SENTENZA N. 87
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo MADDALENA Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 34, secondo comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali) e 10, comma 9, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sul ricorso proposto da B. E. F. contro la Corte dei conti ed altro, con ordinanza del 30 luglio 2008 iscritta al n. 344 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 2009 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto in fatto
1.1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ha sollevato, con riferimento agli articoli 3, 24 e 108 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 34, secondo comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali) e 10, comma 9, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), nella parte in cui vietano a un magistrato contabile o amministrativo sottoposto a procedimento disciplinare di nominare quale difensore di fiducia un avvocato del libero foro.
1.2. – Il tribunale rimettente riferisce che il ricorrente nel giudizio principale, che è procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Piemonte, ha impugnato i decreti con cui gli è stata inflitta la sanzione disciplinare dell’ammonimento, all’esito di un’istruttoria disciplinare e di un’udienza segreta nel corso delle quali, in applicazione delle disposizioni censurate, gli è stata negata la facoltà di scelta di un avvocato del libero foro, quale difensore di fiducia. Il collegio osserva che l’art. 10, comma 9, della legge n. 117 del 1988 rinvia, per la disciplina del procedimento disciplinare dei magistrati contabili, all’art. 34, secondo comma, della legge n. 186 del 1982, il quale dispone che il magistrato amministrativo «ha facoltà di farsi assistere da altro magistrato», con ciò escludendosi che il magistrato amministrativo, e – in forza del rinvio – il magistrato contabile, possano farsi assistere, in un procedimento disciplinare a loro carico, da un avvocato del libero foro.
1.3. – In ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, il rimettente riferisce che il ricorrente nel giudizio principale, nel corso del procedimento disciplinare, ha domandato di avvalersi di un avvocato e, nel corso del medesimo procedimento disciplinare e poi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale rimettente, ha eccepito l’illegittimità costituzionale delle norme che escludono tale facoltà. Ad avviso del rimettente, se la questione di legittimità costituzionale venisse dichiarata fondata, il ricorso meriterebbe di essere accolto.
1.4. – In ordine alla non manifesta infondatezza della questione, il collegio rimettente ritiene, innanzitutto, che le disposizioni censurate si pongano in contrasto con il diritto di difesa, garantito dall’art. 24 Cost., e con il principio di indipendenza dei giudici speciali, imposto dall’art. 108 Cost. Il giudice a quo richiama ampiamente, in proposito, quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 497 del 2000. Con tale pronuncia, secondo il rimettente, la Corte ha infatti riconosciuto la sussistenza di un «inscindibile legame» fra l’indipendenza del magistrato e la massima espansione della garanzia del suo diritto di difesa, che il collegio rimettente, alla luce di una ricostruzione della cornice normativa sovranazionale e nazionale, considera inoltre espressione del «patrimonio costituzionale comune» europeo. Osserva in particolare il tribunale rimettente, sempre riprendendo gli argomenti sviluppati nella sentenza n. 497 del 2000, che limitare il diritto di difesa del magistrato nel procedimento disciplinare, comprimendo la sua facoltà di scegliere il difensore da lui ritenuto più adatto, «significa in definitiva menomare in parte anche il valore dell’indipendenza». Da ciò deriva, ad avviso del tribunale, che la limitazione della facoltà di scegliere il difensore, che questa Corte ha già considerato illegittima con riferimento al procedimento disciplinare a carico dei magistrati ordinari, deve ritenersi illegittima anche se riferita a magistrati contabili o amministrativi, dal momento che anche di questi ultimi la Costituzione intende preservare l’indipendenza. Secondo il collegio, infatti, nel nostro ordinamento «anche i magistrati amministrativi e quelli contabili sono indipendenti da ogni altro potere dello Stato e siffatta qualità e prerogativa è riconosciuta dalla Costituzione», e segnatamente dall’art. 108, secondo comma, il quale «obbliga il legislatore a garantire ed assicurare, con le sue leggi, l’indipendenza del giudice speciale».
In secondo luogo, ad avviso del tribunale rimettente, le disposizioni censurate violano il principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost. Al riguardo, il collegio osserva che, per effetto della più volte richiamata sentenza n. 497 del 2000, il diritto di farsi assistere da un avvocato del libero foro, nell’ambito di un procedimento disciplinare a proprio carico, è attualmente riconosciuto ai magistrati ordinari, mentre, in forza delle disposizioni legislative censurate, esso è ancora negato ai magistrati amministrativi e contabili. Tale disparità di trattamento, ad avviso del collegio, non trova alcuna ragione giustificatrice. Né può pervenirsi a diversa conclusione, secondo il tribunale rimettente, in base alla sentenza n. 182 del 2008 di questa Corte, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione che precludeva la facoltà di ricorrere ad un avvocato del libero foro agli agenti della polizia di Stato sottoposti a procedimento disciplinare. Il collegio osserva, al riguardo, che la posizione istituzionale e le funzioni dell’agente di pubblica sicurezza sono diverse da quelle del magistrato amministrativo o contabile, solo per il secondo essendovi l’esigenza di garantire l’indipendenza dal potere esecutivo, e che il procedimento disciplinare a carico di un dipendente pubblico, quale l’agente di pubblica sicurezza, non si svolge «secondo moduli giurisdizionali», come invece accade, ad avviso del rimettente, per il procedimento disciplinare a carico di un magistrato amministrativo o contabile.
