ORDINANZA N. 261
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito del decreto del Presidente della Corte costituzionale del 2 dicembre 2015, promosso dalla Procura della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale per il Trentino–Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, con ricorso depositato in cancelleria il 9 giugno 2016 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2016, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 9 novembre 2016 il Giudice relatore Giuliano Amato.
Ritenuto che con ricorso depositato in data 9 giugno 2016, la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Trentino–Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Corte costituzionale, in riferimento allʼadozione, da parte del Presidente della Corte costituzionale, del decreto del 2 dicembre 2015 con il quale è stata disposta l’archiviazione dell’istanza di correzione di due errori materiali dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 323 del 2013, presentata dalla Procura ricorrente con atto pervenuto alla Corte in data 26 ottobre 2015;
che tale provvedimento presidenziale, secondo la ricorrente, sarebbe lesivo delle prerogative costituzionali di indipendenza ad essa riconosciute dall’art. 108, comma secondo, della Costituzione;che la Procura regionale premette che, con ordinanza n. 323 del 2013, questa Corte ha dichiarato l’estinzione del processo per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della asserita «pretesa» del Presidente della Repubblica di valutare, su diretta sollecitazione del Presidente della Provincia autonoma di Bolzano, la correttezza dell’operato della Procura della Corte dei conti di Bolzano, in relazione a due specifici procedimenti di responsabilità amministrativa; nonché a seguito della successiva asserita «interferenza», da parte dello stesso Presidente della Repubblica, con l’esercizio dell’attività della Procura medesima, attraverso contatti ufficiosi con i vertici della Corte dei conti;
che tuttavia, ad avviso della ricorrente, nel riferire le ragioni poste a fondamento del ricorso, nell’ordinanza n. 323 del 2013 viene riportato — contrariamente al chiaro ed univoco tenore testuale del documento richiamato nel ricorso — che il comunicato stampa del Quirinale del 4 marzo 2013 aveva smentito, anziché confermato, la consegna di un promemoria tra il Presidente della Provincia autonoma e il Presidente della Repubblica, o comunque l’illustrazione di esso da parte del primo; e viene altresì riportato che nello stesso comunicato stampa veniva smentito il coinvolgimento dei vertici della Corte dei conti nei termini descritti;
che in realtà, secondo la Procura contabile, nel ricorso era stato chiaramente evidenziato come il comunicato stampa avesse confermato l’illustrazione al Capo dello Stato di un promemoria da parte del Presidente della Provincia autonoma, limitandosi a smentire il fatto che «la Presidenza della Repubblica sia stata interessata ad inchieste sull’uso di fondi riservati della Provincia, di cui d’altronde non c’è alcun riferimento nel documento illustrato dal Presidente della Provincia autonoma nel corso di un colloquio istituzionale con il Capo dello Stato avvenuto all’inizio del mese di giugno del 2012»;
che la ricorrente osserva, inoltre, che il comunicato stampa del Quirinale non avrebbe spiegato in quale modo il Procuratore generale, a soli tre giorni dall’incontro istituzionale svoltosi il 5 giugno 2012 nel Palazzo del Quirinale, fosse stato messo a conoscenza delle improprie sollecitazioni rivolte dal Presidente della Provincia autonoma al Capo dello Stato;
che di conseguenza, la Procura contabile, ritenendo che le espressioni testuali contenute nell’ordinanza n. 323 del 2013 — a suo avviso totalmente difformi dalla realtà, di cui offrivano una ricostruzione non veritiera — fossero frutto di un lapsus calami da parte del redattore del provvedimento, faceva pervenire in data 26 ottobre 2015 al Presidente della Corte costituzionale un’istanza di correzione di errore materiale della richiamata ordinanza;
che in particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte costituzionale sarebbe incorsa in due evidenti errori materiali nel riferire che «tale circostanza è stata smentita con una nota ufficiale del Quirinale», anziché scrivere «tale circostanza è stata confermata con una nota ufficiale del Quirinale»; nonché, in riferimento alla frase «sempre secondo la ricostruzione della Procura ricorrente, smentita dal Quirinale», nella quale sarebbe stata omessa la parola “non” prima di «smentita dal Quirinale»;
