Sentenza n. 104 del 2018

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SENTENZA N. 104

ANNO 2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giorgio                       LATTANZI                                       Presidente

-      Aldo                           CAROSI                                            Giudice

-      Marta                          CARTABIA                                              ”

-      Mario Rosario             MORELLI                                                 ”

-      Giancarlo                    CORAGGIO                                             ”

-      Giuliano                      AMATO                                                    ”

-      Silvana                        SCIARRA                                                 ”

-      Daria                           de PRETIS                                                ”

-      Franco                        MODUGNO                                             ”

-      Augusto Antonio       BARBERA                                               ”

-      Giulio                          PROSPERETTI                                         ”

-      Giovanni                     AMOROSO                                               ”

-      Francesco                   VIGANÒ                                                  ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 299, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosso dal Tribunale ordinario di Palermo, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento instaurato da A. B. nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 23 marzo 2016, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 marzo 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato Luigi Caliulo per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 23 marzo 2016, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 2016, il Tribunale ordinario di Palermo, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 299, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in cui, a favore di coloro che abbiano raggiunto la prevista anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, esclude la riduzione delle anzianità contributive maturate in data anteriore al 1° gennaio 2012 per le pensioni anticipate decorrenti negli anni 2012, 2013, 2014, con esclusivo riguardo ai ratei di pensione corrisposti dal 1° gennaio 2016.

1.1.– Il giudice rimettente espone di dover decidere una domanda di accertamento del diritto alla corresponsione della pensione anticipata, senza la riduzione percentuale contemplata dall’art. 24, comma 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.

In virtù di tale previsione, a decorrere dal 1° gennaio 2012, i lavoratori che beneficiano di una pensione «liquidata a carico dell’AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335» possono conseguire la pensione anticipata a età inferiori ai più elevati requisiti anagrafici sanciti dall’art. 24, comma 6, del d.l. n. 201 del 2011 soltanto se abbiano maturato un’anzianità contributiva di quarantadue anni e un mese per gli uomini e di quarantuno anni e un mese per le donne.

Nell’ipotesi indicata, la legge applica, con riguardo alla «quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente il 1° gennaio 2012», una riduzione pari a un punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di sessantadue anni e una riduzione di due punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni.

L’applicazione di tali disposizioni restrittive – soggiunge il rimettente – è stata esclusa per i «soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017», con un’anzianità contributiva derivante «esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria» (art. 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2012, n. 14).

L’esclusione è stata poi estesa a tutti i «soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017», dapprima con riguardo ai soli «trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2015», in virtù dell’art. 1, comma 113, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», e successivamente, per effetto della disposizione censurata, anche con riguardo «ai trattamenti pensionistici decorrenti negli anni 2012, 2013 e 2014», per i soli «ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2016».

Il giudice a quo evidenzia che tale limitazione pregiudicherebbe la parte ricorrente nel giudizio principale, «pensionata dal 1.10.2014», in quanto condurrebbe all’applicazione della decurtazione prevista dall’art. 24, comma 10, del d.l. n. 201 del 2011 sino al 31 dicembre 2015.

La questione di legittimità costituzionale sarebbe rilevante, poiché sarebbe la disposizione censurata a determinare la decurtazione di euro 263,63 al mese, contestata in giudizio dalla parte ricorrente.

1.2.– Ad avviso del rimettente, il sistema così delineato determinerebbe un’arbitraria discriminazione tra chi ha ottenuto la pensione anticipata dal 2012 alla fine del 2014, riponendo un affidamento ancor più forte sulla normativa vigente prima del d.l. n. 201 del 2011, e chi ha conseguito la pensione anticipata dal 1° gennaio 2015 sino al 31 dicembre 2017.

La previsione in esame lederebbe «il principio costituzionale di eguaglianza, di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 3 Cost.». Senza alcuna ragione giustificatrice, la legge riserverebbe un trattamento deteriore a chi ha avuto accesso alla pensione anticipata nel 2012, nel 2013 e nel 2014, maturando prima «i requisiti contributivi utili per il diritto a pensione», rispetto a chi ha ottenuto tale beneficio successivamente, a decorrere dal 1° gennaio 2015.

