineando che quella oggetto del giudizio non ha finalità sanzionatorie, ma risponde a un’esigenza di tutela generale del mercato; ciò che, secondo la parte interveniente, non eliderebbe il suo carattere afflittivo, né sanerebbe la sua irragionevolezza, posto che l’interesse generale sarebbe realizzato a totale discapito della garanzia della posizione del singolo.
3.– Con atto depositato il 4 aprile 2018, si è costituita la CONSOB, resistente nel giudizio a quo, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o non fondate.
La manifesta infondatezza deriverebbe dalla considerazione che la misura cautelare di cui all’art. 55, comma 2, del t.u. finanza non ha natura e finalità sanzionatorie, bensì di vigilanza attiva, come riconosciuto dalla più volte citata giurisprudenza della Corte di cassazione (in particolare, sezioni unite, ordinanza 12 febbraio 2014, n. 3202) e del Consiglio di Stato (in particolare, sezione sesta, sentenza 10 settembre 2015, n. 4226 e sezione sesta, sentenza 5 dicembre 2017, n. 5734). La sospensione prevista dalla disposizione censurata sarebbe perciò volta alla protezione del mercato e della fiducia del pubblico dei risparmiatori nella correttezza degli operatori finanziari, non avrebbe carattere «pre-sanzionatorio» e sarebbe espressione di una discrezionalità dell’amministrazione, la quale dovrebbe sempre ponderare comparativamente i vari interessi in gioco: l’interesse generale citato e l’interesse del consulente finanziario imputato alla prosecuzione dell’attività professionale.
Inoltre, l’esigenza di cautela di cui all’art. 55, comma 2, del t.u. finanza è collegata a fattispecie di reato che possono determinare un particolare allarme sociale, essendo idonei a denotare un’attitudine, se non addirittura una propensione del consulente finanziario all’inosservanza delle regole di condotta nei confronti della propria clientela, che ne impone l’allontanamento temporaneo dall’attività professionale.
La lamentata violazione dell’art. 3 Cost. non sussisterebbe, non essendo ravvisabile alcuna identità di situazione tra il consulente finanziario accusato di aver violato le norme primarie o secondarie del settore finanziario – per cui è prevista la sospensione dall’attività di promozione finanziaria a titolo di sanzione per il corrispondente e ulteriore illecito amministrativo ex art. 196 del t.u. finanza – e quello che invece è imputato di uno degli altri reati previsti dall’art. 55 del medesimo t.u. finanza.
Né la sospensione cautelare di cui all’art. 55, comma 2, del t.u. finanza, prevista per il reato, né la sospensione sanzionatoria amministrativa per l’illecito di cui all’art. 196 del medesimo t.u. avrebbero natura sostanzialmente penale secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza di Strasburgo: del resto, le predette misure non risultano paragonabili per gravità a quelle previste per il market abuse, in relazione alle quali la Corte EDU ha ravvisato effettivamente la loro natura penale, come rilevato anche dalla Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 30 giugno 2016, n. 13433; sezione prima, sentenza 2 marzo 2016, n. 4114; e sezione seconda, sentenza 24 febbraio 2016, n. 3656).
Da ciò deriverebbe, quindi, anche l’impossibilità di configurare alcuna violazione del ne bis in idem.
4.– Con atto depositato il 24 aprile 2018, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare inammissibili o manifestamente infondate le questioni sollevate.
In primo luogo, infatti, non sarebbe stata adeguatamente motivata la rilevanza della questione, giacché lo stesso rimettente non ha chiarito se la sospensione sanzionatoria e la sospensione cautelare siano state adottate in base ai medesimi fatti. Infatti, l’ordinanza afferma che i due provvedimenti hanno avuto per presupposto i medesimi fatti «sia pure con proiezioni temporali parzialmente diverse», sicché non si comprende come potrebbero ritenersi i medesimi. D’altra parte il procedimento penale si baserebbe sulla promozione per conto di una finanziaria svizzera non abilitata a operare sul mercato italiano e configurerebbe esercizio abusivo di promozione finanziaria, mentre l’illecito amministrativo contestato consisterebbe nell’avere agito in violazione del dovere di esclusiva in favore dell’istituto di appartenenza della promotrice.