che la Procura contabile riferisce che, con provvedimento adottato in data 2 dicembre 2015, il Presidente pro tempore della Corte costituzionale, «sentita la Corte» — senza tuttavia specificare quando, in quale modo e in quale composizione sia stata sentita —, richiamate le ragioni poste a fondamento dell’istanza e «considerato che non si è in presenza di errori materiali ai sensi dell’art. 32 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvate dalla Corte il 7 ottobre 2008, bensì di un’attività valutativa degli atti di causa il cui significato peraltro non è suscettibile di essere equivocato nella sua oggettiva configurazione», dichiarava l’istanza «manifestamente irricevibile» e ne disponeva la trasmissione all’archivio della cancelleria;
che ad avviso della ricorrente, il Presidente della Corte costituzionale avrebbe in tal modo deciso con un proprio provvedimento sui generis il merito dell’istanza di correzione di errore materiale dell’ordinanza n. 323 del 2013, senza dare formale avvio al relativo giudizio disciplinato dall’art. 32 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, e dunque senza avvisare le parti; senza, inoltre, fissare apposita camera di consiglio dinanzi alla Corte costituzionale nella sua composizione collegiale; senza, infine, lasciare che ad adottare la decisione circa l’ammissibilità, la ricevibilità, la fondatezza o non fondatezza dell’istanza fosse la Corte costituzionale nella sua composizione collegiale a mezzo di apposita ordinanza;
che in ordine al requisito soggettivo, ad avviso della Procura ricorrente non vi sarebbero dubbi in ordine alla legittimazione passiva della Corte costituzionale ad essere parte di un conflitto tra poteri dello Stato, potendo anch’essa — fermo restando il principio di insindacabilità delle relative decisioni, ai sensi dell’art. 137 Cost. — ledere le prerogative costituzionali di altri poteri dello Stato attraverso atti invasivi delle relative competenze;
che viene richiamata, al riguardo, l’ordinanza di questa Corte n. 77 del 1981, secondo la quale «la Corte costituzionale [rientra] — potenzialmente — fra gli organi legittimati ad essere parti in conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato»;
che secondo la ricorrente, andrebbe riconosciuta anche la legittimazione attiva della Procura contabile, non potendosi dubitare della natura di potere dello Stato della Corte dei conti, né del fatto che la Procura contabile, nell’esercizio delle sue funzioni, sia competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene;
che quanto al requisito oggettivo, la Procura contabile osserva come la Corte costituzionale, nella sentenza n. 385 del 1996, abbia precisato che la giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica è disciplinata da norme ordinarie, e che, dunque, attraverso il semplice richiamo all’art. 103, secondo comma, Cost., non sarebbe data materia di conflitto; tuttavia, ad avviso della ricorrente, il presente conflitto sarebbe diverso da quello risolto con la richiamata sentenza, in quanto non verrebbe lamentata una lesione di attribuzioni riconducibili all’art. 103, secondo comma, Cost., cioè relative all’esercizio dell’azione di responsabilità da parte dell’organo inquirente, ma la menomazione delle prerogative di indipendenza che l’art. 108, secondo comma, Cost., direttamente assicura al pubblico ministero presso la Corte dei conti, nel rispetto della riserva assoluta di legge;
che secondo la ricorrente, infatti, l’indipendenza del magistrato contabile nell’esercizio delle sue funzioni integrerebbe un attributo del proprio status che trova la sua fonte diretta nella Costituzione; in particolare, vi sarebbe una stretta correlazione tra diritto di difesa e tutela del principio costituzionale di indipendenza del pubblico ministero contabile, atteso che tra le «misure volte a evitare ogni indebito condizionamento [...] rientrano quelle dirette ad assicurare un’efficace difesa» (sentenza n. 87 del 2009);
che in altri termini, ad avviso della Procura regionale, conculcare in modo illegittimo facoltà difensive volte a rendere effettiva l’indipendenza garantita al pubblico ministero contabile dall’art. 108, secondo comma, Cost., ridonderebbe in una lesione di tale parametro costituzionale;
che nel diritto di difesa rientrerebbe anche il riconoscimento della più ampia libertà ed autonomia nella scelta delle ragioni in fatto e in diritto su cui impostare le proprie argomentazioni difensive;
che tale autonomia risulterebbe menomata, tuttavia, laddove alla Corte costituzionale fosse reso possibile, ex post e per un mero lapsus calami, attribuire alla Procura ricorrente ragioni in fatto non solo distanti da quelle fatte effettivamente valere, ma addirittura contrarie a quelle poste a fondamento del proprio ricorso, senza poi consentire alla Procura stessa l’accesso al giudizio di correzione di errori materiali;