Non si potrebbe rinvenire alcuna giustificazione razionale di tale disparità di trattamento nel fatto che, per i soggetti posti in pensione anticipata dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2014, le decurtazioni siano state già operate. L’esigenza di risparmio di spesa dovrebbe essere perseguita nel rispetto di «altri valori di rilevanza costituzionale» e neppure l’eccezionalità della situazione economica giustificherebbe deroghe al principio di eguaglianza (si richiama la sentenza n. 223 del 2012).

La decurtazione del trattamento pensionistico, disposta con riguardo all’anzianità contributiva effettivamente maturata dal lavoratore, si porrebbe in contrasto con l’art. 36, primo comma, Cost., in quanto sarebbe lesiva del «principio di proporzionalità tra pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l’attività lavorativa».

Il rimettente denuncia il contrasto anche con il «principio derivante dal combinato disposto degli artt. 36, 38, 2, 3 Cost.», sul presupposto che la decurtazione del trattamento pensionistico, «violando il principio di proporzionalità tra pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il meccanismo del principio solidaristico e il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno solo di alcuni pensionati, casualmente andati in pensione anticipata nel periodo dal 1.1.2012 al 31.12.2014, invece che prima o dopo detto periodo»

Sarebbe sacrificato in maniera irragionevole il diritto dei lavoratori collocati in pensione anticipata negli anni 2012, 2013 e 2014 di ricevere «un trattamento previdenziale proporzionato al lavoro e alla contribuzione per esso versata (art. 36, comma 1, Cost.) e adeguato (art. 38, comma 2, Cost.), in attuazione del principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. e del medesimo principio di eguaglianza sostanziale di cui al citato art. 3, comma 2, Cost.» (si menziona la sentenza n. 70 del 2015).

2.– Con atto depositato il 3 novembre 2016, si è costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e ha chiesto di dichiarare manifestamente inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale.

Il rimettente avrebbe trascurato di offrire adeguati ragguagli sulla fattispecie concreta e, in particolare, sull’età anagrafica e sull’anzianità contributiva della parte ricorrente nel giudizio principale e sull’effettiva consistenza della decurtazione che le è stata applicata.

Non sarebbero stati svolti i necessari approfondimenti sull’eventuale applicabilità della deroga prevista dall’art. 6, comma 2-quater, del d.l. n. 216 del 2011.

Peraltro, per la parte ricorrente, che avrebbe maturato il diritto alla pensione anticipata il 1° ottobre 2014, dovrebbero operare le previsioni dell’art. 6, comma 2-quater, del d.l. n. 216 del 2011, e non già la disciplina successivamente introdotta dall’art. 1, comma 113, della legge n. 190 del 2014 e dall’art. 1, comma 299, della legge n. 208 del 2015. Anche da questo punto di vista, si apprezzerebbe un’insufficiente motivazione sulla necessità di fare applicazione della disposizione censurata.

2.1.– In vista dell’udienza, l’INPS ha depositato una memoria illustrativa, confermando le conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione e svolgendo ulteriori considerazioni in ordine al merito della questione.

In particolare, l’INPS ha ricordato che la disciplina censurata è stata adottata «nell’ambito di un pacchetto di disposizioni emanate nel più difficile momento di crisi economica», allo scopo di contemperare la tutela dei diritti dei pensionati con la salvaguardia della «complessiva tenuta del sistema previdenziale e del bilancio pubblico», in un assetto improntato alla solidarietà intergenerazionale.

Gli effetti della penalizzazione sarebbero provvisori e modesto sarebbe il loro impatto economico, che consisterebbe in un «corrispettivo simbolico». La «lieve e provvisoria penalizzazione» disposta dal legislatore non pregiudicherebbe l’adeguatezza della tutela previdenziale e il rapporto di tendenziale corrispondenza tra retribuzione percepita nel corso del rapporto di lavoro e pensione.