2.1. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata.
2.1. – La difesa erariale osserva, in primo luogo, che la questione di legittimità costituzionale è formulata «in termini così generici ed ipotetici da farla ritenere inammissibile».
2.2. – Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che le differenze sostanziali sussistenti fra la magistratura ordinaria e quella amministrativa e contabile depongano nel senso della «inapplicabilità al caso in esame delle argomentazioni» contenute nella sentenza n. 497 del 2000 della Corte costituzionale ed escludano la sussistenza di «un’ingiustificata disparità di trattamento tra le due categorie magistratuali». Secondo la difesa erariale, la Costituzione disciplina in modo diverso le due categorie: per i magistrati ordinari, essa stabilisce che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, ne afferma l’inamovibilità e pone i principi fondamentali per la composizione e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura; per i magistrati amministrativi, invece, essa «riserva alla legge ordinaria le modalità di individuazione della (certamente affermata) indipendenza dei magistrati delle giurisdizioni speciali [...] e nulla dice espressamente quanto alla costituzione e al funzionamento dei relativi organi di autogoverno e all’esercizio dell’azione disciplinare dinanzi agli stessi». In particolare, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, che richiama in proposito la giurisprudenza della Corte di cassazione, è diversa, per le due categorie di magistrati, la natura del procedimento disciplinare: quest’ultimo avrebbe natura giurisdizionale per i magistrati ordinari, amministrativa per i magistrati amministrativi e contabili, le cui sanzioni disciplinari non sono impugnabili con ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione. Tali differenze, ad avviso della difesa erariale, giustificano una «disparità di regime, senza che ciò realizzi un irragionevole vulnus del dedotto principio di uguaglianza».
Neppure sarebbe ravvisabile, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, una violazione del diritto di difesa del magistrato amministrativo e contabile, dal momento che «mentre il giudizio disciplinare a carico dei magistrati ordinari, in ragione della sua peculiare natura, può essere impugnato solo con ricorso per cassazione, nel giudizio disciplinare a carico dei magistrati amministrativi e contabili – avente natura di procedimento amministrativo – l’incolpato gode delle garanzie partecipative poste da norme specifiche e, ove applicabili, dalle norme generali sul procedimento; e può fruire, in più (con difesa tecnica), di due gradi di giudizio di merito dinanzi al giudice amministrativo prima dell’eventuale ricorso in Cassazione». La difesa erariale fa riferimento anche alla giurisprudenza costituzionale, secondo la quale il diritto di difesa «non si estende, nel suo pieno contenuto, oltre la sfera della giurisdizione, mentre nei procedimenti amministrativi contenziosi è sufficiente la garanzia del contraddittorio che assicuri un nucleo essenziale dei valori inerenti ai diritti inviolabili della persona» (sentenza n. 356 del 1995).
L’Avvocatura generale dello Stato ritiene infondata, infine, la dedotta violazione del principio di indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali posto dall’art. 108 Cost., considerato che «la legge regolamenta lo svolgimento del procedimento (amministrativo) disciplinare con il riconoscimento di ampie guarentigie».
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ha sollevato, con riferimento agli articoli 3, 24 e 108 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 34, secondo comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali) e 10, comma 9, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), nella parte in cui vietano a un magistrato contabile o amministrativo sottoposto a procedimento disciplinare di nominare, quale difensore di fiducia, un avvocato del libero foro.
Secondo il rimettente le disposizioni impugnate, comprimendo il diritto di difesa dei magistrati amministrativi e contabili, violano l’art. 24 Cost. Esse, in secondo luogo, limitando l’indipendenza dei giudici speciali, sarebbero in contrasto con l’art. 108 Cost., che richiede la massima espansione del diritto di difesa del magistrato. Sarebbe violato, in terzo luogo, l’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento tra i magistrati ordinari, ai quali è consentito farsi assistere da un avvocato del libero foro nel procedimento disciplinare, e i magistrati amministrativi e contabili, ai quali questa possibilità è negata.
