SENTENZA N. 144
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 25 febbraio 2015, depositato in cancelleria il 4 marzo 2015 ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi 2015.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 17 maggio 2016 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi l’avvocato Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.− La Regione Veneto ha impugnato, con il ricorso in epigrafe, numerose disposizioni dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015) e, tra queste, le disposizioni di cui ai commi 611 e 612, le quali disciplinano criteri e modalità del processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, tra gli altri, dalle Regioni.
Secondo la ricorrente, le disposizioni denunciate, «sebbene in astratto dirette all’obiettivo pienamente condivisibile di razionalizzare il preoccupante e ingiustificato fenomeno di abnorme proliferazione delle società partecipate», si porrebbero, «in concreto», in contrasto con gli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119, della Costituzione, nonché con il principio di leale collaborazione, di cui all'art. 120 Cost. E ciò per la ragione che – «non prevedendo alcuna differenziata considerazione dei processi già avviati da alcune società regionali (come invece richiederebbero i principi di differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118 Cost.) e nessun coinvolgimento delle Regioni nella definizione del processo di razionalizzazione (in violazione quindi del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.)» – quella disciplina sarebbe «lesiv[a] della materia di competenza residuale regionale “organizzazione e funzionamento della Regione”, riconducibile al quarto comma dell’art. 117 della Costituzione» e, per tale aspetto, in particolare, interferirebbe nel processo, già da tempo avviato dal Veneto, di razionalizzazione delle partecipazioni regionali sia dirette che indirette.
2.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per una declaratoria di infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
La difesa dello Stato, richiamando la sentenza di questa Corte n. 159 del 2008, rammenta anzitutto che rispetto alle società orbitanti nell’area degli enti locali, svolgenti attività strumentali alle finalità di questi e strettamente connesse con le previsioni contenute nel testo unico degli enti locali, assume rilievo la disciplina statale in ordine ai profili organizzativi concernenti l’ordinamento degli enti locali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.
In ogni caso, soggiunge l’Avvocatura generale, la disciplina censurata avrebbe finalità di contenimento della spesa pubblica e, in quanto normativa di principio in tema di coordinamento della finanza pubblica (ponendo «obiettivi e criteri generali», con ampio margine all’intervento regionale), ben potrebbe incidere sulle competenze delle Regioni anche in materia di organizzazione delle stesse e dei relativi enti.
3.– Ha replicato la ricorrente, con successiva memoria, che non sarebbe, comunque, riconducibile a principio fondamentale, od obiettivo generale, in materia di coordinamento della finanza pubblica, l’obbligo della «soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti», previsto dalla lettera b) del comma 611. Poiché sarebbe, infatti, questo, un «obbligo totalmente puntuale e dettagliato, che prevede un automatismo che non lascia alcuno spazio all’autonomia regionale, che risulta costretta a sopprimere società in cui il limitato numero di dipendenti non dipende dall’inefficienza, ma dalle caratteristiche intrinseche delle società, dirette alla gestione, per conto della Regione, di consistenti patrimoni immobiliari». Ciò che in concreto avverrebbe con riguardo alla Società Veneziana Edilizia Canalgrande, totalmente partecipata da essa Regione Veneto, che è priva di dipendenti e della quale, quindi, sarebbe imposta la soppressione, senza che alcun spazio di manovra venga riservato all’autonomia regionale, là dove, inoltre, sarebbe comunque irragionevole la soppressione di società di cui «non è provata l’inefficienza».
1.− Per contrasto con gli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, nonché con il principio di leale collaborazione, di cui all'art. 120 Cost., la Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe, impugna varie disposizioni della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), tra le quali, per quanto qui rileva, quelle di cui ai commi 611 e 612 del suo articolo 1.
1.1.– Il comma 611 dell’art. 1 della predetta legge testualmente prevede che «le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di istruzione universitaria pubblici e le autorità portuali, a decorrere dal 1° gennaio 2015, avviano un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015».
Tale processo, per espressa previsione normativa, deve tenere conto «anche» dei seguenti criteri:
«a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione;
b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni;
d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;
e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni».
Ciò al fine espresso di «assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell’azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato».