In secondo luogo, l’ordinanza di rimessione non sarebbe adeguatamente motivata neppure in ordine alla manifesta infondatezza. L’argomentazione del rimettente sarebbe contraddittoria, in quanto mentre da un lato attribuisce natura penale ad entrambe le sospensioni, cautelare e sanzionatoria, dall’altro cita ed espone diffusamente la giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato che ne evidenzia l’assoluta diversità di natura, ciò che escluderebbe una violazione del divieto di bis in idem. Inoltre, il rimettente non si sarebbe soffermato ad argomentare la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa prevista dall’art. 196 del t.u. finanza, essendosi limitato a motivare solo la natura sostanzialmente penale della sospensione cautelare di cui all’art. 55, comma 2, del medesimo t.u. finanza.
Ulteriore profilo di inammissibilità viene poi ravvisato nell’erronea individuazione del parametro in relazione alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.: posto che la normativa censurata è attuativa della normativa comunitaria in materia di cosiddetto “agente collegato”, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che parametro corretto doveva individuarsi nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e non nell’art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7.
Anche nel merito, le questioni sarebbero infondate, in quanto la misura cautelare prevista dalla disposizione denunciata non avrebbe i connotati di una sanzione penale. L’Avvocatura generale dello Stato richiama la giurisprudenza di questa Corte (in particolare la sentenza n. 276 del 2016) che avrebbe già chiarito che l’istituto della sospensione cautelare da una carica non rientrerebbe nella nozione convenzionale di pena, non essendo qualificata come tale dal legislatore nazionale, non perseguendo finalità punitiva, ma cautelare, e non determinando conseguenze gravi, in ragione del suo carattere provvisorio e limitato nel tempo.
La difesa prosegue osservando che la sospensione cautelare e quella sanzionatoria amministrativa perseguono finalità diverse e che è del tutto prevedibile che l’applicazione della sanzione amministrativa non inibisca la successiva adozione della misura cautelare. Da ciò si comprende anche la ragione per cui la pregressa inflizione della sospensione sanzionatoria non abbia alcuna rilevanza al fine di valutare la proporzionalità della durata della sospensione cautelare. La diversità di presupposti su cui si fondano la sospensione cautelare e quella sanzionatoria non consentirebbe di configurare alcuna violazione del principio di uguaglianza, oltre che di quello di ragionevolezza, ex art. 3 Cost.
5.– Con memoria depositata il 29 ottobre 2018, E. B. ha insistito per la dichiarazione di illegittimità costituzionale del censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza.
In particolare, la ricorrente ritiene non fondate le eccezioni di inammissibilità prospettate dall’Avvocatura generale dello Stato, in quanto l’ordinanza risulta avere adeguatamente motivato sulla rilevanza e sull’identità del fatto.
Neppure fondata sarebbe l’eccezione di inammissibilità fondata sull’errata individuazione del parametro invocato, per essere la materia regolata dal diritto dell’Unione europea: invero, i principi della Convenzione devono essere rispettati nell’ordinamento interno senza limiti di ambito di applicazione, senza considerare la sostanziale coincidenza delle garanzie previste dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in materia di ne bis in idem.
La parte ribadisce la natura sostanzialmente penale delle misure in discussione, da cui consegue la violazione del divieto di bis in idem come inteso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, mentre non sarebbe conferente il richiamo alla sentenza n. 276 del 2016 di questa Corte.
Parimenti è ribadita la violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza ex art. 3 Cost., anche in considerazione dell’effetto «devastante» della sospensione dall’attività sulla posizione del consulente finanziario nei suoi rapporti con il mandante e con la clientela.
6.– Con memoria depositata il 30 ottobre 2018, la CONSOB ha insistito perché le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o infondate.