Non si potrebbe ravvisare alcuna violazione dell’art. 3 Cost. Il legislatore avrebbe scelto di graduare «in rapporto al fattore tempo» la penalizzazione connessa all’applicazione della normativa derogatoria sulla pensione anticipata e di mantenere le decurtazioni per coloro che abbiano fruito del trattamento di pensione anticipata per un arco temporale più ampio, sin dal periodo intercorrente tra il 2012 e il 2014.

3.– Nel giudizio è intervenuto, con atto depositato l’8 novembre 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale.

La riduzione del trattamento pensionistico, modulata attraverso «una ragionevole, progressiva diminuzione, nel tempo, della penalizzazione», sarebbe stata congegnata in modo da «assicurare l’equità della disciplina normativa complessivamente considerata».

Non potrebbero dirsi violati, pertanto, i princìpi di proporzionalità tra pensione e retribuzione e di adeguatezza della prestazione previdenziale.

L’interveniente, inoltre, osserva che il sistema non contempla alcun principio di immutabilità del trattamento pensionistico e che spetta alla discrezionalità del legislatore la determinazione della misura dei trattamenti di quiescenza, anche alla luce delle concrete disponibilità finanziarie e delle risorse di bilancio (si menziona la sentenza n. 316 del 2010).

La disposizione censurata, per un verso, salvaguarderebbe la coerenza e la razionalità del sistema e, per altro verso, si prefiggerebbe di «garantire l’equilibrio tra mezzi disponibili e prestazioni previdenziali erogate», in armonia con il vincolo imposto dall’art. 81, quarto comma, Cost. e «con gli impegni assunti dall’Italia con l’Unione Europea in materia di contenimento della spesa pensionistica».

3.1.– In prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa, confermando le conclusioni già formulate nell’atto di intervento.

La disposizione censurata concorrerebbe «a rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico» e a salvaguardare l’equilibrio dell’intero sistema previdenziale, nel rispetto dei vincoli imposti dall’art. 81 Cost.

L’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, per contro, rischierebbe di «compromettere gli equilibri di finanza pubblica e gli impegni assunti dall’Italia con l’Unione Europea in materia di contenimento della spesa pensionistica» e, a tutto concedere, dovrebbe produrre effetti solo pro futuro.

4.– All’udienza pubblica del 20 marzo 2018, le parti hanno ribadito le conclusioni e le argomentazioni svolte negli scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Palermo, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 299, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in cui, per le pensioni anticipate decorrenti negli anni 2012, 2013 e 2014 e corrisposte a lavoratori che abbiano raggiunto la prevista anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, limita l’esenzione dalla riduzione delle anzianità contributive maturate in data anteriore al 1° gennaio 2012 ai soli «ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2016» e non include anche i ratei di pensione corrisposti dal 2012 al 2015.

L’assetto delineato dal legislatore contrasterebbe, in primo luogo, con «il principio costituzionale di eguaglianza, di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 3 Cost.». La disposizione censurata, senza alcuna ragione giustificatrice, riserverebbe un trattamento deteriore a quanti hanno conseguito la pensione anticipata nel 2012, nel 2013 e nel 2014, maturando prima «i requisiti contributivi utili per il diritto a pensione», e «che anzi avevano fatto maggiore affidamento sulla normativa in materia pensionistica vigente prima del D.L. n. 201/2011», rispetto a quanti hanno ottenuto tale trattamento successivamente, a decorrere dal 1° gennaio 2015. Se per questi ultimi, quando abbiano maturato la prevista anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, non si applicano penalizzazioni di sorta, per chi ha conseguito la pensione anticipata nel 2012, nel 2013 e nel 2014, permangono le decurtazioni applicate per i ratei di pensione corrisposti prima del 1° gennaio 2016, anche quando abbiano raggiunto l’anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, ove tale anzianità contributiva non si colleghi a una prestazione effettiva di lavoro.

Non si potrebbe individuare una valida ragione giustificatrice della denunciata disparità di trattamento nel fatto che, per i soggetti posti in pensione anticipata dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2014, le decurtazioni siano state già operate. Invero, l’esigenza di risparmio di spesa dovrebbe essere perseguita nel rispetto di «altri valori di rilevanza costituzionale» e neppure l’eccezionalità della situazione economica potrebbe giustificare deroghe al principio di eguaglianza (si richiama la sentenza n. 223 del 2012).

