SENTENZA N. 60
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 7 della legge della Regione Abruzzo 8 giugno 2015, n. 12, recante «Modifiche alla legge regionale 11 agosto 2011, n. 28 (Norme per la riduzione del rischio sismico e modalità di vigilanza e controllo su opere e costruzioni in zone sismiche)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 31 luglio - 3 agosto 2015, depositato in cancelleria il 4 agosto 2015 ed iscritto al n. 80 del registro ricorsi 2015.
Udito nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2017 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
udito l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con il ricorso in epigrafe, notificato il 3 agosto 2015 e depositato il 4 agosto 2015, la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 5 e 7 della legge della Regione Abruzzo 8 giugno 2015, n. 12, recante «Modifiche alla legge regionale 11 agosto 2011, n. 28 (Norme per la riduzione del rischio sismico e modalità di vigilanza e controllo su opere e costruzioni in zone sismiche)», pubblicata nel BUR n. 51 del 9 giugno 2015.
2.– Nell’assunto della ricorrente, le disposizioni citate sarebbero in contrasto con l’art.117, terzo comma, della Costituzione, nelle materie di legislazione concorrente della «protezione civile» e del «governo del territorio», rispetto alle quali le Regioni devono attenersi ai principi fondamentali contenuti nella legislazione nazionale, nel caso individuati nei parametri interposti offerti dagli artt. 65, 93 e 94 del d.P.R. del 6 giugno 2001 n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» (di seguito, TUE).
3.– Adduce, al fine, la Presidenza del Consiglio dei ministri che l’art. 5 della legge regionale impugnata, dispone, tra l’altro, l’abrogazione del quinto comma dell’art. 14 della legge regionale n. 28 del 2011, norma in forza della quale era previsto che: «Fino all’emanazione dei criteri di indirizzo di cui al comma 3 è necessario il preventivo rilascio dell’autorizzazione per tutte le varianti che il richiedente intende apportare, nel corso dei lavori, al progetto originario presentato all’Ufficio provinciale competente per territorio».
Da tale abrogazione, nell’assunto sotteso al ricorso, ne deriverebbe, come evidente conseguenza, quella in forza della quale, prima dell’entrata in vigore della legge regionale in esame, le varianti al progetto originario presentate in corso d’opera non risulterebbero più incluse tra gli interventi edilizi soggetti alla autorizzazione sismica prevista dall’art. 94 del TUE, dovendosi ritenere quest’ultima passaggio imprescindibile per tutti gli interventi da effettuare in zone sismiche diverse da quelle a bassa sismicità indicate nei decreti di cui all’art 83 dello stesso testo unico.
Da qui la lamentata illegittimità costituzionale del richiamato art. 5 della legge regionale impugnata per la addotta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in ragione dell’affermato contrasto con il principio fondamentale in materia di governo del territorio espresso dal citato art. 94, evocato quale parametro interposto.
4.– Sostiene, ancora, il Governo ricorrente, la illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Abruzzo 8 giugno 2015, n. 12, disposizione in forza della quale la Regione resistente ha introdotto l’art. 19-bis all’interno della legge regionale n. 28 del 2011.
4.1.– Nel ricorso si segnala che il secondo comma, lettera d), del citato art. 19-bis, introdotto con l’art. 7 della legge regionale impugnata, rinvia ad un regolamento regionale, adottato su proposta della Giunta regionale, la definizione delle «opere minori» e di «quelle prive di rilevanza ai fini della pubblica incolumità», da ritenersi estranee sia al procedimento di autorizzazione preventiva previsto dagli artt. 7 e 8 della legge n. 28 del 2011 che da quello di preavviso, con contestuale deposito, disciplinato, per le opere ricomprese in zone definite di bassa sismicità, dagli artt. 9 e 10 della stessa legge regionale.
4.2.– Si adduce, ancora, che il terzo comma del nuovo art. 19-bis della legge regionale n. 28 del 2011, introdotto dalla disposizione impugnata, rimanda, a sua volta, «per gli aspetti di dettaglio non previsti dal regolamento», ad una deliberazione della Giunta regionale, da assumere sentito «il Tavolo Tecnico Scientifico di cui all’art 2, comma 5», sempre della legge regionale n. 28 del 2011, oggetto delle modifiche contestate.
4.3.– Ad avviso del Governo, né la categoria delle «opere minori», né quella delle opere «prive di rilevanza ai fini della pubblica incolumità», cui fa riferimento la disposizione regionale, è conosciuta dalla normativa statale per l’edilizia in zone sismiche, contenuta nel già richiamato TUE e nel decreto del Ministro delle infrastrutture del 14 gennaio 2008 (Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni).