In particolare, la parte segnala che il decreto legislativo 3 agosto 2017, n. 129, recante «Attuazione della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, così, come modificata dalla direttiva 2016/1034/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2016, e di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012, così come modificato dal regolamento (UE) 2016/1033 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2016», ha disposto (con l’art. 2, comma 44) l’abrogazione del censurato art. 55, comma 2, e ha previsto (con l’art. 10, comma 2) che «[l]e disposizioni del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, modificate dal presente decreto, si applicano dal 3 gennaio 2018, fatto salvo quanto diversamente previsto dall’articolo 93 della direttiva 2014/65/UE, con riferimento dell’articolo 65, paragrafo 2, della direttiva medesima, le cui disposizioni attuative si applicano dal 3 settembre 2019, e dall’articolo 55 del regolamento (UE) n. 600/2014, e successive modificazioni, nonché dal comma 3. [...] Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni dell’Unione europea direttamente applicabili, le disposizioni emanate dalla Banca d’Italia e dalla Consob, anche congiuntamente, ai sensi di disposizioni del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, abrogate o modificate dal presente decreto, continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati dalla Banca d’Italia o dalla Consob nelle corrispondenti materie».
Inoltre, la CONSOB evidenzia l’introduzione di analogo potere cautelare in capo ad altro soggetto – l’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari – nel nuovo art. 7-septies del t.u. finanza, a seguito della novella disposta dall’art. 2 del decreto legislativo n. 129 del 2017. La resistente nel giudizio a quo ribadisce, tuttavia, la permanenza di un suo interesse alla decisione, sia in relazione ai giudizi pendenti presso i tribunali amministrativi riguardanti il passato esercizio del potere cautelare ex art. 55, comma 2, del t.u. finanza, sia in vista di una precisazione del quadro di principi applicabili al potere di controllo che la medesima Consob oggi esercita sull’Organismo titolare del potere cautelare ex art. 7-septies del t.u. finanza.
La difesa della resistente ha quindi ulteriormente ribadito la finalità cautelare e non sanzionatoria della misura in esame e la sua prevedibilità. A conferma la CONSOB richiama anche la collocazione sistematica della disposizione denunciata, che non è situata nel Titolo relativo alle sanzioni amministrative, ma in quello concernente i provvedimenti ingiuntivi: ciò che conferma la riconducibilità della misura in discussione ai poteri di vigilanza attiva della medesima CONSOB. Esclusa la natura sanzionatoria della misura prevista dall’art. 55, comma 2, sopra citato e ribadita la natura non penale della sanzione amministrativa di cui all’art. 196 del t.u. finanza, ne consegue l’impossibilità di invocare le garanzie del ne bis in idem, con conseguente conclusione per la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lazio, tanto in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., quanto con riguardo all’art. 3 Cost.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 4, del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98.
La disposizione censurata prevedeva che «[l]a CONSOB può disporre in via cautelare, per un periodo massimo di un anno, la sospensione dall’esercizio dell’attività qualora il consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede sia sottoposto a una delle misure cautelari personali del libro IV, titolo I, capo II, del codice di procedura penale o assuma la qualità di imputato ai sensi dell’articolo 60 dello stesso codice in relazione ai seguenti reati: a) delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile e nella legge fallimentare; b) delitti contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica, ovvero delitti in materia tributaria; c) reati previsti dal titolo VIII del T.U. bancario; d) reati previsti dal presente decreto».
Il ricorrente lamenta che la misura cautelare della sospensione dall’attività professionale ivi prevista possa essere cumulata, senza alcuna forma di coordinamento processuale e sostanziale, con le sanzioni amministrative indicate dall’art. 196 del t.u. finanza, che possono essere inflitte dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) nei confronti dei consulenti finanziari che violano le disposizioni del medesimo testo unico, tra le quali sanzioni si annovera anche la sospensione dall’attività professionale.
Il cumulo delle diverse misure, a cui si può assommare, come nel caso posto all’esame del giudice a quo, anche la sanzione penale disposta dall’art. 166 del t.u. finanza per i reati di esercizio abusivo della professione, farebbe emergere una pluralità di profili di illegittimità costituzionale della disposizione denunciata.
L’art. 55, comma 2, del t.u. finanza contrasterebbe anzitutto con l’art. 3 Cost., per violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità e per «irragionevole disparità di trattamento», essendo parificate la situazione di coloro che subiscono solo la sospensione di cui alla norma censurata e quella di coloro che patiscono anche la sospensione prevista dall’art. 196 del t.u. finanza, in assenza di qualsiasi forma di coordinamento tra le due misure, applicabili ai medesimi soggetti, per i medesimi fatti.