Sarebbe violato l’art. 36, primo comma, della Costituzione, in quanto la decurtazione del trattamento pensionistico relativo all’anzianità contributiva effettivamente maturata dal lavoratore sarebbe lesiva del «principio di proporzionalità tra pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l’attività lavorativa».

Il rimettente prospetta, da ultimo, la violazione del «principio derivante dal combinato disposto degli artt. 36, 38, 2, 3 Cost.». La decurtazione del trattamento pensionistico che spetta al lavoratore in rapporto alla contribuzione maturata, «violando il principio di proporzionalità tra pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il meccanismo del principio solidaristico e il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno solo di alcuni pensionati, casualmente andati in pensione anticipata nel periodo dal 1.1.2012 al 31.12.2014, invece che prima o dopo detto periodo».

Il meccanismo così descritto, in particolare, sacrificherebbe in maniera irragionevole il diritto dei lavoratori collocati in pensione anticipata negli anni 2012, 2013 e 2014 di ricevere «un trattamento previdenziale proporzionato al lavoro e alla contribuzione per esso versata (art. 36, comma 1, Cost.) e adeguato (art. 38, comma 2, Cost.), in attuazione del principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. e del medesimo principio di eguaglianza sostanziale di cui al citato art. 3, comma 2, Cost.» (si cita a tale riguardo la sentenza n. 70 del 2015).

Al richiamo all’art. 53 Cost., contenuto nel solo dispositivo dell’ordinanza di rimessione, non corrisponde un’autonoma censura, che concorra a definire il thema decidendum devoluto all’esame di questa Corte.

2.– Si deve rilevare, preliminarmente, che, in virtù dell’art. 1, comma 194, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), la riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, prevista dall’art. 24, comma 10, del d.l. n. 201 del 2011, non si applica ai «trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2018».

La normativa sopravvenuta non muta i termini della questione di legittimità costituzionale, che verte sulla decurtazione dei trattamenti anticipati decorrenti nel 2012, nel 2013 e nel 2014. Non è necessario, pertanto, alla luce di una sopravvenienza che non dispiega alcun effetto sul giudizio principale, restituire gli atti al rimettente perché rinnovi la valutazione in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione sollevata (sentenze n. 260 del 2015, punto 2. del Considerato in diritto, e n. 205 del 2015, punto 3. del Considerato in diritto).

3.– La valutazione in punto di rilevanza, compiuta dal rimettente, non incorre nei profili di inammissibilità eccepiti dalla difesa dell’INPS, con riguardo all’incompleta ricostruzione della posizione previdenziale della parte ricorrente e all’omessa verifica dell’effettiva spettanza della pensione anticipata. L’INPS lamenta che la carente descrizione della fattispecie precluda il necessario controllo sulla rilevanza, al pari delle generiche indicazioni sulla necessità di applicare una disposizione posteriore al pensionamento della parte ricorrente.

Tali rilievi non colgono nel segno.

Il giudice a quo, pur nel conciso richiamo agli atti e ai documenti di causa, delinea i tratti essenziali della fattispecie concreta e chiarisce che la parte ricorrente, pensionata dal 1° ottobre 2014, beneficia di una pensione anticipata, decurtata secondo le prescrizioni dell’art. 24, comma 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Nel giudizio principale non si discute sulla sussistenza dei requisiti, peraltro non contestati, per accedere alla pensione anticipata, né sul fatto, parimenti pacifico, che il trattamento pensionistico anticipato sia stato in concreto ridotto, ma sulla legittimità delle decurtazioni applicate sulla scorta di una normativa che si sospetta in contrasto con la Carta fondamentale.

La controversa consistenza di tali decurtazioni, posta in risalto anche all’udienza pubblica, non pone in discussione la necessità di applicare la disciplina in esame e tale elemento è sufficiente a radicare la rilevanza del proposto dubbio di costituzionalità.

È del pari ininfluente che la disciplina denunciata sia posteriore al conseguimento della pensione. Il rimettente ha dettagliatamente ripercorso l’evoluzione della normativa dal d.l. n. 201 del 2011 fino alla legge n. 208 del 2015, dando conto dell’incidenza della disciplina sopravvenuta sulla posizione della parte ricorrente.

