Sentenza n. 15 del 2017

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SENTENZA N. 15

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                               Presidente

-           Alessandro                  CRISCUOLO                         Giudice

-           Giorgio                        LATTANZI                                  ”

-           Aldo                            CAROSI                                       ”

-           Marta                           CARTABIA                                 ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                    ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                ”

-           Giuliano                       AMATO                                       ”

-           Silvana                         SCIARRA                                    ”

-           Daria                            de PRETIS                                    ”

-           Nicolò                          ZANON                                        ”

-           Augusto Antonio        BARBERA                                   ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                            ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 20, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promosso dal Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra R.R. e la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, con ordinanza del 30 ottobre 2014, iscritta al n. 56 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di costituzione di R.R., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 novembre 2016 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

uditi l’avvocato Liborio Cataliotti per R.R. e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, con ordinanza del 30 ottobre 2015 (reg. ord. n. 56 del 2015), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 20, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, in riferimento agli artt. 3, 97 e 98 della Costituzione, nella parte in cui prevede che all’esito del processo di riorganizzazione delle proprie strutture sulla base di criteri di contenimento della spesa e di ridimensionamento strutturale attuato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e comunque non oltre il 1° novembre 2012, cessano tutti gli incarichi in corso a quella data, di prima e seconda fascia, conferiti ai sensi dell’art. 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

1.1.– Il giudice rimettente riferisce che il ricorrente nel giudizio principale ha stipulato con la Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 1° febbraio 2011, un contratto individuale di lavoro ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, avente ad oggetto un incarico di livello dirigenziale non generale, presso l’Ispettorato per la funzione pubblica, con decorrenza 1° febbraio 2011 e scadenza 31 gennaio 2014. Prosegue il rimettente esponendo che la Presidenza del Consiglio aveva però comunicato all’interessato, con nota del 5 ottobre 2012, la cessazione dall’incarico dirigenziale, a decorrere dal 1° novembre 2012, e la contestuale risoluzione del contratto di lavoro a tempo determinato, ai sensi del citato art. 2, comma 20, del decreto-legge n. 95 del 2012, come sostituito dalla legge di conversione n. 135 del 2012, il quale prevede, per la Presidenza del Consiglio dei ministri, la cessazione, alla data del l° novembre 2012, di tutti gli incarichi in corso alla medesima data, di prima e seconda fascia, conferiti ai sensi dell’art. 19, commi 5-bis e 6, del citato d.lgs. n. 165 del 2001.

1.2.– Espone il giudice a quo che il ricorrente, eccepita, con varie argomentazioni, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 20, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012, facendo, in particolare, richiamo ai principi enunciati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 103 del 2007, n. 351 del 2008 e n. 390 del 2010, in materia di illegittimità dei meccanismi di spoils system, aveva richiesto, previa declaratoria di inefficacia, di nullità e annullabilità del provvedimento di revoca dell’incarico, di ordinare alla Presidenza del Consiglio di reintegrarlo nel posto precedentemente occupato, con condanna dell’amministrazione convenuta al risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittimo recesso, commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino alla reintegrazione, nonché alla relativa omissione contributiva.

1.3.– Ciò premesso, il giudice a quo ritiene che la questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente nel giudizio principale sia rilevante e non manifestamente infondata.

1.4.– In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente osserva che la giurisprudenza costituzionale ha già dichiarato illegittime, in numerose pronunce, disposizioni relative alla automatica cessazione di incarichi di livello dirigenziale, enunciando principi che, pur riferiti a fattispecie di c.d. spoils system, possono ritenersi applicabili al caso in esame (sentenza n. 103 del 2007, relativa all’art. 3, comma 7, della legge n. 145 del 2002; sentenze n. 161 del 2008 e n. 81 del 2010, concernenti l’art. 2, comma 161, del decreto-legge n. 262 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 286 del 2006).

Rileva difatti il rimettente «che l’insegnamento del Giudice delle leggi appare infatti chiaro nel senso che qualunque meccanismo di cessazione automatica “ex lege” di incarichi di funzioni dirigenziali ex art. 19, d.lgs. n. 165/2001, si pone in conflitto con gli artt. 97 e 98 della Costituzione, perché, in sostanza, incrina i principi fondamentali dell’azione amministrativa, quali il buon andamento e la continuità della stessa, sicché gli incarichi in questione possono legittimamente essere revocati, solo mediante forme procedimentali atte all’accertamento dei risultati conseguiti, che si concludano con un provvedimento motivato, suscettibile di vaglio giurisdizionale».