Sarebbe altresì violato il divieto di bis in idem stabilito dall’art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7, posto che, letta alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la sospensione comminata dall’art. 55, comma 2, del t.u. finanza concreterebbe una «sanzione afflittiva e quindi “punitiva”, a prescindere dalla sua qualificazione formale», cumulabile con quelle disposte dall’art. 196 del t.u. finanza, senza che sia ravvisabile quella «connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta» che consentirebbe ai due procedimenti di essere considerati «parti di un’unica reazione sanzionatoria», che escluderebbe ogni violazione del principio del ne bis in idem, come risulta dal più recente orientamento della Corte EDU, (Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia). Di qui la violazione anche dell’art. 117, primo comma, Cost.
2.– Occorre anzitutto esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato.
2.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta la carente motivazione sulla rilevanza, in quanto l’ordinanza di rimessione non avrebbe chiarito se la sospensione sanzionatoria di cui all’art. 196 del t.u. finanza e la sospensione cautelare di cui all’art. 55, comma 2, del t.u. finanza siano state adottate in riferimento ai medesimi fatti, posto che lo stesso rimettente afferma che i fatti oggetto della misura cautelare e della sanzione amministrativa avrebbero «proiezioni temporali parzialmente diverse».
L’eccezione è superata da una lettura complessiva dell’ordinanza di rimessione, che consente di rilevare che essa dà espressamente atto della sussistenza dell’idem factum. Invero, il giudice rimettente riferisce di essere investito di un ricorso per l’annullamento della delibera con la quale la CONSOB ha disposto la sospensione per un anno dall’esercizio dell’attività di consulente finanziario, ai sensi dell’art. 55, comma 2, del t.u. finanza, dopo aver già inflitto la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per un periodo di quattro mesi, in relazione ai medesimi fatti, in applicazione dell’art. 196 del t.u. finanza. Inoltre, il giudice a quo afferma espressamente che la vicenda dalla quale hanno preso origine i due procedimenti amministrativi partono dalla medesima «base storica costituita da un procedimento penale ancora non concluso» ex art. 166 del t.u. finanza, «attinente a specifici comportamenti posti in essere nella gestione dell’attività consulenziale». Non può, quindi, ravvisarsi la lamentata carenza di motivazione sulla rilevanza, capace di risolversi in una causa di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale.
2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta altresì la contraddittorietà della motivazione per il fatto che il giudice rimettente, mentre da un lato attribuisce natura “penale” ad entrambe le misure previste dagli artt. 55, comma 2, e 196 del t.u. finanza, dall’altro riferisce diffusamente gli orientamenti della giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato che ne evidenziano l’assoluta diversità di natura: ciò che escluderebbe una violazione del divieto di bis in idem. Inoltre, il rimettente non avrebbe adeguatamente argomentato la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa prevista dall’art. 196 del t.u. finanza, essendosi limitato a motivare solo su quella della sospensione cautelare di cui all’art. 55, comma 2, del medesimo t.u. finanza.
Anche tale eccezione non è meritevole di accoglimento.
Infatti, a una lettura complessiva dell’ordinanza di rimessione, può ritenersi che le argomentazioni volte a dimostrare la natura sostanzialmente penale della misura cautelare prevista dall’art. 55, comma 2, del t.u. finanza siano riferite, pur implicitamente, anche alla misura sanzionatoria amministrativa di cui al citato art. 196 del t.u. finanza. In vero, l’ordinanza di rimessione è inequivocabilmente orientata a sostenere che entrambe le misure previste dagli artt. 55, comma 2, e 196 del t.u. finanza costituiscono sanzioni di natura “sostanzialmente penale” alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che viene adeguatamente esaminata anche nei suoi sviluppi più recenti.
Quanto alle pronunce della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato che escludono che la sospensione prevista dall’impugnato art. 55, comma 2, del t.u. finanza persegua finalità sanzionatorie (Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 12 febbraio 2014, n. 3202 e Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 10 settembre 2015, n. 4226), esse sono richiamate dall’ordinanza di rimessione allo scopo di esperire un tentativo di interpretazione «conforme a Costituzione e al diritto eurounitario», per poi escluderne l’effettiva praticabilità. Neppure sotto questo profilo si ravvisa dunque la carenza e la contraddittorietà di motivazione lamentata dall’Avvocatura generale dello Stato. Le cui osservazioni, prospettate in riferimento alla giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, rilevano, semmai, per l’esame del merito della questione sollevata, come si dirà tra breve.