Le censure vertono su questa disciplina successiva, nella parte in cui conferma, per chi ha conseguito le pensioni anticipate nel 2012, nel 2013 e nel 2014, la vigenza della precedente e più rigorosa normativa.

Anche da tale punto di vista, dunque, la questione proposta supera il vaglio di ammissibilità demandato a questa Corte.

4.– La questione non è fondata, in riferimento a tutti i profili dedotti dal rimettente.

5.– La questione sollevata dal Tribunale ordinario di Palermo si inquadra nella complessa evoluzione della disciplina in tema di pensionamenti anticipati, che ha visto il susseguirsi di molteplici interventi, intesi a mitigare il regime restrittivo tratteggiato inizialmente dall’art. 24, comma 10, del d.l. n. 201 del 2011.

5.1.– Tale disposizione prevede che, a partire «dal 1° gennaio 2012 e con riferimento ai soggetti la cui pensione è liquidata a carico dell’AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che maturano i requisiti a partire dalla medesima data», la pensione anticipata ad età inferiori rispetto a quelle nel frattempo innalzate dall’art. 24, comma 6, del d.l. n. 201 del 2011 sia corrisposta soltanto «se risulta maturata un’anzianità contributiva di 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti nell’anno 2012». Tali requisiti sono progressivamente elevati in rapporto all’incremento delle aspettative di vita.

La pensione anticipata è corrisposta nell’importo pieno soltanto se il beneficiario abbia compiuto sessantadue anni di età. Qualora tale età non sia stata ancora raggiunta, il legislatore applica «[s]ulla quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente il 1° gennaio 2012» una riduzione percentuale così modulata: «1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni; […] 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni», una «riduzione proporzionale al numero di mesi», quando il periodo di anticipo nell’accesso al pensionamento non corrisponda ad un anno intero.

5.2.– Con l’art. 6, comma 2-quater, secondo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2012, n. 14, il legislatore ha escluso l’applicazione delle disposizioni in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici per coloro che maturano i prescritti requisiti di anzianità contributiva «entro il 31 dicembre 2017».

Nella versione originaria, la deroga era subordinata al ricorrere di un’anzianità contributiva derivante «esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria».

La nozione di prestazione effettiva di lavoro è stata poi estesa anche alle assenze «per la donazione di sangue e di emocomponenti, come previsto dall’articolo 8, comma 1, della legge 21 ottobre 2005, n. 219, e per i congedi parentali di maternità e paternità previsti dal testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151» (art. 4-bis, comma 1, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125) e alle assenze «per i congedi e i permessi concessi ai sensi dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104» (art. 1, comma 493, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014)».

5.3.– L’art. 1, comma 113, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», ha superato il requisito della prestazione effettiva di lavoro e ha escluso ogni riduzione percentuale per i «trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2015», a beneficio dei «soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017».

5.4.– Fermo tale ultimo presupposto, l’art. 1, comma 299, della legge n. 208 del 2015, nell’inserire l’art. 113-bis della legge n. 190 del 2014, ha esteso il superamento del requisito della prestazione effettiva di lavoro anche ai «trattamenti pensionistici decorrenti negli anni 2012, 2013 e 2014», con esclusivo «riferimento ai ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2016».

Verso tale limitazione temporale si indirizzano le censure del rimettente, che reputa in contrasto con i princìpi costituzionali la mancata estensione della deroga anche ai ratei di pensione corrisposti in data anteriore al 1° gennaio 2016 e già incisi dalle decurtazioni in esame.

6.– Le censure investono, da un punto di vista più generale, il meccanismo di riduzione delle pensioni anticipate decorrenti nel 2012, nel 2013 e nel 2014 e ne prospettano il carattere lesivo dei princìpi di adeguatezza e di proporzionalità delle prestazioni previdenziali, enunciati dagli artt. 36 e 38 Cost. e presidiati, a dire del rimettente, anche dagli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.

Le censure non sono fondate.