che neppure potrebbe escludersi che anche un’ordinanza di mera estinzione del processo possa contenere errori materiali che necessitino di una correzione da parte della Corte costituzionale; di qui, ad avviso della Procura contabile, il proprio interesse a sollevare il presente conflitto;
che l’ammissibilità dello stesso non sarebbe neppure preclusa dall’art. 137, terzo comma, Cost., il quale opererebbe esclusivamente con riguardo alle «decisioni» (sentenze ed ordinanze) ritualmente emesse dalla Corte costituzionale nella sua composizione collegiale, al termine dei giudizi rimessi alla sua competenza (e poi pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana), mentre non fornirebbe alcuno scudo protettivo a provvedimenti sui generis ed extra ordinem di un suo organo;
che secondo la ricorrente, l’impugnato provvedimento presidenziale sarebbe affetto da palese incompetenza, atteso che non spetta al Presidente della Corte costituzionale decidere quelli che la costante giurisprudenza di questa Corte definisce i «giudizi» per la correzione di errore materiale;
che tali giudizi, ai sensi dell’art. 32 delle norme integrative, possono essere avviati d’ufficio o su istanza di parte; devono essere celebrati in camera di consiglio dinanzi alla Corte costituzionale in composizione collegiale e previo avviso alle parti; devono necessariamente concludersi con una ordinanza collegiale di accoglimento o reiezione dell’istanza che verrà poi pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con le garanzie di ufficialità e trasparenza che questo comporta;
che pertanto tale schema procedimentale non potrebbe essere eluso omettendo di investire la Corte con il rituale esame di tale istanza;
che a questo riguardo vengono richiamate due ordinanze (n. 524 del 1990 e n. 154 del 1991) adottate all’esito di giudizi nei quali la Corte costituzionale, investita di istanze di correzione materiale, pervenne alla conclusione che fossero infondate solo dopo la rituale instaurazione dei relativi giudizi;
che nel caso in esame, invece, questo iter sarebbe stato inspiegabilmente pretermesso ed il Presidente della Corte costituzionale avrebbe disposto l’archiviazione dell’istanza secondo una procedura non prevista ed anzi in contrasto con il richiamato art. 32 delle norme integrative;
che il provvedimento presidenziale, inoltre, non risulterebbe neppure pubblicato nella Gazzetta Ufficiale; né potrebbe sostenersi che il Presidente della Corte costituzionale abbia equivocato l’oggetto della richiesta formulata dalla Procura contabile, atteso che è lo stesso provvedimento impugnato a chiarire quale sia il suo oggetto;
che lo stesso incipit del provvedimento «Sentita la Corte», lungi dall’integrare una corretta applicazione dell’art. 32 delle norme integrative, costituirebbe evidente dimostrazione dell’illegittimità dello stesso;
che l’assoluta indeterminatezza di tale locuzione, infatti, non soddisferebbe l’esigenza di certezza che dovrebbe connotare ogni atto pubblico di natura decisoria, non essendo chiaro se la Corte sia stata sentita nella sua collegialità o nell’ambito di una sua articolazione interna;
che quand’anche la questione fosse stata discussa in una camera di consiglio della Corte costituzionale, ciò non giustificherebbe comunque la circostanza che la decisione sia stata poi assunta dal Presidente con un provvedimento sui generis, anziché dalla Corte costituzionale con ordinanza;
che, pertanto, il Presidente della Corte costituzionale, a mezzo del provvedimento impugnato, si sarebbe attribuito una competenza in ordine all’istanza di correzione di errore materiale che non gli è riconosciuta dall’ordinamento;
che la ricorrente osserva, altresì, che dietro la formula della “manifesta irricevibilità” dell’istanza, la natura del provvedimento impugnato sarebbe chiaramente quella di una decisione nel merito della richiesta di correzione dell’ordinanza n. 323 del 2013;
che tale formula non avrebbe alcun fondamento logico se riguardata alla luce delle motivazioni del provvedimento impugnato;
che l’irricevibilità, infatti, costituirebbe un destino processuale che la Corte costituzionale generalmente riserva agli atti depositati oltre i termini di legge; nel caso in esame, invece, l’istanza di correzione di errore materiale non era soggetta ad alcun termine, essendo, dunque, palesemente “ricevibile”;
che tale atto presidenziale, dunque, avrebbe leso le prerogative di indipendenza riconosciute alla ricorrente dall’art. 108, secondo comma, Cost., impendendole di ottenere la correzione degli errori materiali contenuti nell’ordinanza n. 323 del 2013, i quali mistificherebbero totalmente il contenuto di un suo precedente ricorso;
