ORDINANZA N. 270
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso dal Tribunale ordinario di Imperia nel procedimento vertente tra P.T. ed altro e la Provincia di Imperia, con ordinanza del 25 novembre 2014, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 2 dicembre 2015 il Giudice relatore Giuliano Amato.
Ritenuto che, con ordinanza depositata il 25 novembre 2014, il Tribunale ordinario di Imperia ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) − come modificato dall’art. 1-sexies del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688 (Misure urgenti in materia previdenziale, di tesoreria e di servizi delle ragionerie provinciali dello Stato), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 gennaio 1986, n. 11 – nella parte in cui limita la continuazione, ed il conseguente cumulo giuridico delle sanzioni, alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;
che il Tribunale rimettente riferisce di essere chiamato a decidere in ordine al ricorso avverso un’ordinanza-ingiunzione emessa dalla Provincia di Imperia il 2 aprile 2014, con la quale è stata irrogata nei confronti delle parti ricorrenti la sanzione amministrativa di 16.200 euro, per violazione degli artt. 193, comma 1, lettera b), e 258, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in particolare per avere effettuato il trasporto di rifiuti speciali non pericolosi, utilizzando 8 formulari privi dell’indicazione della quantità dei rifiuti trasportati;
che, dopo avere evidenziato l’infondatezza delle censure formulate dalle parti ricorrenti, il Tribunale osserva che, in applicazione dell’art. 8 della legge n. 689 del 1981, la determinazione della sanzione andrebbe effettuata applicando la disciplina del cumulo materiale delle sanzioni;
che la questione di legittimità costituzionale, sarebbe rilevante e non manifestamente infondata nella parte in cui la disposizione in esame limita l’applicabilità del cumulo giuridico delle sanzioni alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;
che, ad avviso del giudice a quo, tale previsione, introdotta dalla legge n. 11 del 1986, con cui è stato convertito il d.l. n. 688 del 1985, violerebbe l’art. 3, primo comma, Cost., determinando un’irrazionale disparità di trattamento tra chi commetta violazioni in materia previdenziale e assistenziale e chi, invece, commetta illeciti amministrativi in altri ambiti;
che il Tribunale richiama integralmente, facendoli propri, gli argomenti già svolti dal Consiglio di Stato, prima sezione, nell’ordinanza depositata il 15 aprile 2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2014, con la quale è stata sollevata la medesima questione di legittimità costituzionale;
che, in particolare, si evidenzia che − mediante un intervento settoriale inserito all’interno della disciplina generale sulla repressione degli illeciti amministrativi – sarebbe stato introdotto un istituto, parimenti generale, di mitigazione delle sanzioni, ma tale trattamento più favorevole sarebbe stato limitato alla sola materia considerata dalla legge settoriale, così immotivatamente escludendolo per tutte le altre;
che tale limitazione sarebbe irrazionale, tanto più che la continuazione, come istituto di mitigazione delle sanzioni, in linea di principio e salvo ragionevoli eccezioni, sarebbe estensibile alla generalità delle leggi repressive;
che la limitazione del cumulo giuridico prevista dalla disposizione censurata non sarebbe qualificabile in termini di discrezionalità, quanto piuttosto di casualità, determinata da un intervento di carattere settoriale; e d’altra parte non sarebbe comprensibile il richiamo, contenuto in precedenti pronunce di inammissibilità della medesima questione, alla necessità di una «disciplina organizzativa in ordine all’accertamento e alla contestazione della continuazione» (ordinanze n. 23 del 1995 e n. 468 del 1989);
che il Tribunale rimettente ritiene necessario un riesame della stessa questione, in forza del fatto che l’ordinanza di questa Corte n. 421 del 1987, non richiamata dal Consiglio di Stato nella citata ordinanza di rimessione del 15 aprile 2014, aveva ad oggetto l’originario testo dell’art. 8, antecedente all’inserimento del secondo e del terzo comma, entrati in vigore il 31 gennaio 1986, i quali hanno introdotto il regime del cumulo giuridico delle sanzioni amministrative, limitandolo alle sole violazioni di leggi in materia di assistenza e previdenza obbligatoria;
che il giudice a quo evidenzia, inoltre, che l’art. 12 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), relativo alle sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ha sostituito il regime del cumulo materiale con quello, più favorevole, del cumulo giuridico delle sanzioni per il concorso di violazioni;
che pertanto, ad avviso del giudice a quo, la censurata disparità di trattamento «ha introdotto nell’assetto ordinamentale un elemento di irrazionalità che esula dalle scelte fondate su considerazioni politico-discrezionale» e rende ammissibile l’intervento della Corte costituzionale;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata dal Tribunale ordinario di Imperia sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;
che la difesa statale sottolinea come, già nelle ordinanze n. 468 del 1989 e n. 23 del 1995, la Corte abbia valutato la medesima questione, dichiarandola manifestamente inammissibile;
che in particolare, in tali pronunce, è stata ritenuta di esclusiva competenza del legislatore la decisione «sul se e sul come» configurare il concorso tra violazioni omogenee o anche tra violazioni eterogenee, nonché (e soprattutto) la predisposizione di un’idonea disciplina organizzativa in ordine all’accertamento ed alla contestazione della continuazione;