Ritiene inoltre il rimettente che la mera dichiarazione di intenti contenuta nella norma censurata, ai fini della riduzione del 20 per cento operata sulle dotazioni organiche dirigenziali, «non è di per sé sufficiente a giustificare l’esclusione del controllo giurisdizionale sulla rispondenza della cessazione dello specifico incarico alle esigenze di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione, a maggior ragione alla luce del legittimo sospetto generato dall’espressa previsione che solo “fino al suddetto termine - 1° novembre 2012 - non possono essere conferiti o rinnovati incarichi di cui alla citata normativa”» (ovvero incarichi conferiti ai sensi dell’art. 19, commi 5-bis e 6, del d.lgs. n. 165 del 2001).

1.5.– Quanto al profilo della rilevanza, il giudice rimettente deduce che la propria decisione in ordine alla prospettata illegittimità della cessazione-revoca dell’incarico di cui trattasi dipende, in via pressoché esclusiva, dalla validità della censurata disposizione di legge, «in applicazione della quale – e in difetto di qualsiasi altra motivazione – essa è stata disposta», con la conseguenza che il giudizio di rilevanza non pare «richiedere una preventiva delibazione sulla sussistenza degli altri elementi costitutivi della pretesa risarcitoria, in specie la colpa dell’amministrazione ed il danno» il quale, ad avviso dello stesso giudice, può ritenersi in re ipsa, «essendo pacifica la perdita delle retribuzioni maturande in seguito alla cessazione anticipata dell’incarico».

2.– Il ricorrente nel giudizio principale si è costituito in giudizio con atto depositato l’11 maggio 2015. Svolte argomentazioni a sostegno della sollevata questione di legittimità costituzionale ed evidenziata specificamente la violazione del principio del legittimo affidamento di cui all’art. 3 Cost. per effetto del venir meno ante tempus dell’incarico dirigenziale conferito, la parte privata ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale della disciplina censurata.

3.– Con atto depositato il 12 maggio 2015, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare manifestamente infondata la questione proposta nell’ordinanza di rimessione.

3.1.– In particolare, l’Avvocatura erariale deduce di non rinvenire alcun profilo di analogia della disciplina censurata con le disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime con le citate sentenze n. 103 del 2007, n. 161 del 2008, e n. 81 del 2010. Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, difatti, il censurato comma 20, nell’inserirsi nel disposto dell’art. 2 del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 – che a sua volta, nell’ambito di un complesso intervento legislativo in materia di revisione della spesa pubblica (cosiddetta spending review), introduce alcune misure volte alla «riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni», non contempla alcun meccanismo di spoils system che giustificherebbe l’estensione dei principi enunciati dalla Corte costituzionale alla disposizione scrutinata.

3.2.– In proposito, assume l’Avvocatura erariale che, nella fattispecie in esame, «la risoluzione dell’incarico dirigenziale non è collegata al mutamento degli organi politici, ma disposta, con previsione anche temporalmente limitata nel tempo, in vista dell’obiettivo della riduzione degli uffici di livello dirigenziale in misura non inferiore al venti per cento, obiettivo fissato espressamente dal legislatore al comma l del medesimo art. 2 del d.l. n. 95 del 2012». In tale direzione, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, «la predeterminazione, da parte del legislatore, di un numero di uffici di livello dirigenziale (riduzione del 20 per cento operata sulle dotazioni organiche dirigenziali di prima e seconda fascia dei propri ruoli), oltre a non violare il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, è volta a realizzare un immediato risparmio, attuato nell’ambito di una ben più ampia ed articolata opera di revisione della spesa pubblica, secondo i ben noti vincoli finanziari europei ed in doverosa attuazione dell’art. 81 Cost. – come novellato dall’art. l della legge costituzionale n. l del 20 aprile 2012 – che ha introdotto, al comma l, la regola generale dell’equilibrio di bilancio».

3.3.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura erariale ha ribadito tali considerazioni, insistendo sulla inconferenza, nel caso in esame, del richiamo alla giurisprudenza costituzionale operato dal giudice rimettente.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza di cui in epigrafe, il Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 20, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.