4.3.1.– Le norme regionali sopra richiamate sarebbero, dunque, in contrasto con i principi fondamentali nelle materie della «protezione civile» e del «governo del territorio» sanciti dagli artt. 65, 93 e 94, primo comma, del TUE, integralmente trasposti, nel loro tenore letterale, nel testo del ricorso.
4.3.2.– Il ricorrente, infine, nel sostenere l’illegittimità addotta, richiama il portato argomentativo proprio di alcuni precedenti di questa Corte dai quali emerge, in sintesi, l’orientamento in forza del quale la disciplina degli interventi edilizi in zona sismica deve essere ricondotta all’ambito del «governo del territorio», nonché alla «materia della protezione civile», per i profili concernenti la tutela dell’incolumità pubblica; e, ancora, che alla luce di questo definito ambito competenziale, le norme interposte all’uopo richiamate costituiscono principi fondamentali non derogabili dalla legislazione regionale nell’ottica della vigilanza assoluta che occorre garantire, senza distinzioni, sull’intero territorio nazionale, avuto riguardo alle costruzioni da effettuare in zone coperte dal rischio sismico.
Da qui la denunziata illegittimità costituzionale anche dell’impugnato art. 7, nelle parti sopra riferite, sempre in relazione all’art 117, terzo comma, Cost.
5.– La Regione Abruzzo, pur se ritualmente chiamata in giudizio, non si è costituita.
6.– Con memoria depositata il 31 gennaio 2017, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha ribadito la natura di principio fondamentale da ascrivere al disposto di cui all’art. 94 del TUE; ciò avuto riguardo, in particolare, alla censura mossa nei confronti dell’art. 5 della legge impugnata.
Sempre con riferimento a tale censura da ultimo richiamata, il Governo ricorrente ha altresì specificato che sino alla abrogazione disposta con la norma impugnata, la disciplina regionale, in linea con il parametro interposto, richiedeva l’autorizzazione preventiva per tutte le varianti in corso d’opera; espunto dal quadro normativo il quinto comma dell’art. 14, in attesa del regolamento, sarebbe da ritenersi non necessaria l’autorizzazione per qualsivoglia tipo di variante, in aperto contrasto con il dato offerto dal principio fondamentale cristallizzato dal citato art. 94 del TUE.
Con riferimento, poi, alla censura prospettata in ordine all’art. 7 della legge regionale n. 12 del 2015, il Governo ricorrente ha segnalato che le disposizioni impugnate sono state abrogate, dopo la proposizione del ricorso, dall’art. 14, comma 6, lettere a) e b) della legge regionale 19 gennaio 2016, n. 5, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del Bilancio pluriennale 2016-2018 della Regione Abruzzo (Legge di Stabilità Regionale 2016)».
Alla luce di tale sopravvenienza, il Governo ha comunque ribadito le conclusioni articolate con il ricorso, delimitate, tuttavia, al periodo di vigenza delle norme impugnate ove fatte oggetto di effettiva applicazione.
Considerato in diritto
1.– Il Governo ha impugnato gli artt. 5 e 7 della legge della Regione Abruzzo 8 giugno 2015, n. 12, recante «Modifiche alla legge regionale 11 agosto 2011 n. 28 (Norme per la riduzione del rischio sismico e modalità di vigilanza e controllo su opere e costruzioni in zone sismiche)».
Nell’assunto sotteso al ricorso, le disposizioni citate sarebbero in contrasto con l’art.117, terzo comma, della Costituzione, nelle materie di legislazione concorrente della «protezione civile» e del «governo del territorio». In particolare, le disposizioni impugnate sarebbero in contrasto con l’art. 94 del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001 n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» (di seguito, TUE); limitatamente al solo art. 7 della legge impugnata, i parametri interposti evocati a sostegno delle relative censure sono anche quelli offerti dagli artt. 65 e 93 dello stesso TUE.
2.– Le norme oggetto di censura incidono sulla legge regionale n. 28 del 2011, finalizzata (art. 1) alla «tutela della pubblica incolumità» e al «miglioramento delle azioni volte alla prevenzione ed alla riduzione del rischio sismico nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nella legislazione statale» e in particolare del TUE. Più precisamente, con le norme impugnate se ne abrogano alcuni contenuti, segnatamente in ragione di quanto previsto dall’art. 5 della legge regionale n. 12 del 2015; se ne introducono di nuovi, in forza dell’art. 7 della stessa legge.