2. – Va disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, basata sulla genericità della censura e sulla sua natura ipotetica. L’ordinanza di rimessione del tribunale amministrativo rimettente individua correttamente i parametri costituzionali, dei quali lamenta la violazione, e argomenta adeguatamente le censure con riferimento a ciascuno di esse. Né la questione è formulata in termini ipotetici, perché l’ordinanza chiarisce che le disposizioni impugnate sono applicabili al giudizio principale e rilevanti per la sua decisione.
3. – La questione è fondata con riferimento all’art. 108 Cost.
La Costituzione distingue tra la giurisdizione ordinaria e le giurisdizioni speciali, ma detta anche norme generali sulla giurisdizione e sul processo, preoccupandosi di definire le garanzie necessarie al corretto svolgimento della funzione. Tra queste garanzie, vi è quella dell’indipendenza dei magistrati, che riguarda tanto la magistratura ordinaria, quanto le giurisdizioni speciali. Infatti, come l’art. 104 dispone che «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», così l’art. 108 dispone che la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali e del pubblico ministero presso di esse.
La garanzia dell’indipendenza del magistrato rileva anche in materia di responsabilità disciplinare, perché la prospettiva dell’irrogazione di una sanzione può condizionare il magistrato nello svolgimento delle funzioni che l’ordinamento gli affida. È necessario, dunque, che siano adottate tutte le misure volte a evitare ogni indebito condizionamento. Tra queste misure rientrano quelle dirette ad assicurare un’efficace difesa. È in questa prospettiva che la Corte ha affermato che «vi è una stretta correlazione tra l’indipendenza del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare e la facoltà di scelta del difensore da lui ritenuto più adatto, sicché limitare quest’ultima facoltà significa in definitiva menomare in parte anche il valore dell’indipendenza»: ciò ha indotto la Corte a dichiarare l’illegittimità costituzionale della previsione che escludeva la possibilità, per il magistrato ordinario sottoposto a procedimento disciplinare, di farsi assistere da un avvocato (sentenza n. 497 del 2000).
La correlazione indicata prescinde dalla natura giurisdizionale o amministrativa del procedimento disciplinare, che dipende dai caratteri che il legislatore ha scelto di attribuire al procedimento stesso e agli organi in esso coinvolti. Il procedimento disciplinare relativo ai magistrati ordinari ha natura giurisdizionale e si svolge dinanzi alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con quanto ne consegue in ordine al regime delle impugnazioni. Quello relativo ai magistrati amministrativi ha natura di procedimento amministrativo e si svolge dinanzi al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa o al Consiglio di presidenza della Corte dei conti.
Questa diversa configurazione del procedimento dipende da una scelta del legislatore, che ben può articolare diversamente l’ordinamento delle singole giurisdizioni, a patto che siano rispettati i principi costituzionali comuni. Indipendentemente dalla natura che la legge attribuisce al procedimento e all’autorità disciplinare, dalla garanzia costituzionale di indipendenza deriva una particolarità di questo procedimento, quando esso riguardi un magistrato, in quanto per quest’ultimo, a differenza di quanto accade per altre categorie di personale pubblico (sentenza n. 182 del 2008), la Costituzione impone che sia assicurata, anche in sede disciplinare, la massima espansione del diritto di difesa.
Le disposizioni impugnate, consentendo al magistrato incolpato di farsi assistere solo da un altro magistrato, limitano irragionevolmente questo diritto. La possibilità di farsi assistere da un magistrato, dismessa la sua «originaria caratterizzazione corporativa», è ancora giustificabile in quanto il magistrato è «ritenuto in possesso dell’idoneità tecnica per assumere una siffatta difesa» (sentenza n. 497 del 2000). Ma il divieto di farsi assistere da un avvocato, che è la figura alla quale l’ordinamento riconosce in primo luogo questa funzione, è manifestamente irragionevole.
In conclusione, l’esigenza di indipendenza impone, già nel procedimento disciplinare, che al magistrato sia riconosciuto il diritto di scegliere il difensore ed esclude la legittimità di disposizioni che lo limitino. Questa esigenza – come notato – prescinde dal dato oggettivo, relativo alla natura dell’organo e del procedimento disciplinare, e dipende dal dato soggettivo, relativo alla titolarità della funzione giurisdizionale.
Di conseguenza, ferma restando la legittimità della previsione che consente ai magistrati amministrativi di farsi assistere nel procedimento disciplinare da un altro magistrato, va dichiarata l’illegittimità della disposizione che impedisce loro di avvalersi, nella stessa sede, dell’opera di un avvocato.
4. – Restano assorbite le censure mosse con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 34, secondo comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali) e 10, comma 9, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), nella parte in cui escludono che il magistrato amministrativo o contabile, sottoposto a procedimento disciplinare, possa farsi assistere da un avvocato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 marzo 2009.
F.to:
Paolo MADDALENA, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2009.