2.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta ancora l’erronea individuazione del parametro interposto, in relazione alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.: in particolare, si sostiene che, trattandosi di materia rientrante nell’ambito di competenza comunitaria, l’eventuale contrasto avrebbe dovuto essere denunciato con riferimento all’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (da ora: CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 e non già con riguardo all’art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7.
Non v’è dubbio che la normativa che regola le attività dei consulenti finanziari tragga origine dalla direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 (relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio, cui è poi succeduta la direttiva 2014/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE), in particolare dall’art. 23, che prevede la figura dell’“agente collegato”. Meno chiare sono piuttosto l’ampiezza dell’armonizzazione disposta dalla citata direttiva e l’individuazione dei profili lasciati alla discrezionalità degli Stati membri in tale ambito. Merita sul punto di essere segnalato il rinvio pregiudiziale disposto ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 dal TAR Lazio, (ordinanza 10 gennaio 2018, n. 230), che rivolge alla Corte di giustizia dell’Unione europea un duplice quesito: il primo riguardante la portata e i limiti della disciplina contenuta nella direttiva 2004/39/CE in materia di agenti collegati; il secondo riguardante la compatibilità dell’art. 55, comma 2, del t.u. finanza con la citata direttiva 2004/39/CE. Quale che sia il rapporto tra la disposizione denunciata e il diritto dell’Unione europea, sul quale si pronuncerà la Corte di Giustizia UE – questione che resta esterna al presente giudizio e perciò impregiudicata dal suo esito – resta fermo, che, in ossequio all’art. 117, primo comma, Cost., il denunciato art. 55, comma 2, del t.u. finanza, al pari di ogni altra norma dell’ordinamento giuridico nazionale, deve rispettare i diritti e i principi garantiti dalla CEDU come sviluppati dalla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo: diritti e principi che non soffrono limitazioni per ambiti di competenza. D’altra parte è altresì indiscusso che sul rispetto di detti principi questa Corte sia chiamata a giudicare (sin dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007), trattandosi di questioni che configurano una potenziale violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
Anche questa eccezione di inammissibilità è, dunque, destituita di fondamento.
3.– Occorre ancora preliminarmente osservare che il decreto legislativo 3 agosto 2017, n. 129, recante «Attuazione della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, così, come modificata dalla direttiva 2016/1034/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2016, e di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012, così come modificato dal regolamento (UE) 2016/1033 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2016», all’art. 2, comma 44, ha disposto l’abrogazione del censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza.
L’ordinanza di rimessione non menziona tale modifica normativa. Tuttavia, tale omissione non determina alcun vizio di inammissibilità.
Deve escludersi, infatti, che lo ius superveniens determini effetti sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale posta all’esame della Corte, atteso che l’art. 10, comma 2, del sopravvenuto d.lgs. n. 129 del 2017, quale norma transitoria, ha previsto che le norme abrogate o modificate continuano ad applicarsi fino all’entrata in vigore di disposizioni che dovranno essere adottate, secondo le rispettive competenze, dalla Banca d’Italia e dalla CONSOB. Il che, nella specie, è avvenuto solo il 15 febbraio 2018, con l’approvazione da parte della CONSOB del Regolamento intermediari, adottato con delibera n. 20307, che, giusta la previsione di cui all’art. 4 di detta delibera, è entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nel supplemento ordinario alla «Gazzetta Ufficiale» della Repubblica italiana (serie generale) n. 41 del 19 febbraio 2018.
Peraltro occorre osservare che, con l’art. 7-septies del t.u. finanza aggiunto dall’art. 2, comma 7, del medesimo decreto legislativo n. 129 del 2017, ha attribuito il potere di sospensione cautelare, già previsto dall’abrogato art. 55, comma 2, del t.u. finanza in capo alla CONSOB, all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari, a sua volta sottoposto al controllo della CONSOB.
