ORDINANZA N. 171
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso dal Tribunale ordinario di Genova, nel procedimento tra Edilcave Liguria srl e la Città metropolitana di Genova, con ordinanza del 9 giugno 2016, iscritta al n. 209 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 giugno 2017 il Giudice relatore Giuliano Amato.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Genova ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – inserito dall’art. 1-sexies del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688 (Misure urgenti in materia previdenziale, di tesoreria e di servizi delle ragionerie provinciali dello Stato), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1986, n. 11 – nella parte in cui limita la continuazione, ed il conseguente cumulo giuridico delle sanzioni, alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;
che il Tribunale rimettente è chiamato a decidere in ordine al ricorso avverso un’ordinanza-ingiunzione con la quale è stata irrogata la sanzione amministrativa di 12.480 euro per violazione dell’art. 193, comma 1, e dell’art. 258, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in particolare per avere effettuato il trasporto di rifiuti speciali non pericolosi utilizzando 48 formulari (tutti emessi tra il 15 dicembre 2010 ed il 2 febbraio 2011), contenenti dati inesatti, in quanto, a fronte della corretta indicazione del codice di recupero, era barrata la casella relativa all’attività di smaltimento;
che, dopo avere evidenziato l’infondatezza dell’unico motivo di doglianza formulato dalla società opponente, il Tribunale osserva che, in applicazione dell’art. 8 della legge n. 689 del 1981, la determinazione della sanzione andrebbe effettuata applicando la disciplina del cumulo materiale, ossia moltiplicando l’importo del minimo edittale per ciascuna delle violazioni contestate;
che la questione sarebbe rilevante e non manifestamente infondata nella parte in cui la disposizione in esame limita l’applicabilità del cumulo giuridico delle sanzioni alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;
che, ad avviso del giudice a quo, tale previsione, introdotta dalla legge n. 11 del 1986, di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 688 del 1985, violerebbe l’art. 3, primo comma, Cost., determinando un’irrazionale disparità di trattamento tra chi commetta violazioni in materia previdenziale e assistenziale e chi, invece, commetta illeciti amministrativi in altri ambiti;
che il Tribunale richiama gli argomenti già svolti dal Consiglio di Stato, prima sezione, nell’ordinanza iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2014, con la quale è stata sollevata la medesima questione di legittimità costituzionale;
che, dopo aver sinteticamente ripercorso l’evoluzione della disposizione censurata, si evidenzia in particolare che – mediante un intervento settoriale inserito all’interno della disciplina generale sulla repressione degli illeciti amministrativi – è stato previsto un istituto, parimenti generale, di mitigazione delle sanzioni, qual è la continuazione, limitando tuttavia il beneficio alla sola materia considerata dalla legge settoriale, così immotivatamente escludendolo per tutte le altre;
che ciò avrebbe determinato un’irrazionale disparità di trattamento tra chi commetta violazioni in materia previdenziale e assistenziale e chi commetta illeciti amministrativi in altre materie, tanto più che la continuazione, come istituto di mitigazione delle sanzioni, in linea di principio e salvo ragionevoli eccezioni, sarebbe estensibile alla generalità delle leggi repressive;
che, pur non dubitando del fatto che rientri nella discrezionalità del legislatore differenziare il trattamento del concorso di illeciti – prevedendo il cumulo giuridico per il solo concorso formale e non anche per l’illecito continuato – e neppure che il legislatore abbia la facoltà di sottrarre al beneficio del cumulo giuridico, assoggettandole al cumulo materiale, sanzioni previste per violazioni in un ambito determinato, in cui sussistano ragioni che giustifichino un particolare rigore, il giudice a quo ritiene, tuttavia, che la limitazione del cumulo giuridico stabilita dalla disposizione censurata non sia qualificabile in termini di discrezionalità, quanto piuttosto di casualità, determinata da un intervento di carattere settoriale;
che il Tribunale rimettente – pur essendo consapevole dei principi affermati da questa Corte nelle pronunce nelle quali la medesima questione è stata dichiarata manifestamente inammissibile poiché «un intervento come quello invocato dal rimettente deve ritenersi precluso dalla discrezionalità del legislatore nel configurare il trattamento sanzionatorio per il concorso tra plurime violazioni, nonché per l’assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate […]» (ordinanza n. 270 del 2015) – ritiene che vi siano elementi per una rivalutazione della questione;