6.1.– Il legislatore ben può disincentivare i pensionamenti anticipati (fra le molte, sentenza n. 416 del 1999, punto 4.1. del Considerato in diritto) e, in pari tempo, promuovere la prosecuzione dell’attività lavorativa mediante adeguati incentivi a chi rimanga in servizio e continui a mettere a frutto la professionalità acquisita, come questa Corte ha avuto occasione di affermare in riferimento alla valutazione dei particolari servizi prestati da dipendenti civili e militari dello Stato (sentenza n. 39 del 2018, punto 4.4. del Considerato in diritto) e in tema di coefficiente di trasformazione della contribuzione versata, più elevato per chi presti servizio più a lungo (sentenza n. 23 del 2017, punto 4.1. del Considerato in diritto).

Tali scelte discrezionali sono chiamate a contemperare la salvaguardia della sostenibilità del sistema previdenziale con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.) e con la tutela della proporzionalità e dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici (artt. 36 e 38 Cost.).

A questo riguardo, non è delineato un rapporto di indefettibile corrispondenza tra le pensioni e le retribuzioni e tra le pensioni e l’ammontare della contribuzione versata, ma una tendenziale correlazione, che salvaguardi l’idoneità del trattamento previdenziale a soddisfare le esigenze di vita. Ciò che appare indispensabile è «una valutazione globale e complessiva, che non si esaurisca nella parziale considerazione delle singole componenti» (sentenza n. 259 del 2017, punto 3.1. del Considerato in diritto).

6.2.– Nel caso di specie, il bilanciamento attuato dal legislatore non può ritenersi irragionevole.

Le decurtazioni imposte ai trattamenti pensionistici anticipati si affiancano alle drastiche misure di riduzione della spesa previdenziale previste dall’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 e incentrate sull’adeguamento dell’età di accesso alla pensione alla più elevata speranza di vita.

La riduzione dei trattamenti pensionistici anticipati, superata a regime dall’art. 1, comma 194, della legge n. 232 del 2016 per le pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2018, esaurisce i suoi effetti in un quadriennio (dal 2012 al 2015) e si proietta, pertanto, in un arco temporale definito.

La riduzione in esame, inoltre, si attesta sulla misura di un punto percentuale per ogni anno di anticipo rispetto all’età di sessantadue anni e sulla più elevata misura di due punti percentuali «per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni» e si articola secondo un progredire graduale, commisurato al grado di anticipazione dell’età pensionabile e circoscritto entro limiti sostenibili, che non vanificano i diritti fondamentali coinvolti.

Pertanto, la durata definita delle riduzioni, modulate in senso progressivo, e la misura contenuta che le contraddistingue e si accompagna alle deroghe già sancite dall’art. 6, comma 2-quater, del d.l. n. 216 del 2011 non compromettono il nesso di tendenziale equilibrio tra le pensioni, da un lato, e le retribuzioni e la contribuzione versata, dall’altro. Né il bilanciamento con il limite delle risorse disponibili implica un sacrificio sproporzionato e irragionevole del nucleo intangibile dei diritti tutelati dagli artt. 36 e 38 Cost.

7.– Il rimettente censura la riduzione percentuale delle pensioni anticipate decorrenti negli anni 2012, 2013 e 2014 anche in chiave comparativa e denuncia il trattamento discriminatorio riservato a chi ha avuto accesso al pensionamento anticipato nei primi tre anni di vigenza dell’art. 24, comma 10, del d.l. n. 201 del 2011.

Neppure tali censure sono fondate.

7.1.– Per costante giurisprudenza di questa Corte (fra le molte, sentenza n. 197 del 2010, punto 5.1. del Considerato in diritto), nei rapporti di durata il trattamento differenziato, riservato a una determinata categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo, non contrasta con il principio di eguaglianza. Spetta difatti alla discrezionalità del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme e, da questa angolazione, il fluire del tempo può rappresentare un apprezzabile criterio distintivo nella disciplina delle situazioni giuridiche (sentenze n. 273 del 2011, punto 4.2. del Considerato in diritto, e n. 94 del 2009, punto 7.2. del Considerato in diritto).