Le sopravvenute modifiche normative non determinano il venir meno della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, per un duplice ordine di ragioni: sia perché esse non avevano ancora effetto al momento della pubblicazione dell’ordinanza di rimessione; sia perché il giudice amministrativo è, comunque, tenuto a valutare la legittimità dell’atto amministrativo in base alle norme vigenti al momento della sua adozione (ex plurimis, sentenza n. 245 del 2016). Pertanto, atteso che la disposizione censurata era certamente vigente al momento dell’adozione della misura cautelare, deve ritenersi che il giudice rimettente non avesse ulteriori oneri motivazionali sull’applicabilità della disposizione oggetto della questione in esame nel giudizio a quo.
4.– Nel merito la questione non è fondata.
4.1.– Il t.u. finanza prevede un complesso di misure che in diverso modo presidiano l’attività dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, di cui agli artt. 30 e seguenti del t.u. finanza.
Si tratta, in primo luogo, dell’art. 166 del t.u. finanza, che punisce con la reclusione da uno a otto anni e con la multa da euro quattromila a euro diecimila, commesso da «chiunque, senza esservi abilitato, […] offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, prodotti finanziari, servizi o attività di investimento». Inoltre, come per tutti i delitti puniti con la pena superiore nel massimo a tre anni e in ogni caso quando si tratta di delitti contro l’economia pubblica (artt. 287 e 290 codice di procedura penale) sono applicabili, a titolo di misure cautelari penali, le misure interdittive previste dal codice di rito, tra le quali l’interdizione dall’attività per un periodo massimo di dodici mesi, ai sensi dell’art. 308, comma 2, cod. proc. pen.
In secondo luogo, l’art. 196 del t.u. finanza prevede un illecito amministrativo per i soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 31, comma 4 (che comprende anche l’albo dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede), che violano le norme dello stesso t.u. finanza o le disposizioni generali o particolari emanate in forza di esso: le sanzioni previste, che comprendono per i casi più gravi anche la sospensione da uno a quattro mesi e la radiazione dall’albo, erano applicate dalla CONSOB all’epoca dei fatti oggetto del giudizio a quo, mentre oggi, dopo la sostituzione del comma 2 del citato art. 196 operata dall’art. 5, comma 31, d.lgs., n. 129 del 2017 sono applicate dall’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo, la cui decisione è ricorribile davanti alla Corte di appello (art. 196, comma 4 bis, aggiunto dall’art. 5, comma 31, lettera c, del d. lgs. n. 129 del 2017).
Sotto altro profilo, l’art. 55, comma 2, del t.u. finanza oggi all’esame della Corte, prevedeva che la CONSOB potesse disporre, in via cautelare, per un periodo massimo di un anno, la sospensione del consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede che fosse sottoposto a una delle misure cautelari personali del libro IV, titolo I, capo II, cod. proc. pen. (cioè le misure coercitive, che non comprendono quelle interdittive) o assumesse la qualità di imputato ai sensi dell’art. 60 dello stesso codice in relazione a determinati reati, tra i quali quelli previsti dal t.u. finanza e, quindi, anche il delitto di cui al citato art. 166 del t.u. finanza. Come sopra anticipato, l’art. 55, comma 2, del t.u. finanza è stato abrogato dall’art. 2, comma 44, del d.lgs. n. 129 del 2017, mentre il potere cautelare da esso regolato è stato trasferito in capo all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo, secondo quanto oggi previsto dall’art. 7-septies del t.u. finanza.
A fronte di tale articolato sistema normativo, il giudice rimettente lamenta la violazione dell’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento e per violazione del principio di proporzionalità del sistema sanzionatorio, oltre che dell’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7, per violazione del principio del ne bis in idem.
4.2.– Le censure si fondano su un erroneo presupposto interpretativo.
Il rimettente attribuisce impropriamente natura sanzionatoria alle misure adottate dalla CONSOB in forza del potere all’epoca conferitole dal cennato art. 55, comma 2, del t.u. finanza, a fronte di un diritto vivente che induce a conclusioni di segno opposto. L’orientamento concorde delle supreme magistrature civili (Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 12 febbraio 2014, n. 3202) e amministrative (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 5 dicembre 2017, n. 5734; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 10 settembre 2015, n. 4226) è, infatti, nel senso che la disposizione censurata conferisce un potere avente natura di vigilanza attiva e non sanzionatoria.