che, a suo avviso, l’esclusione del cumulo giuridico potrebbe essere legittimamente prevista, purché tale scelta sia motivata da una ratio di tutela di particolari beni giuridici, la quale renda opportuno un maggiore rigore sanzionatorio; viceversa, la disposizione censurata sembrerebbe riconducibile ad un intervento casuale, originato da una riforma settoriale, tale da comportare una ingiustificata disparità ed un’incoerenza del sistema;
che, d’altra parte, anche i richiami rivolti al legislatore nelle ordinanze n. 468 del 1989 e n. 23 del 1995 – affinché sia introdotta una disciplina organica, relativa all’accertamento e alla contestazione della continuazione – andrebbero interpretati proprio alla luce dell’esigenza di coerenza sistematica rappresentata dal medesimo giudice a quo;
che, a suo avviso, lo scrutinio della Corte può avere ad oggetto l’opportunità della scelta compiuta dal legislatore in relazione al principio di ragionevolezza, la quale si manifesterebbe anche come non arbitrarietà, quando la scelta legislativa sia sostenuta da una ragione giustificatrice sufficiente, ovvero non si presenti come costituzionalmente intollerabile (è richiamata la sentenza n. 206 del 1999);
che tale sindacato potrebbe consistere anche in una valutazione circa la proporzionalità, la congruità, l’adeguatezza, l’eccessività, l’equilibrio del mezzo rispetto al fine perseguito, risolvendosi in una valutazione di ragionevolezza della scelta legislativa (al riguardo, sono richiamate le sentenze n. 1130 del 1988 e n. 14 del 1964);
che il maggiore rigore dovuto alla mancata previsione della continuazione rispetto alle ipotesi di concorso di plurime condotte illecite amministrative, ad eccezione del settore della previdenza e dell’assistenza obbligatorie, non supererebbe il sindacato di ragionevolezza, in quanto non sarebbe rinvenibile alcuna ratio giustificatrice del differente trattamento;
che, in linea generale, il Tribunale rimettente evidenzia che il canone della ragionevolezza dovrebbe trovare applicazione non solo all’interno dei singoli comparti normativi, ma anche con riguardo all’intero sistema (in tal senso, è richiamata la sentenza n. 84 del 1997);
che la denunciata disparità di trattamento avrebbe introdotto nell’ordinamento un elemento di irrazionalità che esula dalle scelte di carattere politico e discrezionale, e che renderebbe ammissibile l’intervento della Corte costituzionale;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata dal Tribunale ordinario di Genova sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;
che la difesa dell’interveniente sottolinea come questa Corte abbia già dichiarato la medesima questione manifestamente inammissibile, ritenendo che competa esclusivamente al legislatore la decisione “sul se e sul come” configurare il concorso tra violazioni omogenee o anche tra violazioni eterogenee, nonché la predisposizione di un’idonea disciplina organizzativa in ordine all’accertamento ed alla contestazione della continuazione (ordinanze n. 468 del 1989, n. 23 del 1995, n. 36 e n. 270 del 2015);
che tali argomentazioni conserverebbero la loro attualità, perché non vi sarebbe alcun parametro costituzionale che vincoli il legislatore nello stabilire se la continuazione possa essere limitata alle sole violazioni di norme amministrative omogenee, ovvero sia estensibile anche a quelle tra loro eterogenee;
che, d’altra parte, con riferimento alla possibilità di limitare la continuazione alla sola legge settoriale della previdenza ed assistenza obbligatorie, così immotivatamente escludendola da tutte le altre, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che anche la definizione dell’ambito applicativo delle disposizioni normative rientri nella discrezionalità legislativa, non essendovi alcun precetto costituzionale che imponga di mitigare il trattamento sanzionatorio in caso di concorso di più violazioni amministrative;
che, in ogni caso, la scelta di consentire l’unificazione, ai fini del trattamento sanzionatorio, delle sole violazioni amministrative in materia previdenziale risulterebbe ragionevole e non arbitrariamente discriminatoria, trattandosi di illeciti che, quasi necessariamente, riguardano una pluralità di dipendenti;
che non rileverebbe, d’altra parte, la circostanza che questa limitazione sia stata inserita nella norma generale in tema di illeciti amministrativi, poiché da una scelta di mera tecnica legislativa non potrebbe trarsi la conclusione che la continuazione degli illeciti amministrativi abbia assunto la qualità di istituto generale del diritto sanzionatorio (è richiamata l’ordinanza n. 270 del 2015);
che da tali assunti non si discosterebbe neanche la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, laddove ha precisato come in materia di sanzioni amministrative non si applichi l’istituto della continuazione, ma solo il cosiddetto concorso formale (è richiamata la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 11 giugno 2007, n. 13672).