3.– Tanto premesso, avuto riguardo al tenore dell’art. 5 della legge regionale impugnata, nella parte in cui dispone l’abrogazione del comma 5 dell’art. 14 della legge regionale n. 28 del 2011, la Presidenza del Consiglio dei ministri sostiene che da tale abrogazione deriverebbe l’esenzione delle varianti in corso d’opera dalle verifiche preventive imposte, sull’intero territorio nazionale, dall’art. 94 del TUE in relazione agli interventi edilizi da realizzare in località sismiche purché non caratterizzate da un basso rischio sismico. Ciò in quanto la norma abrogata prevedeva che, sino alla data di definizione dei criteri previsti dallo stesso art. 14, comma 3, doveva ritenersi necessario «il preventivo rilascio dell’autorizzazione per tutte le varianti che il richiedente intende apportare, nel corso dei lavori, al progetto originario presentato all’Ufficio provinciale competente per territorio».
Di qui l’illegittimità costituzionale rivendicata con riferimento alla prima delle norme censurate con il ricorso.
4.– La censura deve ritenersi inammissibile perché dal complessivo quadro di riferimento normativo, integralmente trascurato nel ricorso, emerge non solo che la norma abrogata non era efficace al momento della proposizione del ricorso ma, soprattutto, che da siffatta abrogazione non consegue la situazione prospettata dal Governo a sostegno della denunziata illegittimità costituzionale.
4.1.– Giova chiarire, al riguardo, che tra gli interventi edilizi presi in considerazione dalla legge regionale n. 28 del 2011, quello che occupa immediatamente la censura in oggetto attiene alle varianti in corso d’opera, rispetto alle quali assumono un rilievo decisivo, oltre all’art. 14, oggetto dell’abrogazione contrastata, anche e soprattutto gli artt. 6, 7 e 9 della legge citata.
Più precisamente, la relativa disciplina regionale, nell’individuare gli interventi edilizi sottoposti a verifica preventiva (ex art. 7) o, in alternativa, al solo deposito del progetto presso l’ufficio territorialmente competente, con obbligo di mera comunicazione dell’avvio dei lavori (ex art. 9), a seconda della zona (ad alta, media oppure bassa sismicità) coperta dall’azione edilizia, fa cenno alle sole varianti definite «sostanziali» (così l’art. 6, comma 1, cui fanno esplicito richiamo, il primo comma dell’art. 7 nonché il primo comma dell’art. 9 nel delineare la correlata attività di vigilanza).
La legge in disamina non contiene, tuttavia, una immediata definizione del contenuto delle varianti «sostanziali». Nel suo portato originale rimandava (ai sensi del combinato disposto di cui ai commi terzo e quarto, lettera d, dell’art. 14) a successivi criteri definitori che avrebbe dovuto dettare, all’uopo, una deliberazione della Giunta regionale. In esito alle modifiche apportate dall’art. 1, primo comma, della legge regionale 29 dicembre 2014 n. 49, recante «Modifiche alla L. R. 11 agosto 2011, n. 28 (Norme per la riduzione del rischio sismico e modalità di vigilanza e controllo su opere e costruzioni in zone sismiche) ed alla L. R. 19 agosto 2009, n. 16 (Intervento regionale a sostegno del settore edilizio)», la deliberazione della Giunta regionale è stata, poi, sostituita dalla previsione di un regolamento attuativo, avente il medesimo oggetto, quantomeno avuto riguardo al tema delle varianti.
4.2.– È a dirsi, peraltro, che l’art. 5 della legge regionale n. 12 del 2015, oltre al citato comma 5 dell’art. 14 della legge regionale n. 28 del 2011, ha altresì abrogato anche i commi dal 3 al 4-bis del medesimo articolo (inerenti l’accennato regolamento attuativo). Al contempo, il contenuto di tali ultime disposizioni è stato trasferito, con alcune modifiche, nel testo dell’art. 19-bis della legge regionale n. 28 del 2011 in forza di quanto previsto dall’art. 7 sempre della legge regionale oggetto di impugnazione.