che, inoltre, l’Avvocatura generale dello Stato rileva che i medesimi principi sono stati confermati dalla successiva ordinanza n. 280 del 1999, e condivisi dalla Corte di cassazione, che parimenti ha escluso l’illegittimità costituzionale della disciplina dell’art. 8- pur dopo l’introduzione, ad opera della successiva previsione di cui all’art. 8 - bis della medesima legge, dell’istituto della reiterazione di violazioni, corrispondente ad alcune forme di recidiva penale – ritenendo che la disparità di trattamento rispetto alle sanzioni penali sia giustificata dalla diversità dei due tipi di violazione;
che, ad avviso della difesa statale, tali argomentazioni conservano la loro attualità, non essendovi alcun parametro costituzionale che vincoli il legislatore nello stabilire se la continuazione possa essere limitata alle sole violazioni di norme amministrative omogenee o anche a violazioni di norme tra loro eterogenee;
che, inoltre, con riferimento alla tesi del rimettente secondo la quale sarebbe precluso al legislatore limitare l’istituto della continuazione alla sola legge settoriale della previdenza ed assistenza obbligatorie, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che rientri nella discrezionalità del legislatore l’individuazione dell’ambito di applicazione delle disposizioni normative;
che, d’altra parte, la scelta di consentire l’unificazione, ai fini del trattamento sanzionatorio, delle sole violazioni amministrative in materia previdenziale, non sarebbe affatto irragionevole, né arbitrariamente discriminatoria, in quanto si tratta di illeciti che quasi necessariamente riguardano una pluralità di dipendenti;
che d’altra parte, la collocazione di tale limitazione nell’ambito della norma generale in tema di illeciti amministrativi costituisce una scelta di mera tecnica legislativa, dalla quale non si potrebbe ricavare la conclusione che la continuazione degli illeciti amministrativi abbia assunto la qualità di istituto generale del diritto sanzionatorio;
che con memoria depositata in prossimità della camera di consiglio, l’Avvocatura generale dello Stato ha insistito per le conclusioni già rassegnate, evidenziando, in particolare, la contraddittorietà delle motivazioni del giudice rimettente, il quale solleva la questione di legittimità costituzionale in base ad argomentazioni che egli stesso riconosce essere state già disattese;
che, d’altra parte, a sostegno della fondatezza della questione, il giudice a quo non avrebbe addotto argomentazioni ulteriori rispetto a quelle già valutate, in più occasioni, dalla Corte costituzionale.
Considerato che, con ordinanza depositata il 25 novembre 2014, il Tribunale ordinario di Imperia ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) − come modificato dall’art. 1-sexies del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688 (Misure urgenti in materia previdenziale, di tesoreria e di servizi delle ragionerie provinciali dello Stato), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 gennaio 1986, n. 11 − nella parte in cui limita la continuazione, ed il conseguente cumulo giuridico delle sanzioni, alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;
che il Tribunale rimettente osserva che la disposizione censurata ha introdotto nel sistema sanzionatorio amministrativo il più favorevole regime del cumulo giuridico per il concorso materiale di illeciti − corrispondente a quello previsto per le pene dall’art. 81, secondo comma, del codice penale − limitandolo tuttavia alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;
che il giudice a quo denuncia la disparità di trattamento derivante dalla limitazione dell’ambito applicativo del cumulo giuridico delle sanzioni amministrative alle sole violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, con ciò escludendolo per tutte le altre;
che tale limitazione violerebbe l’art. 3, primo comma, Cost., determinando un’irrazionale disparità di trattamento tra chi commetta violazioni in materia previdenziale e assistenziale e chi, invece, commetta illeciti amministrativi in altri settori dell’ordinamento;
che tuttavia la motivazione dell’ordinanza di rimessione non contiene indicazioni sufficienti ad una completa ricostruzione della fattispecie a quo, necessaria al fine di valutare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale;
che, in particolare, l’ordinanza non chiarisce quali siano gli esatti termini degli illeciti amministrativi contestati, con riferimento alle plurime condotte che hanno dato luogo al provvedimento sanzionatorio impugnato; in particolare, non vengono fornite indicazioni circa le concrete modalità esecutive delle plurime violazioni, addebitate allo stesso titolo a due distinti soggetti, nonché alla riconducibilità di tali violazioni all’esecuzione di un medesimo disegno trasgressivo, come richiesto dalla disposizione impugnata ai fini dell’applicabilità del cumulo giuridico;
che – alla luce del principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione − tale carenza costituisce motivo di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in quanto preclusiva della valutazione della rilevanza, non essendo stati forniti elementi che consentano di ricondurre le plurime violazioni contestate al modello del concorso materiale e di applicare alle stesse − in ipotesi − il modello del cumulo giuridico, disciplinato dall’art. 8, secondo comma, della legge n. 689 del 1981;
che, sotto un diverso ed ulteriore profilo, va rilevato che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui non prevede la possibilità del cumulo giuridico delle sanzioni − anche per gli illeciti amministrativi diversi dalle violazioni di norme in materia previdenziale ed assistenziale – risulta inammissibile poiché un intervento come quello invocato dal rimettente deve ritenersi precluso dalla discrezionalità del legislatore nel configurare il trattamento sanzionatorio per il concorso tra plurime violazioni, nonché per l’assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate (ordinanze n. 280 del 1999; n. 23 del 1995; n. 468 del 1989).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale di Imperia, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2015.