1.1.– Il citato comma 20 dispone: «Ai fini dell’attuazione della riduzione del 20 per cento operata sulle dotazioni organiche dirigenziali di prima e seconda fascia dei propri ruoli, la Presidenza del Consiglio dei Ministri provvede alla immediata riorganizzazione delle proprie strutture sulla base di criteri di contenimento della spesa e di ridimensionamento strutturale. All’esito di tale processo, e comunque non oltre il 1º novembre 2012, cessano tutti gli incarichi, in corso a quella data, di prima e seconda fascia conferiti ai sensi dell’articolo 19, commi 5-bis e 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Fino al suddetto termine non possono essere conferiti o rinnovati incarichi di cui alla citata normativa».

1.2.– Ad avviso del rimettente, la disposizione in esame, nella parte in cui prevede che all’esito del predetto processo di riorganizzazione attuato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e comunque non oltre il 1° novembre 2012, cessano tutti gli incarichi in corso a quella data, di prima e seconda fascia, conferiti ai sensi dell’art. 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), si pone in contrasto con gli artt. 3, 97 e 98 della Costituzione.

1.3.– Ciò in quanto, secondo il giudice a quo, la cessazione automatica così disposta ex lege di funzioni dirigenziali conferite ai sensi del citato art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 contrasterebbe con i principi di buon andamento e continuità dell’azione amministrativa, in conformità alle statuizioni della Corte costituzionale contenute nelle sentenze n. 103 del 2007, n. 161 del 2008 e n. 81 del 2010.

2.– Per contro, la difesa erariale contesta che possa farsi applicazione delle richiamate statuizioni della Corte costituzionale, «non essendo rinvenibile alcun profilo di analogia della disciplina ora all’esame […] con le disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime» dalle menzionate pronunce.

2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato sostiene difatti che la disposizione censurata non contempla un meccanismo di spoils system, in quanto la risoluzione dell’incarico dirigenziale non è da essa collegata al mutamento degli organi politici ma disposta in vista dell’obiettivo della riduzione degli uffici di livello dirigenziale in misura non inferiore al 20 per cento, fissato espressamente al comma 1 del medesimo art. 2 del d.l. n. 95 del 2012. Atteso tale disposto normativo, all’amministrazione sarebbe sottratta la scelta su un’eventuale continuazione dei rapporti dirigenziali, talché, sempre ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, non residuerebbero spazi per un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti.

2.2.– Aggiunge inoltre l’Avvocatura erariale che la predeterminazione legislativa di un numero di uffici di livello dirigenziale da ridurre è volta a realizzare «un immediato risparmio» nell’ambito della più generale opera di revisione della spesa pubblica, e trova ragioni giustificatrici nell’art. 81 Cost., come novellato dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), nonché nell’art. 97 Cost., con particolare riferimento al primo comma novellato dalla medesima legge.

3.– La questione è fondata.

È indubbio che la norma censurata dia luogo, in termini oggettivi, a un meccanismo di cessazione automatica di incarico dirigenziale, con risoluzione del connesso contratto di lavoro a tempo determinato.

La novità della questione esaminata consisterebbe tuttavia, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, nella peculiare motivazione dell’intervento normativo censurato, non ascrivibile a finalità di spoils system, bensì funzionale a obiettivi di miglior andamento della pubblica amministrazione e di risparmio di spesa pubblica, nella fattispecie con riferimento alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Ne consegue che il thema decidendum si risolve nel valutare innanzitutto se siano o meno applicabili al caso di specie i principi enucleati da questa Corte in materia di cessazione automatica di incarichi dirigenziali, principi richiamati nell’ordinanza di rimessione e, quindi, nello stabilire se siano fondate le argomentazioni addotte dall’Avvocatura erariale a sostegno della legittimità costituzionale della disposizione censurata.

4.– Questa Corte è stata negli anni chiamata più volte a valutare la compatibilità con i principi costituzionali di disposizioni, statali e regionali, introducenti meccanismi di decadenza automatica di incarichi dirigenziali dovuta a cause estranee alle vicende del rapporto d’ufficio, sottratta a qualsiasi valutazione dei risultati conseguiti, qualora tali meccanismi siano riferiti a titolari di incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di funzioni amministrative attuative degli indirizzi politici.

Tale decadenza automatica è stata ascritta allo spoils system, risultando gli interventi normativi in questione sovente disposti in relazione a cambiamenti della compagine governativa, ovvero al mutamento degli organi di indirizzo politico nazionali o regionali.

I predetti meccanismi di decadenza automatica sono stati da questa Corte ritenuti compatibili con l’art. 97 Cost., esclusivamente ove riferiti ad addetti ad uffici di diretta collaborazione con l’organo di governo (sentenza n. 304 del 2010) o a figure apicali, quali quelle contemplate dall’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 (sentenza n. 34 del 2010).