Dopo la proposizione del ricorso che occupa, il regolamento attuativo è stato emanato con decreto del Presidente della Giunta regionale del 5 agosto 2015, n. 3 (Regolamento attuativo della legge regionale 11 agosto 2011, n. 28, recante norme per la riduzione del rischio sismico e modalità di vigilanza e controllo su opere e costruzioni in zone sismiche), ed è entrato in vigore il 20 agosto 2015. All’art. 12, detto regolamento, reca, per quel che qui interessa, la distinzione di contenuto tra varianti «sostanziali», «rilevanti» e «non sostanziali», utile, per quanto già detto, ai fini del combinato disposto di cui agli artt. 6, primo comma, 7, primo comma, e 9, primo comma, della legge regionale n. 28 del 2011, nell’ottica della individuazione degli interventi per i quali deve ritenersi necessaria la preventiva autorizzazione di cui all’art. 7 citato. Con il successivo decreto del Presidente della Giunta regionale 30 dicembre 2016, n. 3 (Regolamento attuativo della legge regionale 11 agosto 2011, n. 28, recante norme per la riduzione del rischio sismico e modalità di vigilanza e controllo su opere e costruzioni in zone sismiche), è stato abrogato il precedente regolamento (art. 20) e sono state ribadite le definizioni inerenti i contenuti delle varianti secondo le tre tipologie tracciate dal regolamento abrogato (art. 13).
4.3.– Infine, sempre preliminarmente, va rimarcato che la stessa legge regionale n. 49 del 2014 – oltre a prevedere la forma del regolamento attuativo per la definizione dei criteri citati dal comma 3 dell’allora vigente art. 14 – all’art. 3, comma 1, ha anche (ulteriormente) differito i termini di applicabilità delle disposizioni contenute nei titoli III e IV della legge regionale n. 28 del 2011; titoli che ricomprendono sia le disposizioni censurate con il presente ricorso, sia quelle che ne costituiscono l’implicito supporto (in particolare gli artt. da 6 a 10).
In particolare, subito dopo l’entrata in vigore della legge regionale n. 28 del 2011, il legislatore regionale ebbe a differirne l’applicabilità, sostanzialmente congelandone gli effetti, avuto riguardo ai due titoli sopra segnalati, con una serie di interventi normativi reiterati nel tempo.
Tanto è avvenuto, limitando la disamina al dato normativo vigente alla data di proposizione del ricorso, grazie a quanto previsto dalla legge regionale 13 dicembre 2011 n. 43, recante «Modifiche alla legge regionale 11 agosto 2011, n. 28 (Norme per la riduzione del rischio sismico e modalità di vigilanza e controllo su opere e costruzioni in zone sismiche) ed altre disposizioni regionali», poi modificata, in parte qua, da successivi interventi legislativi, l’ultimo dei quali, in epoca antecedente alla legge regionale n. 49 del 2014, apportato con la legge regionale 26 settembre 2014 n. 36, recante «Modifiche alla L.R. 13 gennaio 2014, n. 7 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2014 e pluriennale 2014-2016 della Regione Abruzzo. Legge finanziaria regionale 2014) e alla legge regionale 25 ottobre 1996, n. 96 (Norme per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e per la determinazione dei relativi canoni di locazione)». In forza di tale ultimo intervento normativo è stata sospesa la applicabilità delle citate disposizioni sino al 31 dicembre del 2014.
In tale cornice normativa di riferimento è intervenuta, come anticipato, la legge regionale n. 49 del 2014, il cui art. 3 ha legato la durata del congelamento della efficacia delle dette disposizioni alla data di entrata in vigore del citato regolamento attuativo, previsto dallo stesso intervento legislativo; condizione che, alla data di proposizione del ricorso, non si era ancora verificata.
5.– Tale complessivo quadro normativo di riferimento, vigente all’epoca di proposizione del ricorso, oltre a disvelare la fragilità della censura ne rende al contempo evidente la carenza argomentativa.
5.1.─ Dalla lettura dell’atto emerge, con immediatezza, che il ricorso non può ritenersi diretto a contrastare la scelta normativa, operata a monte dalla Regione resistente, relativa alla espunzione delle varianti in corso d’opera, diverse da quelle sostanziali, dalla verifica preventiva imposta dall’art. 7 della legge regionale n. 28 del 2011, quale che sia l’intensità del rischio sismico che caratterizza la relativa zona coperta dall’intervento edilizio. Una tale contestazione avrebbe dovuto avere ad oggetto l’art. 6 della legge regionale n. 28 del 2011, letto in combinato disposto con l’art. 7 della stessa legge: disposizioni, queste, che, non risultano neppure sostanzialmente evocate dal portato del ricorso in parte qua e che, dunque, devono ritenersi estranee alla impugnazione in disamina.