che il richiamato atto, inoltre, sarebbe manifestamente illogico e contraddittorio, atteso che le stesse motivazioni addotte dal Presidente della Corte costituzionale a sostegno della presunta infondatezza dell’istanza, sembrano piuttosto corroborarne la fondatezza;
che secondo la Procura ricorrente, infatti, escludendo un travisamento dei fatti da parte dell’estensore e non potendosi certamente pensare ad un falso ideologico, si dovrebbero ravvisare due evidenti errori materiali;
che d’altra parte, in ragione della prassi di redigere i provvedimenti giurisdizionali a mezzo di strumenti informatici, errori di questo tipo non sarebbero affatto infrequenti, con conseguente impiego di parole inesistenti o di significato addirittura opposto a quello che si voleva effettivamente imprimere al testo;
che tale conclusione risulterebbe avvalorata dal provvedimento impugnato, nella parte in cui lo stesso Presidente della Corte costituzionale riconosce che «il [...] significato [degli atti di causa] non è suscettibile di essere equivocato nella sua oggettiva configurazione»;
che pertanto, ad avviso della ricorrente, ci si troverebbe dinanzi ad un chiaro lapsus calami, in quanto tale suscettibile di correzione;
che altrimenti non si spiegherebbe come l’ordinanza n. 323 del 2013, a fronte di atti oggettivamente inequivocabili e dunque non travisabili, avrebbe potuto attribuire al comunicato stampa del Quirinale un contenuto inesistente, quando non addirittura opposto a quello reale;
che dunque il provvedimento che ha dato origine al conflitto integrerebbe un’ipotesi di cattivo uso del potere da parte della Corte costituzionale, lesivo delle prerogative costituzionali di indipendenza riconosciute dall’art. 108, secondo comma, Cost., alla cui piena tutela l’istanza di correzione dei due errori materiali era diretta;
che tale provvedimento, infatti, avrebbe impedito la rituale celebrazione di un giudizio di correzione dei richiamati errori e si sarebbe tradotto nel diniego della domanda di giustizia, ridondando in una lesione del principio di indipendenza di cui all’art. 108, secondo comma, Cost.
Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), a delibare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esista «la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», sussistendone i requisiti soggettivo ed oggettivo, fermo restando il potere, a seguito del giudizio, di pronunciarsi su ogni aspetto del conflitto, compreso quello relativo alla ammissibilità;
che in ordine al profilo soggettivo, va riconosciuta la legittimazione a sollevare conflitto in capo alla Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti e alla Procura regionale, che «in quanto organi giurisdizionali, devono considerarsi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono”» (ordinanza n. 196 del 1996);
che, parimenti, deve essere riconosciuta la legittimazione della Corte costituzionale ad essere parte del presente conflitto, in quanto «[rientra] — potenzialmente — fra gli organi legittimati ad essere parti in conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato» (ordinanza n. 77 del 1981);
che nel caso in esame, tuttavia, non sussiste la «materia di un conflitto» la cui risoluzione spetti alla Corte costituzionale;
che, infatti, non vi era alcun errore materiale da correggere, essendo erroneo il presupposto stesso da cui muove la Procura nel sollevare il conflitto, e cioè che la Corte costituzionale abbia equivocato, nell’ordinanza n. 323 del 2013, il contenuto del comunicato stampa del Quirinale;
che, al contrario, tale comunicato era stato correttamente interpretato da questa Corte, in quanto — come risulta dal chiaro tenore del testo — esso non smentiva l’incontro tra il Presidente della Repubblica e il Presidente della Provincia autonoma di Bolzano, ma smentiva che oggetto di esso, oltre che del documento illustrato in quella sede, fosse l’interessamento della Presidenza della Repubblica sull’uso di fondi riservati alla Provincia;
che sotto questo profilo, dunque, il preteso conflitto non attiene ad errori materiali, ma alla ricostruzione del fatto operata dal giudice competente, ai sensi dell’art. 134 della Costituzione, a giudicare dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato;
che, pertanto, il nuovo conflitto è ictu oculi irricevibile in quanto, pretendendo un sindacato su tale ricostruzione, intende censurare il modo in cui si è concretamente esplicata la giurisdizione di questa Corte;
che in tal modo il ricorso si risolve in un inammissibile mezzo di gravame, esplicitamente escluso dall’art. 137, terzo comma, Cost. (ex multis, ordinanza n. 77 del 1981).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2016.