Relativamente a tali incarichi, causa et ratio della relativa normativa e delle conseguenti pronunce confermative della loro legittimità costituzionale, vanno individuate nella necessità per l’organo di vertice di assicurare, intuitu personae, una migliore fluidità e correntezza di rapporti con diretti collaboratori quali sono i dirigenti apicali e ovviamente il personale di staff, funzionali allo stesso miglior andamento dell’attività amministrativa.

Per il rimanente personale dirigenziale, i meccanismi di decadenza automatica, o meramente discrezionale, sono stati invece costantemente ritenuti incompatibili con l’art. 97 Cost. (ex plurimis, sentenze n. 228 e n. 124 del 2011, n. 224 del 2010, n. 104 e n. 103 del 2007).

Tale incompatibilità è stata ribadita anche in riferimento agli incarichi conferiti a soggetti esterni all’amministrazione, ai sensi delle disposizioni di cui al comma 5-ter (dirigenti di altre amministrazioni) e al comma 6 (dirigenti non già in possesso di qualifica dirigenziale assunti, con contratto a termine di durata non superiore a tre anni per i dirigenti di prima fascia e di cinque anni per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, nei limiti percentuali della pianta organica dell’amministrazione datrice di lavoro, per svolgere funzioni dirigenziali) dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001. In tal senso le sentenze n. 246 del 2011, n. 81 del 2010 e n. 161 del 2008.

In particolare, per quanto riguarda gli incarichi conferiti ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, la sentenza n. 81 del 2010 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 97 e 98 Cost., dell’art. 2, comma 161, del decreto-legge n. 262 del 2006, nella parte in cui disponeva che tali incarichi conferiti prima del 17 maggio 2006 cessassero ove non confermati entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto.

Sempre in riferimento agli incarichi di cui al citato art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, con la sentenza n. 246 del 2011, questa Corte ha poi censurato la disposizione dell’art. 19, comma 8, dello stesso d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore dell’art. 40 del decreto legislativo n. 150 del 2009, nella parte in cui prevedeva, a regime, che gli incarichi di funzione dirigenziale, conferiti ai sensi dello stesso art. 19, comma 6, cessassero decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia del Governo.

Nella ricordata sentenza n. 81 del 2010, si è ancora una volta ribadito che la previsione di una anticipata cessazione ex lege del rapporto in corso – in assenza di una accertata responsabilità dirigenziale – impedisce che l’attività del dirigente possa espletarsi in conformità al modello di azione della pubblica amministrazione, che misura l’osservanza del canone dell’efficacia e dell’efficienza alla luce dei risultati che il dirigente deve perseguire, «nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato, modulato in ragione della peculiarità della singola posizione dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa è inserita».

Nella medesima sentenza si è sottolineata l’esigenza di garantire «la presenza di un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell’ambito del quale, da un lato, l’amministrazione esterni le ragioni – connesse alle pregresse modalità di svolgimento del rapporto anche in relazione agli obiettivi programmati dalla nuova compagine governativa – per le quali ritenga di non consentirne la prosecuzione sino alla scadenza contrattualmente prevista; dall’altro, al dirigente sia assicurata la possibilità di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall’organo politico e individuati, appunto, nel contratto a suo tempo stipulato».

5.– Le motivazioni ripetutamente addotte da questa Corte nel censurare le disposizioni ricordate sono sovrapponibili. Da esse risulta, riassuntivamente: che una cessazione automatica, ex lege generalizzata, di incarichi dirigenziali, viola, in carenza di idonee garanzie procedimentali, i principi costituzionali di buon andamento e imparzialità e, in particolare, il principio di continuità dell’azione amministrativa che è strettamente correlato a quello di buon andamento; che la esistenza di una preventiva fase valutativa risulta essenziale anche per assicurare il rispetto dei principi del giusto procedimento, all’esito del quale dovrà essere adottato un atto motivato che ne consenta comunque un controllo giurisdizionale.

Tali statuizioni, come si è visto, operano anche nei confronti degli incarichi dirigenziali, conferiti ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, per i quali si applicano le previsioni normative relative alla fissazione di obiettivi per l’incarico stesso, alla verifica dei risultati conseguiti, al regime della responsabilità dirigenziale di cui all’art. 21 del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001. In ordine a tale tipologia di incarichi occorre peraltro rilevare che ogni intervento che preveda in via automatica la risoluzione ante tempus dei relativi contratti dirigenziali comporta effetti caducatori sui connessi rapporti di lavoro a tempo determinato, con evidenti e ancor più intense implicazioni in termini di tutela dell’affidamento dei dipendenti interessati.