5.2.– Piuttosto, l’aver limitato l’impugnazione alla sola intervenuta abrogazione del comma 5 dell’originario art. 14 della citata legge regionale, destinato a regolare la sola fase transitoria in attesa della individuazione delle varianti soggette a verifica preventiva, lascia coerentemente pensare ad una contestazione esclusivamente rivolta a denunziare la situazione, contingente, provocata dalla evidenziata abrogazione e dalla mancata adozione, all’epoca dell’intervento normativo impugnato, del regolamento chiamato a tracciare i contenuti delle dette varianti. Ciò, del resto, in linea con la precisazione in tal senso espressa con la memoria depositata prima della udienza.
5.3.– In definitiva, l’assunto del Governo ricorrente muove, sul piano logico, dalla limitata riferibilità alle sole varianti sostanziali della verifica imposta dall’art. 7 della legge regionale n. 28 del 2011 e mira a denunziare l’asserito vuoto normativo provocato dalla abrogazione del comma 5 dell’art. 14 della medesima legge in presenza del quale, sino alla adozione del regolamento attuativo, ogni intervento in variante andava sottoposto ad autorizzazione preventiva.
5.4.– Ricondotta in questi termini la doglianza sottesa al ricorso, emerge con evidenza che una puntuale e completa visione del dato normativo in oggetto avrebbe messo in chiaro l’inconferenza della censura prospettata.
Il ricorso difetta di ogni minima argomentazione in ordine alle ragioni in forza delle quali, per effetto della norma abrogativa oggetto di censura, si sarebbe realizzato l’assunto della esenzione integrale delle varianti, senza distinzione di sorta, dai controlli preventivi imposti, sul territorio nazionale, dalla norma correttamente evocata quale parametro interposto. Ed è proprio il mancato confronto con la stratificazione normativa sopra accennata che non ha consentito al Governo ricorrente di considerare che la disciplina dettata dalla legge regionale n. 28 del 2011, malgrado l’abrogazione oggetto di contestazione, non poteva né avrebbe mai dato luogo alla situazione prospettata con la censura, da ritenersi per contro rilevante, nell’ottica della paventata incostituzionalità, ove riscontrata.
In particolare, alla luce di quanto sopra segnalato, nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della legge in questione e quello del primo congelamento dei relativi effetti, all’uopo disposto dal legislatore regionale, la situazione di riferimento doveva ritenersi puntualmente regolata dalla norma abrogata. Avuto riguardo al lasso di tempo successivo e sino alla previsione del regolamento attuativo, la norma oggetto di abrogazione era di fatto inoperante: ogni rilievo sul regime delle verifiche relative alle varianti inerenti interventi edilizi in zone caratterizzate da una sismicità media o alta andava in coerenza veicolato in direzione della disciplina regionale applicabile ratione temporis, in conseguenza della temporanea inefficacia delle previsioni della legge regionale in oggetto, disciplina assolutamente estranea al percorso argomentativo ed al petitum del ricorso in esame. Infine, all’esito della previsione del regolamento attuativo quale strumento chiamato a definire il discrimine tra varianti sostanziali e non e, soprattutto, una volta legata la vigenza della relativa disciplina alla stessa emanazione del detto regolamento, la disposizione abrogata doveva ritenersi ormai deprivata di rilievo: la disciplina transitoria dettata dal comma 5 dell’art.14 non solo non era efficace al momento dell’impugnazione ma soprattutto mai lo sarebbe stata perché l’entrata a regime del nucleo essenziale della legge regionale n. 28 del 2011, compreso il tema afferente le verifiche sugli interventi edilizi, presupponeva imprescindibilmente l’emanazione del regolamento e dunque la definizione delle varianti sostanziali (le uniche soggette all’autorizzazione preventiva) con conseguente superamento della situazione di incertezza che aveva costituito la ragion d’essere della cautela sottesa alla norma abrogata.
5.5.– Il complessivo quadro normativo di riferimento, integralmente pretermesso dal ricorrente, mette in evidenza l’inconsistenza argomentativa della prospettazione, lontana, dunque, da quella soglia minima di chiarezza e completezza cui la giurisprudenza di questa Corte subordina l’ammissibilità delle impugnative in via principale (ex plurimis, le sentenze n. 251 e n. 60 del 2015, nonché la sentenza n. 88 del 2014).
5.6.– Né, del resto, può ovviarsi a tale decisiva carenza argomentativa utilizzando al fine la memoria depositata prima della udienza.