Considerato che, nel corso di un giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativa ad illecito amministrativo, il Tribunale ordinario di Genova ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – inserito dall’art. 1-sexies del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688 (Misure urgenti in materia previdenziale, di tesoreria e di servizi delle ragionerie provinciali dello Stato), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1986, n. 11 – nella parte in cui limita la continuazione, ed il conseguente cumulo giuridico delle sanzioni, alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;
che il Tribunale rimettente osserva che la disposizione censurata ha introdotto nel sistema sanzionatorio amministrativo il più favorevole regime del cumulo giuridico per il concorso materiale di illeciti – corrispondente a quello previsto per le pene dall’art. 81, secondo comma, del codice penale – limitandolo, tuttavia, alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;
che, ad avviso del rimettente, tale limitazione si porrebbe in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., determinando un’irragionevole disparità di trattamento tra le violazioni in materia previdenziale e assistenziale e tutte le altre;
che, peraltro, il giudice a quo riferisce che, a sostegno del ricorso, la parte opponente ha addotto un unico motivo (asserita violazione dell’art. 8-bis, quarto comma, della legge n. 689 del 1981), che il medesimo giudice ritiene infondato, cosicché ad affermare la necessità di applicare la disposizione censurata è lo stesso rimettente, ancorché in assenza di uno specifico motivo di impugnazione;
che, dunque, la questione relativa all’art. 8, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 risulta sollevata in un giudizio meramente impugnatorio, in cui i confini del thema decidendum sono rigidamente ancorati ai motivi dedotti dall’opponente nell’atto introduttivo (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 11 gennaio 2016, n. 232; Corte di cassazione, sezione seconda civile, 3 ottobre 2013, n. 22637; Corte di cassazione, sezione seconda civile, 18 gennaio 2010, n. 656; Corte di cassazione, sezione seconda civile, 11 gennaio 2006, n. 217; Corte di cassazione, sezione prima civile, 25 marzo 2005, n. 6519);
che, pertanto, la questione dell’applicabilità del cumulo giuridico di cui all’art. 8, secondo comma, risulta priva di rilevanza nel giudizio a quo, non essendo ricompresa tra i motivi di impugnazione e non potendo il giudice a quo rilevare d’ufficio vizi diversi;
che, sotto un ulteriore profilo, la costante giurisprudenza costituzionale ha affermato che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui non prevede la possibilità del cumulo giuridico delle sanzioni – anche per gli illeciti amministrativi diversi dalle violazioni di norme in materia previdenziale ed assistenziale – è inammissibile, in quanto un intervento come quello invocato dal rimettente deve ritenersi precluso dalla discrezionalità del legislatore nel configurare il trattamento sanzionatorio per il concorso tra plurime violazioni, nonché per l’assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate (ordinanze n. 270 del 2015, n. 280 del 1999, n. 23 del 1995 e n. 468 del 1989).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Genova, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2017.