6.– Ritiene questa Corte che i predetti principi possano trovare applicazione anche nel caso in questione. Difatti, anche se la disposizione in esame appare, ad un primo esame, volta a conseguire una riduzione dell’organico, in realtà, come si deduce dall’ultimo periodo dell’art. 2, comma 20, del decreto-legge n. 95 del 2012 (secondo cui «fino al suddetto termine – del 1° novembre 2012 – non possono essere conferiti o rinnovati incarichi di cui alla citata normativa»), tale riduzione non si verifica, attesa la possibilità di procedere comunque alla sostituzione del personale dirigenziale in questione, sia pure a decorrere dalla indicata data del 1° novembre 2012.

La vicenda è, dunque, assimilabile in termini sostanziali al fenomeno dello spoils system e, pertanto, incorre nelle stesse censure.

L’Avvocatura generale dello Stato assume tuttavia che l’intervento normativo scrutinato troverebbe comunque ragioni giustificatrici in termini di buon andamento della pubblica amministrazione e di riduzione della spesa pubblica.

Senonchè tali assunti della difesa erariale non risultano fondati, non rinvenendosi elementi di oggettivo riscontro ed anzi emergendo, come si è innanzi rilevato, nella stessa disposizione censurata elementi testuali che risultano incoerenti con le cennate finalità di concreta riduzione della spesa per incarichi dirigenziali.

7.– Invero, la stessa evidenziata circostanza che la disposizione in esame abbia previsto la decadenza non solo in esito a riorganizzazione ma comunque in via automatica alla data del 1° novembre 2012, attesta l’assenza di nesso causale tra la prevista decadenza degli incarichi dirigenziali in questione e la riorganizzazione stessa, e dunque con l’eventuale maggiore efficienza dell’azione amministrativa che da essa possa derivare.

Sotto altro profilo, l’assenza di un tale rapporto causale è confermata dalle riportate previsioni dell’ultimo periodo della disposizione censurata. Difatti, l’aver previsto che, successivamente alla data del 1° novembre 2012, possano essere nuovamente conferiti o rinnovati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri incarichi dirigenziali di cui al comma 6 dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 (oltre che di cui al comma 5-bis del medesimo art. 19), implica che tali incarichi possano essere nuovamente conferiti, in sostituzione di quelli decaduti, anche senza che si sia realizzata la riorganizzazione amministrativa con la riduzione delle posizioni dirigenziali prevista e, conseguentemente, una riduzione della spesa pubblica.

Del resto, quanto all’«immediato risparmio» che la norma censurata comporterebbe, questa Corte rileva che l’assunto non trova conforto nemmeno nei lavori parlamentari. Difatti nella relazione illustrativa concernente complessivamente l’art. 2 del d.l. n. 95 del 2012 non sono previsti né indicati immediati risparmi di spesa derivanti dall’intervento. Analogamente, in riferimento specifico all’attuale disposizione del comma 20 – risultante da un emendamento apportato al testo originario del decreto-legge, che non prevedeva la decadenza automatica degli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 – nella relazione tecnica al maxi-emendamento del Governo si assume che, trattandosi di una disposizione di carattere ordinamentale, non si determinano effetti finanziari.

In tale contesto il richiamo ai vincoli di carattere finanziario posti dall’art. 81 Cost. nel testo novellato dalla legge cost. n. 1 del 2012, così come quello effettuato nella memoria conclusionale, all’art. 97 Cost., evidentemente con riferimento al primo comma novellato, si risolvono in mere asserzioni.

8.– Conclusivamente, ritiene questa Corte che la norma scrutinata viola i principi posti dagli artt. 3, 97 e 98 Cost., prevedendo un meccanismo di decadenza automatica da incarico dirigenziale che incide negativamente sul buon andamento dell’amministrazione e lede al contempo, in modo irragionevole, la tutela dell’affidamento che i lavoratori interessati riponevano sulla naturale durata dell’incarico dirigenziale e quindi del rapporto di lavoro a tempo determinato ad esso connesso.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 20, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui prevede che all’esito del processo di cui al primo periodo del medesimo comma 20, e comunque non oltre il 1° novembre 2012, cessano tutti gli incarichi in corso a quella data, di prima e seconda fascia conferiti ai sensi dell’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 novembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2017.