A parte il dato della inutilizzabilità delle relative deduzioni se destinate, come nel caso, a riposare su un ricorso radicalmente privo di argomentazioni a sostegno della censura (ex plurimis, da ultimo, la sentenza n. 202 del 2016), è a dirsi che anche la detta memoria difetta, integralmente, del necessario confronto sistematico con il quadro normativo di riferimento da ritenersi imprescindibile per una corretta individuazione dei termini della questione, altrimenti rimessi al solo sforzo interpretativo della Corte.
Di qui l’anticipata conclusione della inammissibilità della censura.
6.– Il Governo ha anche impugnato l’art. 7 della legge regionale n. 12 del 2015, disposizione con la quale, apportando alcune modifiche e procedendo ad alcune abrogazioni, la Regione resistente ha trasferito parte del contenuto dell’originario art. 14 della legge regionale n. 28 del 2011 all’interno del disposto dell’art. 19-bis della stessa legge, appositamente introdotto dalla novella oggetto di scrutinio.
In particolare, si contesta il comma 2, lettera d), del nuovo art. 19-bis, in forza del quale il più volte citato regolamento attuativo avrebbe anche il compito di definire il contenuto delle “opere minori” nonché di “quelle prive di rilevanza ai fini della pubblica incolumità”, da ritenersi esentate sia dal procedimento di autorizzazione preventiva previsto dagli artt. 7 e 8 della legge regionale n. 28 del 2011, sia da quello di preavviso, con contestuale deposito, disciplinato, per le opere ricomprese in zone definite di bassa sismicità, dagli artt. 9 e 10 della stessa legge.
Si contrasta, altresì, il comma 3 del nuovo art. 19-bis, con il quale si rimanda «per gli aspetti di dettaglio non previsti dal regolamento», ad una deliberazione della Giunta regionale, da assumere sentito «il Tavolo Tecnico Scientifico di cui all’art 2, comma 5», sempre della legge regionale n. 28 del 2011, oggetto delle modifiche contestate.
6.1.– Con riferimento a tali disposizioni si rileva che né la categoria delle «opere minori», né quella delle opere «prive di rilevanza ai fini della pubblica incolumità», cui si riferisce la disposizione regionale, sono conosciute dalla normativa statale per l’edilizia in zone sismiche, contenuta nel già richiamato TUE. Le norme regionali sopra richiamate sarebbero, dunque, in contrasto con i principi fondamentali nelle materie della «protezione civile» e del «governo del territorio» sanciti in particolare dall’art. 94, comma 1, nonché dagli artt. 93 e 65, del citato testo unico.
6.2.– Il Governo, con la memoria depositata prima della udienza, ha infine evidenziato che le citate disposizioni inerenti l’art. 7 della legge regionale n. 12 del 2015, impugnate con il ricorso in esame, sono state abrogate dall’art. 14, comma 6, lettere a) e b) della legge regionale 19 gennaio 2016 n. 5, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del Bilancio pluriennale 2016-2018 della Regione Abruzzo (Legge di Stabilità Regionale 2016)».
Tale abrogazione, successiva alla proposizione del ricorso, per quanto si chiarirà di seguito, non porta a ritenere cessata la relativa materia del contendere.
7.– È fondata la prima delle censure rivolte in direzione dell’art. 7 della legge impugnata, laddove assegna al regolamento il compito di definire «le opere minori» e quelle «prive di rilevanza ai fini della pubblica incolumità».
7.1.– Secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, le disposizioni di leggi regionali che intervengono sulla disciplina degli interventi edilizi in zone sismiche devono essere ricondotte all’ambito materiale del «governo del territorio», nonché a quello relativo alla «protezione civile», per i profili concernenti la tutela dell’incolumità pubblica (in termini la sentenza n. 167 del 2014).
In coerenza, si è ritenuto che, nella materia in disamina, assumono la valenza di principio fondamentale le disposizioni contenute nel TUE che prevedono determinati adempimenti procedurali, a condizione che questi ultimi rispondano ad esigenze unitarie, particolarmente pregnanti di fronte al rischio sismico (in termini la sentenza n. 282 del 2016, la sentenza n. 300 del 2013 e quella n. 182 del 2006).
7.2.– Tra queste disposizioni, assume rilievo fondamentale il disposto di cui all’art. 94 del TUE – parametro principalmente evidenziato dalla censura in oggetto – in forza del quale, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità, «non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione», così da costituire espressione evidente, alla pari degli altri parametri interposti indicati dal ricorrente, dell’intento unificatore che informa la legislazione statale, palesemente orientata «[…] ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali» (così la citata sentenza n. 182 del 2006).