Per raggiungere l’obiettivo di razionalizzazione, il successivo comma 612 dispone che «i presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, i presidenti delle province, i sindaci e gli altri organi di vertice delle amministrazioni di cui al comma 611, in relazione ai rispettivi ambiti di competenza, definiscono e approvano, entro il 31 marzo 2015, un piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, le modalità e i tempi di attuazione, nonché l’esposizione in dettaglio dei risparmi da conseguire».
La norma prevede, altresì, l’intervento di un organo terzo individuato nella competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti, stabilendo che il suindicato piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie «corredato di un’apposita relazione tecnica, è trasmesso alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti e pubblicato nel sito internet istituzionale dell’amministrazione interessata. Entro il 31 marzo 2016, gli organi di cui al primo periodo predispongono una relazione sui risultati conseguiti, che è trasmessa alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti e pubblicata nel sito internet istituzionale dell’amministrazione interessata. La pubblicazione del piano e della relazione costituisce obbligo di pubblicità ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33».
1.2.– Il vulnus ai plurimi evocati parametri costituzionali è motivato dalla ricorrente in ragione del carattere «puntuale e dettagliato […] ma indifferenziato» dei criteri, modalità e tempi del processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie possedute da Regioni ed enti locali, recato dalla disciplina statale impugnata e tale da «vincola[re] totalmente le amministrazioni regionali, senza lasciare alcun margine di adeguamento».
In particolare, la «soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori […]», sub lettera b) del comma 611, impedirebbe, irragionevolmente, di «considerare quelle situazioni in cui le società presentano sì tali caratteristiche, ma solo perché dirette alla gestione, per conto della Regione, di consistenti patrimoni (e non necessitando quindi di numeroso personale dipendente), generando utile e non presentando, quindi, alcuno dei profili di inefficienza che potrebbero giustificarne la soppressione».
La ricorrente sottolinea ancora come abbia autonomamente «già da tempo avviato processi di razionalizzazione delle partecipazioni regionali, sia dirette che indirette».
E, per tal profilo, lamenta che le disposizioni denunciate non abbiano di ciò tenuto alcun conto (in palese contrasto con i principi di differenziazione e di adeguatezza di cui all’art. 118 Cost.), imponendo, anche ad essa Regione Veneto (in violazione, altresì, del principio di leale collaborazione, di cui all’art. 120 Cost., e della sua competenza residuale nella materia “organizzazione e funzionamento della Regione”), un «ulteriore e generalizzato percorso, dove sono stabiliti […] oneri aggiuntivi (come l’obbligo di trasmissione della relazione tecnica e della relazione sui risultati conseguiti alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti) e […] termini perentori per l’adozione di piani da parte delle Regioni e per la dismissione delle partecipazioni detenute».
E proprio il carattere dettagliato e puntuale di queste prescrizioni – ribadisce, infine, la ricorrente – impedirebbe che le stesse possano considerarsi come norme di principio nella materia del «coordinamento della finanza pubblica».
1.3.– Sostiene, viceversa, la difesa erariale che le disposizioni in esame rientrino pianamente nella competenza esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in quanto, attinenti a «profili organizzativi concernenti l’ordinamento degli enti locali» (come chiarito dalla sentenza di questa Corte n. 159 del 2008); e siano, comunque, anche ascrivibili, quali norme di “principio”, alla competenza statuale concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica».
2.– Nessuna delle questioni sollevate è fondata.
2.1.– Rileva, in primo luogo, infatti, che – nel formulare le proprie (come sopra riassunte) censure – la ricorrente muove da una inesatta premessa interpretativa delle disposizioni impugnate. Essa trascura di considerare che l’obiettivo, che tali disposizioni si prefiggono, di «riduzione» delle società, e delle partecipazioni societarie, direttamente o indirettamente possedute (tra l’altro) dalle Regioni, si basa su un “piano di razionalizzazione”, che non emargina, ma coinvolge le stesse Regioni (e che, ove già iniziata, come sostenuto dalla ricorrente, può trovare nella normativa censurata ulteriore implementazione e completamento), un piano da realizzare, infatti, «anche» – e, cioè, “non solo” – in base ai criteri direttivi statali.