7.2.– La modulazione temporale della disciplina censurata non è irragionevole.

La posizione di chi ha conseguito la pensione anticipata dal 2012 al 2014 differisce dalla posizione di chi ha avuto accesso a tale trattamento dal 1° gennaio 2015 per quel che attiene ai presupposti di operatività della deroga prevista dall’art. 6, comma 2-quater, del d.l. n. 216 del 2011. Se, per la prima categoria, fino al 1° gennaio 2016, la disciplina restrittiva in tema di decurtazioni non si applica se i lavoratori abbiano raggiunto entro il 31 dicembre 2017 la prevista anzianità contributiva, legata alla prestazione effettiva di lavoro, la seconda categoria può essere esentata dalle decurtazioni alla sola condizione di avere maturato entro il 31 dicembre 2017 l’anzianità contributiva necessaria, così disancorata da ogni riferimento alla prestazione effettiva di lavoro.

La diversità di trattamento, dunque, incide su un profilo circoscritto della disciplina di deroga prevista anche a beneficio di chi ha conseguito la pensione anticipata dal 2012 al 2014. Peraltro, il presupposto della prestazione effettiva di lavoro, che rappresenta il tratto differenziale tra le due discipline, è stato configurato dal legislatore con una latitudine sempre maggiore, così da non costringere entro limiti troppo angusti l’àmbito applicativo della deroga in esame.

Tale diversità di disciplina, legata a un aspetto di dettaglio di una normativa di più ampio respiro, non è idonea a determinare un trattamento complessivamente sperequato dei beneficiari di pensioni anticipate decorrenti negli anni 2012, 2013 e 2014 e rispecchia il diverso contesto in cui tali misure hanno trovato applicazione.

Come questa Corte ha affermato con riguardo all’avvicendarsi delle discipline in tema di cumulo tra pensioni e retribuzioni (sentenza n. 416 del 1999, punto 4.1. del Considerato in diritto), le differenze che intercorrono tra i diversi regimi, nell’àmbito di interventi di riforma generale che richiedono continui adattamenti, riflettono la mutevole incidenza delle contingenti «emergenze finanziarie».

Anche nel caso di specie, il succedersi nel tempo delle discipline di deroga al regime generale rivela l’eterogeneità delle situazioni poste a raffronto e preclude una valutazione comparativa con la posizione di chi ha avuto successivamente accesso alla pensione anticipata, in un quadro sensibilmente mutato per l’affievolirsi delle esigenze che avevano giustificato le iniziali misure restrittive. Le scelte discrezionali del legislatore, a questo riguardo, si orientano verso la progressiva attenuazione dell’originario meccanismo di riduzione della pensione anticipata, per poi sancirne il definitivo superamento.

La particolarità della disciplina applicata ai pensionamenti anticipati del 2012, del 2013 e del 2014 si raccorda al carattere necessariamente graduale del percorso di superamento del regime di “penalizzazioni”, alla stregua della valutazione dei limiti imposti dalle risorse disponibili.

Si deve da ultimo considerare che la disposizione censurata, in armonia con i princìpi generali (art. 11 delle disposizioni preliminari codice civile), si limita a sancire l’efficacia solo per il futuro del superamento del requisito della prestazione effettiva di lavoro e a confermare per il passato l’applicazione di una disciplina provvista di valenza generale, già temperata dalle significative esenzioni dell’art. 6, comma 2-quater, del d.l. n. 216 del 2011 e comunque contraddistinta da un limitato e tollerabile impatto sul trattamento pensionistico corrisposto.

La scelta di differire al futuro l’efficacia dell’ulteriore deroga non genera, pertanto, una ingiustificata disparità di trattamento e non travalica i limiti di ragionevolezza e proporzionalità che presiedono alla «attuazione graduale» dei princìpi sanciti dagli artt. 36 e 38 Cost., anche alla luce delle esigenze connesse «alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa» (sentenza n. 119 del 1991, punto 3. del Considerato in diritto, da ultimo ripresa dalla sentenza n. 259 del 2017, punto 3.1. del Considerato in diritto).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 299, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», sollevata dal Tribunale ordinario di Palermo, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 38 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2018.