7.3.– Seguendo detta impostazione questa Corte ha già avuto modo di dichiarare costituzionalmente illegittime analoghe disposizioni emanate da altre Regioni, caratterizzate dal sottrarre ad ogni forma di vigilanza e controllo alcuni interventi edilizi realizzati in zone sismiche, non tipizzati dalla legislazione statale di riferimento (così la già citata sentenza n. 300 del 2013 e quella distinta dal n. 64 del 2013).
Di qui la illegittimità costituzionale dell’art. 7 oggetto di impugnazione, nella parte in cui ha introdotto il secondo comma, lettera d), all’interno del disposto di cui all’art. 19-bis della legge regionale n. 28 del 2011.
8.– Sorte diversa tocca alla ulteriore censura che il Governo ha riservato all’art. 7 della legge impugnata, laddove rinvia ad una delibera della Giunta regionale la definizione degli «aspetti di dettaglio non previsti dal regolamento».
8.1.– Giova premettere che siffatta censura involge una disposizione che l’art. 19-bis si trascina, immutata, dal tenore originario dell’art. 14 sempre della legge regionale n. 28 del 2011: il comma 3 dell’art. 19-bis, introdotto dalla disposizione impugnata, coincide, infatti, integralmente con il testo del comma 4-bis dell’art. 14, così come aggiunto allo stesso dall’art. 1, comma 4, della legge regionale n. 49 del 2014, poi abrogato dall’art. 5 della legge impugnata (perché trasposto, come anticipato, all’interno dell’art. 19-bis ).
Tanto, tuttavia, non ne ostacola l’impugnabilità, per l’inapplicabilità dell’istituto dell’acquiescenza ai giudizi di impugnazione in via principale atteso che la norma impugnata ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere dello Stato (in termini la sentenza n. 231 del 2016).
8.2.– Piuttosto, la censura si caratterizza per l’assoluta genericità che ne connota il portato, mancando ogni indicazione argomentativa utile a sostenere le ragioni del lamentato contrasto tra la disposizione regionale impugnata e i parametri evocati.
Dal che l’inammissibilità per la carenza di adeguata motivazione in conformità con la giurisprudenza della Corte in precedenza riportata.
9.– Le due disposizioni inerenti l’art. 7 della legge regionale n. 12 del 2015, impugnate con il ricorso in esame, come già evidenziato, sono state abrogate dall’art. 14, comma 6, lettere a) e b) della legge regionale n. 5 del 2016.
Tanto non muta, tuttavia, i termini di definizione delle rispettive questioni.
9.1.– Il richiamato ius superveniens assume rilievo unicamente con riferimento alla censura mossa nei confronti del citato art. 7 nella parte in cui ha introdotto la lettera d) del comma 2 dell’art. 19-bis della legge regionale n. 28 del 2011, assegnando al regolamento il compito di definire «le opere minori» e quelle «prive di rilevanza ai fini della pubblica incolumità»; ciò in ragione della già rilevata inammissibilità della residua questione rivolta in direzione del detto art. 7.
9.2.– Tanto precisato, va ricordato che secondo quanto costantemente affermato da questa Corte (tra le più recenti, sentenze n. 199 e n. 185 del 2016), affinché possa essere dichiarata cessata la materia del contendere in caso di giudizio principale, è necessaria la sopravvenuta abrogazione della norma impugnata o, quantomeno, la modificazione della stessa in termini tali da neutralizzare radicalmente la pretesa avanzata con il ricorso; occorre, inoltre, che le norma abrogata o modificata non abbia avuto applicazione medio tempore.
9.3.– Se l’intervenuta abrogazione rende evidente la presenza del primo requisito funzionale al venir meno delle ragioni del contendere, quanto al secondo requisito va rimarcato che il regolamento attuativo più volte richiamato, emanato dopo il ricorso, contiene una esplicita elencazione sia delle opere che possono ritenersi «minori» sia di quelle definite di «trascurabile importanza ai fini della pubblica incolumità» in linea con quanto previsto dalla norma censurata, poi abrogata: la relativa appendice di riferimento, infatti, pur se nel titolo sembra limitarsi solo alle seconde, prevede una tabella esplicativa nella quale risultano elencate anche le opere cosiddette «minori».
9.4.– Si è già evidenziato che l’operatività delle norme dettate dalla legge regionale n. 28 del 2011, avuto riguardo anche all’autorizzazione di cui all’art. 7 o al deposito di cui all’art. 9, in altre parole, alle incombenze essenziali attraverso le quali si dipana l’attività di vigilanza connessa agli interventi edilizi in zone sismiche, è stata via via differita nel tempo.