Questo condivisibile approdo, costante e univoco, cui è pervenuta la giurisprudenza non àncora la ratio del provvedimento di sospensione ex art. 55, comma 2, del t.u. finanza a una funzione servente o anticipatoria rispetto ad eventuali provvedimenti sanzionatori o al possibile esito di un procedimento penale in cui è coinvolto il consulente finanziario. La sospensione prevista dalla disposizione denunciata si radica piuttosto nell’esigenza di evitare il rischio che l’allarme sociale derivante dal coinvolgimento del consulente finanziario in gravi vicende penali possa compromettere la fiducia di risparmiatori e investitori nel buon funzionamento del mercato e nella correttezza degli operatori del mercato. Si tratta di un’espressione della funzione di vigilanza che, conformemente a quanto previsto dalle direttive UE, ha per obiettivi, tra gli altri: a) la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario; b) la tutela degli investitori; c) la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario (art. 5 del t.u. finanza). Trattasi perciò di una misura di natura cautelare, non sanzionatoria, posta a tutela di un interesse pubblico, che presenta aspetti di analogia con la pur diversa ipotesi della sospensione dalle cariche elettive, che questa Corte ha qualificato come «misura sicuramente cautelare» rispondente a esigenze proprie della funzione pubblica, non assimilabile a una sanzione di natura penale (sentenze n. 276 del 2016 e n. 236 del 2015).
Ciò consente di cogliere agevolmente che il provvedimento cautelare in discussione esprime un potere discrezionale della CONSOB, che implica una ponderazione dei vari interessi in gioco: da un lato l’interesse generale a che un soggetto accusato di gravi reati non continui a esercitare un’attività delicata, quale è quella di promozione finanziaria; dall’altro quello personale del consulente imputato alla prosecuzione dell’attività professionale. Nel bilanciamento degli interessi coinvolti, l’autorità procedente deve necessariamente tenere conto del sacrificio imposto agli interessi individuali del professionista e assicurarsi che esso sia necessario e proporzionato alle finalità pubbliche perseguite.
4.3.– Dalle considerazioni che precedono, risulta chiaro che non può condividersi il presupposto interpretativo dal quale muove tutta l’argomentazione dell’ordinanza di rimessione, che si basa sulla natura di sanzione sostanzialmente penale della sospensione dall’esercizio dell’attività del promotore finanziario, prevista dal censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza.
L’erroneità del presupposto interpretativo finisce per infirmare le conclusioni del giudice remittente circa la violazione del ne bis in idem, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo, principio che presuppone un cumulo di procedimenti sanzionatori di natura sostanzialmente penale: una evenienza che nel presente giudizio di legittimità costituzionale non ricorre.
D’altra parte, una volta esclusa la natura di sanzione penale, la sospensione prevista dal censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza non incorre neppure nei vizi formulati con riguardo all’art. 3 Cost. L’alterità di funzione della misura cautelare oggetto del presente giudizio rispetto a quella delle misure sanzionatorie di cui all’art. 196 del t.u. finanza non consente di porre validamente a raffronto la situazione dei consulenti che hanno subito la sospensione solo a titolo cautelativo e quella di coloro che l’hanno patita anche a titolo sanzionatorio. D’altra parte, la diversità di funzione dei vari istituti non consente neppure di giudicare sproporzionato o irragionevole l’eventuale cumulo dei periodi di sospensione inflitti al medesimo soggetto. Naturalmente nelle valutazioni discrezionali che sottendono l’applicazione della misura cautelare di cui all’art. 55, comma 2, del t.u. finanza, l’autorità procedente non può non tener conto degli effetti dell’eventuale sospensione subita dal consulente finanziario a titolo di sanzione amministrativa e del periodo di interdizione già disposto dal giudice penale ai sensi dell’art. 308, comma 2, cod. proc. pen., per verificare se residuino ancora ulteriori esigenze di tutela del mercato da salvaguardare.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), sollevate dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2018.