La disposizione del comma 611 e quella (ad essa collegata e strumentale) del successivo comma 612 dell’art. 1 risultano, nel loro complesso e su un piano generale, senz’altro riconducibili alle prevalenti finalità, che con esse si intende conseguire, ossia quelle di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica – di cui alla materia del «coordinamento della finanza pubblica» ex art. 117, terzo comma, Cost. – recando una disciplina di principio, che lascia ampio margine di manovra all’autonomia regionale.
2.2.– I singoli “criteri” elencati nel comma 611 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 sono pertinenti ed intersecano, per di più, anche ulteriori ambiti di competenza esclusiva dello Stato.
In particolare, il criterio sub a) si raccorda, completandole e rafforzandole, alle disposizioni di cui ai commi 27 e 29 dell’art. 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), e risponde alla stessa finalità di evitare abusi del “tipo” societario e/o delle partecipazioni societarie: finalità che secondo la sentenza n. 148 del 2009 (con la quale è stata esclusa la fondatezza di censure analoghe rivolte, sempre dalla Regione Veneto, ai predetti due commi dell’art. 3 della legge n. 244 del 2007) «va ricondotta alla materia “tutela della concorrenza”, attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e Cost.), anziché […] alla materia dell’organizzazione e del funzionamento della Regione, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenza n. 159 del 2008)».
Lo stesso è a dirsi per il criterio sub c), poiché la “parcellizzazione” dello strumento (la partecipazione in società) per il perseguimento delle medesime finalità istituzionali della Regione è suscettibile di produrre effetti distorsivi sulla concorrenza.
E, comunque, l’auspicata «eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate […]» – funzionale a scopi di risparmio di spesa – non prescinde, a sua volta, da un coinvolgimento delle Regioni, alle quali è lasciato un significativo margine di manovra, per le opzioni, ad esse rimesse, relativamente «anche» ad eventuali «operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni».
Identiche considerazioni valgono per il criterio sub d), che ha un corrispondente obiettivo di aggregazione, riferito, in particolare, a società di servizi pubblici locali di rilevanza economica. E che, nella sua portata ulteriore, è volto a conseguire anche un evidente risparmio di spesa, tramite l’indicazione di una misura (aggregazione) che, in assenza di specificazioni modali, consente di ascriverla al novero dei principi fondamentali della materia «coordinamento della finanza pubblica».
A sua volta, il criterio sub b) – sulla cui illegittimità la Regione insiste particolarmente, anche con la memoria, ravvisandovi una «disposizione di dettaglio» –delinea un “modello di società pubblica”, prefigurando (sia pure indirettamente con il disegnarne la configurazione non consentita) la struttura della stessa, in correlazione al principio per cui la relativa compagine non può essere composta «da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti».
In tal senso, la disciplina incide, dunque, a monte, sul modulo organizzativo, e sul relativo statuto, in forza del quale svolgere l’attività “produttiva”, e non già sulla scelta, a valle, della Regione su “come” organizzarsi per lo svolgimento dei servizi strumentali al perseguimento delle proprie finalità istituzionali. Pertanto essa è riconducibile alla materia dell’«ordinamento civile», oltre ad esibire, pure essa, uno scopo (ulteriore) di risparmio finanziario.
Da ultimo, il criterio sub e) evoca chiaramente la materia del «coordinamento della finanza pubblica», nell’ambito della quale si pone come “principio fondamentale”, in quanto lascia spazio alle Regioni in ordine alla scelta delle modalità di conseguimento dell’obiettivo, che si propone, di un risparmio tramite la riduzione dei costi di funzionamento degli organi sociali e delle remunerazioni dei componenti.
2.3.– Quanto, infine, alla censura che attiene agli «oneri aggiuntivi» (predisposizione di «piano operativo» e di «relazione tecnica», da comunicare alla Corte dei conti), che imporrebbe (illegittimamente per la Regione Veneto) il censurato comma 612, è sufficiente ribadire che un puntuale obbligo di comunicazione, alla Corte dei conti, di dati a carico degli enti locali (nella specie, oltretutto, senza conseguenze sanzionatorie) è da ricondurre alla realizzazione in concreto delle finalità di coordinamento finanziario e, dunque, ascrivibile ai principi della relativa materia, di competenza concorrente (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014 e n. 417 del 2005).
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, nonché con il principio di leale collaborazione, di cui all'art. 120 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 maggio 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2016.