Limitando il discorso agli interventi normativi immediatamente prossimi e a quelli successivi alla proposizione al ricorso, tale congelamento, in ragione di quanto disposto dalla legge regionale n. 49 del 2014, è stato (ulteriormente) realizzato subordinando l’efficacia delle disposizioni in questione all’emanazione del regolamento attuativo previsto, oggi, dal citato art. 19-bis.
Successivamente alla adozione del regolamento, la sospensione della vigenza delle norme in oggetto è stata realizzata attraverso la legge regionale 22 settembre del 2015 n. 23, recante «Provvedimenti relativi alla destinazione del complesso immobiliare “Autoporto di Castellalto”, modifiche alla legge regionale 29 novembre 2002, n. 28 (Norme ed indirizzi sull'intermodalità regionale) e disposizioni urgenti per assicurare il controllo e la vigilanza sugli interventi nelle zone sismiche», il cui art. 4, comma 1, ne ha spostato in avanti la data di efficacia dal momento dell’entrata in vigore del regolamento attuativo (20 agosto 2015) a tutto il 31 dicembre 2015; ancora, per il tramite della legge regionale n. 5 del 19 gennaio 2016, il cui art. 14, quinto comma, lettera b), ha posticipato il detto termine a tutto il 15 febbraio 2016; infine, con la legge 4 marzo 2016, n. 8 (Modifiche alla legge regionale n. 6/2016, alla legge regionale n. 17/2001, alla legge regionale n. 23/2011, alla legge regionale n. 28/2011, alla legge regionale n. 23/2015, alla legge regionale n. 42/2015, alla legge regionale n. 18/1983, alla legge regionale n. 36/2015 e interpretazione autentica dell’articolo 14, comma 1, della legge regionale n. 40/2010), la durata di tale differimento di efficacia è stata prevista sino al 15 marzo del 2016 in ragione di quanto dettato dall’art. 5, comma 3 , lettera b).
9.5.– Tale inefficacia della normativa di riferimento, evidentemente decisiva nell’ottica della possibile incidenza assunta dalla intervenuta abrogazione della disposizione introdotta dalla norma impugnata, non sembra tuttavia caratterizzata da una linea di continuità immune da soluzioni.
Vero è che tutti i citati interventi legislativi hanno individuato il dies a quo della sospensione nel momento della entrata in vigore del regolamento, essendo, invece, ovviamente differente solo il termine finale di siffatta sospensione, di volta in volta diversamente dettato. È a dirsi, tuttavia, che il primo di tali interventi legislativi, quello previsto dall’art. 4 della legge regionale n. 23 del 2015, è entrato in vigore nel settembre del 2015 quando già era vigente, a far data dal 20 agosto dello stesso anno, l’originario regolamento attuativo previsto dall’art. 19-bis della legge regionale n. 28 del 2011, poi sostituito da quello attualmente vigente: pur se per uno iato temporale molto modesto, la stessa legge regionale n. 28 del 2011, nelle parti qui in disamina, era dunque già in vigore.
Nulla esclude, pertanto, che in tale arco temporale, facendo leva sulla temporanea vigenza delle norme di riferimento, siano stati posti in essere interventi edilizi che, ricompresi tra quelli descritti in seno alla citata appendice, siano rimasti estranei ad ogni verifica da parte delle autorità competenti, dando sostanza alla lesione prospettata con la censura in oggetto.
Tanto impone, nel caso, la forza demolitoria della declaratoria di incostituzionalità.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Abruzzo 8 giugno 2015, n. 12, recante «Modifiche alla legge regionale 11 agosto 2011 n. 28 (Norme per la riduzione del rischio sismico e modalità di vigilanza e controllo su opere e costruzioni in zone sismiche)» nella parte in cui ha introdotto nella legge della Regione Abruzzo 11 agosto 2011, n. 28 (Norme per la riduzione del rischio sismico e modalità di vigilanza e controllo su opere e costruzioni in zone sismiche) all’art. 19-bis, la lettera d) del comma 2;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Regione Abruzzo n. 12 del 2015;
3) dichiara inammissibile la questione di illegittimità costituzionale dell’art 7 della legge della Regione Abruzzo n. 12 del 2015, nella parte in cui ha introdotto nella legge della Regione Abruzzo n. 28 del 2011, all’art. 19-bis, il comma 3.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2017.